Articoli e lettere - 2016

p. Michele Brambilla


Articoli e lettere 2016



Buona Pasqua

Kodbir, 20 marzo 2016

Carissimi amici,

tanti saluti dal Bangladesh.

Stiamo entrando nella Settimana Santa che coinvolgerà tutti noi, credenti e non credenti, coloro che vivono una fede superficiale e coloro che aumentano la loro fede giorno dopo giorno. Colui che morì 2000 anni fà non può lasciare indifferente nessuno. Siamo chiamati a dare un senso alla nostra vita e per coloro che cercano la verità non possono non farsi questa domanda: chi è costui, perchè ha dato la vita per tutti?

Ho vissuto una quaresima molto diversa dalla precedenti: niente visite ai villaggi, catechesi e confessioni. I nuovi incarichi ricevuti dal Pime e dalla Diocesi mi tengono impegnato altrove e solo nel fine settimana posso raggiungere la parrocchia per assistere colui che è il mio assistente: padre Emanuele Meli da oltre 40 anni in Bangladesh che sta portando avanti il lavoro pastorale con tante innovazioni. Sono contento che abbia accettato di venire a Kodbir all’età di 73 anni.

Attualmente sono molto impegnato in ospedale per capire come funziona e cercare di condurlo nel migliore dei modi, con efficenza ma sopratttutto con carità. Giorno dopo giorno vengo a contatto con situazioni diverse e prendere decisioni sulla salute delle persone non è mai facile. Cerco per quanto mi è possibile di visitare i nostri poveri, cristiani e non, che hanno bisogno di

cure ma anche di qualche buona parola... e non solo loro. Il mondo della sofferenza permette di guardare alla croce con particolare attenzione e ci fa riscoprire la presenza di Colui che è morto e risorto ed è vicino a tutti noi in particolare a coloro che soffrono nel corpo e nello spirito.

L’altro grande impegno è nella comunità Pime, molto variegata, con tanti carismi, fatta di sacerdoti e fratelli che condividono la stessa scelta di seguire Colui che ci ha chiamato e servirlo nei nostri fratelli vicini e lontani. Una comunità non piccola, siamo in 29 sparsi in 3 diocesi, ma cerco di chiamarli e informarmi sulla loro salute e attività.

Infine, come lo scorso Natale, sarà anche questa una Pasqua blindata con la polizia che staziona dove viviamo e che ci accompagna nei nostri spostamenti. Mi dico sempre che oltre all’angelo invisibile ne ho uno che posso salutare e con cui scambiare qualche parola. Pregate affinchè anche questa situazione di insicurezza possa presto tornare alla normalità.

A voi tutti i miei auguri di una serena e Santa Pasqua.

Un abbraccio a tutti

p. Michele

Superiore Pime in Bangladesh: la gioia della mia missione tra i tribali, dove si convertono interi villaggi

AsiaNews - 24 ottobre 2016

P. Michele Brambilla racconta i 10 anni di missione al servizio dei tribali locali. Nel nord del Paese la Chiesa “deve essere costruita dalle fondamenta”. Nel 2013 diviene il primo parroco di Kodbir. La missione differenziata in vari campi: annuncio del Vangelo; educazione; assistenza ai malati; aiuti economici. Dal 2015 dirige l’ospedale diocesano a Dinajpur. “Anche musulmani e indù hanno bisogno di una parola di conforto”.

“La cosa più bella della mia missione è stato quando abbiamo formato dei catecumeni che potessero portare nei villaggi la parola di Dio. E grazie a questo lavoro, 10 villaggi hanno chiesto di diventare cristiani. Ciò testimonia la condivisione del messaggio cristiano, quando un’intera comunità condivide insieme tutti i momenti, dal battesimo alla morte”. Lo dice p. Michela Brambilla, superiore regionale del Pime (Pontificio istituto missioni estere) in Bangladesh. Ad AsiaNews egli racconta i 10 anni di missione nel Paese asiatico, dove è stato inviato per servire la popolazione tribale. “La Chiesa qui si deve costruire dal principio”, racconta, e per “me come missionario una sola è la gioia più grande: vedere la comunità che fa un cammino e lo porta a termine. Tutto si può costruire – scuole, dispensari – se si hanno i soldi; e quando accade è una cosa bella. Ma ancora più bello è vedere il percorso di un popolo, che fa un passo avanti e due indietro, ma alla fine accoglie la vita cristiana”.

P. Brambilla è originario di Pessano con Bornago, vicino Milano, e racconta che la sua vocazione missionaria è maturata fin da giovane, quando da piccolo leggeva la rivista “Italia Missionaria” (attuale “Mondo e missione”) edita dall’ordine dei padri missionari del Pime. Nel contesto familiare sviluppa la sua scelta di vita, osservando l’esempio di uno zio sacerdote della congregazione cui appartiene e di un fratello che ha lavorato diversi anni in Cina, prima di essere espulso.

