Articoli e lettere agli amici - 2020

p. Franco Cagnasso


2020




Mandiamo i ragazzi all'università

Mondo e Missione - aprile 2020

In Bangladesh un nuovo progetto garantisce borse di studio per aiutare i giovani più svantaggiati ad accedere alla formazione universitaria: un modo per proseguire l'azione dei Sostegni a distanza

Lo lascio davanti a un bel piatto stracolmo di riso e un pezzo di pollo. Rientro dopo un attimo... piatto e zuppiera sono vuoti. «Caspita, hai spazzolato tutto a tempo di record!». Sorride... «Era proprio buono, l'ho gustato». «Non ne vedi molta di carne, vero?». «Mangio sempre riso e patate; a volte anche un pomodoro».

Quattro anni prima, Michael mi era comparso davanti smarrito e teso. Gli avevano detto che padre Franco aiutava parecchi studenti, e allora... Originario di un remotissimo villaggio di aborigeni tripura, nel Sud, aveva studiato a Dhaka nel seminario di un Istituto religioso, uscendone dopo il liceo. Racimolati quattro soldi, si era iscritto all'università ottenendo un posto nell'ostello statale, ma non ce la faceva ad andare avanti. Dopo due lunghe chiacchierate, e i dovuti controlli, capii che diceva la verità e m'impegnai a dargli una piccola somma mensile. Incominciò a telefonarmi, o a cercarmi per chiedere di più, sempre stanco e corrucciato: i libri, l'autobus, una medicina, l'affitto... «Affitto? Ma non stavi all'ostello?». «Quelli della sezione giovanile del partito Awami mi hanno cacciato dicendo: "Qui ci stiamo noi!". Impossibile ribellarsi. Ora, in quattro, affittiamo una stanza molto lontana; dormiamo per terra, cuciniamo noi». A ogni incontro Michael chiedeva, e io mi arrabbiavo, cercando di fargli capire che doveva trovare qualche lavoro a tempo parziale, dare lezioni... Ascoltava, zitto; poi tornava ancora a chiedere. Finché, un bel giorno, scoprii che c'era un imbroglio: sì, dava lezioni e faceva qualche lavoretto, ma con ciò che riceveva da me e il poco che guadagnava Michael tentava di mantenere e far studiare anche le due sorelle minori, e non osava dirmelo. Sfido io che un pomodoro ogni tanto era un lusso! Mi confidò, angosciato, che il suo villaggio era un inferno devastato dall'alcolismo, da cui era affetto anche suo papà, disse che era disposto a tutto per non lasciare le sue sorelle in quell'ambiente corrotto e violento, destinate a sposare giovanissime qualche vecchio ubriacone... Potevo dirgli che mi aveva mentito, rimandare a casa le sorelle, smettere di aiutarlo? Feci conoscenza con le due "complici" del misfatto, e se mai avessi avuto una tentazione del genere, subito scomparve. Trisna e Trisha sono due ragazze timide, simpatiche, buone, e hanno una disperata voglia di studiare.

Proprio in quel periodo, l'Ufficio Aiuto Missioni del Pime stava pensando di organizzare un nuovo sistema per aiutare gli studenti: benissimo i Sostegni a distanza per bambini; ma se non si va oltre quel livello, ormai in Bangladesh si combina poco o nulla. Non si può far "assaggiare la torta dell'istruzione", che ti dà dignità e nuove possibilità, e poi portarla via dicendo: no, dopo le scuole medie non posso più aiutarti.

