Voci dal Bangladesh - 2014

p. Silvano Garello


Voci dal Bangladesh - 2014


Quando Cristo Risorto ci chiama per nome

Dhaka - Pasqua 2014

Da qualche tempo, di domenica, vado a celebrare la Messa in una comunità di drogati alla periferia di Dhaka. Fratel Ronald, americano dell'Holy Cross, ha costruito per loro in aperta campagna un centro di riabilitazione chiamato Apongao, che potrebbe essere tradotto con 'casa propria'. Egli lavora da 40 anni per il recupero dei drogati.

Per lui non si tratta di persone cattive o pazze, ma semplicemente di persone malate che hanno bisogno di aiuto per rifarsi dal di dentro. Nella sua esperienza egli ha trovato molto utile il metodo dei "dodici passi" usato dagli alcolisti anonimi.

I membri della sua grande casa sono per lo più i cosiddetti 'ragazzi di strada', che a Dhaka ormai costituiscono un vero e proprio esercito.

Ricordo bene che, lungo il marciapiede che mi porta alla chiesa parrocchiale di s. Cristina, mi è capitato quasi di inciampare su tre giovani distesi per terra, morti per droga.

Ad Apongao ci sono almeno 180 giovani e, in un ambiente separato, una trentina di ragazze. Costoro si sono fermati in tempo sulla sponda della tomba. Tra costoro ci sono anche 16 cattolici. Quando, la domenica, vado tra loro dedico alcune ore per un colloquio personale, per eventuali confesioni ed anche per la celebrazione dell'Eucarestia.

Nella recente quaresima mi sono reso conto che la Messa non riesce a coinvolgerli, tanto che ho esortato caldamente l'altro fratello dell'Holy Cross che si dedica a loro, di impegnarsi a fare loro una buona catechesi. Si tratta di supplire al vuoto che si è creato in loro per la diserzione educativa dei genitori ed anche della parrocchia.

La via di Pinocchio

Non molti giorni fa, al mio arrivo ero stato attirato dal silenzio che dominava nella sessione di istruzione di un gruppo di ragazzi. Essi ascoltavano con grande attenzione la storia di Pinocchio, un libro tradotto in bengalese da p. Marino Rigon.

Pensandoci su, non mi ha sorpreso che questo libro abbia fatto breccia anche tra i drogati. Alla fine, è la storia di un burattino di legno alla ricerca di sè stesso. Le relazioni che si sono intrecciate nella sua vita lo hanno aiutato a riconoscersi come uomo. Anche questi ragazzi, alla fine del tunnel oscuro della droga, hanno intravisto una luce, come quella che Pinocchio vide mentre si trovava nel ventre del pesce e che lo portò ad incontrare suo padre, mastro Geppetto.

Chi ha la fede cristiana e si fa pellegrino, non si ferma alla sconfitta del Calvario, ma procede verso una tomba aperta. Sulla soglia c'è Cristo Risorto, che ci chiama per nome e ci ridesta alla vita che ha vinto la morte.

Ascoltando le storie di tanti drogati, mi sono reso conto che c'è per tutti, anche per me, il pericolo di vivere al disotto del proprio ideale di vita, come burattini manovrati e rassegnati. Chi è come un burattino, è un essere condizionato, ripetitivo in modo ossessionante, incapce di aprirsi alle sorprese di Dio e alle bellezze della vita.


La via della Resurrezione

Ci sono tanti tipi di droghe, che all'inizio si prendono a piccole dosi, ma che poi alla fine ci incatenano ad uno schema di vita senza speranza. La resurrezione di Gesù può offrirci il rimedio radicale.

Anche Paolo era un drogato dal suo fanatismo, che lo portava a distruggere i credenti in Cristo. Egli difendeva il suo sistema di vita, ossia l'orgoglio di potersi conquistare Dio con una fedele osservanza della legge. Il Risorto gli aprì gli occhi, chiamandolo per nome.

Anche per noi occorre la grazia e l'umiltà di vivere in modo nuovo, partendo dalla risurrezione di Gesù Cristo. La Maddalena, incontrando Gesù, è diventata suo testimone presso gli apostoli pieni di paura, perchè non speravano più. Ad essi ha annunciato: "Cristo, mia speranza, è risorto!"

Gesù alita la sua vita nuova sulla nostra situazione di burattini, di drogati, di chi vive attanagliato da speranze illusorie. Io credo che l'incontro con Gesù Risorto divenga efficace proprio quando lo sentiamo come pungolo, orientamento nuovo che scompiglia la nostra vita, riscoperta di Dio come nostro creatore e padre, scintilla di vita che ci rende persone che vengono realizzate, ma anche realizzano la gloria e la gioia di Dio.

