Le Cartoline di p. Silvano - 2020

p. Silvano Zoccarato

2020

La lampada della missione  Papa in Iraq   

Mons. Teissier, arcivescovo emerito di Algeri vive la Pasqua  - Tessier vescovo che piange    

Omosessualità nel mondo e in Camerun - A soya, è venuto - Il Vangelo nella gerla     

"Nessuno si salva da solo" -  Ingenui a Yaoundé?

Siamo tutti Fidei Donum - La parola ben detta non muore

La Chiesa cresce in fraternità - Siamo i colori del mondo

La spiritualità della fraternità  universale  - Viva comunanza d’affetto  - PIME (di) nuovo a Treviso 

 La gioia del Vangelo nei 170 anni del PIME

“Tendi la tua mano al povero” (cfr Sir 7,32) 

Ricordando mons. Renato Corti, ora in Paradiso  - L’arcivescovo di Douala (Camerun) ha vinto il Covid 19?

La Pasqua in Africa, tra Covid-19 e liturgie via radio  - Sogno immaginario: Papa Giovanni con la mascherina 

Sentiamoci vicini - Come il Pime continua e si rinnova

Caro Papa Giovanni - Abbandono - Il pensiero dei santi e del Paradiso

In Camerun, elezioni disertate  -  Africa, continente gemello. Il futuro ha radici comuni

Lo chiamavo Lupetto - Il battesimo e il battistero a Yaounde

Accanto a don Mario Bortoletto a Ma'an (Cameroun) - Il Ciad che vogliamo

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La lampada della missione

Yaoundè - 8 dicembre 2020

Questa mattina nella parrocchia di San Marco di Yaounde, 25 persone occupano i primi posti a destra in chiesa. È la festa di Maria Immacolata. Dopo il rinnovo dei voti delle Missionarie dell’Immacolata, le 25 persone pronunciano una formula di consacrazione … Per due anni hanno partecipato a un corso di formazione missionaria. Ora prendono la decisione di dedicarsi a una vita missionaria restando nella loro condizione di vita. Ho chiesto a Suor Rosetta: “Chi sono questi laici? Mi ha riposto: “I laici sono persone che partecipano al nostro ideale carismatico, vivono la nostra spiritualità secondo uno stile laicale e condividono momenti specifici della nostra missione”. Seguo con attenzione e commosso incomincio a sognare. Assieme ai frutti dei 50 anni, forse questo è tra i più importanti. Il laicato di Yaounde diventa missionario. È un primo passo. Essi accenderanno anche i loro sacerdoti dello spirito missionario e le parrocchie. Forse si realizza una profezia. Nel 1959 Simon Mpecke diventato Baba Simon, a cinquant’anni chiese al suo vescovo mons. Mongo di poter lasciare la parrocchia di New Bell di Douala per partire missionario tra i Kirdi nel Nord Camerun. È stato il nuovo passo della Chiesa del Camerun a essere missionaria. «Tu domandi sempre di andare al Nord-Camerun - dice finalmente mons. Mongo -, vescovo di Douala. Io non ti permetto di andarci, amico mio. Sono io che t'invio. Se laggiù ti domandano perché tu sei venuto, tu dirai che è mons. Mongo che ti ha inviato, perché io penso che il nostro cristianesimo in Camerun non sarà solido fino a quando non poggerà su due piedi: il Nord e il Sud. Per me è una missione che io comincio».        

Dal mio primo arrivo in Camerun nel dicembre 1968, 62 anni fa, oggi ho vissuto un momento straordinario. Vedendo dei laici consacrarsi alla missione, sento che si tratta di una Chiesa e dei suoi laici che vivono con passione missionaria. Le missionarie dell’Immacolata, al cinquantesimo anno della loro vita in Camerun, hanno acceso anche nei laici la loro lampada.



Papa in Iraq

Yaoundè  14 dicembre 2020

 

Il card. Sako scrive: Una visita destinata a lasciare un segno nella nostra Chiesa e nel nostro Paese. Non è un viaggio turistico o di lusso. Il Papa porta un messaggio di conforto per tutti in un tempo di incertezza. Per i cristiani, la visita è “un’occasione di pellegrinaggio alle nostre radici, di conversione e di attaccamento alla nostra identità cristiana e irachena; un’occasione per riflettere e per trovare un piano di azione affinché la Chiesa diventi più entusiasta nel tornare alla radicalità evangelica, più vicina alla gente”. Il patriarca ricorda le sfide della Chiesa caldea irachena e delle altre Chiese sorelle in Iraq e nel Medio Oriente: “Pressioni politiche, economiche e sociali a causa dei conflitti, dell’estremismo, dell’emigrazione, delle conseguenze della pandemia del coronavirus – realtà tutte che hanno confuso la visuale e complicato le relazioni e il lavoro”. Da qui un appello a “essere responsabili, a capire l’importanza di rivedere la nostra riflessione spirituale, pastorale, ecumenica e pedagogica, lontani dai concetti errati e della ricerca del predominio e del prestigio”. Il messaggio termina con un invito ai “cristiani in Iraq e nel Medio Oriente a unirsi per testimoniare il Vangelo, poiché noi siamo essenzialmente una sola famiglia con fratelli diversi, chiamati a realizzare la nostra vocazione in questo Oriente tanto provato. Da questo punto di partenza, invito a trarre profitto dall’occasione della visita del Papa per mobilitare l’opinione pubblica per sostenere i cristiani dell’Oriente, affinché vi restino come segno della presenza dell’amore di Cristo, della fratellanza universale e della convivenza”.         

Accompagniamo Papa Francesco con la nostra preghiera.

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Mons. Teissier, arcivescovo emerito di Algeri vive la Pasqua

Yaoundè - 1 dicembre 2020

  

Algeri il 1 ° dicembre 2020. Cari fratelli e sorelle il nostro caro Padre Henri, Mons. Teissier, ha vissuto la sua Pasqua questa mattina alle 6. A seguito di un grave ictus, è stato portato all'unità di terapia intensiva dell'ospedale Edouard Herriot. Padre Christian Delorme, con le nipoti Isabelle e Caroline e suo nipote Jacques, hanno potuto vegliare su di lui tutta la notte, pregando al suo fianco. Siamo molto tristi ma ringraziamo anche per la sua ricca vita donata a Dio, alla Chiesa, all'Algeria. Alle 19, padre Delorme aveva unto per lui i malati e ha potuto recitare la preghiera dell'abbandono al suo capezzale. Immaginiamo il bellissimo incontro con frère Charles, il beato e futuro san Charles de Foucauld la cui festa oggi è in cielo. Un cenno del cielo alla nostra Chiesa in Algeria, che deve tanto a padre Teissier nella sua storia dalla guerra di liberazione, all'indipendenza del Paese, al passaggio degli anni bui, fino ad oggi. Era il pastore di un'intera Chiesa data al suo popolo algerino. Accompagniamo padre Henri nella sua Pasqua con le nostre preghiere. Siamo uniti alla sua famiglia, ai suoi tanti amici in Algeria, in Francia e nel mondo. Tornerò da voi, ma celebrerò la festa del Beato Fratello Carlo in Cattedrale. In grande comunione fraterna. 

+ Padre Paul

Tessier vescovo che piange

Yaoundè - 2 dicembre 2020

Ritrovo scritto nelle cartoline del 2006.

I miei primi giorni in Algeria (settembre 2006), con un visto, dono del Cielo, li vivo nella casa diocesana di Algeri accanto al vescovo Tessier. Sono passati solo alcuni anni dal periodo più nero dell’Algeria. Solo dentro casa, con prudenza, mi sento tranquillo. Ma c’è lui… e mi sento accolto come un figlio.  Nei discorsi di questi primi giorni coi missionari e con la gente, frequente ricorre il nome di Tessier. Ha 78 anni. In Algeria dal 1950. Una superiora maggiore mi riferisce che nelle riunioni, anche di un certo livello, spesso l’ha visto piangere. Un’altra persona, parlando degli anni difficili, ha voluto precisare dicendo: "È lui il martire dell’Algeria!". In quel periodo si calcola che siano morte circa 150.000 persone, di cui dei religiosi, delle religiose, un vescovo e dei semplici cristiani. Il Vescovo ha vissuto il suo martirio di padre ad ogni uccisione, non solo dei cristiani ma anche dei musulmani.

Con tutti è attento, accogliente, si interessa come con dei figli. In Algeria è stimato, richiesto per dei consigli anche da parte delle autorità. Si scrive sui giornali di lui come di una persona tra le più importanti del paese.

Ho visitato due volte Tibhirine, monastero dei sette monaci uccisi. La prima volta ero assieme al vescovo Tessier, la sorella e la nipote di Frère Paul, uno degli uccisi, e la giornalista Anna Pozzi che in quel tempo aiutava il Vescovo a raccogliere e a trascrivere le testimonianze, in vista della beatificazione dei martiri dell’Algeria. Davanti alle tombe delle teste dei martiri, il corpo dei quali non è mai stato trovato, Tessier ci ha letto con varie interruzioni il testamento di Christian, un capolavoro di intensa comunione con l’Islam. Nel viaggio, di andata e di ritorno, vedendo la scorta della polizia, davanti e dietro la macchina, mi diceva ridendo: “Perché ci sei tu, c’è bisogno di una sicurezza maggiore”. Scherzava spesso con me. Mi diede un giorno la pubblicità del film Mon ennemi intime, Il mio nemico intimo. Così mi chiamava fino a quando lo vidi l’ultima volta.

Ricordo commosso quando parlava dei 19 religiosi uccisi e del centinaio di Imam, dei 150.000 algerini, anche loro uccisi. L’Algeria aveva un padre che l’amava e penso che si sentisse amata, anche se non poteva sempre dirlo. Si è portato in Paradiso tanti segreti, custoditi per non far soffrire. Mi raccontava tante cose… e mi ha formato ad amare gli algerini.

Cari amici, la mia commozione è profonda. Lo sento vicino, preghiamo con lui per l’Algeria e i suoi abitanti. È morto il primo dicembre, anniversario della morte del prossimo santo Charles de Foucauld. Colgo l’occasione per segnalarvi il mio ultimo lavoro: Charles de Foucauld. Il mio santo in cammino. Lo trovate nelle librerie.

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Omosessualità nel mondo e in Camerun

Yaoundè - 10 novembre 2020

Il Camerunese Effort.info, giornale della Conferenza Episcopale Nazionale del Camerun, Mons. SAMUEL KLEDA, ARCIVESCOVO DI DOUALA: '' Esorto le famiglie a dire no all'omosessualità '' - Intervista condotta da Sylvestre Ndoumou  

Reagendo alla promozione dell'omosessualità nel mondo e in Camerun, l'arcivescovo di Douala , Mons. Samuel Kleda condanna con la massima fermezza questa deviazione ed esorta i cristiani a tenersi pronti a difendere la dignità della persona umana, del matrimonio e della famiglia.       

I vescovi hanno appena rilasciato una dichiarazione forte su aborto, omosessualità, incesto e abusi sessuali sui minori. Questo significa che seri pericoli minacciano la società camerunese? 