DA QUESTE ESIGENZE è nata l'idea delle borse di studio. Invece di offrire un contributo mensile fisso, uguale per tutti, la "borsa" fornisce un aiuto misurato sulle esigenze dello studente, che deve preparare un vero e proprio progetto: che tipo di scuola, per quanti anni, con quale spesa... Il missionario, di solito, consegna la somma a lui o lei, che poi dovrà render conto di come l'ha spesa, e dei risultati. Gli amici dell'Ufficio Aiuto Missioni mi incoraggiarono a presentare una richiesta. Trovarono presto un donatore e io, assicurata la borsa di studio per Michael, misi le mie risorse a disposizione delle sorelle, che studiarono in pace nell'ostello delle Suore di Carità, incoraggiate da suor Assunta, una santal che capisce i problemi di un aborigeno a Dhaka. Ora Michael ha finito di studiare, sta cercando un lavoro, e anche io sto cercando. Che cosa? Un donatore che offra una borsa di studio per Trisna, la più grande, accolta in una scuola dove potrà diventare un'ottima ostetrica. Ma ci sono anche Dipa, Suvo, James, Koly, Proshanto... nomi, volti e storie di parecchi giovani che hanno potuto studiare e con i quali la borsa di studio mi ha dato occasione di fare amicizia, raccogliere confidenze e qualche lacrima, insieme a sogni e speranze. Rita, una piccoletta piena di energie, è diventata infermiera e lavora a Bogra. Proshanto ha sposato Dipa (che dapprima aveva presentato come sua sorella...), hanno una bimba e si tengono in casa una tribù di nipoti e cugini, per fare studiare pure loro. James, giovane prete, si è laureato in legge per difendere i fuori casta della sua diocesi. Bisogna anche dire che non tutto va secondo i nostri piani. Lacki ha trovato un ostacolo: l'amore! Si è sposata, e il marito ha preso il posto della borsa di studio, sostenendo lui le spese. Ema invece, testarda, ha insistito per iscriversi al corso di Computer engineering, ma ha gettato la spugna: la tecnologia non fa per lei. E Mitra? La famiglia non può neppure assicurarle il riso quotidiano, però vuol diventare medico; cerca cerca, ha trovato chi le ha fatto credito per iscriversi, chi la tiene in ostello, chi la sostiene con una borsa di studio. Noi che la conosciamo, stupiti, teniamo il fiato sospeso: ce la farà? Le borse di studio sono un "investimento" nella giovinezza e una iniezione di speranza che tanti giovani meritano.

p. Franco Cagnasso

Auguri natalizi

Dhaka - Natale 2020

Carissimi Amici,

Hariful Islam, studente universitario, nel 2009 organizza un gruppo di amici per offrire pasti gratuiti a bambini di strada. Jahid, 10 anni, arriva puntuale ogni giorno, mangia, e se ne va silenzioso. Ma dopo qualche tempo qualcuno si accorge con sorpresa che il ragazzino, dopo ogni pasto, passa accanto ad un piccolo albero fiorito e lo disseta con un poco di acqua. L’iniziativa di quegli amici si è spenta pian piano, ma non il ricordo di Jahid. Con la pandemia Hariful si è rimesso in moto creando l’associazione “Youth for Bangladesh”. I suoi 250 membri offrono cibo ai poveri accanto alla stazione principale di Dhaka, da un camioncino con la scritta: “Hotel Buona Azione”. A chi vuole un pasto domandano: “Hai fatto una azione buona oggi?” Se la risposta è sì, pranzo gratis; se è no, per oggi niente pranzo. Gli organizzatori non garantiscono la sincerità di tutti, ma ritengono importante comunicare il messaggio: anche tu puoi fare qualche cosa di bello, e lo devi fare.

Nelle situazioni di emergenza e di sofferenza diventano evidenti il peggio, il meglio, e la mediocrità: c’è chi cinicamente rivende tonnellate di riso ricevuto per distribuirlo ai poveri, c’è chi offre tempo e risorse per aiutarli. E c’è chi... moltiplica le lamentele...

Il Paese era oppresso da una potenza straniera, scosso da ribellioni e violenze, un ignorante pauroso e crudele di nome Erode ne era il re fantoccio quando avvenne il primo Natale, in una stalla. Poi ci furono la strage degli innocenti, la fuga, il ritorno dall’esilio... Insomma, il tempo scelto per la nascita del Salvatore non era dei migliori. Nemmeno il tempo della pandemia è dei migliori, come non lo era il 1943, quando Laura e Gino, nell’infuriare della guerra mondiale, misero al mondo me. Si rendevano conto della situazione in cui si trovavano? Forse no - per fortuna. O forse sì, eppure... vinse l’amore – per fortuna.

Anche se ogni luogo ha le sue particolarità, ovunque ci troviamo tutti noi, voi e io, soffriamo questo tempo che sembra non finire mai. Il Bangladesh ha un’economia in larga parte informale, con lavoratori a giornata e micro commercio. “Ammortizzatori sociali”, sussidi, assistenza malattia sono quasi inesistenti: in pochi giorni di lockdown milioni di persone sono passate dalla povertà alla miseria, e alla fame.

E io? Lotto contro la tristezza e lo scoraggiamento, cercando di riscoprire una mia convinzione di sempre: essere missionario non significa prima di tutto fare tante cose, ma stare insieme alle persone a cui sono mandato. Cerco di essere un modestissimo “Natale” fra Erode, la mangiatoia, la stella, i sogni, la paura... cerco di essere un fratello che fonda il suo legame di fraternità sulla fede nell’avventura umana e divina vissuta da Gesù di Nazareth. Sono qui a nome suo. Continuo a pregare e aiuto a pregare, perché il nostro orizzonte non si chiuda sul nulla.

E poi?

