Articoli e lettere agli amici - 2019

p. Franco Cagnasso


2019


Evangelizzare accogliendo

p. Franco Cagnasso

Mondo e Missione – marzo 2019

In Bangladesh cresce il bisogno di supporto umano e spirituale. Padre Cagnasso racconta le opere realizzate nel segno dell'incontro

La vita del missionario è ricca di ripartenze: a Dhaka ho cambiato sede e incarico. Il Pime ha consegnato alla diocesi la parrocchia dove risiedevo, ormai ben strutturata. Ero incaricato della formazione di alcuni studenti universitari che vivevano con noi cercando, con impegno, la loro vocazione.

Ora che ci siamo tutti spostati nella nostra casa di Asad Gate, a Dhaka, questo incarico è passato a padre Francesco Rapacioli, mentre io mi occupo della gestione della casa e dei suoi molteplici servizi: accoglienza di ospiti, missionari che studiano o che hanno bisogno di cure, amici.

C'è anche il Sick Shelter: tre stanze dove alcuni giovani assistono gli ammalati senza mezzi economici. Un servizio utile ai pazienti e formativo per i ragazzi. Nonostante il cambiamento di residenza, non dimentico le altre iniziative che, in questi anni, sono cresciute "fra le mie mani" più di quanto sperassi. Fra queste, l'ostello dei marma a Bandarban, dove ospitiamo circa 150 ragazzi e ragazze, ventotto dei quali stanno concludendo il loro percorso di studi. L'anno scorso piogge e venti hanno danneggiato cucina, scuola e salone. Solo ora i lavori di riparazione sono cominciati.

Anche Dino e Rotna, una coppia di insegnanti cristiani, continuano ad aiutare le ragazze della baraccopoli in cui vivevano. Hanno iniziato 15 anni fa insegnando ricamo, taglio e cucito, poi hanno aperto una scuola. La presenza regolare in classe viene garantita offrendo a tutti il pranzo ogni giorno. Il numero di studentesse (e di pasti serviti) cresce e questa iniziativa si dimostra anche un valido argine contro la pratica dei matrimoni precoci.

INFINE la Comunità dell'Arche, che a Mymensingh accoglie 24 persone con disabilità mentali, mi ha proposto una piccola sfida. Aiuto i non disabili che vivono insieme a loro a riflettere sulle motivazioni e sullo spirito per formare comunità armoniose nella loro complessità.

Ci sono persone con gravi problemi di apprendimento e comunicazione, altre sane, donne e uomini, musulmani, indù e cristiani, aborigeni e bengalesi... In questa diversità il punto di riferimento è Gesù, che ha detto: «Quello che avete fatto ad uno di questi piccoli l'avete fatto a me». Incoraggio ciascuno a cercare nella propria religione le ragioni per questo delicato servizio. Molti dicono che all'inizio era tutto difficile, ma hanno capito che vivere in questa comunità, con i disabili, è un dono di Dio. Questa vita trasforma tutti in meglio, aprendo orizzonti di maggiore umanità e sensibilità. E infatti, mentre persone con vari tipi di guai continuano ad accostarmi per avere aiuti, cresce anche il numero di chi desidera "soltanto" attenzione, consiglio e accompagnamento spirituale. Ogni incontro con queste persone è per me sorpresa, gioia, gratitudine, e mi fa ripensare spesso a Gesù che evangelizza accogliendo: Nicodemo, la Samaritana... Scendere fra i piccoli è ciò che Dio stesso compie in Gesù, e io credo che continui a compierlo, affinché possiamo accoglierlo senza paura.

