Voci dal Bangladesh - 2010

p. Silvano Garello


Voci dal Bangladesh - 2010


80 piccole biblioteche religiose per il Bangladesh

Dhaka maggio 2010

‘I libri senza lettori sono morti’. Questo detto non deve solo fare riflettere a chi scrive libri, ma anche dovrebbe scuotere la chiesa e la stessa umanità a cui è affidata la Bibbia, ossia la Parola di Dio scritta. In Bangladesh la chiesa si e’ preoccupata di stampare e di diffondere la Bibbia non solo tra i cristiani, ma anche tra i non cristiani. Non sono mancati dei corsi di studio specialmente per i catechisti. Ma i laici ordinari sono forse ancora i grandi dimenticati. Credo sia legittimo domandarci: fino a che punto la Bibbia fa parte della cultura bengalese, ma più ancora della cultura e della stessa identità cristiana? Se il popolo cristiano non si nutre della Bibbia la sua stessa vita di fede si trova in pericolo. Ogni chiesa locale deve farsi carico dell’iniziazione alla Parola di Dio attraverso i metodi convalidati dalla tradizione e attraverso le forme che meglio rispondono alla mentalità del suo popolo. Una verifica della ‘sonnolenza’ o della ‘vitalità’ nell’assimilazione della Bibbia va colta nella liturgia, nella catechesi, nella riflessione teologica e anche nell’arte cristiana e nella comunicazione missionaria del messaggio cristiano. In altri contesti ecclesiali si parla ora di ‘progetto culturale’, come formula di intervento globale nel campo della assimilazione e della trasmissione del messaggio cristiano. Nella chiesa del Bangladesh mi è difficile trovare evidente questa sensibilità. Forse abbiamo a che fare con un approccio ancora ‘tradizionale’, celebrativo e frammentario. Recentemente ho voluto proporre in bengalese un testo di riflessione preparato dal Pontificio Consiglio per la Cultura: ’Verso un approccio pastorale alla Cultura’ redatto dal Cardinale Paolo Poupard. Al seguito di questo documento ho offerto un contributo sul tema dell’inculturazione, vista nei suoi vari aspetti: la cultura bengalese e la cultura dei tribali , le sue implicazioni nella formazione, alcune proposte di cammini di inculturazione. Il mio desiderio di coinvolgere molte persone in questa riflessione è sempre grande. Ma devo dire che le mie buone intenzioni si sono scontrate con una realtà concreta: il nostro popolo non legge o legge molto poco. Ho un amico che da una decina di anni viene in Bangladesh e ha dedicato molto tempo per visitare le nostre missioni del Nord. Egli ha ammirato le nostre istituzioni educative, ma poi ha fatto una constatazione amara: "Nei vostri ostelli che accolgono giovani e ragazze della scuola secondaria e del collegio non ho visto delle biblioteche religiose (o anche non religiose...) degne di questo nome". E’ come dire che là dove dovremmo formare dei leaders anche in campo religioso ci si ferma spesso al sostegno per la promozione scolastica. Non è piccola cosa, ma questo non basta. Parlando con questo amico, è nato il progetto delle ‘piccole biblioteche religiose’. Esso prevede l’offerta dei nostri libri religiosi disponibili con il 30% di sconto. Ora nelle adesioni siamo arrivati a quota ottanta. Tra gli aderenti abbiamo naturalmente ostelli, ma anche parrocchie, case di formazione, club giovanili. Si sta così creando un piccolo movimento di sensibilizzazione alla lettura sistematica di testi su vari argomenti come la bibbia, la catechesi, la liturgia, la preghiera, la spiritualità, la meditazione, la mariologia, i documenti pontifici, le biografie dei santi, la storia della chiesa, le attività pastorali, la formazione dei bambini, dei giovani, delle coppie e degli adulti, il dialogo ecumenico ed interreligioso, il teatro a temi religiosi e sociali , i posters religiosi e le registrazioni su CD. Piano piano queste biblioteche si vanno organizzando per diventare un vero e proprio strumento culturale, luoghi di scambio e di dibattito sui problemi correnti della chiesa e del mondo. Perciò queste biblioteche cercano di offrire anche altri libri di cultura generale Bengalese. Degne di attenzione in questo campo sono due enciclopedie in bengalese ed in inglese offerte dalla Bangladesh Asiatic Society: Banglapedia (10 volumi) (disponibile anche in CD), Cultural Survey of Bangladesh ( 12 volumi ).