Tutti coloro che seguono da vicino le notizie nazionali, si rendono conto che questi flagelli, ovvero l'omosessualità, l'incesto e gli abusi sessuali sui minori, sono entrati o stanno per fare il loro ingresso nella nostra società. Ciò significa che la società camerunese non è risparmiata o non è immune da questi fenomeni. Questo è il motivo per cui dobbiamo stare molto attenti e mobilitarci per bloccare la strada a questi vari mali. Insisteremo in particolare sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, che attualmente gode di grande promozione in tutto il mondo.           

Qual è la prospettiva come parroco che ha di fronte  questo fenomeno che mira alla distruzione della famiglia? 

Il matrimonio  è l'unione tra un uomo e una donna. Queste non sono due persone dello stesso sesso. In questo caso non possiamo parlare di matrimonio. Per me come pastore, l'omosessualità è una grave deviazione il cui obiettivo è distruggere la famiglia. Quindi non possiamo accettare questa pratica. In Africa, secondo le tradizioni ancestrali, non esiste il matrimonio omosessuale, non esiste l'unione tra due persone dello stesso sesso. Nella storia della creazione, il Signore ha creato l'uomo e la donna in modo che questi due esseri vivessero insieme e formassero una famiglia. Questo è il piano di Dio che dobbiamo applicare nel nostro mondo. Noi credenti dobbiamo rispettare il matrimonio secondo il piano di Dio. In Africa, il matrimonio tra persone dello stesso sesso non ha senso, non ha senso.        

A questo livello va ridotto l'essere umano, cioè l'uomo che va verso l'uomo e la donna che va verso la donna? 

Non ha senso e dobbiamo rifiutarlo. Stiamo facendo di tutto per garantire che questo flagello non attecchisca qui. Oggi nella nostra società molte famiglie vengono distrutte a causa di questi mali. A volte il marito diventa omosessuale o impone la lussuria alla moglie. Questo crea una moltitudine di problemi che vanno fino alla distruzione delle famiglie. Il Camerun non è immune da una depenalizzazione dell'omosessualità, se ci atteniamo alle pressioni esercitate sul nostro governo.  

Quale potrebbe essere la reazione della Chiesa se si facesse un passo del genere? 

Per il momento, stiamo facendo tutto quanto in nostro potere per garantire il mantenimento dell'articolo 347 bis del codice penale, promulgato con decreto nel 1972. Crediamo che questo articolo rifletta bene le nostre culture. Di conseguenza, non possiamo venire dall'esterno e imporci una pratica contraria alla nostra cultura. Nell'Arcidiocesi di Douala abbiamo già organizzato una giornata di preghiera su questo tema. In qualità di parroco, mi rivolgo ai nostri deputati che sono i rappresentanti del popolo nell'Assemblea nazionale. Tra loro ci sono credenti, cristiani cattolici, musulmani, protestanti o altre confessioni religiose. Quando si tratta di approvare leggi, lasciate che agiscano in nome della loro fede e secondo le loro convinzioni religiose. Ciò significa che, se sottoponiamo loro un disegno di legge che mira a depenalizzare l' omosessualità, devono respingerlo in nome della loro fede. Noi cristiani siamo pronti, come comunità cristiana e come Chiesa locale, ad organizzare altri pellegrinaggi per difendere la dignità della persona umana, come abbiamo fatto nel luglio 2009 contro il Protocollo di Maputo. Quando l'uomo va verso l'uomo e la donna verso la donna, è per tornare allo stato animale e la dignità umana non è più rispettata. Faremo di tutto per garantire il rispetto dell'articolo 347 bis del codice penale, perché la nostra società deve essere tutelata.      

Monsignore, a volte vengono esercitate pressioni sui giovani in cerca di lavoro perché aderiscano a pratiche omosessuali. Che consiglio puoi dare loro? 

I giovani, nonostante le difficoltà che affrontano, devono anche imparare a mantenere e difendere la propria dignità. Un giovane che si dedica a pratiche omosessuali è un giovane la cui vita è distrutta. È un giovane che non ha futuro perché non può mettere su famiglia. Ma in Africa è una tragedia vedere un giovane che non riesce a trovare una famiglia. Pertanto, i genitori di questo ragazzo hanno fallito nella loro missione educativa. Riguardo alle molestie dei giovani in cerca di lavoro, mi appello al senso di responsabilità di chi ci governa. È un fenomeno che deve finire. Non dobbiamo usare giovani che vogliono lavorare, che vogliono dare il loro contributo alla costruzione del nostro Paese per altri scopi. Non dobbiamo umiliarli attraverso pratiche omosessuali. Questo non dovrebbe esistere nel nostro paese. Tutti coloro che hanno potere decisionale devono fare di tutto per proteggere i giovani, affinché questo fenomeno finisca. L'altro fenomeno che dobbiamo combattere è quello dei padrini. Quando un giovane cerca lavoro, l'azienda a cui si rivolge per prima cerca di conoscere il suo sostegno, il suo sponsor. Per reclutare un giovane per una posizione, credo che il criterio principale deve essere la competenza, non considerazioni assurde. Questo sistema lo rifiuto totalmente e invito anche i responsabili della buona volontà a rifiutarlo. Pratiche di questo tipo distruggono la società camerunese.   

Come pastore, quale messaggio puoi inviare alle famiglie sul fenomeno dell'omosessualità? 

Esorto le famiglie a dire no all'omosessualità, che queste famiglie facciano di tutto per basare la loro unione sull'amore. Le coppie devono essere veri testimoni del Vangelo, leader esemplari, modelli all'interno delle loro famiglie per i loro figli e per la società. Vogliamo famiglie che istruiscano i loro figli nel timore di Dio. Se tutte le famiglie camerunesi adottano questa opzione, l'omosessualità e altri flagelli non passeranno. È possibile realizzare questo ideale, perché il futuro della società e della Chiesa poggia sulla famiglia. Se non c'è famiglia, non ci sarà più società. Facciamo tutti affidamento sulla famiglia. Lascia che gli sposi si rendano conto che hanno un grande ruolo da svolgere nella nostra società, ed è un dovere, perché devono esprimere l'amore che il Signore ha dato loro.  

 

23 novembre 2020

A soya, è venuto

Nuova Parrocchia a Yaounde 

        

15 novembre 2020, festa dei 20 anni di sacerdozio del prete Cristian Biwolé, parroco della parrocchia dedicata a San Martino di Tours, nata nel luglio 2019 distaccata dalla parrocchia di Santa Teresa di Lisieux. Essa si trova lungo e a destra della strada che conduce dal centro della città all’aeroporto. Presiede la celebrazione eucaristica Msg Blaise Pascal Mfaga, vicario generale. 

La cappella è una baracca in una zona, mezza città e mezza foresta. Attorno, le strade di terra rossa sono piene di polvere quando non piove, diventano sapone durante e dopo le piogge. 

Accanto alla baracca, in una stanza di attrezzi di lavoro, piccolo magazzino, in un angolo è seduta un’anziana. Me la presentano: È la persona che ha dato il terreno per la nuova parrocchia. La sua stanza è ora anche la sacrestia. 

Metto piede nella zona dopo 62 anni dal mio primo arrivo a Yaounde. Ora lungo le strade: case, negozi e magazzini di vendita. Non più spazi verdi naturali, ma spogli degli alberi giganteschi e di quelli pieni di frutta e di fiori. La gente ora veste bene, quella che vedo in giorno di festa e in questa festa straordinaria. Le strade purtroppo, in certe zone, a causa anche dei nuovi mezzi di comunicazione, lasciano molto a desiderare. 

Alle 9.30, partendo da sotto a una tenda, la processione incomincia e entra nella cappella baracca, sotto la pioggia abbondante della benedizione dell’acqua santa. I passi sono danza, i canti… litanici, ripetuti, gli strumenti musicali… impazziti. Tutto è caldo, gioioso, in movimento, i rami frondosi nelle mani delle donne coprono teste e fanno circolare l’aria. 

Il momento top è l’arrivo del Vangelo. Vedi venire bambini dalla porta centrale, prima i piccoli, poi i più/le più grandi, poi le donne strette in cerchio come per nascondere, proteggere e abbracciare una cosa segreta, importante. Finalmente davanti al celebrante, postosi davanti all’altare, vedi uscire dal cerchio delle donne una vecchia con una gerla sulle spalle. Il celebrante cerca nella gerla, fa uscire rami e foglie e con un cenno di sorpresa e di gioia mostra un libro. In quel momento vedi, senti la folla esultare, danzare, cantare. Tutti con lo stesso gesto, stesso movimento, stessa parola, il vecchio e il bambino, la donna e la bambina. Tutti una sola persona. E tra le parole, la più frequente: “A soya, a soya “. È venuto, è venuto! Nei gesti, nelle cose che si vedono, nei canti… non c’è scena teatrale, ma la forte sensazione che in quel momento si incontra si accoglie Lui… Gesù, Luce del mondo, Parola viva, Pane donato. 

Forse è la prima volta che quella folla celebra in quello spazio e in quel modo e trovandosi insieme, l’uno accanto all’altro/a.

Il libro è il Vangelo. Un vecchio libro portato per l’occasione da padre Graziano del PIME che la domenica, lascia il seminario di cui è rettore e va ad aiutare il parroco. Lì, nella parrocchia nuova non c’è ancora né messale, né lezionario… ma solo libretti e fogli mensili. È bello vedere l’inizio di una parrocchia con l’aiuto del missionario che si affianca al prete diocesano. Bello se il cammino della Chiesa continuasse tra vecchio e nuovo e col vecchio a fianco.

Le foglie che il celebrante ha estratto dalla gerla sono le stesse con le quali le donne ogni giorno avvolgono il cibo della famiglia: i pani di manioca, di banane bollite, di altri elementi. Le ritroviamo nelle offerte-dono al celebrante, al parroco per i suoi 20 anni di sacerdozio e quanto è portato all’altare. Fanno pensare al pane e al vino che diventeranno Corpo di Cristo. 

C’è un filo che unisce… Il Vangelo viene fuori dalla gerla del lavoro e della vita dell’uomo. Vangelo e lavoro sono la stessa cosa, vanno insieme? 

L’omelia in francese e in ewondo (lingua di Yaounde) è ascoltata in modo diverso. Nella lingua locale, anche se più lunga, l’omelia è dialogo, diventa emozione, gioia. Anche gli occhi partecipano. 

Il sindaco della zona manda un ringraziamento al vescovo della diocesi che ha voluto la nuova parrocchia, prendendo una parte della grande di Santa Teresa. Ora… sempre unico corpo di Cristo che continua nei cristiani.

La comunione eucaristica continua nel pranzo a cui tutti partecipano, simbolo del banchetto finale. 

Sono ormai le 14.30, cinque ore di incontro. Certo, oggi è straordinario, ma è quello che dicono i vescovi Africani: La Chiesa in Africa è Famiglia di Dio. 