C'è sempre però il pericolo incombente di fermarsi a metà strada, sulla roccia arida del nostro calvario, magari piangendo, senza prendere sul serio il fatto che Gesù non solo è morto per noi, ma è anche risorto per noi.

Per noi cristiani non è sufficiente rifare il cammino educativo di Pinocchio, fermandoci ad un livello che potrebbe significare il tramonto della nostra vera vocazione. Dobbiamo avere il coraggio di accogliere e di annunciare completamente il mistero pasquale di Gesù morto e risorto.

Per questo, recentemente, come frutto di lunga meditazione, ho pubblicato un grosso volume che porta il titolo: "Via della luce - via della resurrezione". Questo libro ha cominciato a nascermi tra le mani quando, dieci anni fa, lavoravo nel villaggio di Noluakuri. In esso ho cercato di presentare i fondamenti di una spiritualità pasquale nel suo aspetto biblico, liturgico, teologico, spirituale e pastorale.

Non si tratta semplicemente di lanciare anche in Bangladesh, accanto alla Via della Croce, la cosiddetta Via della Luce. Mi sono lasciato guidare da Gesù alla riscoperta della necessità della sua passione, ma anche di incontrarlo vivo nell'Eucarestia, nella comunità che lo accoglie come Signore e che lo annuncia con entusiasmo al mondo.

Questo itinerario di riscoperta della grazia a caro prezzo, destinata a tutti gli uomini, capace di rafforzare il sorriso dei testimoni del Vangelo della gioia, mista facendo del bene e sono sicuro che ne farà anche agli altri. Del resto, la storia dei grandi missionari è' un documento inconfutabile di chi si è abbeverato ad una sorgente che non delude.

Il Concilio in Bangladesh. Quale recezione?

Dhaka - dicembre 2014

Il punto di partenza per riflettere sulla recezione del Vaticano II in Bangladesh potrebbe essere la domanda parafrasata di Paolo VI: "Chiesa del Bangladesh, che cosa dici di te stessa?". A questa domanda dovrebbero rispondere in primo luogo i vescovi, i preti, i laici, i religiosi e le religiose, rappresentanti dei 350mila cattolici in un paese di 160 milioni di abitanti, in gran parte musulmani, con piccole frazioni di indù e buddhisti. Sette diocesi, i cui vescovi sono tutti bangladeshi, 202 preti, un migliaio di suore, quasi 300 missionari stranieri. Un "piccolo gregge", che cerca di essere significativo, tra le 43 diverse denominazioni cristiane, che costituiscono un'ulteriore sfida alla testimonianza del Vangelo. In 400 anni di storia, la comunità cristiana bangladeshi non ha ancora espresso un santo o un martire, a differenza di altre Chiese dell'Asia.

Un po' di storia

La comunità cristiana del Bangladesh deve fare i conti con una storia che ne rende problematica l'identità e quindi ogni sforzo di inculturazione. In essa, infatti, coesistono tre realtà culturali, raffigurate anche dai quattro vescovi che parteciparono al Vaticano II: l'americano Leo Graner, arcivescovo di Dhaka, con il suo ausiliare, primo vescovo bengalese, Theotonius Ganguli, che rappresentavano il nucleo dei "vecchi cristiani di Dhaka", frutto dell'evangelizzazione del padroado portoghese (Diang 1600, Nagori 1663, Toomilia 1736); Giuseppe Obert, vescovo di Dinajpur, che rappresentava i cristiani tribali a nord del fiume Gange, evangelizzati dai missionari del Pime (1922), i tribali Garo, evangelizzati dai missionari dell'Holy Cross (Ranikong 1912) e quelli del Bandorbon (1952); Dante Battaglierin, vescovo saveriano di Khulna, che rappresentava i fuoricasta-rishi, evangelizzati dai gesuiti (1918), dai salesiani (Shimulia 1859) e dai saveriani (dal 1952). L'allora Pakistan Orientale guardava ancora molto all'India, da cui si era diviso nel 1947, e dipendeva per la lingua bengalese dalla "Bibbia battista" di William Carey (1795). Ora ci sono ben due traduzioni in bengalese: la "Mongolbarta", del gesuita belga Christian Mignon, e la "Jubilee Bible", del saveriano Carlo Rubini (diventato poi benedettino).