In questo contesto ci si può domandare: quando si potrà offrire una Enciclopedia cattolica in bengalese? Quando la chiesa cattolica del Bangladesh cercherà di enucleare un suo progetto culturale ed educativo? La scarsità delle nostre forze non ci deve impedire di valorizzare i centri di studio già presenti, il nostro piccolo nucleo di scrittori e di artisti cristiani.

Forse saranno anche i nostri ‘25 lettori’ che utilizzano le piccole biblioteche religiose a cominciare a far crescere il sogno di uno scambio più profondo con la cultura bengalese ed una proposta più coraggiosa e inculturata del messaggio cristiano. Qui vorrei ricordare un’espressione che ho colto sulla bocca di Matteo Ricci:"In Cina possiamo fare molto di più con i libri che con le parole". Che ciò sia vero anche per il Bangladesh?

La fame di cui la famiglia ha bisogno

Dhaka - luglio 2010

Nei villaggi del Bangladesh, quando il sole è implacabile o la pioggia è più insistente, i contadini si concedono volentieri una sosta nella veranda della loro capanna. Allora per essi diventa spontaneo acconsentire alla loro passione per la conversazione. Ma non è raro il caso di vedere qualche cristiano che, in uno splendido isolamento, si immerge nella lettura della Bibbia. La conversazione con Dio prende su di lui il sopravvento, senza che egli senta il bisogno di darne spiegazione a chi lo circonda.

Più di una volta, questo spettacolo mi ha dato al cuore un tuffo di gioia. La Bibbia che la gente ha tra le mani è stata recentemente stampata da me in una edizione di 12.000 copie. Ciò è stato possibile utilizzando il ricavato della vendita dei ‘presepi missionari’ realizzata dai Missionari Saveriani di Vicenza.

Davanti a chi, in modi diversi, si dedica a ‘’sfamare’’ i bengalesi non sento alcun complesso di inferiorità. Ripenso alle parole del profeta Amos:’’Verranno giorni in cui manderò fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma di ascoltare la Parola del Signore’’ ( Amos 8,11). Può sembrare indecoroso proporre l’immagine di bambini bengalesi che rovistano nella spazzatura in cerca di qualche scarto di verdura o di riso. Accogliamo allora anche l’immagine provocatoria dei poveri bengalesi che si nutrono della Parola di Dio. Per il nostro consumismo e per il nostro disimpegno cristiano ambedue le immagini possono dare uno scossone alla nostra coscienza. Se alla nostra preoccupazione di nutrire il corpo corrispondesse anche la preoccupazione di nutrire l’anima, nella nostra vita si stabilirebbe un sano equilibrio. Accanto alle strategie per promuovere il benessere fisico, dovremmo mettere in atto delle iniziative per scongiurare il pericolo della denutrizione spirituale. Di solito l’appetito ci rafforza nella convinzione di trovarci in uno stato di buona salute. Ma chi pensa a verificare la propria ‘fame spirituale’? Le nostre famiglie fanno di tutto perché la tavola diventi un luogo di serena convivialità. Gli italiani in campo culinario non mancano di fantasia. Si moltiplicano gli elogi della ‘dieta mediterranea’, come toccasana per un maggiore benessere fisico.

Ma c’è da chiedersi anche fino a che punto le nostre famiglie cristiane si preoccupano di avere uno stile di vita secondo il Vangelo. A me sembra che il punto dolente sia questo: diventa sempre più difficile trasmettere la fede ed impegnarsi con fantasia creativa per fare lievitare con il Vangelo i vari ambiti della nostra vita.

