Schegge di Bengala - 2004

p. Franco Cagnasso

2004

dic.

Gesù Bambina - Spigolatrice urbana - Pastori 2004 - Chiacchierata per strada - Laurea

nov.

Primati - L'elefante - A dire il vero...

nov.

Ramadan - Aggiornamento statistico

ott.

Scambio di persona - Sette mari, tredici fiumi - Affarista - Saggezza - Reazione - Corrente politica - Un regalo che dura - Aggiornamento statistico

ott.

Successo strepitoso - Che razza di missionari - Fondamentalismo - Linciaggi qualificati - Paradiso in terra - Bhai, koto likbo?

ago.

Inevitabile miscuglio - Un seminarista del primo anno - Un seminarista degli ultimi anni - Davanti alla casa delle suore, a Dhaka - Come una bimba

6

dicembre 2004

 


Gesù Bambina

Dino e Rotna, li ricordate? I giovani sposi bengalesi che vivono in due stanze, hanno ciascuno un buon lavoro, e tengono in casa nove giovani donne ciascuna gravemente inguaiata per ragioni diverse: ripudio, vedovanza, ragazze madri, ecc. mentre ne organizzano altre (più di cento) a fare piccoli lavori che poi loro si affannano a vendere. Me li trovo in veranda, sulla porta della mia stanza, con in braccio Gesu' bambina, si', bambina (Gesù non è sessista, e non se la prende), la loro bimbetta di 31 giorni. Il papà, scemo come tutti i veri papà, è convinto che già lo riconosca. Piccola piccola ma bella davvero, succhia, sbadiglia, dorme e fa pipì - tutto a posto. Ci scambiamo gli auguri e mi ringraziano perché li aiuto. Sono io che ringrazio loro! 

 

Aggiornamento marzo 2005

La bimba è stata battezzata qui a Banani, nella cappella del seminario. Si chiama Sara Orpita (Orpita significa Donata, Offerta). Tutti quanti si sono trasferiti in un appartamento un po’ più grande e più vicino ai luoghi di lavoro di Dino e Rotna, e ai luoghi in cui vendono i prodotti.

Grazie a chi ha aiutato a fare tutto questo!

 


Spigolatrice urbana

La signora che manteneva se stessa e due bimbi andando sui cantieri a sbriciolare mattoni a martellate, per usarli come ghiaia da costruzione, ha pulito la striscia di terra larga poco più di un metro che c’è tra il muro del seminario e il filo spinato che segna il confine della strada. Va in giro dove si scava qualcosa, si ristruttura una casa, si abbandonano detriti e raccoglie pezzi di mattone, se li porta sulla striscia che ora è “sua” e picchia per ore. La mattina passa un riksciò, di quelli da trasporto merci, per caricare i secchi di ghiaia che lei ha sbriciolato. Non so se guadagna di più o di meno, ma ora è imprenditrice, lavora tutti i giorni, orario libero. La baracca di legno nella strada accanto, in cui dormivano, è crollata; ma hanno una robusta tela cerata blu, e vari pezzi di plastica.

 


Pastori 2004

Quest’anno si sono mossi molto prima, e molto più numerosi, per organizzare le misure di sicurezza qui a Dhaka (altrove non so) prima del Natale. Non solo la polizia, ma anche il RAB, quelli specializzati a far ammazzare i delinquenti dai loro stessi complici (vedi Schegge n. 5). Anche loro sentiranno l’annuncio che tempo fa è stato portato ai pastori. 

 


Chiacchierata per strada

I due seminaristi stanno cercando una casa in un quartiere che non conoscono. Chiedono indicazioni ad uno spazzino hindu. Chiacchierano un poco. Mentre si congedano lui chiede: “Siete cristiani?”. “Sì, perché?”. “In vita mia questa è la seconda volta che qualcuno mi parla dandomi del lei, e che persone ben vestite mi chiedono come sto. Anche la prima volta erano dei cristiani”. 

