Articoli e lettere - 2006

p. Fabrizio Calegari





2006


Impegno educativo negli ostelli parte (p. Fabrizio Calegari)

di Mariagrazia Zambon

da Passione per un popolo ed. EMI 2005

In tutte le missioni attualmente ci sono ostelli che ospitano per una media di quattro-cinque anni centinaia di bambini e ragazzi, maschi e femmine, per una fascia che va dai 5/6 anni ai 17/18. Quindi tutta l'infanzia, l'adolescenza e la prima giovinezza con il loro carico di doni e di problematicità che queste età comportano. Anni in cui si gettano le basi - fragili o solide che siano - della struttura della persona. Basi che resteranno per tutta la vita come un'impronta indelebile. E questo vale ancor di più se si tratta di adolescenti, come nel caso dell'ostello St. Philip, l'unico di tutta la diocesi di Dinajpur che raccoglie ragazzi dai dodici ai diciannove

anni. Lo sa bene p. Fabrizio Calegari, che ne segue la direzione dal 2003, come formatore ed educatore.

«Fin dal mio primo arrivo in Bangladesh nel 1996, furono diverse le cose a colpire la mia attenzione - mi racconta all'ombra di un albero, ai bordi di un grande campo di calcio. - Una di queste, forse per una passione che ho sempre avuto nel campo dell'educazione, è stato certamente l'ostello, con la sua vita e le sue dinamiche. Dopo essere stato nella parrocchia di Suihari, con un ostello di 270 tra bambini e bambine delle elementari, mi trovo ora a seguire questo ostello, dedicato a S. Filippo Neri, nato più di cinquanta anni fa con lo scopo di offrire ai ragazzi delle parrocchie della diocesi di frequentare le scuole superiori, impresa diversamente impossibile nei loro villaggi. Negli anni Novanta p. Viganò - che aveva una passione contagiosa per i ragazzi - per aumento delle richieste lo ingrandì con una nuova ala. Certo, aveva uno stile burbero, grezzo, ma per i ragazzi era un nonno.

Quando ero a Dhaka a studiare la lingua, le due o tre volte che p. Viganò venne in capitale ha sempre cercato di convincermi a farmi destinare al S.Filippo. Tanto che quasi mi ero arrabbiato. E quando ormai minato nella salute, nel 1998, lo accompagnai all'aeroporto per tornare definitivamente in Italia - e fu l'ultima volta che lo vidi - con un magone grosso così e la sua voce roca mi disse: "Vai, vai da quei ragazzi là". Così quando il vescovo mi propose questo incarico, mi parve un segno. Per almeno due anni i ragazzi erano stati quasi abbandonati a loro stessi: la fatiscenza di diversi ambienti dell'ostello faceva da specchio alla trasandatezza che trovavo nei ragazzi.

Da subito avvertii l'importanza di impostare una proposta educativa. Attualmente nell'ostello ci sono 115 adolescenti provenienti da tutte le parrocchie della diocesi e da alcune parrocchie di altre diocesi e appartengono a varie etnie: Santal, Oraon, Khotryo, Bengalesi, Munda, Mahali, Raut. Quasi tutti i ragazzi sono battezzati, ma non mancano eccezioni, in maggioranza provenienti dal mondo indù. Si tratta in ogni caso di famiglie che sono in contatto con la missione e che approvano l'istruzione cristiana che diamo, anche se questo non significa che un giorno sceglieranno il battesimo».

È mezzogiorno e i ragazzotti ancora con la divisa (pantaloni blu e camicia bianca) tornano a crocchi dalla scuola, bighellonando nel campo. I più piccoli con una radiolina a tutto volume con canzonette popolari bengalesi si appartano in un angolo, seduti sul prato, ma non tolgono lo sguardo dal giovane missionario, sarà per l'ospite sconosciuta che gli siede accanto con tanto di quaderno e penna...