In Bangladesh ho realizzato alcune iniziative per introdurre la Parola Dio nella famiglia. Ho stampato una Bibbia per i bambini, riccamente illustrata, come strumento in mano ai genitori per raccontare ai loro figli la storia della salvezza e per fare conoscere loro le grandi figure di uomini e di donne che hanno camminato con Dio. Inoltre ho trascritto i quattro Vangeli in forma drammatizzata. Alla sera, qualche famiglia si organizza per leggerla insieme, distribuendo i ruoli dei vari personaggi. Questo metodo di lettura suscita il desiderio di entrare personalmente nel dramma del Vangelo. Gesù diventa l’attore principale e il regista che mette in evidenza le domande più profonde del cuore umano. Questo tipo di lettura aiuta a superare un atteggiamento di passività e di presa di distanza nei confronti della Parola di Dio. Non sono poche le famiglie che, dopo la ‘recita’ collettiva di un brano evangelico, si scambiano domande, riflessioni e preghiere sulla Parola di Dio divenuta attuale per la propria vita. Nel ‘gioco dei ruoli’ si comincia a mettere allo scoperto la propria mentalità, i propri sentimenti, le difficoltà e le esperienze di vita cristiana. Se Pietro, Andrea, Tommaso, il paralitico, la samaritana, il fariseo, Zaccheo, Nicodemo… sono io, allora devo cominciare a rispondere personalmente a Cristo. Nel clima di ascolto della Parola di Dio, si sente il bisogno di lasciarsi interpellare e di rendere testimonianza della propria amicizia con Cristo.

Ritornando dal Bangladesh in Italia, ho incontrato tante famiglie fortemente coscienti dell’emergenza educativa. Costruire l’uomo e il cristiano non è un’impresa facile. La Chiesa è chiamata a farsi più presente in questo campo, proponendo itinerari di formazione per chi vuole veramente cambiare. Il maestro non può essere solo il prete. Nella storia della Chiesa il contributo in campo educativo si è molto espresso nelle istituzioni. Forse ciò ha creato nei genitori una certa mentalità di delega. Oggi si sente l’esigenza di valorizzare il potenziale della famiglia nel suo compito di assimilazione e di trasmissione del messaggio cristiano, non solo al suo interno, ma anche come interscambio con le altre famiglie. La famiglia che resta sola non riesce ad educare.

Per ricominciare a parlare di Cristo, di ‘piccola chiesa’ divenuta credibile, libera dall’affanno esteriore e dallo stordimento per ciò che non è essenziale, la famiglia cristiana non può prescindere dal nutrimento quotidiano della Parola di Dio.

La famiglia che si mette in stato di missione, si chiede continuamente: ’’Qual è la volontà di Dio per noi?’’ Nelle situazioni che cambiano non si può sfuggire a questa domanda. Una famiglia cristiana, che non si nutre della Parola di Dio, non riesce a rispondere adeguatamente alla decisione di fare nascere e crescere un figlio, alla scelta della propria vocazione, alla malattia, al benessere, al lavoro o alla disoccupazione, alla dittatura dei mass media, al tempo libero, all’ affettività e alla sessualità, al coinvolgimento nel sociale, al problema dell’integrazione, alla vecchiaia, alla solitudine e alla morte… Senza questo fondamento, le nostre formule di sopravvivenza si rivelano inadeguate, solo consolatorie e illusorie. A bene interpretarla, Parola di Dio ci offre risposte forti che ci permettono di vivere bene e di diventare dono per gli altri. Mi commuovo sempre quando incontro qualche famiglia che, anche in situazioni difficili, ha trovato una via sicura da percorrere. In una società disorientata, che a volte sfugge alle proprie responsabilità, la famiglia cristiana può diventare un seme di speranza.

In Bangladesh ho preparato un poster che è stato molto gradito. Esso porta questo messaggio: ‘’ Gesù Cristo è il Signore e l’Amico di questa famiglia: l’Ospite invisibile di ogni convito, Colui che ascolta in silenzio ogni conversazione’’. Una famiglia cristiana può qui verificare la propria fede: se sente Cristo come una presenza amica, se parla volentieri di Dio e con Dio, se cerca nella Parola di Dio luce e forza per farsi prossimo con chi ha bisogno.

Chi sono i veri clandestini?