Partecipazione al Concilio

Per i quattro vescovi, il Concilio fu una benefica immersione nella cattolicità che permise loro di superare lo schema missionario della plantatio ecclesiae. Le diocesi furono contagiate da questa esperienza attraverso la loro predicazione e l'invito alla preghiera. Mons. Battaglierin, nel maggio 1961, aveva indetto a Khulna un sinodo diocesano per orientarne la vita liturgica, la predicazione, la catechesi, l'attività educativa, l'economia e la famiglia. Purtroppo questo sinodo è rimasto un unicum nella storia del Bangladesh. Mons. Graner non partecipò alla seconda sessione del Concilio, perché il governo gli aveva revocato il visto come "persona non grata", in seguito alla sua presa di posizione contro l'oppressione musulmana che aveva costretto la popolazione Garo a riparare in India. Il settimanale cattolico Pratibeshi, comunque, informò puntualmente sui cambiamenti in atto nella Chiesa durante il Concilio. Mons. Ganguli giocò un ruolo determinante nella traduzione in bengalese dei testi liturgici, in seguito adottati anche dall'India (di lingua bengalese). Dal 1968 si cominciò a pubblicare, con difficoltà, in forma di libretti alcuni documenti conciliari. Per iniziativa dell'Oriental Institute di Barisal, diretto da padri dell'Holy Cross canadesi, venne accresciuto il repertorio di canti e preghiere in lingua locale. Anche il Centro catechetico di Jessore, diretto dai saveriani, cominciò ad offrire il suo contributo con corsi di aggiornamento per catechisti e operatori pastorali nei settori della Bibbia, della liturgia e della catechesi. Nel frattempo, a livello nazionale, vennero costituite le Commissioni liturgica, biblica, catechetica e di dialogo interreligioso. La partecipazione dei laici venne incoraggiata in tutti i settori delle attività pastorali.

Guerra d'indipendenza e impulsi conciliari

La guerra d'indipendenza, del 1971, scosse la comunità cristiana, facendole prendere coscienza di essere parte integrante del paese. Molti cristiani bengalesi e tribali divennero Freedom Fighters. L'uccisione del saveriano p. Mario Veronesi, dell'americano p. Evens e del tribale p. Lucas Marandi divennero il simbolo di una Chiesa che condivideva la sorte di un popolo oppresso. La missione assunse ancor più lo stile dell'incarnazione. Ora si trattava anche della richiesta di libertà politica ed economica. Durante la ricostruzione la Chiesa si coinvolse direttamente. Lo stile di carità di Madre Teresa di Calcutta divenne per la Chiesa uno stimolo concreto a vivere la parabola del buon samaritano, senza nascondere la propria fede in Cristo. La Chiesa ottenne rispetto, fiducia e riconoscimento della propria integrazione nella vita del paese. Non mancò certo lo stordimento da protagonismo della carità, con il rischio di trasformarsi in un'efficiente Ong. Negli anni '80 il teologo indiano Duraisamy S. Amalorpavadass aiutò ad orientare l'attenzione sulla coscienza di Chiesa locale, sull'inculturazione e su nuove priorità pastorali. Prese forma il primo Piano pastorale (1985), che adottò il metodo dell'analisi dei segni dei tempi per scoprire gli aspetti positivi e negativi della società e della vita ecclesiale bengalese. Il Piano venne presentato a Giovanni Paolo II in visita in Bangladesh. Il papa, sull'onda dell'incontro di Assisi, incoraggiò il dialogo interreligioso e lo spirito di servizio (19 novembre 1986). La Chiesa si collocava così sempre più sulla linea del triplice dialogo della Federazione delle conferenze episcopali dell'Asia (Fabc): con le religioni, le culture e i poveri. Sotto la spinta del vescovo di Chittagong, Joachim Rosario, il tema della Chiesa locale divenne un elemento catalizzatore. Egli lamentava che la Chiesa del Bangladesh non avesse ancora una sua storia completa scritta, quale punto di riferimento per valutare gli influssi ricevuti dai missionari, come pure dai propri preti, religiosi e laici.

Il Concilio tradotto e recepito con fatica

Nel 1990 si poterono avere tutti i documenti conciliari tradotti in bengalese. Questo evento sviluppò molte iniziative per fare conoscere il Concilio nei centri pastorali, nelle parrocchie, nelle comunità religiose ecc. Il vescovo filippino Julius Xavier Labaion, invitato in Bangladesh, portò la sua esperienza di Chiesa dei poveri e di comunità ecclesiali di base. Mons. Piero Rossano offrì le linee guida del dialogo interreligioso. Si moltiplicarono nel paese corsi di aggiornamento a tutti i livelli. La partecipazione di vescovi, preti, suore e laici ad assemblee, sinodi e corsi di studio all'estero sembrava promettere creatività nella recezione del Concilio. Ma la scelta di non pochi missionari stranieri, impegnati in progetti di sviluppo, di spazi autonomi di azione, finì con il lasciare troppo sola la Chiesa locale nella recezione del Concilio. Da parte sua, la Chiesa locale dimostrò un maggiore impegno nella riforma liturgica e nell'approccio alla Parola di Dio. Ma il suo stile troppo amministrativo non rende ancora giustizia all'ispirazione profetica del Vaticano II, che ha invocato una Chiesa povera e dei poveri.

