Voci dal Bangladesh - 2016

p. Silvano Garello


Voci dal Bangladesh - 2016


Chiamati a risorgere per cantare

Dhaka - Pasqua 2016

Ci esaltiamo nel vedere tante realtà sottomesse all’uomo. Siamo meno sconvolti nel riconoscere ciò che l’uomo perde quando rifiuta di affidarsi a Dio e di mettersi al servizio dei membri della famiglia umana. La stessa testimonianza dei martiri di oggi rischia di venire relegata alla lista dei protagonisti di un passato lontano o consumata tra le notizie del giornale.

Forse non abbiamo sufficiente coraggio per rispondere alla domanda del Salmo 8: “Che cos’è l’uomo, perchè ti ricordi di lui?” E’ la tentazione di naufragare in una specie di selfie, mettendo al centro il proprio progetto e lo stile di vita. Non teniamo abbastanza conto del fatto dirompente che Dio stesso si è fatto uomo. Non si è trattato di una escursione turistica. “Dio cerca tanto l’uomo che, facendosi uomo egli stesso, lo segue fino nella morte, e in questo modo riconcilia giustizia e amore” ( Benedetto XVI). Rimettendoci in piedi, Gesù Cristo ci ha insegnato ad essere uomini e figli di Dio. Ci ha parlato, ci ha ascoltato in profondità, ha goduto e pianto con noi e per noi, ha guarito le nostre malattie, ha perdonato i nostri peccati accettando una morte ignominiosa, è risorto dalla tomba ed ha fatto ritorno a Colui che lo aveva mandato. Si è trattato di un’avventura abbastanza rischiosa. Non siamo dunque abbandonati a noi stessi, come una navicella che corre nello spazio senza una meta precisa. La lettera agli Ebrei dice che “Egli ha aperto una via nuova e vivente, attraverso quel velo che è il suo corpo” (10,20). Non si è accontentato di dirci di esser per noi “la via, la verita’ e la vita” (Gv.14,6). Egli si è premurato di verificare se lo accogliamo: “E voi, chi dite che io sia?” (Mc.8,29) La sua presenza è veramente decisiva per la nostra vita?

La sua Pasqua di resurrezione ci mette davanti ad un bivio: seguiamo un ricordo, seppur commovente, o ci lasciamo abbracciare da colui che si è fatto garante del nostro destino presente e futuro?

Nella vita di ogni giorno rischiamo su tante cose, ma fino a che punto rischiamo di credere in Gesù Cristo? Il Padre di Gesù Cristo fa di tutto per attirarci a Lui, perchè Egli è la parola decisiva che ci rivolge. Questo pensiero ci dovrebbe commuovere. Cristo ci ha insegnato un modo nuovo di vedere Dio, gli uomini e il mondo. Non ci ha consegnato delle formule da relegare nei libri o nel nostro computer. Quando Egli dice: “Alzate gli occhi, perchè la vostra redenzione è vicina” (Lc.21,28), non ci vuole trascinare in un inganno. Perché insistiamo a procedere a testa bassa?

Se Dio ha voluto sperimentare personalmente ad essere uomo, significa che egli ha voluto stringere la più intima vicinanza con coloro che “subiscono la prova della vita”.


A me piace cercare di leggere la mia storia personale e quella degli altri esseri umani con gli occhi con i quali Egli ci guarda. Lo sappiamo o no, siamo tutti sempre sotto il suo sguardo. Non è piccola cosa che Cristo ci abbia detto: ”Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi” ( Mt.28,20). E diciamolo pure: oltre al tempo! Egli ci ha dato la possibilità di vivere in sua compagnia, di camminare sul suo esempio e con il suo sostegno.


Apparentemente tutto sembra andare avanti come prima. Ma in realtà tutto può cambiare, proprio perchè Egli si è preso il rischio di farsi come uno di noi. Egli ci ha fatto sapere che i fili della nostra vita non sono tenuti in mano solo dalla nostra libertà, ma anche dall’amore di un Dio che è nostro Padre. S.Paolo ha fatto ad un certo momento una scoperta decisiva: “ Cristo è morto per me, e quindi io devo vivere per Lui” (Gal.2,20).