Vicenza - 26 luglio 2010

Mi trovo, come missionario, in Bangladesh nella capitale Dhaka. Nessuna meraviglia che, dato il grande flusso migratorio, mi capiti di incontrare qualche bangladeshi che rientra dall'Italia per vacanza o anche in modo definitivo, per non essere riuscito a sostenere il peso economico di mantenere la propria famiglia all'estero.

Recentemente ho avuto un incontro emblematico. Viene da me una signora bangladeshi che vive a Ventimiglia. Ha una richiesta inaspettata: vuole che l'aiuti a prendere una casa in affitto a Ventimiglia! Le dico:''Ma signora, io vivo qui in Bangladesh! Da quanti anni lei si trova in Italia?'' Mi risponde:''Da sei anni''. Allora incalzo:''Ha imparato a parlare in italiano?'' Lei confessa:''No, perché mio marito non me lo permette". Le spiego:"Vede, signora, se lei sapesse un po' di italiano, crede che non troverebbe un'amica italiana pronta ad aiutarla per trovare una casa in affitto? Capisce bene che io da qui non posso fare niente per lei". Allora lei scoppia a piangere e mi tocca i piedi. Mi rendo conto di avere a che fare con un caso serio: questa donna musulmana, che vive in Italia da sei anni, non solo non capisce la nostra lingua, ma vive, a dire poco, in una situazione di isolamento e di penosa sudditanza.

Questa immigrata non rappresenta un caso isolato. Molto probabilmente suo marito ha un regolare contratto di lavoro. Ma egli si fa complice di una situazione che le nostre politiche migratorie non riescono a fronteggiare 'umanamente'. Abbiamo un buon numero di immigrati, specialmente donne musulmane, che si rifiutano o viene loro proibito di imparare la nostra lingua. Ci intenerisce lo spettacolo di donne che portano a spasso su un seggiolino il loro bambino. Con esse é forse possibile scambiare un sorriso, ma nulla di più. Ci passano accanto, vivono porta a porta, come persone auto emarginate che risultano per noi tagliate fuori da ogni vera comunicazione. Se la comunicazione non va oltre il gesto deferente, possiamo parlare di integrazione? Il lavoro degli immigrati ci è prezioso e viene pagato, si spera, giustamente. Essi apprezzano anche la nostra pizza ed i nostri spaghetti. Tutto qui? Che ne sanno della nostra cultura e della nostra religione? E noi che cosa sappiamo della loro cultura e della loro religione? Solo nell'ascolto reciproco si può realizzare un dono reciproco. Il primo passo dell'integrazione è una lingua condivisa.

Come missionario che vive in Bangladesh da più di 30 anni, posso assicurare che la lingua stabilisce un ponte di amicizia tra popoli e culture diverse. Questa è stata anche la grande esperienza di Matteo Ricci, missionario in Cina, morto a Pechino nel 1610. Sto applicando la lezione che anch'io ho imparato. Io credo che un bangladeshi che sceglie di vivere, di lavorare e di crescere come persona in Italia abbia il dovere morale di imparare la nostra lingua. Naturalmente anche noi dobbiamo attuare delle politiche che favoriscano una seria accoglienza. La sfida ha un fronte molto vasto: dobbiamo promuovere una presenza non solo legalizzata e non discriminante, ma anche degna di persone che hanno pari dignità umana ed ideali di vita meritevoli di essere sostenuti.

Come esperta di umanità, la Chiesa italiana deve investire energie nuove che superino in fantasia le politiche corte del governo. L'emigrazione può dare frutti meravigliosi negli ambienti di lavoro, nel campo scolastico, nei luoghi di socializzazione e, in particolare, nelle nostre comunità che si professano 'cattoliche'. Soprattutto attraverso i laici, bisogna mettere in atto atteggiamenti innovativi ed iniziative nel campo della comunicazione culturale. Dal parlarsi e dall'ascoltarsi in profondità possono nascere progetti comuni di fraternità. Questa era anche l'aspirazione del poeta bengalese Rabindranath Tagore che, nella sua raccolta poetica 'Ghitanjali', scriveva: "Mi hai chiamato in casa e mi hai fatto conoscere cose sconosciute; il lontano l'hai fatto vicino, l'estraneo fratello".








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