Segni di coraggio "conciliare"

Vorrei concludere indicando due segni laterali di coraggio "conciliare" in Bangladesh. Anzitutto, l'attività educativa, con la fondazione dell'University of Notre Dame da parte dell'Holy Cross. L'Università dovrebbe offrire un contributo specifico di formazione della persona nella ricerca delle grandi ragioni del vivere, come pure di nuovi stili di vita, per uno sviluppo integrale della medesima, a servizio di tutti i bengalesi in uno spirito di fraternità universale. In secondo luogo, l'attività della Caritas, senz'altro una bandiera della Chiesa cattolica bengalese molto rispettata. Essa si sta impegnando a far conoscere la dottrina sociale della Chiesa. Ma dovrà dimostrare coraggio "conciliare" soprattutto attraversando la "porta stretta" del volontariato. Le persone stipendiate possono fare molto bene, ma il bene che va più in profondità è quello originato dalla carità, nel senso della gratuità. Si tratta della "Chiesa in uscita" di cui parla papa Francesco. Anche la minoritaria Chiesa cattolica del Bangladesh è chiamata ad uscire da se stessa, se vuole davvero recepire la novità del Vaticano II. Il Concilio è ancora davanti a noi!

I miei 50 Natali di sacerdozio

Dhaka - dicembre 2014

“Ogni uomo e’ una storia sacra”. Con questo motivo di sottofondo, suggeritomi da Jean Vanier, presso il convento delle Suore Clarisse di Mymensingh, mi sono preparato a celebrare i miei 50 anni di sacerdozio missionario. A rappresentare il mondo invisibile degli amici assenti mi si e’ reso inaspettatamente presente brother Guillaume, un fratello di Taize’. Egli mi ha ha srotolato davanti un poster elogiativo dei miei presunti meriti editoriali. Dopo il primo rossore mi sono subito preoccupato di nasconderlo, dato che da un po’ di tempo sul retro del mio biglietto da visita che mi e’ stato regalato ho scritto a mano in bengalese: ”Non cerco lode, ma collaborazione”.

Alzandomi ogni mattina con il segno della croce mi introduco al “Fate questo in memoria di me” della Messa quotidiana. Non mi costa molto. Ma penso che a Lui e’ costato molto di piu’, e che egli vuole rinnovare anche attraverso di me il suo sacrificio per la salvezza del mondo.

Il raduno dei figli dispersi

Nell’Eucarestia mi capita spesso di dire nel Prefazio:”E’ veramente cosa buona e giusta rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore...”. Iniziando la Preghiera eucaristica, molto volte ho detto: ”O Padre, per mezzo di Gesu’ Cristo nostro Signore, nella potenza dello Spirito Santo, fai vivere e santifichi l’universo, e continui a radunare un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrtificio perfetto” (Preghiera eucaristica, 3). Anche la mia storia e’ costituita da un intreccio di tempi e luoghi di comunione e di santificazione, proprio a motivo della parola e del sacrificio di Gesu’ Cristo.

In quel 25 ottobre 1964, a Parma, nella casa Madre dei Missionari Saveriani, eravamo in 25 a ricevere l’imposizione delle mani. Mi erano vicini i miei genitori Luciano e Teresina, i miei due fratelli Olinto e Gabriele, mia sorella Silvana e un folto gruppo dalla mia parrocchia di Cereda di Cornedo Vicentino.

Lo spirito del Vaticano II e’ stato per noi come un trampolino di lancio. Dopo l’ordinazione, siamo stati inviati in varie missioni: in Giappone, in Sierra Leone, in Brasile, in Indonesia e in Bangladesh.

Uno di questi miei compagni mi ha di recente invitato, assieme ad una sua ‘cantata’ sulla vita missionaria, la foto storica del nostro gruppo per aiutarmi a ricordare e a ricontarci. Non e’ solo questione di nostalgia, ma piuttosto di gettare sulla nostra storia uno sguardo riconoscente per il dono e il compito ricevuto. Attualmente, come sacerdoti, siamo vivi ancora in 13, uniti nella missione di fare conoscere Cristo e di impiantare la chiesa. Dei nostri compagni 5 sono morti e 7 hanno preso un’altra strada. In Bangladesh ho un compagno, il p. Antonio Germano, con il quale ho celebrato il nostro venticinquesimo nel villaggio di Borodol.