E’ la sorpresa della Pasqua: Cristo Risorto ci chiama alla vita dalla nostra tomba. Egli chiedeva: ”Vuoi essere guarito ?”(Gv.5,6). Cosi Egli chiede: ” Vuoi risorgere?” S. Paolo voleva sempre sperimentare la forza della resurrezione di Cristo e la comunione con le sue sofferenze (cfr. Fil. 3,8-14).


Oggi qualcuno si pone perfino davanti questa domanda: ”Posso farmi sbattezzare?” Come a dire: posso rifiutare la resurrezione? Per andare dove? C’è anche chi pretende di avere il diritto sulla propria vita e sulla propria morte.


In questo giubileo della misericordia mi sono trovato a riproporre a me stesso, ai cristiani e anche ai non cristiani, le opere della misericordia corporali e spirituali. Mi sembra la nostra piccola risposta alla misericordia che Dio incessantemente ci dona. Pare proprio che Dio ci tenga molto alla nostra capacità di offrire amore e perdono. Forse perchè ciò ci aiuta a valorizzare l’infinito suo amore misericordioso. Perchè Gesù ha voluto assicurarsi dell’amore di Pietro (cfr. Gv. 21,15)? Anche come uomo, Egli non sopporta l’indifferenza all’amore che egli offre. Tutto ciò risulta a nostro vantaggio.


Con il passare degli anni, mi interessa sempre di più scoprire nelle persone che incontro le vie più sorprendenti del loro amore. Ma mi interrogo anche, senza pretendere di scoprirlo, sul modo con il quale Dio ami personalmente ogni sua creatura. Io credo che alcuni santi abbiano fatto questa esperienza che tiene insieme il ricevere e il dare della vita. Per essi la creazione di ogni uomo e di ogni donna e il potere della resurrezione di Cristo sono sempre stati una sorpresa della misericordia di Dio, che sollecita la misericordia che l’uomo è chiamato a dare. La religione cristiana esalta al massimo questo scambio. S.Teresa del Bambino Gesù ha lasciato detto da qualche parte: ”In cielo non ci sono sguardi indifferenti”. Ma perchè ci sono sulla terra? S.Caterina da Siena, in punto di morte ha esclamato: ”Ti ringrazio, o Signore, di avermi creata”. Santa Teresa d’Avila, concludendo la sua vita, diceva: ”Signore, canterò in eterno la tua misericordia!” Queste Sante avevano capito bene che Dio attende la nostra attenzione, il nostro grazie e il nostro canto. Chissà perchè nel Vangelo, dove si parla di resurrezione, siano sempre presenti delle donne! Sembra proprio che la nostra felicità abbia qui l’indicazione della strada da percorrere!

Pasqua in un villaggio del Bangladesh

Dhaka - 3 aprile 2016

Ho trascorso la Settimana Santa del 2016 in un villaggio del Bangladesh, situato alla periferia della città di Faridpur. Qui vivono poco più di 300 cristiani che, per iniziativa del nostro p. Ernesto Luviè, hanno trovato un posto dove poggiare la loro capanna. Ora questa comunità dalla diocesi di Khulna passa a fare parte della nuova diocesi di Barisal, che può conta solo 7 parrocchie. Questo trasferimento porterà qualche vantaggio all'animazione pastorale? Per ora è difficile dirlo.

Qui erano presenti due Suore di una congregazione locale, che garantiscono l'istruzione religiosa e la scuola per le prime due classi elementari.

Nella mia esperienza, il nostro metodo missionario che fa perno sulle parrocchie con un catechista che segue alcuni villaggi, mi ha sempre suscitato la domanda: "Come incide la nostra presenza su un territorio per lo più musulmano? C'è un vero impatto di evangelizzazione? La gente apprezza indubbiamente il nostro servizio sociale, se viene condotto con serietà e competenza. Ma possiamo fermarci a questo?"

A me sembra che l'evangelizzazione sia possibile a certe condizioni: una profonda catechesi che coinvolga tutta la famiglia, una partecipazione cosciente e attiva alla liturgia e un sostegno spirituale bene articolato all'apostolato dei laici impegnati nei vari settori della società. Qualche volta, guardando i laici cristiani, li vedo un po' rappresentati da quelle persone dipinte dalla parabola di Gesù, che restano come in attesa di un compito da svolgere, e si lamentano così: " Nessuno ci ha chiamato a lavorare".