 


Laurea

Rev.mo Padre Franco, mi chiamo ***. Vorrei devolvere in beneficienza parte dei regali ricevuti in occasione della mia laurea e prossimamente verserò sul suo conto postale l'importo di ***. Mi hanno assicurato che l'importo giungerà nelle sue disponibilità e sono sicura che ne farà buon uso. Se posso esprimere un desiderio, vorrei che questa modesta cifra servisse ad aiutare qualche bambino oppure qualche giovane madre.

Le formulo i migliori auguri per le prossime Festività e molto cordialmente la saluto.

Come ***, tante e tanti. Perché non è vero che tutto va male, non ci sono valori, e via lamentandosi.

 

p. Franco Cagnasso

5

novembre 2004

 


Primati

Per il 4° anno consecutivo l’Agenzia ONU per la Trasparenza, con sede a Berlino, ha assegnato al Bangladesh il primo posto come paese più corrotto, fra 146 paesi esaminati. Il ministro dell’economia dice che è colpa dei giornalisti. Altri dicono che è un problema reale, ma come affrontarlo? Una soluzione ci sarebbe: pagare i membri dell’Agenzia, perché il prossimo anno mettano il Bangladesh più indietro nella lista, e diano il primo posto a chi non dà loro la mancia.

 


L'elefante

In un villaggio di cristiani Garo del nord est serpeggia la paura, perché un branco di elefanti selvaggi provenienti dall'India vaga sulle colline circostanti, e ha già danneggiato vari villaggi.

Una notte il branco arriva. La gente scappa terrorizzata mentre i bestioni mangiano la paglia dei tetti delle capanne, rovesciano i depositi di riso, si bevono il vino di palma nelle giare, calpestano case e stalle... Il capo branco si dirige deciso verso l'ultima abitazione in fondo al villaggio, ai margini della foresta, dove abita una giovane vedova poverissima con tre bambini. La donna non ha via di scampo. Vede avanzare lungo il sentiero l'enorme figura nera, ma non può tuffarsi nella giungla, nel buio, con i tre bambini. Disperata, prega, poi lascia i bimbi in casa e si piazza sulla soglia, in piedi. Quando l'elefante è a due passi da lei, urla con forza: "Elefante, che cosa le ho fatto di male? Elefante, perché viene da me? Ha tutta la frutta della giungla a sua disposizione! Se vuole prenda tutto quello che ho, ma non calpesti i miei bimbi!".

Il capo branco si ferma. Sventola le orecchie mentre ascolta la donna che grida la sua preghiera scoppiando a piangere. Scuote il testone, poi si volta e se ne va, portandosi dietro tutti gli altri.

 


A dire il vero...

Devastata dall'alluvione, la strada per Konnabari è una miriade di buche polverose su cui l'autobus salta come una capra impazzita. L'autista, baffuto e oliato come un attore dei filmastri indiani che affliggono le TV del subcontinente, guida come un criminale in fuga nei filmastri americani che affliggono le TV di tutto il mondo (eccetto Cuba, Nord Corea e Vaticano). Il clacson non si ferma un attimo, è un susseguirsi continuo di rikscio, camion, moto, folle che attraversano la strada fra una fabbrica e un cinema, un incrocio e un mercato. Ho mal di testa, sonno, fame, sete, sono arrabbiato con il mondo intero e non so quanto tempo ci vuole ancora per arrivare.

Candido, il giovanotto che mi siede accanto, usando qualcosa che assomiglia all'inglese attacca con le solite domande: di dove sei, che lavoro fai, quanto guadagni, perché non sei sposato, dammi un lavoro, perché qui sono tutti disonesti, portami in Italia... Poi s'accorge che sto rispondendo in bengalese e passa ai complimenti: "Parli bene! Da quanto tempo sei qui?" - "Complessivamente 8 anni". "Davvero? Ti piace il Bangladesh?" -

Pausa. - "Sì".

Ormai l'ho detto.

Ed è vero!       

 

p. Franco Cagnasso

4

novembre 2004

      

     

Ramadan

Laureato, madre e tre fratelli a carico, disoccupato. Sultan sabato e domenica gironzola attorno alla chiesa durante le Messe, sperando che qualche straniero gli dia un lavoro. Più volte mi dice: "Ho sempre mal di testa, mangio troppo poco...".- Inizia il Ramadan, gli chiedo se sta osservando il digiuno. "Sì". - "E come stai?" - "Benissimo" risponde, e aggiunge con fierezza: "È la nostra spiritualità!".

