Articoli e lettere - 2022

p. Fabrizio Calegari

2022

Lettera agli amici

Dhanjuri  - 21 novembre 2022

Carissimo Bruno, carissimi amici,

vi mando qualche notizia dall’ostello S. Benedetto di Dhanjuri. 

Il 2022 sta per terminare e anche il ciclo scolastico volge al termine, in quanto coincide con l’anno solare.

Come vi avevo detto questo è il primo anno post-pandemia, le scuole hanno chiuso totalmente per due anni interi e il governo non ha trovato di meglio che promuovere tutti comunque.

Con i risultati disastrosi che potete immaginare. Ci sono materie che, anche saltando qualche capitolo, si possono studiare. Altre come matematica, geometria, inglese, bengalese, hanno bisogno di un passo alla volta, di un mattone dopo l’altro. Invece gli studenti di tutto il paese si sono ritrovati a colmare un buco… incolmabile.

I miei ragazzi hanno fatto molta fatica in tutti questi mesi anche solo per ritrovare la concentrazione sui libri. Potete immaginare: sono ragazzi tribali di villaggio e a casa hanno staccato completamente per due anni. Tutti i loro libri sono rimasti qui nei banchi, a risposare!

Noi abbiamo cominciato subito con le ripetizioni, lo scorso febbraio, e abbiamo continuato per tutto l’anno. Oltre al resto i nostri tribali, appartenendo ad una etnia diversa da quella bengalese e avendo una propria lingua e cultura, a scuola partono sempre svantaggiati.

Cerco di lavorare anche sulla loro psicologia, incoraggiandoli e spronandoli, perché si sentono inferiori anche se non lo sono assolutamente. 

Abbiamo appena cominciato la terza e ultima sessione di esami. Le precedenti due sessioni sono state un disastro per la maggior parte e quindi non mi faccio illusioni, diversi non passeranno.Vedremo a gennaio chi ci sarà, tra nuovi e vecchi.

Però durante l’anno ho visto alcuni crescere bene e maturare: per me la gioia più grande.

In passato, lavorando in altri ostelli, riuscivo a dare molto più tempo ai ragazzi, mentre adesso devo dividermi anche con gli impegni della pastorale giovanile che il vescovo mi ha chiesto.

Nonostante ci siano con me due assistenti che mi aiutano molto, tuttavia per me esserci il più possibile è veramente importante. Di più, è decisivo. La vita nell’ostello è già ampiamente strutturata e la scuola con lo studio portano via gran parte della giornata. Ecco perché, nella fatica di trovare spazi o proposte educativi particolari, la presenza dell’educatore, laico o consacrato che sia, deve essere qualitativamente significativa. Questo concretamente significa che deve essere anche quantitativamente presente. Ogni attività è un’occasione per educare.

Questa lettera però è soprattutto per ringraziarvi di tutto cuore per il grande aiuto che continuate a darci con fedeltà. Per me, lo dico sinceramente, è davvero provvidenziale il vostro aiuto. Le spese sono sempre tante e i prezzi dei beni di prima necessità salgono sempre. Questo ostello che è stato tanto caro a p. Adolfo, certamente continua a ricevere dal cielo il suo sorriso e la sua benedizione. Benedica anche voi, p. Adolfo, per tutto il bene che fate a questi figlioli.

Io ricordo voi, le vostre famiglie, i vostri cari defunti nella Messa: non conosco i vostri volti e i vostri nomi ma li conosce il Signore ed è quello che importa.

Approfitto dell’occasione per augurarvi anche un Santo Natale e un felice anno nuovo. Il Bambino Gesù porti pace a ciascuno di voi e alle vostre famiglie.

P. Fabrizio Calegari PIME

L'amore genera 

centropime.org/ - 20 ottobre 2022  

Vado a casa di un amico musulmano che conosco da tempo. Stavolta c’è anche il suo papà, lo incontro per la prima volta, mi stringe la mano affabile. Rafat è praticante convinto ma ha un animo aperto, me lo ha dimostrato tante volte in questi anni. Mi stima anche troppo, arrivando ad invitarmi anche al suo matrimonio.