Eppure la buona volontà non manca. Nello stesso villaggio in cui avevo trascorso il Natale, un laico ha preso l'iniziativa di rivitalizzare la scuola, portandola a coprire il ciclo elementare. Questa volta un altro laico si è impegnato ad usare gli ambienti della missione aprendo una biblioteca religiosa. Sarebbe certo auspicabile di avere veri e propri catechisti evangelizzatori, capaci di sviluppare i ministeri laicali che rendono in questo modo più attrattiva la comunità cristiana.

Quest'anno per la lavanda dei piedi del Giovedì Santo mi sono permesso una piccola variante. Avevo chiesto alle Suore di scegliere anche alcune donne per attuare il desiderio di Papa Francesco. Le buone Suore sono riuscite a convincere solo tre donne. Per me si è trattato già di una buona partenza. Ho lavato quindi i piedi a queste tre donne, e successivamente a tre uomini. Poi mi sono rivolto all'assemblea lanciando ad essa questa domanda: " Gesù ha voluto riservare la lavanda dei piedi solo ai suoi apostoli, o l'ha proposta anche a tutti i cristiani? "La risposta corale della gente mi ha dato coraggio. Allora ho chiesto che si presentassero sei giovani a completare la lavanda dei piedi rimasta incompiuta. Il coraggio non è loro mancato. Forse nel loro cuore aspettavano proprio questo mio invito.

Inoltrandoci nella celebrazione liturgica era giunto il momento delle litanie dei santi. Già mi ero chiesto come mai le nostre conferenze episcopali non abbiano ancora proposto una scelta almeno in parte 'locale' e 'continentale' dei Santi da invocare. In proposito io ho scritto un libro che presenta santi e missionari dell'Asia. Come suo frutto ho avuto la sorpresa della diocesi di Mymensingh che ha voluto dedicare una parrocchia al martire coreano Andrea Kim, senza ricorrere ad un martire del Colosseo.

Al termine del canto delle Litanie ho voluto ricordare i 12 missionari saveriani che si erano alternati nella parrocchia da cui dipende il villaggio cristiano. Non si trattava evidentemente di ricordare dei santi canonizzati, ma certo dei testimoni che hanno trasmesso la loro fede. La gente ha gradito anche questa piccola variante.

Al momento culminante della cerimonia del Sabato Santo avrei desiderato amministrare il battesimo a qualche catecumeno adulto, ma non è stato possibile. In Bangladsh quasi solo nelle zone tribali questo si realizza. Alcuni giorni fa un cristiano che veniva dall'islam era stato ucciso. Egli era ben cosciente del rischio che si prendeva accogliendo la fede cristiana. I recenti martiri nelle terre islamiche ci confermano che c'è ancora chi affronta la morte per Gesù Cristo. Tra essi anche dei bambini. Sulla spiaggia della Libia i cristiani, prima di essere sgozzati, ripetevano :"Signore Gesù, abbi pietà di noi!" Io continuo a proporre ai nostri cristiani questi esempi.

Concludendo la liturgia del Sabato Santo, ho invitato a portare a coloro che erano rimasti a casa il saluto: "Cristo è risorto!" Nella chiesa orientale resta viva questa bella tradizione. Perchè non condividerla?

Durante la mia omelia avevo invitato i fedeli a praticare la "via della luce, ossia la via della resurrezione. E' una pia pratica che in varie comunità in Italia sta prendendo piede. Le nostre chiese propongono visivamente durante tutto l'anno liturgico "la via della croce". Ma se questa via non continuasse in quella della Resurrezione e nella Pentecoste, come 'via della missione',

la nostra proposta di vita cristiana resterebbe incompleta. Tante nostre belle celebrazioni sono ancora valide per trasmetterci la vita. Ci può però essere anche il pericolo che esse stesse ci paralizzino a metà strada. Per questo ho riproposto il canto che avevo inventato quando svolgevo il mio apostolato tra la tribù dei mandi. Il canto diceva: " Noi siamo diventati cristiani. Rendiamo grazie a Dio! E' iniziato il cammino della nostra liberazione: non fermiamoci a metà strada!" Anche Giovanni Battista era stato un apripista nell'introdurre la gente sulla strada di Gesù. Ma Gesù ci ha aperto "una via nuova e vivente" (Ebrei 10,19) da riscoprire continuamente a da rivivere fino in fondo. Quanto ci fa bene sentirci di nuovo rivolgere la parola di Gesù "Alzati e cammina!"