 

- Notte, ore 3.30. Sirena. Altoparlante a tutto volume: è tempo di mangiare, sveglia! Seguono cantilene devozionali. Qua e là nei palazzi si accendono luci, si spadella... Ore 4.30: sirena. Altoparlante: è scaduto il tempo, basta mangiare, inizia il digiuno... Ore 4.40: si diffonde il coro di minareti vicini e lontani che chiamano alla preghiera “Dio è grande... la preghiera è meglio del sonno...”.

 

- Viaggio Dhaka-Bogra. Alle 9,30 del mattino l'autobus si  ferma al solito ristorante, desolatamente vuoto. Tutti di corsa ai bagni, sono io l'unico che prende un caffè cercando un angoletto appartato. Si riparte subito.

 

- Viaggio Bogra-Dhaka. Alle 17 i passeggeri si fanno inquieti: quando ferma? dove? Il mio vicino brontola: "Certamente non osserva il digiuno, altrimenti si sarebbe già fermato!" L'autista tace e pigia sull'acceleratore. Quando è quasi buio frena di botto: "Qui tutto costa meno, ed è l'ora giusta".- In un attimo compaiono bottiglie d'acqua, riso soffiato, pasticcini, frittelle, stuzzichini, misti di cipolle e melanzane fritte, uva passa, datteri... su e giù dall'autobus a comprare e mangiare, tutti offrono qualcosa a tutti. È una festa. Venti minuti e si  riparte - contenti.

 


Aggiornamento statistico

L'anno scorso, per oltre 4 mesi il governo organizzò l'operazione "Clean Heart", "cuore pulito". Diede all'esercito poteri di polizia perché infliggesse un colpo decisivo alla malavita e catturasse i criminali più "ricercati", alcuni dei quali facevano vita pubblica, presentandosi anche candidati ad elezioni, gestendo società e negozi, organizzando feste, ecc. L'esercito agì con sollecitudine abbattendo innumerevoli costruzioni abusive, arrestando migliaia di persone, riprendendo il controllo di mercati e aree gestite dalla mafia. Si dovette registrare anche un fenomeno inatteso: 56 persone ebbero attacchi cardiaci mortali durante gli interrogatori. Prima di concludere l'operazione e rimandare l'esercito nelle caserme, il parlamento approvò una legge che, ritenendo che i militari non abbiano il dovere di essere pure cardiologi, proibiva qualsiasi denuncia e inchiesta circa le morti durante interrogatorio.

Poco dopo, la delinqenza tornò a rifiorire gagliarda, come un albero dopo la potatura.

Si è perciò cercata un'altra soluzione istituendo il RAB (Rapid Action Battalion), un corpo speciale che ha il compito di occuparsi dei casi più difficili che la polizia non riesce a risolvere. Il RAB agisce con tempestività, destrezza e fermezza, ottenendo molti risultati. Ha anche il compito di effettuare un primo interrogatorio dei criminali catturati, e si constata con sorpresa che non ci sono più casi di attacchi cardiaci durante i colloqui. Interrogato il criminale, il RAB lo trasferisce in ottima salute alle carceri, ma durante il viaggio i suoi complici assalgono il convoglio per liberare il loro capo. Nel conflitto a fuoco che ne scaturisce, il criminale tenta di scappare, ma viene colpito per sbaglio da una o più pallottole sparate dai complici contro il RAB.

Bisogna dunque aggiornare le statistiche: siamo rapidamente passati da frequenti cardiopatie dei criminali a frequentissimi casi di grave astigmatismo dei loro complici.

I giornali dicono che alcuni dei criminali più famosi sono andati a far vacanza in aree remote del sud o in India, dove però la polizia li cerca, e si sta verificando un fenomeno analogo di cattiva mira dei loro amici quando cercano di liberarli... 