Ricordando l’età giovanile, il missionario racconta anche di “aver pensato al matrimonio, perché davanti a me avevo l’esempio del grande amore dei miei genitori”. Ma poi è arrivata quella che lui chiama “intuizione: il fatto che forse quello che avevo fatto fino a quel momento non era tutto”.

Si confida con un sacerdote del Pime e inizia un percorso di discernimento con un altro missionario, p. Alberto Caccaro, che oggi è tornato a lavorare in Cambogia. Dopo gli studi nei seminari di Roma e Monza, e un breve periodo a Detroit per perfezionare la lingua inglese, nel 2007 p. Brambilla ottiene la destinazione missionaria: il Bangladesh.

Qui a Dinajpur, nel nord, inizia la sua missione vera e propria, al servizio delle minoranze tribali, in gran parte di etnia santal e orao.

Nel 2009 viene destinato come assistente del parroco nella parrocchia di Dhanjuri, di origini antiche e fondata dai sacerdoti del Pime. “Di bengalese non c’era nessuno – ricorda –: il parroco era orao e l’assistente khota”. Per tre anni egli si occupa in particolare di pastorale nei villaggi, dove svolge catechesi e incontra la popolazione.

Al termine di questa prima assegnazione, nel 2012 viene destinato a Kodbir, in quello che era il sotto-centro della parrocchia di Dhanjuri. Lì inizia un’opera missionaria “faticosa ma appagante, dal momento che la zona si trova al confine con l’India e i villaggi sono abitati in maggioranza da tribali non cristiani”.

La gioia più grande, racconta, “è avvenuta il 16 novembre del 2013, quando il sotto-centro è diventato una parrocchia vera e propria”. Da una piccola costruzione di due stanze, edificate per accogliere p. Brambilla e altre due suore che con lui hanno iniziato “quell’avventura”, oggi la parrocchia “è autonoma e comprende 42 villaggi santal, di cui sei a maggioranza cristiana. In altri 22 ci sono alcuni cristiani, mentre il resto è non cristiano”.

Il superiore regionale riporta che a Kodbir – dove è stato il primo parroco – egli ha differenziato l’opera missionaria in vari campi: “L’annuncio del Vangelo nella persona di Cristo; l’educazione dei ragazzi; l’assistenza sanitaria ai poveri e agli ammalati; l’aiuto economico alle comunità locali in modo da migliorare il loro tenore di vita”.

Per l’ambito educativo, la parrocchia gestisce una “scuola elementare per tutti, frequentata da ragazzi cattolici, tribali e musulmani”. “Tutti vengono accolti”, riferisce, a prescindere dall’appartenenza religiosa, “e oggi se ne contano 163 in tutto”. I giovani ricevono un’ulteriore formazione servendo negli ostelli delle altre missioni. Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, nella parrocchia operano le Missionarie dell’Immacolata (Congregazione femminile associata al Pime), che “gestiscono un dispensario medico, dove vengono curati soprattutto musulmani. I malati pagano solo le medicine, mentre la visita e le cure delle suore sono offerte in modo del tutto gratuito”.

Dal punto di vista sociale, il sacerdote spiega che a Kodbir “è presente una Credit d’union, una sorta di cooperativa del credito dove le persone possono chiedere dei prestiti a tassi agevolati”.

Secondo p. Brambilla, fare missione “significa metterci la testa” e questo si traduce anche nelle piccole cose, come la gestione della Credit d’union: “L’ho presa in gestione non perché fossi il parroco, ma perché serviva qualcuno che potesse essere un punto di riferimento. E per farlo, ho studiato tanto”. “L’esperienza più bella di questi anni – racconta – è stato formare dei cristiani che potessero diffondere la Parola di Dio e condurre la preghiera della domenica nei villaggi. Per questo con i miei due catechisti a tempo pieno e una suora abbiamo formato un ‘syllabus’ per il catecumenato, cioè la preparazione dei non cristiani che devono imparare ad abbandonare alcune tradizioni tribali. E in questi tre anni, 10 villaggi hanno chiesto di diventare cristiani”.

Oggi i “catecumeni in totale sono circa 300, ma non sappiamo quando saranno pronti per il battesimo. In linea di massima, il cammino di accostamento alla vita cristiana dura circa cinque anni, durante i quali i tribali devono rinunciare alla cultura e alle credenze. Ma non esiste un tempo predefinito”. La nomina a superiore regionale del suo ordine p. Brambilla l'ha ricevuta nel novembre 2015: “Non me l’aspettavo, credevo di dover svolgere ancora del lavoro nei villaggi”. “L’esperienza a Kodbir – afferma – me la porterò sempre nel cuore, perché lì ho trovato rapporti umani autentici”.