Anche p. Fabrizio si è accorto dei loro sguardi: «Sai, la mia presenza per loro è un punto di riferimento, mi osservano, mi scrutano per vedere come mi comporto, come reagisco, se sono coerente con quello che dico, solo così matura la stima e la fiducia reciproca. Sanno che ci sono, chi sono e con me si possono confrontare su tutto. La figura del formatore è determinante. Ogni attività è un'occasione per formare. Ma, anche e soprattutto, per amare i ragazzi. E perché essi possano fare esperienza di Dio che li ama.

«Poi giorni fa - prosegue a mo' di esempio - ho consegnato le borse di studio a dodici ragazzi che si sono distinti lo scorso anno per risultato scolastico e impegno nell'ostello: scuola, vitto e alloggio saranno totalmente gratuiti per un anno. Con il computer avevo preparato un diploma con il nome di ciascuno, così che il premio fosse anche visibile. Nel riceverlo, qualcuno era imbarazzato come se stesse rubando, qualche altro quasi piangeva. Io sono orgoglioso per

loro. Soprattutto perché i migliori studenti della scuola - che conta centinaia di ragazzi, in maggioranza musulmani - sono i miei ragazzi. Hanno preso quasi tutte le migliori posizioni per ogni classe.

Alla faccia del razzismo bengalese che vuole i tribali inferiori e meno brillanti!

Eccoli qui i tribali: dategli una possibilità e, almeno a scuola, non sono secondi a nessuno. Ma i primi a non crederci sono i ragazzi stessi, tanto è forte il senso di inferiorità. Ecco perché queste borse di studio sono uno stimolo e un rinforzo positivo enorme. "Avete visto?" - domandai ai ragazzi alla fine. "E allora, chi sono i migliori?". Silenzio. "Chi sono i migliori?" - ribadivo alzando la voce. "Noi" - rispose qualcuno debolmente. "Chi sono i migliori?" - richiesi gridando e portando una mano all'orecchio come per sentire meglio `e loro risposte. "NOI!" - gridarono finalmente tutti quanti. E rimanemmo così a guardarci, ridendo e applaudendoci. Condividere per quanto possibile la loro vita è già dire: "tutto quello che fate è importante per me. Io credo in voi".

E se a volte io stupisco loro, spesso sono loro che mi sorprendono e mi incoraggiano nel cammino di fede con le loro scelte e le loro intuizioni. Per esempio una volta il preside della nostra scuola mi informò che si stavano raccogliendo aiuti da distribuire alla gente dì una zona vicina colpita dall'alluvione. Mi propose di donare anche noi una quota corrispondente a mezzo chilo di riso per ogni ragazzo dell'ostello. Di riso ne abbiamo stivato diverse tonnellate, dal momento che ogni giorno ne consumiamo quasi un quintale. Potevamo dare quello che chiedevano con facilità. Si trattava però di far partecipare anche i ragazzi e chiedere loro in che modo volevano offrire questo mezzo chilo per ciascuno. Altrimenti avremmo perso un'occasione per crescere nel dono. Raccolsi proposte classe per classe e rimasi stupito dal loro entusiasmo nel rispondere. Per raccogliere il riso necessario alcuni suggerirono di rinunciare a due colazioni - cioè a due piatti di riso - altri ad una cena e di aggiungere soldi, altri ancora di saltare la carne una domenica - l'unìca di tutta la settimana! - e aggiungere soldi per colmare la cifra stabilita. Alla fine decidemmo insieme di eliminare la carne per una domenica e di rinunciare a una colazione. Se penso a quanto sia stato importante questo gesto di rinuncia, che diventa dono per gli altri, a questo riso che per loro è tutto e anche di più, provo un misto di orgoglio e di tenerezza per i ragazzi».

P. Fabrizio, originario di Monza, poco più che quarantenne, da dieci anni in Bangladesh, così cresce con loro, cercando di trasmettere loro l'amore di Dio. «Ricordo ancora - continua il racconto - la fine del "mio" primo anno scolastico in questo ostello. Facemmo festa assieme preparando una ricreazione con un po' di numeri. Organizzai la pesca con premi raccolti durante l'anno e cose comprate qui. Tutti avrebbero ricevuto qualcosa. Le magliette da calcio (ovviamente non originali!) di Zidane, Maradona, Ronaldo, Crespo, Vieri, che mi ero portato dall'Italia, risaltavano sul tavolo ed erano naturalmente le più desiderate.