Anche il missionario si interroga

Parma- Settembre 2016

Al mio arrivo dal Bangladesh, mi sono messo in contatto anche con la parrocchia di s. Urbano di Montecchio per una dovuta riconoscenza verso il gruppo missionario "Gli Strassari di Dio". Si tratta di volontari che, raccogliendo ciò che la gente scarta, mettono insieme il loro dono per le missioni. Non si direbbe che i cosiddetti rifiuti possano aiutarmi a stampare libri in bengalese di bibbia, liturgia, catechesi, dialogo interreligioso e vite di santi. Ogni attività umana si giustifica per le sue motivazioni.

Questa comunità ha recentemente offerto anche la sorella saveriana Olga Raschietti, uccisa in Burundi con Lucia e Agnese.

Mi ha commosso vedere il nostro Presidente e il Primo ministro accogliere con rispetto le bare dei nostri connazionali massacrati a Dacca da un odio che pretenderebbe che Dio che sottoscriva lo spargimento di sangue dei propri fratelli e sorelle.

Noi non ci aspettavamo che alcuni lavoratori italiani, intenti non solo al guadagno potessero dare la testimonianza del loro essere cristiani. Oggi si sente dire che non è più di moda che turisti e commercianti portino con sé all'estero anche la propria fede. Ai tempi di s. Paolo, i laici Aquila e Priscilla sono entrati nel rango dei 'collaboratori della fede'. Paolo aveva a che fare con piccole comunità povere, che pure erano incitate al lavoro ed anche a una colletta per la comunità di Gerusalemme a rischio di sopravvivenza.

A me restano aperte due domande: perché le comunità cristiane della Terza Chiesa continuano ad essere qualificate solo come eterne mendicanti? Perché l'emergenza-emigranti ci pesa sempre di più? Siamo proprio nella condizione impossibile di condividere il frutto del nostro lavoro? Il Vangelo sta mettendo sulle nostre spalle dei pesi insopportabili? Se le esigenze del Vangelo non possono mettere in crisi il nostro stile di vita, la domanda religiosa va ristretta solo alla partecipazione dominicale? In che modo le nostre "vie alla felicità" possono resistere all'urto delle difficoltà, della malattia e della morte?

Bisogna riconoscerlo: coloro che scappano dalla guerra, dalla fame, dalla mancanza di libertà, appena mettono il piede sulla 'sponda della speranza', ci scrutano per cercare nella nostra vita le vere ragioni della nostra speranza.

Meno male che tutti noi siamo spinti a verificare ciò che, come cristiani, ci tiene a galla. Ai bengalesi che cercano altri lidi, io mi chiedo con loro: "Che cosa cercate? Avete trovato l'indirizzo della vera felicità? Nel nostro modo di vivere in che cosa vi sentite ingannati o trovate una strada affidabile?"

Quando, nel mio libro, parlo di "FRONTIERA DEL VANGELO - Bangladesh" non mi sento né un eroe, né un combattente fuori campo. Mi sento un compagno di viaggio, magari uno dei due discepoli sulla strada di Emmaus che hanno avuto la fortuna di incontrare Cristo che ascolta le

loro brucianti domande, che sentono il bisogno di mangiare con Lui, per poi rimettersi in cammino verso la comunità che hanno abbandonato e che poi li manderà nel mondo per condividere con gli altri la loro scoperta. In Bangladesh molte volte la gente mi chiede:" Perché sei venuto tra noi?" Un giorno scopriranno che sono stato mandato da Colui che non perde di vista nessuno. Solo allora ci sarà gioia condivisa.

Il Bambino di Betlemme ci attende

Dhaka - 13 dicembre 2016

Quando arriva il “desiderato delle genti”, gli uomini ripetono la domanda di Giovanni Battista: ”Sei tu quello che doveva venire, o dobbiamo aspettare un altro ?”. Il Bambino, nato per opera dello Spirito Santo, non si impone. Toccherà a Maria proporlo alla cugina Elisabetta e al figlio Giovanni che porta in grembo . Il Bambino chiede ospitalità ed affronta con Maria e Giuseppe a Betlemme anche un rifiuto: “Non c’è posto per voi”. La litania delle porte chiuse si recita anche oggi. Un bambino che deve nascere porta così grande difficoltà? O si preferisce seppellire i propri morti?