 

p. Franco Cagnasso

3

ottobre 2004

 


Scambio di persona

Così me l’ha raccontata (più volte!) Dominic Rozario, prete di Dhaka, professore di Storia della Chiesa in seminario, instancabile nel rintracciare gruppi aperti al Vangelo in una larga zona a nord di Dhaka, finora sconosciuta ai missionari. “Ero conciato proprio male in ospedale, pronto ad andarmene: reni fuori uso e cuore impazzito. Viene P. Pinos. Racconta qualcosa, scherza, prega, poi sosta un attimo: ‘Signore, non sbagliarti. Io sono vecchio e malandato, lui forte e pieno di attività. Devi prendere me, non lui’. Mi benedice e se ne va. Muore pochi giorni dopo, e io sono qua in buona salute”.

 


Sette mari Tredici Fiumi.

“Una cameriera venne a riordinare il tavolo. Mise le tazze una sopra l’altra sul piatto. Poi ripulì la superficie con lunghi movimenti fluidi, ciascuno perfettamente dosato per evitare sprechi. Neanche un centimetro quadrato del tavolo fu toccato due volte dalla salvietta. Le vene verdeazzurre sulle sue mani spiccavano orgogliose e la pelle delle nocche era ruvida. Alla mano destra portava un anello a forma di scarabeo. Le unghie dell’anulare e del mignolo erano state limate con cura, le pellicine scostate in modo da scoprire le lunette bianche sotto il rosa. Le altre unghie erano spezzate irregolarmente. Sull’indice, poco più giù dell’unghia, c’era un’escrescenza carnosa e dura...”.(pag. 380)

Chi riesce a ingollare orrende descrizioni del genere, sparse nel testo insieme a qualche errore di traduzione e di stampa, legga: Monica Ali “Sette Mari, Tredici Fiumi”, Tropea, Milano, E 15.000 (il libro è disponibile alla biblioteca del PIME a Dhaka).

Di padre bengalese e madre inglese, l’autrice è nata a Dhaka e vive a Londra. Racconta la storia ordinaria di una famiglia emigrata. Aiuta ad intuire problemi, speranze, idiozie, valori, paure, emozioni e reazioni di Bangladeshi in Europa e – un poco – anche degli Europei, e di come i Bangladeshi li vedono.

 


Affarista

Avrà 10 anni, mantiene la mamma e due sorelle gestendo un negozio: un grosso termos, due tazze, un secchio di plastica, due ganci. La mattina s’accoccola all’angolo di una strada con il termos pieno di tè e alcuni panini dolci in sacchetti di plastica appesi ai ganci. Vende la colazione ai passanti, lavando le due tazze nel secchio di plastica.

Ha pure un’attività collaterale. A quell’incrocio arrivano i rikscia, e non possono proseguire oltre perché la strada grande è loro vietata. Per controllare c’è sempre un poliziotto indulgente e onesto. Poiché è indulgente, lascia passare i rikscia che danno 2 taka; poiché è onesto non prende le taka. Le prende il bambino, e le mette in una tasca a parte. Quando il poliziotto smonta, gliele consegna.

 


Saggezza

È un buon tecnico di macchine tessili, filippino, sposato con 4 figli. Sta in Bangladesh da 11 anni e da 5 ha con sé la famiglia. “Ti trovi bene?”. “Benissimo! Vedi Padre, io credo di essere un brav’uomo e voglio un gran bene a mia moglie e ai miei figli. Ma sono debole. Nelle Filippine vado nei bar, bevo, gioco, torno tardi e spreco soldi. Qui le occasioni sono poche, e non mi piacciono. Sto a casa, sono contento e felice io e lo sono i miei cari. Non penso proprio di andarmene!”.

 


Reazione.

Da mesi, gruppi fondamentalisti minacciano sfracelli, prima perché il governo metta al bando le opere del gruppo Ahmadyyia (una recente setta dell’Islam). Il governo esegue. Poi perché dichiari che non sono autentici musulmani. In varie parti del paese assalgono e bruciano le case dei membri della setta, picchiano, invadono le loro moschee collocando cartelli per mettere in guardia contro i loro errori. Preannunciano poi una grande marcia per assalire la moschea Ahmadyya di Narayanganj (presso Dhaka) il 9 ottobre. Sindacati, intellettuali, associazioni, gente comune – tutti musulmani - si ritrovano in massa prima dei manifestanti e, insieme ai pochi poliziotti altre volte rimasti inermi, fanno scudo difendendo questa volta con successo la libertà religiosa degli eretici Ahmadyya.