Sontus e George rimasero a bocca aperta davanti al palco per tutto il tempo, sperando di essere loro tra i fortunati. Invano: le vinsero altri, che il calcio lo masticano assai meno di loro. I ragazzi furono contenti e si impegnarono molto con le danze e i canti. Anch'io ero contento, mi pareva che il bilancio fosse positivo, pur con tante cose da migliorare.

Mentre ci si preparava per andare a dormire, Ismail mi si avvicinò per parlare. Fosse stato per lui, in tutto l'anno mi avrebbe detto sì e no dieci parole, compresi i buongiorno, tanto era timido. Era imbarazzato, ma sorridendo mi disse sottovoce: "Ha mantenuto la sua parola padre, grazie!". Cascai dalle nuvole: che parola? "All'inizio dell'anno, cominciando questo nuovo lavoro, lei ci ha detto che non poteva prometterci nulla tranne una cosa: che ci avrebbe amato. Questa parola l'ha mantenuta - mi disse Ismail, mentre torceva il suo berretto di lana con le mani. Mi sentii arrossire fino alla punta dei capelli». E ancora adesso, nel parlarne, gli luccicano gli occhi.

«Sai - prosegue con il suo vocione p. Fabrizio, ragazzotto dal cuore grande, - l'educatore deve essere padre e madre, come ricordava bene don Bosco ai suoi: "Se sarete veri padri e vere madri, bisogna che voi ne abbiate anche il cuore". Il mio sogno è dare a ciascuno, nello spazio dell'amore, la possibilità di rivelare la propria statura».

Per questo ha pensato anche ad alcune proposte concrete, che si inseriscono nella vita ampiamente già strutturata dell'ostello: oltre alla catechesi settimanale e alle visite periodiche nelle classi interrogando e discutendo sia su tematiche scolastiche che di vita, ha ideato dei luoghi fattivi per far crescere i suoi ragazzi, umanamente, culturalmente e spiritualmente, stimolando desideri e passioni. Mi fa vedere due aule fatiscenti, con scaffali vuoti da riempire, pareti da intonacare, riparare e abbellire, ma nei suoi occhi già c'è una piccola biblioteca ben fornita di libri per ragazzi e un'accogliente cappellina, due luoghi essenziali per la formazione dei giovani, luoghi dove potersi trovare in libertà individualmente a leggere e a pregare. Sogni che, prima del previsto, grazie alla generosità di amici italiani (in particolare i bambini della scuola elementare di Fondi) si sono potuti realizzare.

La bella cappella a cui ha lavorato un artigiano venuto appositamente da Chittagong, nel sud del Bangladesh, dal luglio 2005 è diventata un luogo "personale" in cui potersi fermare a pregare o a meditare quando i ragazzi ne sentissero il bisogno.

Accanto ad essa la piccola biblioteca, dotata di qualche centinaio di libri bengalesi, di vario genere, ma anche di una piccola sezione di libri inglesi e abbellita, alle pareti, da cartine geografiche. (vedi Banglanews166 per i dettagli)

Padre Fabrizio ha aggiunto anche un microscopio e ha confessato che sta già pensando, in futuro, a qualche computer.

L'appassionante sfida educativa continua.


Una vacanza istruttiva

Dinajpur, Dicembre 2006

Carissimi amici,

vi mando qualche notizia dal St. Philip’s hostel e sui nostri ragazzi. Consideratelo un piccolo grazie per tutto l’aiuto che riceviamo da voi.

Con la prima decade di dicembre il nostro anno scolastico chiude i battenti e i ragazzi potranno godersi una meritata vacanza di un mese, la più lunga dell’anno.

Si ricomincerà l’8 gennaio. Adesso però sono completamente assorbiti dagli ultimi esami che proprio in questi giorni stanno dando. C’è in tanti la tensione e la paura di non farcela, in altri la tranquilla fiducia nei propri mezzi. Da parte mia cerco di creare un clima disteso fatto di scherzi e gioco quando necessario, ma allo stesso tempo di concentrazione e impegno.