     

Il Vangelo nella gerla  

Yaoundè, 23 novembre 2020 

    

Ogni pomeriggio, il villaggio africano è quieto. Al centro, nella casa comune “Abba”, tutta aperta, col solo tetto di frasche e foglie, gli uomini riposano, parlano. Al mattino avevano lavorato ai campi o cercato qualche selvaggina nelle trappole. Anche i cani possono circolare dentro e restarvi liberamente. Può arrivare da lontano un forestiero e trova un posto per sedersi. Si attende il momento per mangiare… bere.Verso le cinque del pomeriggio, qualche donna esce dalla foresta con la gerla sulle spalle, pesante, piena. Va diritta verso la sua cucina. Poi un’altra, un’altra… Dalle loro cucine arriva qualche odore. Sopra i tetti… i primi fumi. Le donne fanno vivere il villaggio. 

Anche il Vangelo, liturgicamente portato nella gerla, ora tradotto nelle varie lingue del paese è frutto di lavoro, di studio, passione, amore della cultura. Accompagnato dalla testimonianza di vita di sacerdoti, missionari, suore, laici, catechisti e cristiani di ogni ceto. È bello il simbolo dell’arrivo del Vangelo dentro una gerla. In Africa il Vangelo si è trovato di casa, non estraneo, non un pericolo. Non con potenza e ricchezza. Ma nel servizio di amore per tutta l’umanità, ‘pane donato”. Come verità, non nelle parole pronunciate, ma nei racconti di vita dei primi cristiani, della vita dei missionari. In qualche paese, i primi evangelizzatori furono degli schiavi, fieri della libertà portata dal Vangelo. Leggendolo, l’Africa ha ritrovato, capito e dato un senso pieno alla sua vita, ai suoi miti, proverbi, riti. Si potrebbe elencare i numerosi valori africani riconosciuti vicini, dentro il Vangelo. Ne accenno uno:

Un detto africano recita così: “Non esisto io, ma tutti noi”. Infatti, uno dei primi valori insegnati ad un bambino africano è il senso dell’appartenenza ad una comunità. Il senso dell’essere “uno del gruppo” è così forte che la persona non conta in quanto individuo, ma in quanto membro di un gruppo. Le comunità africane hanno molto da darci. Oggi in Africa, anche Gesù dice:” Non esisto io, ma tutti noi”. Lo Spirito Santo sceso nel pane sull’altare, frutto del nostro lavoro, ci fa vivere tutti Corpo di Cristo. 

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“Nessuno si salva da solo”

21 ottobre 2020

La fiamma di un candelabro acceso dai leader delle religioni mondiali riuniti a Roma, illumina una piazza del Campidoglio abbandonata dal sole calato sui Fori Imperiali. In uno dei sette colli di Roma, cuore istituzionale della Capitale e teatro nel dopoguerra del patto tra le Nazioni per un’Europa unita, si svolge l’incontro promosso dalla Comunità di Sant’ Egidio col suggestivo titolo “Nessuno si salva da solo – Preghiera e Fraternità”.

Il Papa - con la mascherina per tutta la durata dell’evento - è il primo ad accendere con la sua candela una fiammella della scultura in bronzo, già presente all’incontro delle religioni di Assisi del 2016. Lo seguono i rappresentanti delle altre confessioni, a suggellare l’adesione all’“Appello per la pace” in un’epoca ferita da guerre e pandemie.

Leggiamo le seguenti dichiarazioni:

Il Patriarca Bartolomeo: “È un «periodo difficile per l’umanità intera…al contempo è un tempo «propizio per interrogarci, meditare, pregare ed agire per costruire una società migliore, capace di accettare le grandi sfide del momento, che non riguardano solo alcuni popoli o nazioni, ma l’intera vita su questa meravigliosa nostra casa, il mondo…  Dobbiamo cominciare col curare la nostra casa comune, dentro la quale ci troviamo tutti, figli di questa umanità e di ogni cosa creata da Dio. È finito il tempo della moda ecologica, della sua idealizzazione o peggio della sua ideologizzazione. Inizia il tempo dell’agire».

Rav Haïm Korsia, rabbino capo della Francia a nome del grande imam di al-Azhar Al Tayyeb, impossibilitato a venire a Roma: «Dissocio me stesso e i precetti della religione islamica e gli insegnamenti del profeta Maometto da questo peccaminoso atto criminale e da tutti coloro che perseguono questa ideologia perversa e falsa», tuona. «Questo terrorista e la sua gente non rappresentano la religione di Maometto proprio come il terrorista neozelandese che ha ucciso i musulmani nella moschea non rappresenta la religione di Gesù». 

Il Presidente Mattarella: “L’Italia e Roma sono orgogliose di essere ancora un volta crocevia di dialogo e pace”.

Il Papa ha concluso: “La pace è priorità di ogni politica. Dio chiederà conto, a chi non ha cercato la pace o ha fomentato le tensioni e i conflitti, di tutti i giorni, i mesi, gli anni di guerra che hanno colpito i popoli”.

Con questo e altri incontri, le religioni sono chiamate a mettersi insieme in cinque fraternità: la fraternità per la vita, per eliminare le radici della violenza, la fraternità per la pace per una coesistenza armoniosa, la fraternità per la cultura per accettare le differenze, la fraternità per la condivisione per aiutare quelli che soffrono e la fraternità dell’azione per far diventare il mondo… luogo puro e profumato come un fiore.


Ingenui a Yaoundé? 

Yaoundé, 3 novembre 2020

Prima che me lo diciate voi, me lo chiedo io. Dopo due anni a Sotto il Monte (BG), ho vissuto un mese a Treviso nella nostra nuova sede, accanto alla Chiesa Votiva, con la continua attenzione e preoccupazione di evitare contagi o di darli, con la mascherina incollata dagli occhi alla barba e le mani sempre lavate, e sentendomi controllato per evitare quello che mi accadde. Una signora con uno sguardo severo, entrando in un negozio mi segnalò che non coprivo bene anche il naso con la mascherina. A Sotto il Monte, frequente il suono dell’ambulanza e dell’elicottero, e impressionante l’immagine televisiva dei camion che trasportavano le bare dei defunti. Gli ultimi giorni a Treviso furono difficili e sempre con l’incertezza di non riuscire ad avere i documenti sufficienti e validi per poter partire. Dalle due e trenta del mattino del primo novembre sono nel seminario del PIME a Yaounde (Camerun) dopo una giornata in aereo controllato in ogni passaggio. Sulla documentazione del tampone, ottenuta con l’aiuto di una dottoressa e per grazia ricevuta, potevo sempre mettere il dito sulle lettere PCR e così passare.

Lunedì mattina, primo novembre, ho celebrato la festa dei Santi nella nostra chiesa di Mvog ebanda. Io con la mascherina, il concelebrante ‘no’, nella folla due mascherine.   Ieri, in città ho visto gli alunni uscire da scuola, qualcuno con la mascherina. Nei negozi e uffici pubblici, non in tutti, si entra con la mascherina. Chiedo a persone di vario ceto sociale che cosa si pensa. Più di uno mi dice: “Qui il virus non c’è!”

Dalla finestra della mia stanza vedo la gente camminare per strada, numerosa, senza la mascherina. Sto accorgendomi di scrivere con leggerezza su un argomento così tremendo e mondiale. Anche prima di partire, alcuni mi dissero ‘ingenuo’ e peggio. Continuerò a muovermi con la mascherina e pregherò con voi che si sia prudenti anche in Camerun. Sì, uniti nella preghiera!

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Siamo tutti Fidei Donum 

14 settembre 2020

Anche l’Italia è paese di missione. Negli anni 1950 l’Africa si apre al cristianesimo e ha bisogno di missionari. Papa Pio XII con l’enciclica Fidei Donum del 1957 si dirige ai suoi confratelli vescovi, invitandoli a prendere, “in spirito di viva carità la vostra parte di questa sollecitudine di tutte le chiese che pesa sulle Nostre spalle”. Nascono i Gemellaggi tra diocesi occidentali e diocesi africane. Treviso per trent’anni manda preti e laici in Camerun. Poi Vicenza Como Saluzzo Cuneo…  Padova. Altra novità interessante: i vescovi del triveneto prendono la decisione di mandare in Asia i presbiteri che si rendono disponibili. Poi pagine missionarie scritte da laici, fidei donum pure loro, che ricevono il crocifisso a coppie coi loro figli. E quella del vescovo di Milano Delpini che invia 11 fidei donum e ne accoglie otto. Invia e accoglie. Accoglie cioè i preti inviati da diocesi africane alla diocesi di Milano, dove si dedicheranno agli studi o al servizio pastorale. In questi giorni ho ricevuto la lettera di un presbitero tupuri del Nord del Camerun che avevo conosciuto ragazzo mentre era col padre catechista nel centro che dirigevo. Mi dice che ha raggiunto una parrocchia di Francia come fidei donum. Tutta la chiesa sta vivendo lo spirito ecclesiale universale dei suoi sacerdoti e dei suoi laici. 

Il 21 dicembre scorso (2019) Papa Francesco ha detto alla Curia Romana: «In Europa e in gran parte in Occidente, non siamo più in un regime di cristianità". È una affermazione molto forte che suscita anch'essa un senso di smarrimento. Purtroppo non di sorpresa perché è evidente constatare il calo di presenze nelle chiese… e spesso la fede viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata». 

Allora anche la Chiesa italiana ha bisogno di Fidei donum non solo perché i preti italiani scarseggiano, ma perché la presenza di Fidei Donum attivi, provenienti dalle giovani Chiese può educare, risvegliare e rianimare la fede degli Italiani. Oggi il filippino card Tagle, prefetto della congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, preparando la giornata missionaria mondiale scrive: “La missione è un movimento continuo, in ogni direzione. Da tempo vediamo arrivare anche in Europa, e in Italia, preti e suore da Africa e Asia. Questo scambio è normale, arricchente. Non c’è più chi manda e chi riceve. Così la parola missione va accostata al termine “evangelizzazione”, più ampio, a 360 gradi. Comprendiamo in questo senso che ogni persona ha qualcosa da donare nella fede: la propria umanità il proprio amore. Nessuno è così povero da non avere nulla da dare, nessuno è così ricco da non aver bisogno di ricevere. L’amore che ci insegna Gesù è di tutti e per tutti”. Nella fede ogni persona è fidei donum.

Perché questo sia capito bene e bene organizzato, forse sarà necessaria una nuova Fidei Donum. La lunga esperienza dell'attività missionaria svolta dai sacerdoti italiani all'estero (detti fidei donum) ha suggerito alla Conferenza Episcopale Italiana un aggiornamento delle Convenzioni che regolano i rapporti tra le diocesi interessate allo scambio dei presbiteri missionari. È stata istituita una nuova Convenzione relativa ai sacerdoti che dalla diocesi di incardinazione sono inviati a svolgere il servizio pastorale in altra diocesi italiana che presenti una particolare carenza di presbiteri. Per la generalità delle nuove Convenzioni è prevista una minore durata del servizio pastorale, sia all'estero sia in Italia, che non può durare più di nove anni. Questa innovazione intende favorire un maggiore ricambio dei missionari fuori diocesi, le cui esperienze tornano a vantaggio della diocesi di provenienza.