 


Corrente politica

Una tromba d’aria devasta una zona a nord di Dhaka, provocando molti danni, morti e feriti. Una vasta area di Uttora, città satellite, rimane senza corrente elettrica. Alcuni pezzi grossi della zona vanno alla direzione della Società Elettrica e chiedono di sbrigarsi a riparare. La Società consulta l’Ufficio del Primo Ministro, che comunica: “Non ci risulta che manchi la corrente a Uttora. Ci risulta piuttosto che ci sono troppi sostenitori del partito d’opposizione. Non occorre riparare nulla”. Due giorni dopo, la Direzione della Società fa sapere che offrendo 8 milioni di taka (Euro 112.676) si può comprare il materiale e riparare il danno.

Quiz: è il governo che proibisce di riparare, o la Società che dice che il governo non vuole riparare? Probabilità per ogni ipotesi: 50%.

 


Un regalo che dura

Il piccolo orfanotrofio “Alex Orphan Home” è nei guai: il benefattore che mandava avanti la baracca è morto. I suoi trenta strapelatissimi ospiti, di scuola elementare, sono disperati perché si parla di chiudere, e la prospettiva è di tornare a vivere in strada, a patir la fame. Do una mano a tirare avanti. Il direttore li informa e lo prova con i fatti: la casa non chiude e le razioni di riso tornano abbondanti.

Come ricambiare? Che cosa regalare a uno straniero ricco sfondato come me? I ragazzini discutono a lungo. Alla fine approvano all’unanimità un’idea brillante: rinunciano volentieri a un pezzetto del loro piccolissimo cortile per fare la mia tomba. Così quando muoio possono prendersi cura di me.

Ho l’impressione che qualcuno dei più grandi sia anche un po’ ansioso, e speri di potermi mostrare il suo affetto prima di crescere e lasciare la “Alex Orphan Home”. 

 


Aggiornamento - marzo 2005

I ragazzi dell’Alex Orphan Home sono ora 34. Nell’angolino in cui hanno deciso di fare la mia tomba, per il momento hanno sistemato una rete e allevano conigli a cui sono affezionatissimi.

Ma c’è una grande novità: il 20 giugno 2005 si trasferiscono a “Lebubari”, circa 200 km a sud di Dhaka, dove siamo riusciti a comprare un bel terreno agricolo a poco prezzo. I garage in cui vivevano nella periferia di Dhaka erano scomodissimi, non c’era spazio, i vicini si stavano facendo ostili e aggressivi, alcuni pochi perché non vogliono cristiani in zona, altri perché non vogliono chiasso; il vero motivo è che il proprietario vuol affittare o vendere a prezzi più alti perché l’area sta aumentando di valore. Va bene così. A Lebubari saranno più vicini alle loro famiglie (quelli che le hanno), avranno spazi, libertà, potranno coltivare ortaggi e riso, sguazzare nel grandissimo “pukur” in cui alleveranno pesci, andare ad una scuola meno costosa. Tomas e la moglie Noyon sono contentissimi, hanno già scavato i pukur, sistemato i pozzi, stanno rapidamente tirando su le baracche in bambù e lamiera in cui abitare, studiare, ecc.

Nell’area ci sono una ventina di famiglie cattoliche; il padre della missione più vicina (Narikelbari) potrà radunarli ogni tanto nei locali dell’Ostello e celebrare con loro l’Eucaristia.

Fra 15 anni, quando i ragazzi saranno sistemati, 1/3 della terra rimarrà a Tomas e Noyon, 2/3 andranno alla parrocchia.

Grazie a chi ha aiutato a fare tutto questo!

 

p. Franco Cagnasso 

2

ottobre 2004

 


Successo strepitoso.