Questo bambino mette in moto dei pastori che vegliano il loro gregge con una notizia portata dagli angeli :” Oggi nella casa di Davide è nato il vostro Salvatore, il Cristo, il Signore”. Essi devono riconoscerlo in un bambino in fasce. Da lontano Gesù chiama i Magi al seguito di una stella. Essi chiederanno consiglio sul neonato re proprio da Erode che vorrà sopprimerlo. Questo bambino si metterà presto in viaggio per trovare rifugio in Egitto, perchè egli non è venuto solo per il popolo di Israele. Il bambino entrerà nel tempio di suo Padre sulle braccia di Maria per incontrare due anziani che lo sospiravano. Da essi sua madre verrà a sapere che suo figlio sarà un segno di contraddizione e che toccherà anche a lei di farsi sua discepola. Questo bambino verrà chiamato il nazareno, il figlio di Giuseppe, suo custode, che gli insegnerà il mestiere di falegname. Per questo egli porterà sulle sue mani il segno del lavoratore. Poi un giorno andrà al Giordano a farsi battezzare da Giovanni, che lo aveva riconosciuto fin dal seno di sua madre. Poi, in piena maturità lascerà il suo villaggio per invitare gli uomini e le donne ad entrare nel regno di Dio attraverso la conversione e la strada delle beatitudini.

Mi fa impressione pensare che perfino il demonio si accorge della sua rivoluzione d’amore: ”Sei venuto a disturbarci?”. Anche l’azione del guarire e del salvare gli uomini può sembrare un disturbo! Il dramma del “grande inquisitore” è qui: davanti a Gesù Cristo non si puo’ restare indifferenti. Anche oggi molti restano sorpresi dal fatto che la testimonianza alla verità abbia portato Cristo alla crocefissione. Gesù non ha proclamato solo a parole che Dio è misericordia. Egli chiede ad ogni uomo e donna:” Vuoi essere guarito?”. Ma chi si riconosce facilmente malato e peccatore, chi accetta di essere di passaggio su questa terra e di avere come destinazione la vita eterna in comunione con Dio e con coloro che lo hanno amato con tutto il cuore anche nel prossimo?

Quando penso al Natale di Gesù Cristo non posso che riflettere sulla gioia di Dio per avere creato l’uomo e la donna a sua immagine ed avere sperimentato sulla sua pelle ad essere uomo. Egli non si è sottratto al rischio di avere un corpo umano, un cuore come il nostro, di avere fame e sete, di dare la mano agli uomini e alle donne, di soffrire per la loro incomprensione, proprio per rispettare la loro libertà. Perchè l’amore non si impone.

Che bello pensare che lungo la storia umana tanti sono andati dietro a Gesù, amandolo anche fino alla morte. Gesù sulla croce ha detto, penso sorridendo:”Tutto è compiuto!” E’ la gioia per ciò che ha ricevuto e dato. Egli ha provato anche la gioia di vedere che i poveri, i piccoli, i peccatori, i pregiudicati, i rifugiati di ogni razza e lingua si sono fidati di Lui e del Padre suo. Egli ha provato anche la gioia di vedere una Madre Teresa piegata amorosamente sui sofferenti, dove Egli si è nascosto. Ecco allora che ha senso ricordare che, già da bambino, Gesù ha incontrato coloro che si fidano di Lui: Maria, Giuseppe, i pastori, i Magi, gli egiziani, i suoi compaesani di Nazaret.

Perchè allora non metterci in fila anche noi per incontrare l’atteso delle genti, il Salvatore, il Maestro, il fratello, l’amico...? Ogni Natale è come un invito ad incontrarlo per dargli un nome nuovo, quello più segreto che egli attende da noi . Possiamo andare da Lui furtivamente, come Nicodemo; possiamo andare da lui al pozzo con la nostra anfora vuota; possiamo osare di portar la sua croce; possiamo incontrarlo da risorto in un giardino... Quante strade egli tiene aperte! Quando gli diciamo:”Buon Natale!” Egli ci ripete: “Buon Natale!” Solo nella reciprocità c’è vero Natale.