E poi, per i due ostelli di cui mi occupo, quello di Snehonir, con persone disabili e sane, e quello di Bandarban, con ragazzi e ragazze aborigeni, e per gli studenti di college che vivono con noi a Dhaka, abbiamo fatto una scelta contro corrente: nonostante la chiusura delle scuole, non li abbiamo mandati a casa, come hanno fatto le altre istituzioni. Grazie agli ambienti in cui viviamo, il contagio è meno probabile stando con noi che presso le loro famiglie e nei loro villaggi. Abbiamo trascorso mesi un po’ monotoni a dire il vero, ma fruttuosi perché abbiamo continuato la vita insieme, con il gioco e la preghiera, lo studio e il lavoro. Quanto al virus, speriamo che giri alla larga come ha fatto finora.

In particolare, a Bandarban è stato ristrutturato il piccolo edificio a due piani (Antonio House) che comprende gli uffici della scuola e la sala per le riunioni e la preghiera: il pavimento in legno, “ballerino” e pericolante, è stato sostituito dal cemento, meno bello ma più robusto. Ora si passa alla costruzione del secondo piano dell’edificio per le ragazze, per ospitarne parecchie in più, e porre fine ad un’involontaria discriminazione, che dava maggiore spazio ai ragazzi.

A Rajshahi, alla comunità con giovani disabili “Snehonir”, alcuni genitori impauriti dal contagio, hanno voluto prendere con sé i figli (in tutto una decina). Ovviamente non ci siamo opposti, anche se l’ostello rimaneva aperto; qualcuno è già ritornato. Il progetto concordato con la Caritas per 16 bambini e bambine non vedenti o non udenti è continuato regolarmente, con scuola in braille e nel linguaggio dei segni. Il fatto di non uscire per andare a scuola ha portato a un notevole miglioramento delle condizioni del giardino e dell’orto, più curati e abbelliti, e pure dello stagno dei pesci...

Le ragazze che in questi anni si sono diplomate infermiere hanno trovato lavoro. “Hai fatto servizio per mesi in un reparto per ammalati di Covid 19. Avevi paura?” ho chiesto a una di loro; “Sì - mi ha risposto – ma soffrivano molto, cercavano il mio aiuto, ed ero contentissima di poterli aiutare”.

Aysha, adolescente con il viso deturpato dall’acido, è con noi da parecchi anni, ma solo recentemente abbiamo scoperto che ha una malformazione congenita al cuore. Per fortuna può essere operata, e tutto è pronto per effettuare l’intervento a Dhaka prima di Natale. Le sue compagne sono iscritte a corsi di taglio e cucito, purtroppo interrotti dalla chiusura delle scuole; ma si esercitano in casa; sembra che quel lavoro sia di loro gradimento.

Sempre a Rajshahi, il Centro Assistenza Ammalati ha lavorato a ritmo ridotto, perché molti sono stati lontani per timore del contagio. Ma il servizio non s’è interrotto per chi ha bisogno di terapie ricorrenti (chemio, radio, dialisi), mentre il reparto per la tubercolosi ha continuato a dare riposo e buon cibo ad ammalati, e soprattutto ammalate, che non li troverebbero a casa loro. Tra l’altro, pare che il problema del Covid19 stia togliendo energie e risorse che si dedicavano a contrastarla, per questo c’è rischio che la tubercolosi riprenda forza e diffusione. È proprio necessario non trascurare questo aiuto.

Continuo, come posso, a seguire personalmente ammalati e studenti che non ce la fanno a curarsi o a studiare, cerco di dare ascolto a chi chiede di essere ascoltato, o ha bisogno di sentirsi meno solo. Quando il problema è anche economico, se posso aiuto a riprendere qualche forma di lavoro con cui una sarta, un falegname, una cuoca possano sostenersi da sé; ma per lo più devo ricorrere al... nebulizzatore, cioè a micro aiuti (circa 10 euro per famiglia) per comprare riso, medicine... e soprattutto per offrire un segno di partecipazione alla loro lotta. Quando non do nulla, o molto poco, qualcuno (anche non cristiano), mi mette in guardia ricordandomi l’insegnamento di Gesù, e il giudizio finale; altri mi dicono: “Se non puoi, non preoccuparti; però prega per la mia famiglia”.

Sarà un Natale insolito per tutti, quello del 2020. Vi auguro che sia un Natale vivo, magari sofferto, ma non di lamentele inutili e luoghi comuni senza sapore. Con un sincero grazie, tanti auguri e un abbraccio... antivirus

P. Franco Cagnasso

PIME House – 92 Asad Avenue – Mohammadpur – 1207 DHAKA - Bangladesh Email: cagnassofranco3@gmail.com