In particolare ai sacerdoti stranieri viene ora richiesta la conoscenza della lingua italiana (livello A1, A2), certificata da un ente abilitato, necessaria per una regolare celebrazione dei sacramenti e per un più efficace inserimento nella comunità parrocchiale.


La parola ben detta non muore 

28 settembre 2020

Un proverbio arabo dice: La parola ben detta non muore. La parola non è solo rumore, soffio, grido. È espressione di vita, soprattutto quando esce dal profondo del cuore. La parola entra in profondità e resta viva. Se poi la parola del cristiano è parola di Gesù, allora essa è seme di vita nuova.

Nell’intervista Sul distacco e la gioia che don Adriano Cevolotto ha rilasciato alla giornalista Alessandra Cecchin per dire come lasciava la diocesi di Treviso diventando vescovo di Piacenza e Bobbio, ha volato col pensiero sui suoi 37 anni di sacerdozio e ha detto: “Mi piacerebbe riuscire a convincere che ci si può fidare del Signore. Dovremmo suscitare desideri belli, grandi, come fece con me padre Vittorio, del PIME, che venne a parlarci dell’Amazzonia. Sarei partito il giorno dopo, anche se avevo 10 anni! Poi invece che nel seminario del PIME, sono entrato in quello diocesano. E direi anche ai genitori e agli educatori di sostenere i giovani nella fatica di raggiungere queste mete importanti”. 

Giovane segretario di mons Magnani, passò con lui per la missione del PIME di Guidiguis (Nord Camerun) per andare in Ciad a visitare i Fidei Donum trevisani. 

Ora nello stemma episcopale, Don Adriano ha voluto scrivere il motto “Prendi il largo” e disegnare una colomba e il simbolo del Sacro Cuore secondo l’autografo del santo Charles de Foucauld, forse per mantenere vivo il primo grande desiderio di partire a 10 anni e poi continuare a incontrare, evangelizzare, sempre missionario.

“Prendi il largo”. Era l’alba del terzo millennio e suonò alta l’esortazione di Giovanni Paolo II, che invitava la Chiesa ad aprire nuovi cantieri di evangelizzazione e di impegno. “Sappiate ascoltare lo Spirito che vi interpella e rispondergli con generosità, accogliendo le sfide dell’ora attuale...  “Duc in altum”, «Prendi il largo» (Lc 5,4): così esortò Gesù i discepoli”. 

Prendendo il largo, Don Adriano segue quanto gli dice lo Spirito della missione.  Aiutiamolo con la preghiera e auguriamogli di mantenere sempre vivo il primo desiderio nel suo nuovo cantiere. 

273

La Chiesa cresce in fraternità

7 settembre 2020

Sta soffiando sulla Chiesa e sul mondo un soave vento di gioia e di spirito di fraternità. Papa Francesco il 3 ottobre prossimo porrà la sua firma all’enciclica sulla fratellanza umana sulla tomba di San Francesco, il “poverello” che si è limitato a essere chiamato “Frate”.

Alessandro Gisotti scrive in un editoriale pubblicato a luglio sull’Osservatore Romano : “sull’asse della fratellanza ruota tutto il pontificato di papa Francesco". Una delle pietre miliari di questo cammino è la firma assieme al grande imam di Al Azhar nello storico documento ad Abu Dhabi il 4 febbraio del 1919 in consonanza col mondo musulmano. Il documento invita ad “adottare la cultura del dialogo” per costruire insieme “la pace mondiale e la convivenza comune”.

“Questo ritorno ad Assisi di papa Francesco in un momento di pandemia, dice il vescovo Sorrentino, ci dà nuovo coraggio e forza per “ripartire” nel nome della fraternità che tutti ci unisce”.

Il vento dello Spirito di fratellanza iniziò con Gesù, il primo a sentirsi ‘fratello’ quando ci ha invitati a pregare con lui Dio Padre Nostro. Poi continuò nei santi.

Sulla fraternità Giovanni XXIII ha aperto una nuova pagina della storia non solo della Chiesa ma anche dell’umanità. In Turchia, Bulgaria e Grecia, ai greci ortodossi aveva detto: “Fratres sumus”. A Venezia aveva detto ‘fratelli’ ai socialisti.  Divenuto papa va a visitare i carcerati e li chiama miei cari figlioli, miei cari fratelli. Nel 1961 accoglie un gruppo di ebrei americani e si presenta Io sono Giuseppe vostro fratello.  Nell’enciclica Pacem in terris prega: “Il Signore accenda la volontà di tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie; in virtù della sua azione, si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace”. 

Il valdese Paolo Ricca vede papa Giovanni come papa delle sorprese che ha trasformato lo spazio della Chiesa cattolica da sacrestia in crocevia… da esclusiva a inclusiva, da scomunicante a invitante.

Ad Assisi papa Francesco firmerà l’enciclica col titolo Fratelli tutti e col sottotitolo Sulla fraternità e l’amicizia sociale.

Presto papa Francesco dichiarerà santo Charles de Foucauld che ha voluto essere il fratello universale. Il santo che ci invita ad incontrare e a vedere tutti come fratelli.


Siamo i colori del mondo 

 10 settembre 2020

Cari amici sono finito in una casa qui vicino alla Chiesa Votiva dove quasi tutti i giorni arrivano gruppi di ragazzi che non ti lasciano la quiete di scrivere e di riposare con i loro giochi e tamburi e canti anche dalle 13 alle 15 quando si vorrebbe riposare. Ma come i nonni sono contenti dei nipoti, così gioisco della vitalità della nostra presenza missionaria a Treviso. Vi partecipo questa lettera perché siate contenti anche voi e che ci aiutate con le vostre preghiere:

Cari genitori,

siamo giunti al termine di questa significativa esperienza estiva: Siamo i colori del mondo

E’ TEMPO DI SALUTI!

 

 La vita è un viaggio, un viaggio che tutti noi abbiamo il diritto, ed anche il dovere, di compiere:

il dono più prezioso che si possa ricevere e del quale tutti dovrebbero essere infinitamente grati.

Uno dei lati più belli della vita sono i compagni, gli amici, coloro con cui decidiamo di compiere il percorso che ci aspetta.

La vera ricchezza è un tesoro fatto di amicizie, amori, relazioni e tutti i ricordi che di essi ci porteremo dentro per tutta la vita.

Per riprendere le parole di Papa Francesco

“Dobbiamo imparare a condividere per crescere insieme,

senza lasciare fuori nessuno.

La pandemia ci ha ricordato come siamo tutti sulla stessa barca.

Ritrovarci ad avere preoccupazioni e timori comuni ci ha dimostrato ancora una volta che nessuno si salva da solo.

Per crescere davvero dobbiamo crescere insieme,

condividendo quello che abbiamo.”

 

Grazie per aver condiviso con noi un pezzo del vostro viaggio, ci auguriamo di incontrarci con le nuove progettualità che vedranno aprire la Casa del Pime a servizio delle famiglie e del territorio.

Francesca & i Padri del Pime

www.pimondo.it

UFFICIO EDUCAZIONE ALLA MONDIALITA' - SEDE DI TREVISO 

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La spiritualità della fraternità  universale  

30 agosto 2020

Cari amici, presto Charles de Foucauld sarà canonizzato. Avendo vissuto 10 anni nei suoi luoghi, accostando quelli che continuano a vivere nella sua spiritualità, sento la gioia di comunicare il pensiero di frère Charles. La canonizzazione potrebbe riaccendere la spiritualità della fraternità universale, quella vissuta da Gesù.   

“Rivolgiamoci a tutti quelli che ci circondano, a quelli che conosciamo, a colui che ci è vicino; prendiamo con ciascuno i mezzi migliori, con un tale la parola, con un altro il silenzio, con tutti l’esempio, la bontà, l’affetto fraterno».

Egli parte dalla convinzione che ogni battezzato è invitato a vivere come Gesù: «In ogni cosa, domandarci ciò che Gesù farebbe al nostro posto, e farlo».   

Nell’elaborare gli statuti della sua confraternita, sorta dopo la sua morte, Charles de Foucauld fissa le priorità: «Amore fraterno di tutti gli uomini: vedere Gesù in ogni essere umano; in ciascuna anima, vedere un’anima da salvare; in ogni uomo vedere un figlio del Padre celeste; essere caritatevole, benevolo, umile, coraggioso con tutti; pregare per tutti gli uomini, offrire le proprie sofferenze per tutti, essere un modello di vita evangelica, mostrare attraverso la propria vita cosa è il Vangelo... farsi tutto a tutti per guadagnare tutti a Gesù». 

Il suo vescovo, monsignor Bonnet, poteva scrivere il 17 gennaio 1917, un mese e mezzo dopo l’assassinio di Charles de Foucauld: «Ho conosciuto nella mia lunga vita poche anime più amanti, più delicate, più generose e più ardenti della sua, e ne ho raramente avvicinato delle più sante. Dio lo aveva talmente penetrato, che traboccava, per tutto il suo essere, in effusioni di luce e di carità».  


Viva comunanza d’affetto  

1 settembre 2020

Tanti si lasciano adescare a pensare e a parlare senza intelligenza e amore. Leggiamo in AVVENIRE DEL 1 settembre ’20.           

Continuità del magistero e peculiarità dello stile pastorale, dunque; ma tra Benedetto e Francesco esiste in primo luogo una viva comunanza d’affetto. Nella toccante cerimonia per il sessantacinquesimo anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Benedetto XVI, Papa Francesco si rivolge al suo predecessore e sottolinea che «proprio vivendo e testimoniando oggi in modo tanto intenso e luminoso quest’unica cosa veramente decisiva – avere lo sguardo e il cuore rivolto a Dio –. Lei, Santità, continua a servire la Chiesa, non smette di contribuire veramente con vigore e sapienza alla sua crescita; e lo fa da quel piccolo monastero Mater Ecclesiae in Vaticano che si rivela in tal modo essere tutt’altro che uno di quegli angolini dimenticati nei quali la cultura dello scarto di oggi tende a relegare le persone quando, con l’età, le loro forze vengono meno. È tutto il contrario. E questo permetta che lo dica con forza il Suo Successore che ha scelto di chiamarsi Francesco! Perché il cammino spirituale di san Francesco iniziò a San Damiano, ma il vero luogo amato, il cuore pulsante dell’Ordine, lì dove lo fondò e dove infine rese la sua vita a Dio fu la Porziuncola, la “piccola porzione”, l’angolino presso la Madre della Chiesa; presso Maria che, per la sua fede così salda e per il suo vivere così interamente dell’amore e nell’amore con il Signore, tutte le generazioni chiameranno beata. Così, la Provvidenza ha voluto che Lei, caro Confratello, giungesse in un luogo per così dire propriamente “francescano”, dal quale promana una tranquillità, una pace, una forza, una fiducia, una maturità, una fede, una dedizione e una fedeltà che mi fanno tanto bene e danno tanta forza a me e a tutta la Chiesa. E mi permetto anche di dire che da Lei viene un sano e gioioso senso dell’umorismo».       