Tempi, luoghi e popoli

In questi 50 anni, ho celebrato l’Eucarestia in tanti luoghi diversi, usando l’italiano, l’inglese, il francese, il bengalese e anche in latino, come in una chiesa di Pechino e di Mosca. Attorno all’altare ho avuto fedeli di varie razze e culture. Qualche volta ho celebrato anche da solo, ma sempre ho pensato che sotto la croce di Cristo stavano radunati tutti gli assetati della stessa sorgente della salvezza. Qui Papa Benedetto, senza cancellare la traduzione del “per tutti”, ha voluto richiamarci anche al “per molti”, dato che non possiamo prendere alla leggera il sangue che Cristo ha versato per l’umanita’.

Anche se ogni giorno e’ importante, mi piace qui rivisitare le mie celebrazioni eucaristiche del giorno di Natale, perche’ in esse ho sentito maggiormente l’adempimento della parola del Vangelo di Giovanni: “Il Verbo si e’ fatto carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi” e le parole registrate nel Vangelo di Matteo: “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dei secoli”.

Il 25 dicembre 1964 ho celebrato la Messa nella chiesa di Cereda, dove ero stato battezzato ed avevo ricevuto la prima Comunione. Mi era vicino il parroco don Bernardo Grolla che, specialmente dall’altare e dal pulpito, aveva ispirato la mia vocazione.

Ritorno al punto di partenza

Dopo la mia ordinazione sono stato destinato alla scuola apostolica di Vicenza, che mi aveva accolto come aspirante missionario, e dove avevo goduto dell’influsso spirituale del venerabile p. Pietro Uccelli, reduce dalla Cina. Allora mi era stato affidato il compito di insegnante e di animatore vocazionale. Qualcuno dei ragazzi che sono andato ad incontrare di famiglia in famiglia si e’ fatto missionario.

Di questo periodo ricordo il Natale celebrato nel 1965 nella parrocchia di Malo, nel 1966 a Castello di Arzignano, dove vivevano due fratelli sacerdoti, grandi figure ascetiche ed amici dei missionari. Nel 1967 sono ancora a Malo e nel 1968 a Castelgomberto. La gente allora si confessava ancora volentieri, ed io ero ben contento di aiutarla nella preparazione spirituale al santo Natale.

Nel Natale del 1969 mi trovavo a Londra per studiare l’inglese in vista della mia destinazione missionaria. Alcune famiglie irlandesi mi contagiarono con il loro tradizionale fervore.

Missione nel Pakistan Orientale

Nel’ottobre del 1970 entravo nella missione saveriana del Pakistan Orientale. Ero accompagnato da p. Mario Veronesi, che verra’ ucciso l’anno dopo la domenica della Palme, durante la guerra di indipendenza. A Barisal avevo subito iniziato lo studio della lingua bengalese. Accolto dal p. Antonio Alberton, parroco di Baniarchor, fui mandato a celebrare il Natale tra le paludi di Noyakandi. Raggiunsi in barca il cucuzzolo su cui era costruita la chiesetta. Qui dovetti subito scusarmi di non potere ancora parlare la lingua bengalese, ed accettai di dire il canone della Messa servendomi di una traslitterazione, lasciando al catechista il compito di fare la predica.

L’anno successivo, alla fine della guerra di indipendenza, a Natale mi trovai nella cattedrale di Khulna. Qui misi alla prova la pazienza dei fedeli con la lettura del mio pur breve sermone. L’euforia della liberta’ sembrava aver messo le ali ad un popolo che si apriva ad un nuovo futuro. Su quest’onda, mi lanciai nella predicazione, anche se mi rendevo conto che, nonostante il mio coraggio, come per il bambino Gesu’, si trattava solo di vagiti.

Nel 1972 ero in compagnia di p. Serafino Dalla Vecchia, il famoso padre dei ‘fuori casta’, che aveva allargato il suo campo di lavoro a cento villaggi. Egli, da Satkhira, mi mando’ nel suo caro villaggio di Borodol, dove aveva resistito in solitudine per vari anni. A quel tempo ci si spostava lungo i fiumi con una moto lancia. Di quel Natale ricordo particolarmente la commozione che mia aveva preso nello spiegare il cantico di Zaccaria. Nel ‘sole che sorge dall’alto’ salutai la visita tra di noi del Salvatore, e incoraggiai i cristiani a servirlo in santita’ e giustizia, ‘senza timore’.