Il mio scritto “Schegge di Bengala” ha riportato un successo di pubblico e di critica a dir poco strepitoso. Un lettore mi ha fatto sapere che “le Schegge mi hanno fatto bene” (forse le ha usate come pillole?). Eccomi dunque di nuovo qui: “tanto nessuno è obbligato a leggere”, come annota benevolmente un altro abbonato. E tanto, aggiungo io, l’editore, Bruno, pubblicherebbe anche gli orari ferroviari del Bangladesh, se riuscisse a metterci le mani sopra, quindi certamente pubblicherà quanto gli mando.

 

(Hai ragione, caro Franco, in quanto vista l'artrite alle mani che, come sai, ha colpito da tempo tutti i missionari (per fortuna  con la tua eccezione), per non parlare dei bengalesi , sarò probabilmente costretto ad inserire non solo gli orari ferroviari che, vista l'esiguità dei convogli, andranno bene per due-tre numeri ma anche gli elenchi telefonici! Quindi i tuoi articoli, soprattutto adesso che hanno anche gli accenti a posto (miracoli della tastiera inglese), entrano in Banglanews di diritto e dalla porta principale! E poi, se ometto anche una tua riga, rischio di avere una sommossa popolare!

Grazie anche da parte dei lettori che mi hanno scritto. Bruno)

 


Che razza di missionari.

1978: sono da poco in Bangladesh. Un anziano missionario canadese mi spiega che ci sono due razze di missionari, sta a me scegliere.

Ci sono i missionari ingenui, ottimisti, che vedono sempre il lato bello, pensano che tutti siano buoni, si fidano, provano e riprovano… Costoro vivono contenti, ma prendono un sacco di fregature.

Ci sono i missionari realisti, che sanno vedere le cose come stanno, fiutano l’imbroglio da lontano, non si fidano, chiudono a chiave, prima di imbarcarsi in un’impresa vogliono le prove che funzionerà… È vero, costoro vivono tesi e arrabbiati, ma prendono le stesse fregature degli altri.

 


Fondamentalismo

Una giovane mamma musulmana più volte porta allo “Sick Shelter” di Mirpur (Dhaka) il suo bambino che ha bisogno di cure. Un giorno se ne arriva coperta da capo a piedi da una “burka” nera, il famoso/famigerato velo di cui tanto si discute. P. Gian Paolo le chiede: “Hai deciso di vestirti così?”. “No, ma il mio bimbo ogni tanto si mette a strillare in modo incontrollato, non riesco a calmarlo, tutti mi guardano e mi vergogno da morire. Metto la burka così anche se il bimbo strilla nessuno mi vede…”.

 


Linciaggi  qualificati

È notizia quotidiana dei giornali che qualcuno, spesso anche varie persone, sia linciato dalla folla. Uno o più ladri, o taglieggiatori, banditi che da tempo terrorizzano una zona… La polizia si tira da parte, a volte incoraggia. La gente approva, ritenendo che solo così si possa frenare la violenza e il sopruso che dilagano.

Il linciaggio qualificato – più raro ma non infrequente - consiste nel non ammazzare il delinquente a botte, ma nel cavargli gli occhi. Passerà il resto della vita chiedendo l’elemosina. Pare che la lezione sia più efficace.

 


Paradiso in terra

Sono una coppia giovane, simpatica. Il loro primo bimbo è morto poche ore dopo il parto, ora aspettano con ansia e gioia il secondo, per metà novembre. Entrambi lavorano e insieme guadagnano 9000 taka (130 euro) al mese, niente male. Abitano alla periferia di Dhaka, in due stanze.

In una ci stanno il letto, il computer, qualche libro, tre fili su cui appendere i vestiti. Nell’altra vivono, mangiano, lavorano, dormono 9 donne e tre bambini. Cucina e servizi sono in veranda.

Non si tratta di poligamia.