E’ stato un anno intenso e molto bello. Molto sereno, cosa questa tutt’altro che scontata quando si è così tanti e così diversi. Credo che questa serenità, che certo ha giovato molto alla nostra vita in comune, sia frutto di una piccola maturazione che lentamente è avvenuta nei ragazzi: il continuo richiamo alle parole di Gesù da vivere concretamente, all’amore fraterno, al servizio, alla comunione, pian piano ha creato un clima più fraterno e attento a tutti.

Naturalmente capitano anche da noi litigi e screzi ma tutta roba di ordinaria amministrazione.

Altro segno di maturazione per me molto importante, è stata la responsabilità con la quale, soprattutto i più grandi, hanno aiutato nella conduzione dell’ostello, soprattutto durante i tre mesi di mia assenza per vacanza in Italia.

Il giorno del mio rientro, lo scorso settembre, è stato un momento per me davvero intenso. Sono arrivato all’ostello sotto un diluvio tipico della stagione delle piogge. Molti ragazzi stavano giocando a basket e a pallone, fradici fino al midollo: sorte che è toccata anche a me perché, trovandomi circondato in pochi minuti e dopo tanti abbracci calorosi, dopo un po’ ero zuppo anch’io.

E’ difficile descrivere la gioia di ritrovarsi, ma i nostri visi credo brillassero. Il mio di sicuro, non tentavo neppure di trattenere la contentezza. Nella cerimonia di bentornato non è mancata, secondo la loro cultura, la lavanda dei piedi, rito a cui mi sono sottoposto volentieri e che mi emoziona sempre.

La vacanza italiana ha sortito in me l’effetto di amplificare la voglia di spendermi per i ragazzi, di aiutarli come meglio posso. Sarà stato forse per il contrasto con l’opulenza della nostra società e lo scarto di risorse che continuamente avvertivo; o forse semplicemente per la nostalgia di questi ragazzi che ormai sono la mia famiglia.

In questi giorni ho terminato i colloqui personali con ciascuno di loro (sono 120!).

E’ un momento importante perché serve per fare un minimo di bilancio su come è andato l’anno non solo da un punto di vista scolastico, ed aiutarli ad andare un po’ più in profondità nella loro vita. Chiacchierando insieme prendono sempre più consapevolezza della loro crescita umana e spirituale. Sono ragazzi semplici, senza le complicazioni degli adolescenti italiani, e non c’è da aspettarsi grandi introspezioni. Ugualmente però è bello vedere, soprattutto in qualcuno, la crescita che di anno in anno c’è stata in loro. Qualche giorno fa Roni, un ragazzo della classe nona, uno senza grandi doti e con diversi problemi familiari, ha voluto parlarmi. Aveva notato di essere cambiato, cresciuto in meglio e di essere migliorato anche a scuola.

In effetti quest’anno passerà gli esami senza patemi, come invece gli era sempre capitato in passato. Mi ha ringraziato per averlo aiutato dandogli fiducia e spronandolo al meglio nei momenti in cui era certo di non farcela. Per me i veri “successi” educativi sono anche questi: permettere a ciascuno di dare il meglio che può, di credere di più in sé stesso e nelle proprie capacità. Non tutti siamo chiamati ad essere leader o “numeri uno”. Forse per questo si vale meno?

Per il resto siamo tornati alla vita di tutti i giorni: lo studio, il gioco, la preghiera, le chiacchierate in classe o in cortile, le mille domande, i dispetti, le complicità, le ferite da medicare, i piccoli che ti prendono per mano, i grandi che lanciano sfide e provocano.

Tra qualche giorno partiranno i lavori per la costruzione di una nuova ala dell’ostello: ospiterà il nuovo refettorio e, al piano superiore, dormitori. Anche questa, per noi, è una buona notizia.

Il Bambino Gesù illumini con la sua gioia e la sua pace il S. Natale a ciascuno di voi e vi colmi di doni nel nuovo anno che viene. Buon Natale e buon 2007!

Vi abbraccio, con affetto.