La risposta del Papa emerito a Francesco è una straordinaria manifestazione di tenerezza: «La Sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente. Più che nei Giardini Vaticani, con la loro bellezza, la Sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto».   

Di questa vicinanza intima e profonda è segno durevole questo libro , che presenta fianco a fianco le voci a confronto di Benedetto XVI e Papa Francesco su temi cruciali. È un «abbecedario del cristianesimo» per riorientarsi sulla fede, la Chiesa, la famiglia, la preghiera, la verità e la giustizia, la misericordia e l’amore. La consonanza spirituale dei due Pontefici e la diversità del loro stile comunicativo moltiplicano le prospettive e arricchiscono l’esperienza dei lettori: non solo i fedeli ma tutte le persone che, in un’epoca di crisi e incertezza, riconoscono nella Chiesa una voce in grado di parlare ai bisogni e alle aspirazioni dell’uomo.

Pietro Parolin

Cardinale segretario di Stato


PIME (di) nuovo a Treviso

“I giovani ci hanno chiesto in mille modi di camminare al loro fianco: né dietro di loro né davanti a loro, ma al loro fianco! Né sopra di loro, ma al loro fianco! Né sotto di loro, ma allo stesso loro livello!”

Questa frase di Papa Francesco è il mio nuovo programma di vita a 85 anni in una comunità di giovani missionari, qui nella nuova sede del Pime accanto alla chiesa votiva di Maria Ausiliatrice.

Il rettore padre Ferdinand, ivoriano di nazionalità e altri padri di varie nazionalità sono i miei compagni. Celebrando una sera a fianco di padre Ferdinand nella chiesa votiva, nella distrazione ho ripercorso il cammino iniziato a Treviso nel 1922 dalla comunità veneta del PIME. Dalla canonica di San Martino, a via Zermanese, a Montebelluna, a Piazza Rinaldi, a Preganziol, a Vallio e finalmente qui in via Venier 32. Mi sono fermato al momento del gemellaggio della diocesi di Treviso, col PIME e con la diocesi di Sangmelima del Sud del Camerun realizzato nel 1966.

Poi dopo la messa mi si è accesa una luce: I giovani missionari del PIME africani che giungono e vivranno l’annuncio evangelico qui a Treviso, e non solo a Treviso, sono frutti del gemellaggio. Padre Ferdinand ricorda e nomina don Mario Beltrame, Fidei Donum trevigiano prima ad Ambam (Camerun) poi in Costa d’Avorio. E avremo preti africani avviati al Sacerdozio da qualcuno dei nostri padri o dai Fidei Donum come padre Rino Porcellato, padre Carlo Scapin, don Angelo Santinon, don Davide Giabardo, don Alessandro dal Ben, don Mario Bortoletto, padre Giovanni Malvestio, i padri Graziano e Antonio Michielan, ecc. Oggi il Signore dà a tutti noi e alla diocesi di Treviso la gioia di cogliere e di gustare i frutti del gemellaggio. Il gusto è quello della comunione della Chiesa.

La gente di Treviso non è sorpresa della novità di una comunità del PIME formata da missionari di varie nazionalità. Aveva incominciato ad accogliere il mondo quando, durante il Concilio, Mons. Mistrorigo aveva fatto arrivare a Treviso un aereo pieno di vescovi africani e poi aveva mandato preti e laici in Africa.

Avete capito la mia gioia di trovarmi qui a Treviso dopo tanti anni vissuti in Camerun e in Algeria, e ora a camminare a fianco di una comunità e di una Chiesa nuova e aperta. Non mancheranno le difficoltà, ma il Signore continuerà ad accompagnarci con la sua benevolenza. 

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La gioia del Vangelo nei 170 anni del PIME 

27 luglio 2020

         

Sabato 25 luglio 2020 festa di san Giacomo apostolo.

Padre Ferruccio Brambillasca, superiore generale, ha iniziato nella sede di Via Monterosa (MI) la celebrazione dei 170 anni di vita del PIME, dicendo: “Vivremo un biennio di ringraziamento a Dio e a chi ci ha accompagnato sulle strade del mondo in tutti questi anni. Ma anche riflessione sulla nostra presenza missionaria oggi. In questo biennio ci chiederemo: siamo ancora davvero nei luoghi dove dovremmo essere? La nostra struttura come istituto missionario è ancora adatta ai tempi attuali, così segnati dal cambiamento?». Presiedeva il vescovo di Crema mons. Daniele Gianotti e ha ricordato l’inizio dell’Istituto nel 1850 con la prima partenza dei missionari conclusasi con l’uccisione di padre Giovanni Mazzucconi e nel fallimento. Con l’antifona Chi semina nelle lacrime, mieterà con gioia… accostava l’inizio della missione del PIME all’esistenza dell’apostolo Giacomo, di cui si sa poco nella sua attività apostolica, e alle parole di San Paolo: Abbiamo un tesoro in vasi di creta. Inizio faticoso e cammino segnato anche da 19 martiri.

Però dopo la celebrazione dell’Eucaristia, di fronte alla sede dell’ex seminario, non fuochi di artificio, ma quattro botti di bottiglie di spumante segnavano la continuazione del cammino del PIME. Significative erano le persone sturanti le bottiglie … e le loro facce piene di gioia, anch’esse convinte del dono magnifico della missione: padre Patrizio, superiore degli Oblati di Rho, dai quali uscì il nostro fondatore Mons. Angelo Ramazzotti, don Renato Banfi, parroco di Saronno dove l’istituto visse i primi anni, Padre Ferruccio Brambillasca, superiore generale, figlio di Agrate, terra del beato Clemente Vismara, mons.  Daniele Gianotti, vescovo di Crema che ha celebrato da poco la beatificazione del martire Padre Alfredo Cremonesi. Anche l’ambiente era pieno di gioia. Cinquanta seminaristi africani, indiani, bengalesi, filippini, brasiliani, birmani, qualche italiano che mostravano il nuovo volto, il nuovo cuore del PIME. Presenti numerosi missionari del PIME, pochi gli amici sacerdoti, i laici, i collaboratori e benefattori a causa della pandemia.

Domenica 26 luglio 2020 

Oggi il Vangelo dice che un mercante, trovata la perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Celebrando 170 anni di missione dell’Istituto, affermiamo che il missionario ha trovato la perla preziosa, vivrà nel suo cuore la gioia della missione del Vangelo, con essa continuerà a partire e ad attrarre i popoli a Cristo Gesù, non con lo spirito di conquista, ma nella testimonianza di una vita donata.  Papa Francesco nell’ultima assemblea generale aveva detto: “C’è un pericolo che torna a spuntare, confondere evangelizzazione con proselitismo. No. Evangelizzazione è testimonianza di Gesù Cristo, morto e risorto. È Lui che attrae. È per questo che la Chiesa cresce per attrazione e non per proselitismo, come aveva detto Benedetto XVI”.

270

“Tendi la tua mano al povero” (cfr Sir 7,32) 

14 giugno 2020

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO per la  IV GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

“Tendi la tua mano al povero” (cfr Sir 7,32). La sapienza antica ha posto queste parole come un codice sacro da seguire nella vita. Esse risuonano oggi con tutta la loro carica di significato per aiutare anche noi a concentrare lo sguardo sull’essenziale e superare le barriere dell’indifferenza. La povertà assume sempre volti diversi, che richiedono attenzione ad ogni condizione particolare: in ognuna di queste possiamo incontrare il Signore Gesù, che ha rivelato di essere presente nei suoi fratelli più deboli (cfr Mt 25,40).

Tenere lo sguardo rivolto al povero è difficile, ma quanto mai necessario per imprimere alla nostra vita personale e sociale la giusta direzione.

Sempre l’incontro con una persona in condizione di povertà ci provoca e ci interroga.

Tendere la mano fa scoprire, prima di tutto a chi lo fa, che dentro di noi esiste la capacità di compiere gesti che danno senso alla vita.

Questo amore è condivisione, dedizione e servizio, ma comincia dalla scoperta di essere noi per primi amati e risvegliati all’amore.

Possa la preghiera alla Madre dei poveri accomunare questi suoi figli prediletti e quanti li servono nel nome di Cristo. E la preghiera trasformi la mano tesa in un abbraccio di condivisione e di fraternità ritrovata.

 

Gli vado incontro e tendo la mano

Tendere la mano al povero è gioia e sofferenza. Gioia quando vedi che ti guarda e si sente sollevato. Sofferenza quando non riesci ad aiutare come vorresti, sofferenza quando il povero resta nella sua povertà. Racconto un momento vissuto a Touggourt in Algeria.

Come ogni giorno alle sei e trenta, sono in strada per andare a celebrare la messa con le Piccole Sorelle. La strada è completamente vuota. Da lontano sento delle grida e dei colpi contro porte e saracinesche. Intravedo un uomo che si dimena e minaccia e insulta. Passo dall’altra parte del marciapiede, ma l’uomo appena mi vede viene verso di me. Non è la prima volta. Cerco il mio sorriso migliore, gli vado incontro e tendo la mano. L’uomo si calma, mi dà la mano, accenna un sorriso e pone il suo volto sulla mia spalla, piangendo. È comune salutarsi tra amici ponendo il volto sulla spalla. Ma quel mattino, per strada, quel volto sulla spalla, quelle lacrime… mi dicono di più… Dopo un po’ lo rivedo seduto per terra, calmo.

269

Ricordando mons. Renato Corti, ora in Paradiso 

13 maggio 2020

 Possiamo leggere alcuni brani dell'omelia, dettata ai missionari del PIME, dal vicario generale della diocesi di Milano, mons. Renato Corti, in occasione della loro partecipazione al giubileo straordinario per la restaurazione dell'altare maggiore del Duomo di Milano (20. 12. 1986). 

Quando mi è data l'occasione di trovarmi in mezzo a voi, (...) mi sento a casa mia. Mi pare che quello che voi desiderate è ciò che anch'io desidero. Ciò che voi volete dire, è anche ciò che io voglio dire…. anch'io voglio dedicare la vita. Siamo veramente fratelli e sorelle nell'apostolato.  Voi siete l'emergenza più chiara all'interno della nostra Chiesa di ciò a cui tutta la Chiesa è chiamata. Missionari e missionarie «ad gentes». Io voglio dire grazie a voi tutti, lo voglio dire ai vecchi missionari o alle anziane missionarie che hanno sulle spalle anni e decenni di lavoro sul campo del Signore e a cui noi guardiamo come ai patriarchi e ai profeti, alla nube dei testimoni. Lo dico a tutti i missionari che in questo momento sono sul campo di lavoro e stanno spendendo le migliori energie della loro vita unicamente per il Signore. Lo dico anche ai giovani, anzi agli studenti, a quelli che si stanno ancora preparando alla partenza perché in essi brilla quanto di più bello vi possa essere nella vita di un giovane, ricordando a loro che è molto bello che questo avvenga a vent'anni e che quando se ne ha sessanta si possa dire: io per il Signore ho donato i miei vent'anni. « Voi oggi, con la vostra presenza, ricordate alla nostra Chiesa che si raduna in questo bellissimo Duomo, che noi qui siamo stati raggiunti anzitutto dal Vangelo e che il tempio è stato costruito da coloro che hanno aderito al Vangelo; e nello stesso tempo che il tempio costruito, mentre ci raduna, deve essere anche il luogo da cui si parte perché quella Parola che ci ha radunati è una Parola capace di radunare ogni popolo.»