Hanno incominciato a interessarsi di qualche giovane donna abbandonata, hanno cercato di insegnare a cucire, ricamare, fare qualcosa per sopravvivere. Pian piano, ora sono arrivati a seguirne più di cento, musulmane, indu e cristiane sparse per tutto il Bangladesh. “Ho fatto la fame da ragazzo – dice Dino – e quando penso alla disperazione di certi giorni mi riprende l’angoscia. Vedo qualcuna di loro, mi chiede aiuto, rivivo quei tempi…”.

Rotna organizza la vita in casa e il lavoro, Dino passa tutto il tempo libero girando da un club a un convento, da un negozio a una parrocchia, per cercare affannosamente di vendere ricami e artigianato vario che le donne producono. Pagare tutte, e tirare a fine mese è un’impresa!

Nove, con tre marmocchi annessi, erano proprio senza casa, e le hanno prese con sé. Quando qualcuna arriva da lontano per portare la sua merce, la invitano a fermarsi due o tre giorni. Schiacciate come sardine, sperimentano un po’ di compagnia, un tetto, la televisione, tempo per pregare (ognuna a modo suo), lavoro tranquillo, la vicinanza di un uomo e di una donna istruiti  che le rispettano, qualche pettegolezzo, il cibo garantito, l’amicizia e il raccontarsi i propri guai… insomma, un pezzo di paradiso in terra!

 


Bhai, koto likbo?

Con i seminaristi dell’ultimo anno svolgiamo un programma di meditazione/condivisione settimanale. Uno dei temi è stato: “Il male intorno a noi”. All’insaputa l’uno dell’altro, tre su otto hanno portato una piccola esperienza frequentissima: vai a comprare qualcosa, al momento di pagare chiedi la ricevuta. Il negoziante ti domanda: “Bhai, koto likbo?”. “Fratello, quanto scrivo?”. È ovvio. Se si chiede la ricevuta è per portarla al datore di lavoro, si farà scrivere di più e il vantaggio andrà parte al cliente e parte al negoziante. “Quando rispondiamo: ‘scrivi la cifra giusta’ ci guardano increduli, come fossimo marziani…”.

 

p. Franco Cagnasso

1

agosto 2004

 


Inevitabile miscuglio

Quando incontravo l’anziano P. Giuseppe Cavagna, piccolino e ciecuziente, mi prendeva affettuosamente sotto il braccio e mi diceva: “Venga venga, lei che è bergamasco, mi dia qualche notizia della nostra Bergamo…” e subito era lui che mi informava su un sacco di novità che io non conoscevo. Finito questo primo approccio, gli chiedevo: “E lei Padre, come va?”. Risposta fissa: “Caro Padre, che cosa vuole che le dica? Sunt mala mixta bonis…”. Cose buone e cose cattive mescolate, secondo la saggezza di tanti anni di vita e di missione.

Pensando ad essa ho deciso di scrivere queste “schegge”: pezzetti di realtà sparsa, buona e cattiva, così come mi viene in mente. Se state buoni (voi lettori, intendo!) magari in futuro ne scrivo altre. 

 


Un seminarista del primo anno

Per l’apostolato settimanale mi hanno assegnato alcuni villaggi hindu poverissimi. Vado volentieri, mi accolgono bene, sono interessati a conoscerci. Alcuni sono ammalati e non hanno nessuna possibilità di curarsi. Io ho fatto sapere che c’è qualcuno, a Dhaka, che può aiutare i più malconci.

Un giorno mi dicono che il temporale ha fatto cadere parte di una casa, con il tetto in lamiera. Vado a vedere e trovo il papà con un braccio malamente fratturato e una brutta ferita alla testa. Gli hanno messo qualche impiastro, ma da alcuni giorni è così, soffre molto, ha la febbre e non migliora. Gli dico come può andare allo “Sick Shelter” (Ospizio per i malati) dei Missionari della S. Croce, a Dhaka, e lì si prenderanno cura di lui, lo accompagneranno in ospedale, faranno cio’ di cui ha bisogno. Non finisce di ringraziarmi…

Dopo qualche giorno, vado allo “Sick Shelter” per vedere come sta, ma non lo trovo. Gira e domanda, mi dicono che lui non è venuto, ma c’è il figlio. Lo rintraccio, e vengo a sapere che anche lui è stato ferito nella caduta del tetto, ma non così malamente, e ormai è quasi guarito.