Buddha e Gesù nell'ostello tribale

Chiara Zappa

Mondo e Missione - dicembre 2019


In una remota regione del Bangladesh meridionale un progetto sostenuto da padre Franco Cagnasso offre un'istruzione ai ragazzi della minoranza marma, vittima di discriminazioni e abusi

Tra i monti verdissimi di Bandarban, quando le nuvole basse si diradano, spiccano le cupole dorate delle pagode che paiono toccare il cielo. In questa remota regione del Bangladesh meridionale al confine con il Myanmar - quel confine attraversato negli ultimi anni da centinaia di migliaia di rohìngya in fuga - la vita dei tribali aborigeni, tradizionalmente lasciati ai margini dalla maggioranza bengalese, è quanto mai dura, caratterizzata da soprusi, sottrazione di terre, povertà estrema, intolleranza su base etnica e religiosa. Per questo è ancora più sorprendente trovare, nel distretto collinare del Chittagong Hill Tracts, un ostello creato appositamente per ospitare e dare un'istruzione a ragazzi e ragazze della piccola minoranza marma, buddhisti, che però nella loro sala della preghiera hanno sistemato anche un crocifisso e una statua della Madonna, davanti a cui lasciano di tanto in tanto frutti, incenso, dolci.

Sorride nel raccontarlo padre Franco Cagnasso (nella foto qui a fianco), missionario del Pime in Bangladesh, che a quest'ostello ha creduto fin dagli inizi, ormai sedici anni fa, accompagnandone poi la crescita, a tratti travagliata, fino ad oggi.

Padre Franco, nato a Susa (Torino) nel 1943 e attualmente rettore della casa del Pime di Dhaka, è un veterano del "Paese del Bengala", dove approdò nel 1978. Eletto però vicario generale dell'Istituto nel 1983 e poi per dodici anni alla guida dello stesso (dall'89 al 2001), dovette lasciare la sua missione fino al 2002. «Quando tornai, assunsi l'incarico di direttore spirituale e insegnante al Seminario teologico di Dhaka», racconta. «Non avendo ricevuto responsabilità che comportassero impegni economici, come la direzione di una scuola o una parrocchia, decisi che avrei dirottato gli aiuti provenienti dalla rete di amici e sostenitori su iniziative locali che avrei giudicato valide». Le occasioni non tardarono e ne nacquero alcune esperienze bellissime e durature, come la relazione con Dino e Roma, una coppia di maestri locali fautori di una scuola per bambine poverissime in una baraccopoli di Dhaka. «Ma tra le iniziative andate a buon fine, a cui si è aggiunto anche qualche inevitabile insuccesso quando il referente di turno non si è rivelato purtroppo affidabile, quella che mi è più cara - confida il missionario - riguarda proprio, in un Paese a stragrande maggioranza islamica, la collaborazione con i marma, buddhisti!».

Come è nato quest'inedito rapporto? «Un giorno - era il 2003 -mi trovavo nel giardino del Seminario e mi accorsi di un giovane che si guardava attorno smarrito. Lo accostai e gli chiesi: "Chi cerchi?". E lui: "Qualcuno che mi ascolti". Si chiamava Mong Yeo Marma, era laureato in letteratura inglese e lavorava in città. Mi disse di aver da poco ricevuto la visita di un ex compagno di college, monaco buddhista e marma come lui, bonzo in un piccolo monastero di un remoto villaggio del Sud, Betchara, che gli aveva raccontato la sua opera a favore di un gruppo di bambini poveri a cui stava permettendo di frequentare la scuola ospitandoli presso di sé, oltre il fiume che tagliava fuori le loro case da qualunque contatto con contesti più avanzati. Il monaco, però, aveva estremo bisogno di aiuto, tanto che Mong Yeo aveva deciso di lasciare il lavoro per andare ad aiutarlo. Quel giorno, passando nei pressi del Seminario, il giovane aveva notato la targa sul cancello e, conoscendo un poco l'opera dei missionari visto che aveva studiato in una scuola cattolica, era entrato d'istinto per cercare supporto». Padre Cagnasso non negò un piccolo contributo: «Gli diedi quattro soldi per le zanzariere per una trentina di bambini, e lui se ne andò contento, convinto che Dio avesse voluto quel nostro incontro».

Per caso o per Provvidenza, in effetti venne fuori che uno studente del Pime era originario proprio di un villaggio non lontano da quello dove operava il bonzo. «Gli diedi l'incarico, durante le vacanze, di verificare il racconto dello sconosciuto: lui lo fece e mi confermò che l'iniziativa era seria. Cominciai così a sostenerla con più decisione».