Mentre siamo seduti a parlare, le donne portano lo yogurt dolce, biscotti e tè.

La loro ospitalità è sempre molto familiare.

“Perché voi preti cristiani non vi sposate?”, mi chiede all’improvviso il papà di Rafat facendomi quasi andare di traverso il tè. Eccola qua la domanda, era solo questione di tempo prima di arrivarci. Ci si arriva sempre, prima o poi: “Allah ci ha comandato di sposarci, per far continuare la stirpe. Anche nella vostra Bibbia c’è scritto, non è vero?”.

“Vero, anche il nostro Dio ha detto: “Crescete e moltiplicatevi”. Anche per noi cristiani il matrimonio è importantissimo. Però Gesù a qualcuno fa anche una proposta diversa e chiede di vivere come lui e di non sposarsi.”

“È sbagliato”, taglia corto il vecchio. “Non si può vivere senza matrimonio. Sarebbe una vita sterile”.

Umanamente mi verrebbe da dargli ragione 100 volte. Lo sa Dio che fatica è stata ed è, talvolta, vivere la verginità come dono. Ma, appunto, sarebbe una lettura solo umana.


Provo a spiegare: “Le faccio una domanda. Mi risponda sinceramente: se Allah è davvero così grande e onnipotente, non può forse egli bastare da solo a riempire il cuore di un uomo che voglia vivere per lui?”. L’uomo sembra preso alla sprovvista e toccato dalla mia provocazione, poi dice: “Certo che può bastare. Allah è l’Immenso, il Sublime”.  

Gli racconto allora di quella volta che all’ostello arrivò il postino con un pacco dall’Italia.

Mi trovò sul campo da pallone con i ragazzi mentre mangiavamo il nostro piatto di riso. “Chi sono questi ragazzi?”, mi chiese. “Sono i miei figli!”, risposi tra il serio e lo scherno. “Sono 130. Lei quanti ne ha?”

Era talmente sbigottito da non riuscire a rispondere: alzò solo due dita per indicare il numero. Poi finalmente mi chiese: “Ma… 130 figli e una moglie sola?”.

Noi scoppiammo tutti a ridere e lui non capì perché. Se ne andò contrariato.

Cerco di chiarire al vecchio: “Vede, non sposarsi non significa per forza restare sterili. O almeno non dovrebbe essere così. Mettere al mondo dei figli non è poi così complicato, per noi maschi. Essere padri però significa una cosa diversa e solo Dio ce ne può dare la possibilità. È il suo amore che rende fecondo il nostro. E l’amore vero genera, non è mai sterile.

Se fossi stato sincero, a quel postino avrei dovuto dire non 130 ma molti di più. Perché è così che mi sento ed è così che Dio mi vuole, un padre per tanti. E più sono, meglio è. Non basta avere figli se poi si è aridi, come tronchi secchi che non gemmano.”  


Non so più se sto parlando a lui o a me stesso.

Penso al mio celibato e a come finisca di avere ogni senso se non diventa una paternità effettiva ed affettiva.

Se non è un albero carico di frutti. Un celibato sterile non è solo un controsenso, è una tragedia.

Sono convinto che oggi, per tutti, una delle sfide sia proprio sulla fecondità. L’amore moltiplicato.

Da quanta sterilità siamo circondati? Relazioni asettiche, cultura incapace di bellezza, nascite sotto lo zero, gioia manco a pagarla, progetti senza slancio, desideri precotti e premasticati, l’abbandono educativo, il grigio come colore dominante.

Abbiamo un bisogno disperato di gente che generi vita attorno a sé, che sia capace – con i propri talenti messi a frutto, le scelte, l’amicizia, la poesia – di contagiare l’esistenza degli altri, creando un circolo virtuoso di bene, di bello. Di speranza.

Il papà di Rafat fa un cenno verso destra con la testa: segno, nella gestualità bengalese, che l’ho persuaso, almeno un po’.