L’arcivescovo di Douala (Camerun) ha vinto il Covid 19? 

19 maggio 2020

La notizia che l’arcivescovo Samuel Kleda sta curando ammalati del Covid 19  con piante medicinali  chiamate ‘Huiles essentielles’ sta riempiendo giornali e trasmissioni televisive. Il dottore Anglebert Kameni della coordinazione diocesana della salute dell’archidiocesi di Douala ha dato le seguenti informazioni. 

A queste informazioni lette in internet, aggiungo che padre Antonio Michielan, PIME, missionario a Kaele (Nord Camerun), è in relazione con chi fornisce a Samuel Kleda le erbe necessarie dal Nord, zona di origine dello stesso Kleda.   Ora anche lui sta interessandosi per l’ospedale della sua piccola città. L’arcivescovo Samuel Kleda è di etnia tupuri, originario di Golompwi, villaggio del Nord Camerun e della diocesi di Yagoua. L’abbiamo visto fin da giovane seminarista, raccogliere bacche, foglie, erbe e polveri varie. Ha una lunga e estesa esperienza esercitata anche quando era rettore del seminario minore di Guider. Ha scritto il libro La sorcière et son fils (La donna stregone e suo figlio), racconti Tupuri del Camerun.  E’ stato per due periodi Presidente della Conferenza Episcopale del Camerun e vi ha rinunciato per un terzo periodo.  Varie volte è intervenuto in difesa della giustizia e della verità in alcune situazioni del paese e della Chiesa. Una cristiana dice di lui : “ E’ un uomo che non ha la lingua in tasca e sa mettere il dito dove e quando fa male. Amiamo i suoi messaggi”. 

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La Pasqua in Africa, tra Covid-19 e liturgie via radio 

28 aprile 2020 

Da OMNIS TERRA - Rivista di cultura e missione delle Pontificie Opere Missionarie estraggo alcune notizie trasmesse da Luca Atanasio il 09-04-2020    

 Il Covid-19, anche se più lentamente rispetto ad altre parti del mondo, è arrivato da tempo in Africa. Al momento 50 dei 54 Stati sono stati toccati dal fenomeno. Tutti i governi stanno prendendo misure per contenerlo e le Chiese, e allineate con le direttive politiche e allarmate, vivono la settimana liturgica più importante dell’anno per la prima volta nella storia con forti limitazioni. 

Il Sud Africa è lo Stato più colpito del continente, con 1505 casi di contagio e 9 morti. Siamo molto preoccupati per i tanti poveri che non hanno case adeguate e non possono effettuare il social distancing, sudafricani e tanti immigrati da Zimbabwe, Zambia, Angola e Mozambico e dobbiamo fare quindi molta attenzione”. 

La Tunisia, con i sui 500 casi accertati e una ventina di morti, è un altro degli Stati più colpiti dal coronavirus. “L’esecutivo si è mosso bene – afferma a Fides monsignor Antoniazzi, arcivescovo di Tunisi – agendo in anticipo e imponendo una chiusura totale fin dai primi giorni. Penso che questa possa essere un’occasione per approfondire la nostra fede: senza cerimonie, senza incontri, saremo chiamati all’essenziale. I luoghi possono anche chiudere ma la Chiesa, che è fatta dal popolo di Dio, resta sempre aperta”. 

Il Congo, appena uscito dal dramma dell’Ebola (2500 morti su 3200 contagi tra agosto 2018 e marzo 2020), ripiomba nel terrore con il diffondersi del Covid-19. Gli infettati sono 148 e i morti 16, ma in un paese stremato da un conflitto atroce in alcune sue regioni (Nord-Kivu e Ituri), una annosa instabilità politica e milioni di persone in fuga o ridotte alla fame, la diffusione potrebbe avere effetti devastanti. 

In Etiopia, 35 casi accertati, funestata dalla morte di monsignor Angelo Moreschi vescovo di Gambella a seguito del contagio. 

Il Segretario Generale della Conferenza Episcopale della Tanzania (20 casi, un morto per Covid-19), Padre Charles Kitima, ha esplicitamente chiesto ai fedeli di adeguarsi alle direttive e accettare le modifiche nel culto durante la Settimana Santa.      

“In Camerun i contagiati cominciano a essere tanti (oltre 500 e i morti 9, ndr)”, dice a Fides Mons Esua, arcivescovo emerito di Bamenda, il capoluogo delle regioni anglofone. “L’impressione è che specie in città come Yaoundé o Douala il coronavirus si stia velocemente diffondendo.

La situazione in Sierra Leone è piuttosto tranquilla con solo due casi registrati. Lo Zimbabwe registra fin qui una decina di casi e un morto. Ma la vicinanza con il Sud Africa e l’estrema povertà in cui versa il Paese ha messo in allarme l’intera popolazione e le Chiese presenti sul territorio, al 90% cristiano.

Sono 18 i contagiati in Guinea Bissau, un Paese recentemente scosso da una crisi politica molto grave e con un’economia fragile.

Padre Heriberto Cabrera è il delegato pastorale giovanile della diocesi di Port Llouis, nelle Isole Mauritius, uno degli Stati più ricchi del continente e tra i più colpiti (196 contagiati e una decina di morti, alcuni dei quali giovanissimi).   

L’avvento del primo degli attuali 41 casi di Coronavirus in Togo (3 morti) ha colto il Paese in pieno caos istituzionale a seguito delle elezioni presidenziali del febbraio scorso.

Il Sud Sudan - stando ai dati fino a oggi risparmiato dal coronavirus - esce da un lungo periodo di terribile conflitto che ha causato decine di migliaia di morti e milioni di sfollati. Il Paese in percentuale più cristiano al mondo, passato da una lunghissima passione, vuole ore celebrare serenamente la Pasqua e festeggiare la resurrezione di Cristo e quella del popolo. In un documento a firma del Consiglio Ecumenico, le autorità religiose si sono unite nel dichiarare sospese tutte le forme di funzioni pubbliche. “Sarà l’occasione – recita la lettera – di concentrarci su ciò che è essenziale attraverso digiuni e preghiere continui secondo quanto ci raccomanda l’Apostolo Paolo nella sua I Lettera ai Corinti “Tre cose dureranno per sempre, Fede, Speranza e Carità, ma la più grande è la carità”. 

Sogno immaginario: Papa Giovanni con la mascherina 

5 maggio 2020        

Bella anche questa! Vedo in sogno Papa Giovanni in Paradiso con la mascherina. Alcuni santi suoi amici, un po’ sorpresi, vogliono capire questa sua nuova trovata. Infatti da alcuni giorni lo vedono pensieroso, preoccupato, a volte anche triste. “Che cosa c’è, papa Giovanni, stai poco bene? qualcosa non va bene tra i tuoi devoti? “gli chiedono. Papa Giovanni, toglie la mascherina e risponde: “Come posso stare tranquillo qui in cielo con tutte quelle persone sulla  terra senza lavoro o ammalate negli ospedali e che poi arrivano in fretta qui in Paradiso, tutte tristi, senza il saluto dei loro cari, senza averli salutati e senza la benedizione dei loro sacerdoti. C’è tutto un mondo che sta soffrendo”. “Ma perché metti la mascherina qui in Paradiso?  Qui non ci sono virus, c’è solo benessere, gioia”. “Metto la mascherina, perché ora mi pensino così, vicino, come loro, e oltre al conforto di sentirmi vicino, accettino di metterla, tutti e sempre, perché devono essere prudenti per non prendere il virus o per non trasmetterlo. E non solo, può darsi che qualcuno pensandomi con la mascherina, si metta a sorridere, ridere, e così distrarsi dal suo pensiero o dalla sua sofferenza. Spero che non si scoraggino.  E vorrei ridire ancora a tutti, aggiornando con qualche parola: - Continuiamo…  a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell'incontro: cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c'è, qualche cosa che ci può tenere un po' in difficoltà... Restando a casa, trovate i bambini, date una carezza ai vostri bambini, giocate con loro, e dite: questa è la carezza del Papa. Trovate qualche lacrima da asciugare: dite una parola buona. Il Papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell'amarezza. E poi, tutti insieme ci animiamo: cantando, sospirando, piangendo, ma sempre pieni di fiducia nel Cristo che ci aiuta e che ci ascolta, continuiamo a riprendere il nostro cammino". 

Poi vorrei dire che i loro cari, arrivati tristi, ora non lo sono più. Pensano, è vero, ai loro cari, e si danno da fare per star loro vicini, per consolarli, e dare speranza sia nella salute e sia nel buon cammino della preghiera. Ora Dio è la loro gioia! 

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Sentiamoci vicini 

28 marzo 2020  

Grazie, don Gianfranco per la tua bella telefonata di questa mattina che mi ha risvegliato quello che don Franco Marton mi ricordava. Mi chiamava don Silvano e padre Silvano per il mio essere di Treviso e del PIME. È vero, è sufficiente una telefonata per mantenere vivi rapporti e sensi di appartenenza. Rientrato un mese fa dal Camerun dove ho vissuto tre mesi nel nostro seminario filosofico di Yaoundé, ora vivo a Sotto il Monte con Papa Giovanni. Non gli do la mano perché qualcuno lo tocca ancora, ma poso delicatamente il mio piede sul suo, parlandogli dei tanti amici che mi hanno chiesto di intercedere per loro. 

Mi hai parlato del tuo viaggio in Ciad col Vescovo e mi congratulo per il bel rapporto missionario che Treviso vive, continuando anche in altri paesi. La missione fa respirare, fa amare, sognare, ingigantisce il cuore.

La missione sta aprendosi, rinnovandosi. E’ ancora piena di sorprese. Non immaginavo che la gente dell’Algeria dove ho vissuto dieci anni, mi telefonasse e mi dicesse: “Dio è capace di tutto. Siamo tutti italiani, tutti per l’Italia. Preghiamo per l’umanità. Continua a scrivere… così sappiamo che stai bene. Dio vi benedica… anche nella malattia. Grazie… sempre uniti!”