Quel Natale, padre Franco ricevette la visita dei suoi parenti dall'Italia. «Ci trovavamo nella casa del Pime di Dhaka - ricorda -, quando arrivò senza preavviso Mong Yeo a farci visita, portando un sacco di regali: prodotti tipici, yoghurt, tamarindo... Conobbe mia sorella e mio cognato e, da quell'incontro, nacque una collaborazione tra la parrocchia di S. Lucia a Bergamo, dove vivono questi miei familiari, e il progetto a sostegno dei ragazzi marma».

Negli anni seguenti l'intervento si sviluppò: furono costruite casette per ospitare i bambini e sembrava che tutto andasse bene. Finché la situazione, nella zona, si infiammò: un gruppo di ribelli in contrasto con il governo del Myanmar attraversò il confine e si stanziò nella regione. La gente si trovò in mezzo al fuoco incrociato di esercito bengalese e gruppi di miliziani, entrambi dediti a taglieggiare gli abitanti, i quali alla fine in gran parte abbandonarono case e proprietà e fuggirono. Il bonzo di Betchara fu trasferito, i maestri scapparono: tutto sembrava finito. «Ma proprio allora, in un altro villaggio vicino a Bandarban, un contadino analfabeta offrì in dono alla pagoda locale un terreno con la condizione che venisse usato per istruire i ragazzi marma. Il bonzo contattò Mong Yeo e gli propose di avviare lì un nuovo progetto». Nacque così, con l'aiuto dei benefattori che accettarono di rimettersi in gioco, l'ostello Hill Child Home, gestito da un comitato che riuniva abitanti del villaggio, monaci buddhisti e alcuni maestri, i quali selezionavano i bambini da accogliere - gratuitamente - tra i più poveri, quelli senza famiglia o provenienti dai villaggi più isolati.


«All'inizio avevano davvero pochi mezzi, dovevano andare a prendere l'acqua lontano», racconta il missionario del Pime. «Poi, piano piano, è stato costruito un piccolo centro con un pozzo e una scuola. Il progetto si allargava rapidamente. Io, che stavo a Dhaka, indicavo a Mong Yeo il numero massimo di ragazzi da accogliere, ma lui continuava a superarlo per non mandare via i più poveri».

In effetti, quando padre Franco riusciva a raggiungere Bandarban - undici ore di viaggio dalla capitale, con tanto di autorizzazione per poter entrare nella regione dei tribali - la situazione si mostrava nella sua drammaticità.

«La zona era e resta militarizzata nonostante il trattato di pace che pose fine alla guerriglia oltre vent'anni fa, e questa condizione favorisce gli abusi nei confronti dei tribali, che vengono sistematicamente espropriati delle loro terre. Gli stessi militari incentivano i propri parenti ad andare al Sud per occupare le proprietà degli aborigeni, di religione buddhista, cristiana o animista. Spesso si parte da una rissa provocata ad arte fra donne bengalesi e tribali, per fare intervenire gli uomini che bruciano case, picchiano e arrivano a uccidere. La polizia interviene a cose fatte e afferma che solo il giudice stabilirà chi ha ragione; così i bengalesi restano sul terreno occupato e i tribali non osano tornare».

All'interno della Hill Child Home, dove oggi studiano più di 150 studenti, dalla prima classe alla decima (corrispondente alla quinta ginnasio), il clima che si respira è completamente diverso. I ragazzi, alcuni dei quali attualmente sono anche mrong, chakma o di altre minoranze della zona, convivono in serenità, e tutti hanno imparato a conoscere i cristiani: in che cosa credono, quali valori hanno, persino come pregano.

Racconta padre Cagnasso: «Quando da Dhaka andiamo a visitare i ragazzi dell'ostello, noi cristiani assistiamo alla loro preghiera buddhista, poi io celebro la Messa e chi vuole si ferma ad assistere. Anche alcuni bonzi partecipano. Capita che, dopo la celebrazione, qualche monaco chieda di parlare del Vangelo ascoltato. I bambini, poi, ci hanno chiesto i libretti dei canti cristiani e li hanno imparati, mentre amano portare candeline, incenso, fiori e frutta davanti alla statua della Madonna, come fanno con quella del Buddha».