La prova del rientro

L’anno successivo mi trovavo, troppo presto, per cosi’ dire, fuori campo, prostrato da un’ameba sanguinolenta. Dovetti andare in Gran Bretagna per curarmi. Mi trovai cosi’ a trascorrere il Natale a Glasgow con p. Domenico Bello, anch’egli reduce dal Pakistan. Allora egli fungeva da cappellano degli italiani. Mi e’ sembrato di trovarmi tra degli esiliati che sognavano i canti di Sion. Quella non era la mia missione, anche se la rivivevo da lontano scrivendo il mio diario della liberazione, “Morte e vita in Bangladesh” e narrando la vicenda di p. Mario con il libro “Morire tra gli oppressi”.

Forse furono proprio questi libri a tradirmi, tanto che venni destinato all’Italia come collaboratore del Centro Saveriano di animazione missionaria di Parma. I miei pochi anni di missione non mi avevano dato automaticamente il diploma di missionologia. Eccomi allora a fare la spola tra Roma e Parma, tra l’Universita’ Gregoriana e la collaborazione alla rivista “Fede e Civilta”, a “Cem-Mondialita” e la produzione di audiovisivi assieme a p. Giuseppe Novati. Ricordo il rammarico di p. Masson che si era lusingato che potessi portare fino alla laurea la mia tesi, peraltro suggestiva: ”Il rapporto maestro-discepolo come metodo di evangelizzazione in Bangladesh”. Mi congedai da lui dicendo che mi auguravo di realizzare nella mia vita questa bella laurea.

Per qualche Natale mi trovai in diocesi di Vicenza: nel 1974 e nel 1975 a S. Vito di Leguzzano, nel 1976 a s.Quirico, nel 1977 ancora a s.Vito di Leguzzano, nel 1978 a Nogarole di Chiampo e nel 1979 a Ronca’. Di questi natali ricordo il freddo che patii nelle lunghe soste in confessionale: alla gente non pareva vero di poter assediare il confessore straordinario. Nelle mie prediche faceva sempre capolino la mia nostalgia della missione. Trovandomi vicino a casa, mi era talvolta possibile partecipare al pranzo di Natale assieme alla mia famiglia. Ma non volevo pero’ illuderli a pensare che le cose sarebbero durate cosi’ per molto.

Ritorno in Bangladesh

Nel 1980-1987 si apri’ per me il secondo periodo di missione, ancora in Bangladesh. Venni destinato a Khulna come rettore del seminario minore e come cappellano nella parrocchia della cattedrale con p. Francesco Tomaselli. Qui ebbi modo di aiutare i catechisti a conoscere il Vaticano II e di coinvolgere i seminaristi in varie forme di apostolato. Una mostra della Sindone offri’ loro l’opportunita’ di parlare di Gesu’anche ai visitatori non cristiani. Nel frattempo iniziai a scrivere i miei primi libri in bengalese, tra cui un corso di cristianesimo per corrispondenza e un foglietto mensile che presentava la “Parola di vita’ illustrata da testimonianze cristiane.

Il 25 dicembre 1980 mi trovai aldila’ del fiume Rupsa nel villaggio di Chondoni Mohol. Qui vivevano accampati molti operai cristiani impegnati nelle fabbriche di juta. Per costoro, “gli amici della busta” di Rovereto, in memoria di p. Mario Veronesi, avevano offerto un consistente aiuto per l’acquisto di un terreno sul quale costruire le loro casette. Nei natali successivi mi trovai rispettivamente, nel 1981 nella zona di Khalispur, nel 1982 ad Attra, nel 1983 a Rajghat, e nel 1984 a Bagherhat, nel 1985 ancora a Khalispur. In questa zona della citta’ di Khulna condividevamo fraternamente la chiesa anglicana. Per me si creo’ l’opportunita’ di predicare loro vari ritiri spirituali e anche di tenere il discorso ufficiale per l’ordinazione sacerdotale di un giovane anglicano.

Nel Natale del 1986 mi trovai a Boyra, e nel 1987 a Bhorosapur. Erano queste delle succursali dipendenti dalla parrocchia della cattedrale, seguite da un catechista che portava avanti una piccola scuola. Di questo periodo ricordo volentieri i ritiri spirituali di Avvento per gli adulti. La gente era molto ben disposta a lasciarsi guidare dai profeti dell’Avvento, da Giovanni Battista e soprattutto dalla Vergine Maria. Ricordo che mi e’ capitato di predicare a Boyra un ritiro ad un solo fedele, perche’ il grosso del gruppo cristiano si era lasciato travolgere dal malcontento, nato in seguito ad una distribuzione poco oculata di sari alle donne povere. Questo privilegiato fedele, quando mi incontrava, non mancava di rievocarmi la nostra avventura.