Come il PIME continua e si rinnova 

8 aprile 2020         

Il superiore generale padre Ferruccio Brambillasca scrive: “Lo scorso febbraio, col consigliere generale padre Xaviex Lourdh, sono stato in India per la visita canonica. Ultima tappa del viaggio è stata la nostra “nuova” presenza nella diocesi di Bagdogza, al nord del Paese. Si tratta di una diocesi ancora in “via di sviluppo”, con poche strutture e con carenza di personale, confinante con Jalpaiguri, una “vecchia” diocesi dove l’Istituto è stato presente in passato. Il vescovo di Bagdogza, Mons. Vincent Aind, molto legato al Pime, ci ha accompagnato durante la visita e ci ha ricordato con affetto il lavoro dei missionari del Pime nella diocesi di Jalpaiguri (di cui lui stesso è originario), un lavoro tipicamente e strettamente missionario. Del lavoro svolto allora dai nostri confratelli, tre gli aspetti mi hanno impressionato: la costruzione di strutture (chiese, scuole, case parrocchiali...) ben solide, che ancora oggi vengono usate, il desiderio di stare e lavorare - per quanto possibile -, insieme e, il più significativo, l’annuncio del Vangelo ai non- cristiani”.

Nella nuova presenza nella diocesi di Bagdogza, il parroco è padre Ambati Xaviour Babu. Ricordo quando giunse nel 2004 nel Nord del Camerun, appena ordinato sacerdote. Faceva parte di un gruppo di missionari indiani che hanno svolto e continuano a svolgere un lavoro magnifico e sanno farsi voler bene. Dopo 15 anni in Cameroun, ora Ambati è pronto per una nuova fondazione di grande importanza nel Nord dell’India

Dalla lettera del superiore generale trovo sottolineate alcune caratteristiche che mostrano come il PIME ha vissuto e deve continuare il suo cammino, caratteristiche apprezzate anche da tanti vescovi ‘legati al PIME’, dove il PIME si è tanto donato: 

1. Costruzione di chiese, scuole, case parrocchiali. 

2. Desiderio di stare e lavorare insieme. 

3. Annuncio del Vangelo ai non-cristiani”.

Così termina il superiore: “Ora i tempi sono cambiati e i metodi del nostro annuncio sembrano essere mutati, ma per noi del PIME in un periodo in cui siamo chiamati a riqualificare la nostra presenza… (…) la missione ad Gentes rimane ancora il paradigma fondamentale per riqualificare noi stessi, la nostra presenza e la chiesa locale con cui e per cui lavoriamo”.

Non solo noi missionari stiamo rinnovandoci, ma con noi anche tutta la famiglia del PIME deve rinnovarsi: Parenti, amici, ex alunni, padrini/e, collaboratori, benefattori… con la preghiera e il dono della vita.

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Caro Papa Giovanni 

17 marzo 2020      

La tua casa è vuota. Alle entrate c’è il cartello che dice che le visite sono sospese. 

Appeso alla tua mano un solo rosario lasciato tempo fa. Non un cerino acceso. Ci sono dei fiori che qualcuno viene ancora a portare. Il vuoto, il silenzio… impressionante. Molti, sedendosi davanti alla tua statua sorridente, trovavano un conforto. Ora sono in casa. Il telefono squilla ancora. Qualcuno chiede una preghiera, una benedizione. Fino a quando? 

Leggendo i giornali nello smarrimento totale, c’è qualche luce di verità e di speranza. Qualcosa deve cambiare. Tra i peccati più gravi è il non rispetto della natura, che non può che difendersi e lottare ancora accanto a noi. Se meditiamo bene il pensiero di Papa Giovanni, troviamo altre cose su cui è bene fare attenzione. Anche se chiusi in casa, sentiamolo vicino nella comunione che vive col Signore, coi santi, con quanti soffrono e lottano per aiutare i fratelli bisognosi. 

“Mi è cara la sanità. Ecco la malattia. Iddio me la manda. Ebbene, sia benedetta la malattia. Di qui, la pratica di quella santa indifferenza che ha fatto i santi. Oh, potessi io acquistarmi questa tranquillità di spirito, questa pace dell'animo nelle cose prospere o avverse, che mi renderebbe più dolce e più lieta la vita, anche in mezzo alle tribolazioni! Povero o ricco, onorato o disprezzato, povero cappellano di montagna o vescovo di una vasta diocesi, devono essere tutt'uno, purché in tal modo io faccia la volontà del mio padrone, compia il mio dovere di servitore fedele, e mi salvi (ES 184). Anzi, se si deve ammettere una preferenza, la povertà deve essere anteposta alla ricchezza, il disprezzo agli onori, le occupazioni più oscure agli uffici eminenti (ES 165‑167)”. 

Caro Papa Giovanni, ti sto vicino per tanti che si sono raccomandati e quanti vorrebbero venire. Fa sentire la tua presenza e il tuo aiuto.    


Abbandono

20 marzo 2020 

Carissimi, mando anche a voi le cartoline che metto nel sito di Papa Giovanni. Papa Giovanni ci aiuti ad avere i suoi sentimenti. Mi è gioioso sentirvi vicini. 

La senescenza - che è pure grande dono del Signore - deve essere per me motivo di silenziosa gioia interiore, e di quotidiano abbandono nel Signore stesso, a cui mi tengo rivolto, come un bam­bino verso le braccia aperte del padre. 

Questo impulso interiore che in questi giorni mi ha sorpre­so, me lo sento in cuore come un palpito ed uno spirito nuovo, una voce che mi infonde generosità e gran fervore, che amo espri­mere in tre manifestazioni caratteristiche: 

1) distacco totale da ogni cosa e perfetta indifferenza così ai bia­simi che alle lodi, e per tutto ciò che si trova e che potrebbe di gra­ve accadere nel mondo, a mio riguardo; 

2) davanti al Signore io sono peccatore e polvere; vivo per la mi­sericordia di Gesù, a cui tutto debbo e dalla quale tutto aspetto: a lui mi sottometto anche nel lasciarmi tutto trasformare dai suoi dolori e dalle sue sofferenze, in pienissimo abbandono di assoluta obbedienza e di conformità alla sua volontà. Ora più che mai, e « usquedum vivam, et in omnibus, oboedíentia et pax »; 

3) disposizione completa a vivere ed a morire, come san Pietro e come san Paolo, e a tutto incontrare, anche catene, sofferenze, anatema e martirio, per la santa Chiesa e per tutte le anime reden­te da Cristo. Sento la gravità del mio impegno e tremo, conoscen­domi debole e labile. Ma confido in Cristo crocifisso e nella Madre sua, e guardo alla eternità. 


Il pensiero dei santi e del Paradiso

21 marzo 2020        

In questo momento, chiusi in casa, lasciamoci guidare dai santi che mettono quiete, pazienza, fiducia. 

Così papa Giovanni : “ Forse non ebbi mai, dacché mi trovo a Roma, consolazione più dolce di quella gustata stamattina alle Catacombe di san Callisto. La santa messa, la santissima comunione in quei nascosti i meandri santificati da tanti martiri illustri, da tanti confessori imperterriti della fede, oh quanto bene mi fecero! Laggiù, in quelle grotte anguste ed oscure, dinnanzi a quegli affreschi del mio Gesù Redentore, spettatori di tanti sospiri, di tante lacrime, di tanto coraggio cristiano, allo stringermi al seno il Pane dei forti mi sentii commuovere, intenerii, piansi di cuore. Era una visione di paradiso che mi rapiva. 

Lì io vedevo gli atleti di Cristo pregare intorno a me, attingere dalla bocca del sommo pastore le parole di vita eterna, udivo le loro voci supplichevoli, i loro canti di amore e di speranza, i loro mesti saluti. Pensai a tanti pontefici che colà confortarono i fedeli alla perseveranza, additando loro il cielo, a tanti sacerdoti, a tanti uomini e donne, a tanti giovanetti che a vicenda si consolavano, si accendevano del fuoco vivo dell'amore santo di Gesù, per affrontare poi imperterriti i supplizi, gli strazi, la morte. Oh Tarcisio, eroe a pochi anni; oh Cecilia, portento di fortezza, eletto fiore di castità, quanto foste ricordati! Perché non son io come foste voi? Eppure io ne sento il desiderio sincero, ardentissimo; io sogno, io sospiro al giorno in cui mi sarà concesso rendere al mio dolce amante la testimonianza della mia fede, del mio affetto. È presunzione forse la mia? Può essere, ma almeno io bramo che non lo sia. Possano il vostro esempio e la vostra intercessione stimolarmi alla totale rinnegazione di me medesimo, a vincere il mio amor proprio, per ottenere poi la vittoria sopra i nemici di Cristo, e colla vittoria la salvezza di tante anime lontane dall'ovile e dal cuore del sommo pastore Gesù benedetto. 

O cielo, cielo, tu sei bello, e tu sei per me! Nelle contraddizioni, nelle amarezze, nello sconforto, ecco la mia consolazione: allargare il cuore alla beata speranza e poi guardare e pensare al cielo, al paradiso. Questa è la pratica dei santi, di san Filippo Neri, del mio san Francesco di Sales, del ven. Cottolengo che sempre esclamava : « paradiso, paradiso! » . 

265

In Camerun, elezioni disertate 

20 febbraio 2020 

Carissimi, dopo tre mesi di insegnamento nel seminario del PIME a Yaounde (Camerun), sono ritornato a Sotto il Monte e continuo a tenervi vicino a Papa Giovanni. Le notizie dal Camerun non sono tutte buone. 

Mgr Abraham Kome, presidente della Conferenza Episcopale del Camerun dichiara ai giornalisti che le elezioni del 9 febbraio scorso si sono svolte in modo pacifico ma quasi del tutto disertate. La percentuale dell'astensione in alcune città è stata del 70%. Questo dimostra che la legge del Codice elettorale deve essere cambiato. La Conferenza Episcopale aveva distribuito 262 osservatori in tutto il paese. Di questi, 17 provenienti dalle regioni del Nord-Ovest e del Sud-Ovest non hanno potuto fare il loro lavoro a causa della mancanza di sicurezza e così numerosi cittadini non hanno esercitato il loro diritto civile. Pochi giorni dopo le elezioni, nella notte dal 14 al 15 febbraio a Ngarbuh avvenne il massacro di 22 civili, in gran parte donne e bambini di cui 11 bambine di meno di 5 anni. I ribelli secessionisti hanno accusato del massacro l'esercito il quale ha smentito categoricamente. 

Continua è l'insicurezza anche nel Nord del paese a causa di improvvisi interventi tragici da parte di Boko Haram.  

 

Africa, continente gemello. Il futuro ha radici comuni 

11 marzo 2020 

Spigolo un po’ di buon seme nell’Avvenire del 10 marzo scorso. Non l’articolo completo interessante, ma solo qualche frase come annuncio 

Caro direttore, l’Europa guarda sempre più all’Africa, ma con occhi nuovi. La nostra ambizione è portare il partenariato al livello successivo. Vogliamo coinvolgere i giovani africani che sono determinati a costruirsi un proprio futuro, idealmente in collaborazione con altri.  

L’Unione Europea vuole assicurarsi di farlo in modo congiunto: non per l’Africa ma con l’Africa. Questo è anche il nostro approccio nella proposta in vista di una nuova strategia globale con l’Africa. La nuova strategia rappresenta l’inizio di un dialogo intenso sulle nostre priorità condivise, che avrà come punto di arrivo il vertice Unione Europea-Unione Africana di ottobre. Durante il vertice dovremmo giungere ad accordi su risultati concreti per il bene quotidiano sia dei cittadini africani che di quelli europei. Il vertice dovrebbe fungere da catalizzatore.  