Non c'è timore che vogliate convertire i ragazzi? «Qualcuno, dall'esterno, lo teme, ma chi ci conosce ha capito bene che non siamo certo lì per "vendere" la nostra religione. Capita, poi, che qualcuno voglia avvicinarsi davvero al cristianesimo: in questi casi è molto importante il discernimento, fare capire che la conversione non è la scelta di imitare una persona che si stima, una specie di "guru", ma l'ingresso in una comunità».

Nel frattempo, continua questo cammino di amicizia e solidarietà. Recentemente, sul terreno dell'ostello sono state messe a dimora migliaia di piante da frutta: manghi, litchi, betel, che si sono aggiunti agli alberi di gomma piantati in precedenza e che dovrebbero rendere la struttura autosufficiente. Fuori, tuttavia, l'arrivo dei profughi rohingya cacciati dal Myanmar minaccia seriamente di aggravare la situazione per i tribali. Il loro timore è che, alla fine, i nuovi venuti occuperanno le loro terre, ' tollerati dai bengalesi in quanto più vicini a sé dal punto di vista culturale e religioso rispetto a buddhisti e cristiani. Due piccole minoranze che cercano di resistere, e che - come dimostra la storia della Hill Child Home - ci riescono meglio quando si sostengono a vicenda.

Natale 2019. Carissimi amici...

Dinajpur - dicembre 2019

Carissimi Amici,

Rientrato dalle vacanze in Italia a fine ottobre, e subito sommerso da telefonate, appuntamenti, e viaggi, solo oggi, 10 novembre, inizio a scrivere la mia lettera natalizia. Purtroppo, molti la riceveranno dopo Natale; chiedo scusa.

Prima notizia: dopo quasi cinque anni, sono ritornato a Bandarban, all’ostello dei Marma! Il governo dichiara quella regione “pericolosa”, e ne vieta l’accesso agli stranieri. Ma carissimi amici di Lecco: Betta, con il figlio don Tommaso, la figlia Marta e il genero Alessio sono venuti in Bangladesh proprio per andare là, all’ostello “Hill Child Home”. Da quasi dieci anni onorano la memoria del marito e papà Antonio aiutando tanti bambini e bambine Marma a ricevere qui una buona educazione e formazione, cui non avrebbero accesso nei remote villaggi del sud-est. Con fatica abbiamo ottenuto i permessi, per un giorno soltanto; ma è stata una giornata intensissima, piena di gioia. Sono circa 150 i residenti, che studiano dalla prima elementare alla classe decima. L’amico Mong Yeo, fondatore e direttore, continua il suo ottimo lavoro educativo, organizzativo, e… di zappa, lavorando insieme ai ragazzi anche nel bosco o nell’orto. Insieme ai Marma buddisti ci sono da qualche tempo anche studenti di altre popolazioni minoritarie: Chakma, Mrong, Maung, fra cui alcuni cristiani. Le piantagioni di gomma e di frutta incominciano a produrre, facendo sperare che renderanno l’ostello autosufficiente o quasi.

Sono numerosi i giovani cresciuti a Hill Child Home, che ormai hanno preso la loro strada. Alcuni hanno famiglia, parecchi si fanno vedere spesso, anche per cooperare. Nessuno finora occupa posizioni sociali di rilievo, ma per noi l’obiettivo principale è raggiunto preparando tutti ad una vita onesta, dignitosa, libera dalla miseria che assilla chi è costretto a migrare in città senza alcuna preparazione.

Spiegando il Vangelo a Bandarban

Insieme agli amici, sono poi andato a Rajshahi, nel nord ovest del Bangladesh. La visita ci ha regalato tra l’altro uno scorcio incantevole del Gange ricco di acqua, mentre il sole tramontava dietro la riva indiana. Al Centro Assistenza Ammalati abbiamo incontrato le quattro Suore di Carità (Maria Bambina), che ne hanno la responsabilità. Anche a loro nome vi ringrazio perché continuate ad aiutare quest’opera, con due sezioni, generale e per ammalati di tubercolosi, che funzionano regolarmente, mentre l’ambulanza tutti i giorni fa la spola per accompagnare sempre nuovi pazienti da medici, ospedali, laboratori clinici.