A Bhorosapur per preparare i fedeli al Natale avevo portato, in una specie di pellegrinaggio a piedi, anche i miei seminaristi, che si rivelarono ottimi animatori del canto. La gente del villaggio garanti’ loro vitto e alloggio.

Dal 1989 al 1996 mi trovai a vivere in affitto a Dhaka, nella zona di Santinagar, nella casa dov’era vissuto il pittore Joenal Abedin, famoso per i suoi disegni che documentarono la carestia del 1943. Piu’ tardi mi spostai ancora in affitto nella zona di Iqbal road, accanto alla nostra casa di accoglienza. Di questo periodo ricordo la pubblicazione di un commento a fascicoli del Padre nostro, della stampa in bengalese dei documenti del Vaticano II e dei profili di p.Mario Veronesi, p. Valeriano Cobbe e p.Serafino dalla Vecchia – tre amici del Bangladesh. Questi tre missionari, in certo modo, mi permettevano di offrire il mio ‘biglietto da visita’. La domenica celebravo la Messa nella zona di Mohakali, dove i dipendenti della Caritas-Bangladesh avevano costituito una zona residenziale. Di queste celebrazioni ricordo con commozione di avere scoperto che ogni domenica un giovane musulmano, nascosto dietro alla porta, veniva ad ascoltare le mie omelie. Non si sa mai da dove possano venire gli assetati della parola di Dio!

Servizio nella periferia

Fin dall’inizio di questo nuovo servizio a Mohakali, dissi chiaramente ai fedeli che, per Natale e Pasqua, avrebbero dovuto cercarsi per la Messa un altro sacerdote. Era mia intenzione aiutare la diocesi di Mymensingh, dove ogni parrocchia aveva anche una trentina di villaggi cristiani della tribu’ dei Mandi. Questo mio servizio si protrasse per 15 anni. Per il Natale del 1988 mi trovai nel villaggio di Holoidati. In quella zona l’alluvione aveva portato la carestia, tanto che come pranzo di Natale mi dovetti accontentare di un po’ di riso brillato addolcito da blocchetti giallastri ricavati dalla canna da zucchero. La gente era felice di avermi tra loro perche’ si trattava del loro primo Natale con la presenza di un sacerdote. In quei giorni era piovuto e faceva un freddo intenso. Avevo raggiunto il villaggio camminando per due ore nel fango. Celebrai la Messa in una capanna. In quel piccolo spazio ci riscaldammo sufficientemente, tanto da sentirci in piena sintonia con la grotta di Betlemme, dove Gesu’ era nato al freddo e al gelo. Non c’era stato nemmeno bisogno di allestire il presepio.

Negli anni successivi, tra il 1989 al 1995 trascorro il Natale nella diocesi di Mymensingh. Il legame con il popolo Mandi, evangelizzato ormai da 100 anni, si intensifica e mi permette di scoprire le sue buone qualita’ che costituiscono una ‘preparazione evangelica’. Tra esse brilla l’amore alla famiglia, il senso comunitario, la valorizzazione della donna favorita dal sistema matrilineare, il rispetto per la natura, il grande desiderio di istruzione e la capacita’ di prendere gioiosamente la vita. Ma, come del resto in tutti i popoli, non mancano tra loro aspetti di debolezza, come l’incostanza, la mancanza del senso di previsione del futuro e del risparmio, che li rende perennemente indebitali ed inclini a svendere la propria terra. Trascorrendo il Natale tra loro mi sono sorpreso a sognare anche per essi la rivoluzione del Vangelo.

Nel 1989 mi trovo nel villaggio di Dhakua, che in seguito diventera’ parrocchia. Molti Mandi che lavorano a Dhaka sono tornati a casa. Essi portano con se’ le novita’ consumistiche della capitale. Si rende evidente un certo senso di smarrimento e la difficolta’ di integrarsi con la comunita’ cristiana bengalese, anche se essi parlano bene la lingua della maggioranza.

Trascorro il Natale del 1990 nel villaggio di Champur, ospite nella casa del capo-villaggio. Egli si e’ fatto una buona clientela con il suo ristorantino del the’ a Mollikbari, da dove esercita la funzione di collegamento con i Mandi della zona. Egli svolge bene il ruolo dei pastori che invitano ad andare a Betlemme.