Quando ritorno al villaggio, l’uomo è ancora là, con la febbre, il suo braccio con frattura scomposta e la ferita della testa che stenta a rimarginarsi. “Perché non sei andato?” gli domando. “Non osavo chiedere aiuto per me e per mio figlio, mi pareva troppo. Allora ti ho fatto vedere come stavo male io per avere un posto, e poi ho mandato mio figlio, che è più giovane e ha più bisogno di me…”.

 


Un seminarista degli ultimi anni.

Avevo forse 15 o 16 anni, lavoravo sodo perché i miei sono poverissimi. Uscivo per andare a giornata con mio papà, a volte senza mangiare proprio niente…

Un giorno me ne sto tranquillamente seduto sulla soglia della casa di alcuni conoscenti, quando un mio amico arriva di corsa, furibondo, e urlando si mette a bastonarmi con tutte le sue forze. Me ne dà tante, prima che io riesca a capire che mi accusa di avergli rubato i vasi che aveva messo sulle palme per raccoglierne la linfa e fare il vino. Ha scoperto che sono stati tre giovani miei amici e pensa che io l’abbia fatto insieme a loro. Ma io proprio non c’entravo…

Quando finalmente riescono a fermarlo, gli spiegano che io ero stato con loro dal giorno prima e non potevo aver rubato il suo vino. Se ne va.

Non riesco a descrivere la rabbia che avevo dentro! E anche il dolore per le bastonate…

Per mesi e mesi non ci siamo parlati. Se lo vedevo da lontano giravo al largo, perché sapevo che lo avrei aggredito.

Però stavo male. Volevo trovare il modo di uscire dal risentimento, dalla voglia di vendicarmi che quasi mi soffocava.

Poi mi è venuta un’idea, ho pregato e ho deciso.

Qualche giorno dopo l’ho visto da lontano e gli sono andato incontro. Gli ho detto subito: “Io sto male, sono arrabbiato, ma sono sicuro che tu stai peggio. Io infatti ho preso le bastonate e il dolore ormai è passato, so di avere ragione, mi sento a posto. Tu non hai avuto male alle ossa, ma sai di avere torto, ti fa male il cuore; certamente vuoi chiedermi scusa ma non sai come fare...”. Ci siamo abbracciati piangendo tutti e due come bambini. E’ stato fra i momenti più belli della mia vita, e siamo diventati amicissimi.

 

 

Davanti alla casa delle Suore, a Dhaka

Si era formata una lunga fila di alluvionati – o gente che si dichiarava tale – per prendere qualcosa nella distribuzione degli aiuti: riso, sale, olio… Era difficile tenere la disciplina. Un poliziotto ha visto, ha chiamato i colleghi e a manganellate hanno mandato via tutti. Piazza pulita.

Poi sono entrati dalle Suore a pretendere la mancia… E che non sia poco, per favore!

 


Come una bimba…

Quasi tutti gli sfollati per l’alluvione che sono rimasti per un mese schiacciati come sardine nel terreno degli Oblati se ne sono andati. Ho chiesto ad un seminarista: “Finalmente tirerete il fiato?”. “Sì, ma già sento un gran vuoto, perché in quel caos ci sono state tante cose belle. Una mamma musulmana, andandosene, mi ha detto: “Grazie, qui mi sono sentita come una bimba nella pancia della mamma, protetta e sicura, e voluta bene”. Un uomo, quasi piangendo: “Sono orfano da quando ero ragazzo e da tanti anni non sapevo più cosa vuol dire avere vicino qualcuno che si preoccupa per te, che ti chiede come stai”.

Il Rettore, P. Emil (srilankese), si è trovato da un giorno all’altro con 850 persone da sfamare. Ha deciso che non avrebbe chiesto niente a nessuno, e ogni giorno si è presentato qualcuno ad offrire spontaneamente ciò che serviva. C’è stato cibo in abbondanza e anche qualche soldo da dare alle famiglie nel momento in cui tornavano alle loro case devastate e puzzolenti.

 

p. Franco Cagnasso