Ogni anno centinaia di ammalati poveri sono accolti in un ambiente dove persone di gruppi etnici, religioni, età diverse familiarizzano. Accomunate dalla prova della sofferenza, sperimentano una solidarietà che qualcuno di loro non aveva mai neppure immaginato.

I 40 bimbi e giovani che formano la comunità di Snehonir, la Casa della Tenerezza, ci hanno dato il benvenuto con il solito entusiasmo. Ciascuno ha il suo fardello di disabilità fisica o di problemi famigliari e di povertà, ma il fardello diventa sopportabile perché ci si aiuta e ci si rispetta; non è la disabilità che trova risalto, ma l’abilità di vivere bene nonostante la disabilità, e l’importanza di aiutarsi. Recentemente, la comunità ha vissuto un momento straordinario. Martin Tudu, 35 anni, dopo un incidente accaduto giocando al calcio, aveva trascorso molto tempo a Snehonir fra cure, operazioni e delusioni. Poi, pur costretto a vivere su una barella, si è reso autonomo: lavora come contabile e gestisce una scuola di computer. Nessuno pensava che fosse possible; invece, il 10 luglio ho benedetto il suo matrimonio con Antonietta – originaria dello stesso villaggio – e pochi giorni fa sono stato loro ospite per il pranzo. Un matrimonio che è per tutti un incoraggiamento più efficace di tante parole.

Fra i molti giovani che aiutiamo negli studi, il primo che ho incontrato al mio ritorno è stato un universitario della popolazione Tripura, che a prezzo di grandi sacrifici fa studiare a Dhaka anche due sorelle e il fratello minore. La gioia di comunicarmi che una sorella ha superato gli esami pre universitari, ha finalmente aperto una breccia nel suo silenzio ostinato e corrucciato, che da anni mi preoccupava: è riuscito a confidarsi a proposito delle sue dolorosa esperienze in famiglia e in università, e delle sue speranze. Aiutando gli studenti a coprire le loro spese, cerco sempre di creare un rapport di fiducia, perché sentano che qualcuno li accompagna con affetto, e stima.

Ho lo stesso obiettivo anche con i molti ammalati che si rivolgono a me. La loro situazione diventa sempre più insopportabile. Il progresso della medicina significa visite mediche più costose, esami clinici numerosi, sofisticati, ripetuti, e interminabili liste di medicine… tutto a carico del paziente, che non gode di assistenza sanitaria, e perde il posto di lavoro anche dopo pochi giorni di assenza. Ad alcuni possiamo dare un aiuto, ma per molti non siamo in grado di affrontare spese tanto alte; insieme cerchiamo di accettare la realtà che potrebbero guarire, ma… non si può.

Che ne è di Dino e Rotna e della loro scuola nella baraccopoli? Si è formata attorno a loro un giro di amici che li sostengono generosamente, tanto che stanno ora costruendo un edificio in cui ospiteranno 250 bambine e bambini poveri. Ho spiegato a Dino che, da parte mia, indirizzerò ad altre persone e iniziative in necessità le risorse che ricevo, come feci con loro oltre 15 anni fa, quando erano soli a compiere i primi passi. Il mio (nostro!) obiettivo è raggiunto: l’iniziativa locale di questi due cristiani di buona volontà aiuta tanti poveri, di ogni religione, e ora continua con le sue forze. Noi possiamo rivolgerci ad altri più deboli.

Dall’Italia ho portato con me l’emozione della condivisione con famigliari e persone amiche, il rammarico di non aver potuto rivedere tutti, l’esperienza di incontri con famiglie, comunità, iniziative che mi hanno “ricaricato”, in sintonia di ideali e impegni. Ma ho percepito pure un’atmosfera diffusa di aggressività, incapacità di ascoltarsi reciprocamente, smarrimento, che non sa vedere e apprezzare il bene e il bello. Il mistero del Natale del Signore ci aiuti a coltivare la fiducia nell’amore che Dio ci offre, a rispettarci, a vivere con serenità incertezze e disagi, con gratitudine il molto che ci è dato.

A tutti un affettuoso augurio di buon Natale, per tutti una preghiera

p. Franco Cagnasso