A Dinajpur dirige il St. Vincent Hospital, l’ospedale diocesano locale, dove si recano in maggioranza musulmani. “In ospedale assistiamo tutti e siamo ben visti dalla gente, soprattutto per la presenza delle suore che tengono tutto in ordine e pulito”. “Ogni tanto, quando ho tempo – ammette in conclusione – faccio un giro per i reparti, perché mi rendo conto che i malati hanno bisogno di una parola di conforto. Ciò accade anche per i musulmani e gli indù. Faccio un piccolo esempio: all’esterno della sala nursery dove vi sono i neonati nelle loro culle, c’è una grande statua della Madonna. Ogni giorno vengono accese dalle 10 alle 15 candele ai piedi della Vergine, in base al numero di bambini nati. Se si considera che viene partorito al massimo un bambino cristiano al giorno, si può capire bene come le altre candele siano accese dai fedeli di altre religioni”.

Lettera di Natale

AsiaNews - Dinajpur - 16 dicembre 2016

Lo scorso anno p. Michele Brambilla è stato nominato superiore regionale. Ha lasciato la parrocchia di Kodbir, dove è stato il primo parroco, per trasferirsi a Dinajpur. Un anno difficile, segnato dagli attentati terroristici, dalla nostalgia e dall’entusiasmo per il nuovo incarico.

Il 2016 “è stato un anno intenso, dove il male sembra aver dominato in tutto il mondo”. Lo dice ad AsiaNews p. Michele Brambilla, superiore regionale del Pime (Pontificio istituto missioni estere) in Bangladesh. Egli ripercorre l’anno appena trascorso, segnato da episodi di violenza di matrice islamica, ma anche dall’emozione per il nuovo incarico. Nominato superiore nel novembre 2015, ha lasciato la parrocchia di Kodbir dove era stato il primo parroco. Ora, diviso tra il sentimento di nostalgia e la consapevolezza che è “arrivato il momento di lasciare ad altri la responsabilità della parrocchia”, chiede di pregare per il Bangladesh, affinchè quello del 2016 sia un Natale di pace. Di seguito la sua lettera.

Carissimi amici,

tanti saluti dal Bangladesh.

Da alcuni giorni sembra di essere in Italia. Il freddo si fa sentire e il sole compare solo due-tre ore al giorno. La gente cerca di sfruttare queste poche ore per far seccare il riso appena tagliato per poterlo vendere al mercato.

Vi scrivo dall’ospedale San Vincenzo di Dinajpur che appartiene alla diocesi in cui lavoro. Da quando il vescovo mi ha chiesto di esserne il direttore passo molto del mio tempo in questa struttura cercando di condurla bene. È un luogo bello, pulito, dove il personale cerca di assistere i malati prestando loro le cure necessarie. Si vorrebbe fare sempre di più per aiutare i malati ma le risorse economiche ed in particolare le cure che possiamo dare non coprono tutti i casi che si presentano. Il reparto con più lavoro è quello della maternità che non ha orari e dove la presenza del nostro personale è più numerosa.

La parrocchia la sto lasciando piano piano. Dal prossimo gennaio uno dei due padri del Pime presenti in parrocchia sarà nominato parroco al mio posto. Continuerò a recarmi a Kodbir per un anno per seguire la cooperativa di credito e i lavori per la cucina e il refettorio del centro di formazione. Anche se a malincuore, ritengo che sia arrivato il momento di lasciare ad altri la responsabilità della parrocchia. Entrambi i futuri candidati sono molto bravi e stanno lavorando bene insieme. Non ritengo che la nomina di uno dei due a parroco possa rovinare l’armonia che si è creata tra di loro. A voi chiedo di continuare a sostenere questa giovane parrocchia con il vostro aiuto e le vostre preghiere.

Durante quest’anno ho lasciato del tutto il lavoro pastorale per dedicarmi a quello di direttore dell’ospedale e di superiore della comunità Pime in Bangladesh. Devo dire che mi è mancato molto il lavoro tra la gente e quando posso cerco di recarmi in parrocchia per svolgere un po’ di ministero sacerdotale. Durante questo periodo di Avvento mi sto recando nella parrocchia di san Giuseppe a Mohespur dove un giovane prete del Pime ha assunto l’incarico di parroco. Cerco di aiutarlo secondo le mie possibilità e con lui e questa comunità prepararmi a celebrare bene il santo Natale.

È stato un anno intenso dove il male sembra aver dominato in tutto il mondo. Anche il Bangladesh è stato colpito duramente e la tragedia dello scorso primo luglio, dove diversi stranieri fra cui tanti italiani hanno perso la vita, è stato il segno più evidente di questo male. Da allora la situazione sembra migliorare. Siamo sempre scortati dalla polizia durante i nostri spostamenti, ma non si hanno altre notizie di attentati singoli o collettivi. Ci auguriamo che presto possa tornare la pace, che è l’augurio che faccio a ciascuno di voi per questo santo Natale. Che sia un Natale di pace.

A voi tutti un grande...e grosso abbraccio.