La nuova leadership della Ue ha dato massima priorità all’Africa. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, sono andati in Africa nelle prime settimane del loro mandato. Noi siamo stati in Mauritania, Burkina Faso, Etiopia e Sudan la settimana scorsa.  

Anche l’Africa nel frattempo sta cambiando, sospinta da dinamismo economico e dalla popolazione più giovane al mondo. L’integrazione regionale sta facendo progressi: con la zona continentale di libero scambio per l’Africa il continente punta a creare il più grande spazio commerciale dall’istituzione dell’Organizzazione mondiale del commercio.  

Il nostro continente gemello è per molti versi il luogo del futuro: che si tratti di cambiamenti climatici, digitalismo, crescita sostenibile, economia equa e sicurezza, sarà in Africa che verranno prese le decisioni importanti a livello globale. 

264

Lo chiamavo Lupetto

29 gennaio 2020 

Me lo ha ricordato padre Ferruccio, il superiore generale che in questi giorni si trova in Camerun e parlando di padre Giorgio Ferrara, appena partito per il Cielo, mi disse: "Lo chiamavi Lupetto". E' vero perché, anche studente di teologia, nel nostro seminario teologico di Milano aveva conservato un volto da ragazzo scout semplice e gioioso. Lo potrete rivedere nelle foto apparse nel nostro sito PIME e leggere alcune notizie della sua vita di missionario in Giappone, Stati Uniti e Italia. Apparteneva alla classe più numerosa che ho conosciuto durante i sette anni di rettore, una classe ricca di studenti di qualità da cui sono usciti pezzi da novanta, missionari, tra loro anche un vescovo. Nel gruppo era spesso il meno in vista. Sempre disponibile a qualche servizio, rispondeva subito : " Sì, subito, è quello che ci voleva per me". La notizia della morte continua a lavorarmi. Subito ho pensato alla sua famiglia, ai suoi compagni, agli amici, alle madrine del PIME che in questi anni l'hanno incontrato ancora qualche volta tra i suoi anni vissuti in Giappone e negli Stati Uniti. E subito nei ricordi si sono aggiunti i padri Mariano Ponzinibbi, Rota Graziano, Luigi Siviero, anche loro partiti per il Cielo ancora giovani. Con tutti avevo vissuto un cammino formativo, bello, positivo. E' il ricordo ancora vivo di quanto condiviso in profondità sia in seminario e sia quando ci capitava di incontrarci dopo anni di missione, che mi fa non solo soffrire ma mi fa crescere quel rapporto di paternità in pieno senso ecclesiale, comunitario e missionario. Mi esce anche un piccolo lamento : " Signore perché ce li hai presi? " Ma resto sereno, col cuore in pace, perché sento la frase di padre Giorgio : " Sì, è quello che ci voleva per me" e perché i quattro sono ora ancora missionari in quella parte di PIME in Cielo dove è loro concesso di camminare e di accompagnarci, ancora in preghiera, verso quei luoghi dove Gesù non è ancora conosciuto. 

 

Il battesimo e il battistero a Yaounde

7 febbraio 2020 

In una città come Yaounde, il battesimo è realtà vivente, continua, socializzante, nelle chiese cattoliche e protestanti. Ogni anno in tutte le parrocchie, centinaia di bambini, di adulti, di tutte le etnie del Camerun presenti nella capitale, diventano cristiani. Assieme alla gioia di constatare la vitalità delle comunità, resta sempre presente l'attenzione sulla preparazione e sulla qualità dei battezzati. Il battesimo unifica anche il paese, interiormente. E' forse il momento più gioioso. Il momento da mantenere vivo in ogni catechesi e lungo tutto il cammino della vita. Padre Mario Bortoletto, il Fidei Donum che ci ha lasciato una catechesi contestualizzata e inculturata nella cultura Ntumu, parlava spesso del battesimo per segnare il passo verso la vita nuova del cristiano. "Voi siete diventati figli di Dio. Da questo momento Dio vi guarda in modo nuovo. E' la grande dignità che si deve conservare". E' commovente leggere i suoi racconti, a partire da proverbi, che cristianizzano la cultura ntumu.  

Ma qui in Camerun, con un battesimo ancora vivo, che ne è del battistero ? Ho voluto accertarmi. Con gioia l'ho visto nella chiesa di Akono, una delle prime chiese del Sud del Camerun. Erano presenti con me anche i seminaristi del nostro seminario filosofico, incantati ad osservare un monumento che fa rivivere e sentire la vitalità dei primi cristiani battezzati. Ho visto poi il battistero accanto all'altare nella chiesa di Ntem-a-si, parrocchia servita dal PIME, consacrata nel giugno 2019 dall'arcivescovo Jean Mbarga, e quello custodito in un armadio-cofano nella nuova basilica di Mvolié. Niente nella cattedrale e nelle altre chiese visitate. Là dove pensavo di trovarlo, in un angolo vicino all'entrata delle chiese, vedevo scope, secchi e stracci per la pulizia della chiesa. Forse nelle sacristie c'è qualche bella vaschetta... o qualcosa di simile. Ho chiesto a dei cristiani se c'era il battistero nella loro chiesa e non sapevano cosa fosse. Ho chiesto a tanti preti. Alcuni riconoscono un vuoto... e cercheranno di interessarsene. Ma è importante avere un bel battistero? La passione di pensare al battistero accanto o dentro la chiesa, mi è nata leggendo e ammirando le icone e le chiese prodotte in tutto il mondo dall'artista teologo Marco Rupnik e che consiglierei a tutti di conoscere. Mentre parlavo del battistero con alcuni preti, ho avuto l'impressione di aver infastidito qualcuno, impegnato in tante cose. Forse metto il dito su qualche debolezza, ma sento la gioia datami dal padre saveriano che sta costruendo la sua chiesa : " Grazie, padre Silvano, mi hai dato una bella idea!" 

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Accanto a don Mario Bortoletto a Ma'an (Cameroun)

9 dicembre 2019 

Don Mario Bortoletto di Treviso visse 38 anni come prete Fidei Donum nella Missione di Ambam (Camerun) e gli ultimi 3 anni nella parrocchia di Ntem-a-si ( Yaoundé ) come associato del PIME. Ora è sepolto a Ma'an nella chiesa voluta da lui e gode della gioia e della luce del volto del Signore e dell'affetto dei suoi 'figli' che ha aiutato a nascere col Battesimo e che vivono del suo ricordo intenso, carico ancora del suo amore e dell'amore di Dio. Martedì scorso, 7 gennaio, a Ma'an, noi missionari del PIME abbiamo vissuto un incontro coi preti africani che si dicono 'figli' di padre Mario. Sette di loro erano presenti e hanno testimoniato la loro gioia di sentirsi ancora accompagnati da don Mario. Erano presenti all'incontro anche alcuni cristiani della zona, i missionari che operano a Yaoundé e sei studenti del seminario filosofico che si preparano a diventare missionari del PIME. L'incontro è stato una prova evidente, una intensa testimonianza di chi è stato don Mario e di quello che è ancora. Avevamo preparato il libro La catéchèse du père Mario Bortoletto contextualisée et animée dans la culture ntumu che mostra come don Mario si era inculturato per vivere il suo amore per il popolo ntumu. L'abbiamo distribuito anche perché possa essere arricchito e migliorato. Per me è stato un momento straordinario in continuità con quello che avevo vissuto nello scorso gennaio 2019, durante la visita dei cinque diaconi di Treviso col loro Rettore che intendevano così mantenere un rapporto vivo con la missione dove i sacerdoti di Treviso avevano lavorato per trent'anni coi missionari del PIME. In quella visita, vedendo l'entusiasmo gioioso della gente, mi era ritornato forte e profondo il legame che avevo vissuto anch'io nei miei primi anni di missione. Ho organizzato l'incontro dei preti africani di Ambam con noi missionari del PIME a Ma'an perché nel sacerdozio e nel ricordo di don Mario c'è un legame, una comunione con loro che va continuato e coltivato per la vitalità della Chiesa del Cameroun. L'artista teologo Rupnik mi suggerisce l'immagine del vecchio che con la saggezza e l'esperienza trasmette ancora qualche staffetta vitale. Ho detto ai preti camerunesi che ora saranno loro a invitare i missionari del PIME per degli incontri accanto a don Mario. Hanno colto la proposta. Avevo anche raccomandato loro il seminario filosofico internazionale che stiamo costruendo a Yaoundé. Si tratta non solo di rispondere alle domande di studenti, per ora di quattro paesi africani, che vogliono essere missionari con noi, ma di una continuità di quanto iniziato col gemellaggio vissuto anni fa e che continua a portare i suoi frutti. Quanto sono belli i passi, i piedi di don Mario e dei primi missionari. Gesù camminava e vuole camminare ancora!

 

Il Ciad che vogliamo 

20 gennaio 2010 

Bella coraggiosa e incoraggiante la lettera di Natale 2019 dei Vescovi del Ciad agli uomini e alle donne di buona volontà. "Vogliamo essere la voce di chi non ha voce e portare il nostro contributo per costruire un paese nella giustizia e nella pace... E' urgente... se non vogliamo compromettere l'avvenire del paese." 

Ogni punto della lettera parte dalla Parola di Dio perché è la luce della Parola di Dio che rivela chiaramente l'attualità. 

Il Ciad che Dio vuole. Michea 6,8 "Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio".

Quello che Dio non vuole. Isaia 5:7 "Infatti la vigna del SIGNORE degli eserciti è la casa d'Israele, e gli uomini di Giuda sono la sua piantagione prediletta; egli si aspettava rettitudine, ed ecco spargimento di sangue; giustizia, ed ecco grida d'angoscia!"

Cammini per costruire il Ciad. Ps 126,1 "Se il SIGNORE non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori; se il SIGNORE non protegge la città, invano vegliano le guardie".

Ritrovare i valori religiosi. 

Costruire uno Stato di Diritto. 

Prendere sul serio l'educazione. 

Instaurare una cultura del dialogo. 

I Vescovi ricordano che "Il documento sulla fraternità umana per la pace mondiale e la coesistenza comune, firmata dall'Imam d'Al-Azhar al Sharif e Papa Francesco il 4 febbraio à Abou Dhabi, costituisce una tappa importante nella storia delle relazioni tra cristianesimo e l'islam".

La lettera termina con l'invito e l'augurio della speranza "sempre con Gesù che non ha rinunciato alla sua missione anche se questa l'ha condotto alla croce, perché dopo la croce c'è la risurrezione". Romani 13,11-12 "È tempo di svegliarsi, perché la nostra salvezza è ora più vicina di quando abbiamo cominciato a credere. 12 La notte è avanzata, il giorno è vicino! Buttiamo via le opere delle tenebre e prendiamo le armi della luce".