Guardando il mio registro delle s. Messe, trovo che per il Natale nel 1991 sono ritornato a Dhakua, e poi nel 1992 sono andato nel villaggio poverissimo di Kumuria. Nel 1993 e nel 1994 sono a Chetulia: questo villaggio mi permette di fraternizzare con i Battisti che vengono a vedere il nostro piccolo presepe, ad ascoltare i nostri canti ed a coinvolgersi nelle nostre danze che, a notte fonda si snodano di casa in casa annunciando la venuta dell’Emmanuele. Mi piace ricordare che tra questi Battisti e’ abituale il saluto: “ Emmanuel!”

Nel 1995 eccomi a Giaria, che raggiungo con un’ora in treno. Proprio il giorno di Natale la piccola stazione mi da’ l’idea di trovarmi tra gli abitanti di Bethemme che non hanno saputo offrire un riparo a Maria e Giuseppe. Aspettando il treno, con mio rammarico, non trovo nessuno con cui scambiare l’augurio di ”Buon Natale!” E dire che anche i musulmani riconoscono la nascita di Gesu’ dalla Vergine Maria! La sera, a Mymensingh, festeggio con grande cordialita’ il Natale nel convento delle Suore Salesiane assieme al vescovo Francis.

La Betlemme della Palestina e del villaggio di Noluakuri

Il Natale del 1996, durante il mio anno sabbatico in Terra santa, mi ha portato la grazia di celebrarlo proprio a Betlemme con i Padri Francescani. Durante il canto del ‘Credo’, alle parole “per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si e’ incarnato nel seno della Vergine Maria e si e’ fatto uomo”, ci siamo inginocchiati in un profondo silenzio di adorazione. In quel momento mi sono sentito unito a tutti gli uomini, ai quali Dio Padre ha fatto personalmente dono del proprio Figlio, divenuto nostro fratello. In seguito mi ha fatto piacere sentire dai i miei genitori di avermi visto alla televisione mentre concelebravo.

Nel 1997 mi ritrovo in Bangladesh, destinato alla diocesi di Mymensingh nella missione di Noluakuri. I fratelli di Taize’ mi hanno invitato a predicare loro il ritiro dell’Avvento sul tema del ‘desiderato delle genti’ e sugli altri suggestivi titoli del Messia. Mi e’ sembrato di illustrare i petali del fiore del Natale.

Poi ero partito per il villaggio di Birisiri, situato nella parrocchia di Ranikong, che aveva visto gli inizi della evangelizzazione dei Mandi. Ricordo di essere partito con l’angoscia nel cuore per l’improvviso aggravarsi della situazione di salute di p.Tonino Decembrino, che avrei dovuto sostituire. Anche se con lui era rimasto p. Giovanni Matteazzi, non mi sentivo per nulla tranquillo, perche’ egli dava gia’ segni di di vaneggiamento. Lo rividi agonizzante in una clinica di Dhaka, dove e’ spirato il 28 dicembre in seguito ad una malaria cerebrale. Nella mia memoria quel Natale resta segnato dal passaggio di sorella morte.

Nel 1998, come responsabile della piccola comunita’ di Noluakuri, celebrai con essa il Natale nello stanzone riservato a chiesa, inserito nel complesso della scuola elementare. La gente reclamava una chiesa vera e propria. Davanti ai musulmani essa soffriva di un complesso di inferiorita’, perche’ si dava l’impressione che i cristiani non avessero ancora un luogo riservato alla preghiera. Bisognava aiutarli a capire che la chiesa materiale sarebbe venuta di pari passo con la costruzione della chiesa spirituale. Con i giovani del nostro ostello abbiamo fatto il cammino dell’Avvento al seguito dei grandi personaggi della storia della salvezza, le cui immagini avevo distribuito lungo le pareti della chiesa. Mi ero ormai convinto che, soprattutto la celebrazione significativa delle feste dell’anno liturgico ed una buona catechesi biblica, ci avrebbero aiutati nel cammino di interiorizzazione della storia della salvezza.

L’anno successivo, nel 1999, andai a trascorrere il Natale nella succursale di Champur. Ci eravamo preparati con un ritiro spirituale e con la celebrazione comunitaria delle confessioni. Andando nel villaggio, dove mi aspettava il saveriano indonesiano p.Anton, ebbi una rovinosa caduta dal riscio’ che aveva affrontato senza freni un’immprovvisa discesa. Mi presentai davanti al p. Anton con il volto insanguinato. Alla fine non c’era da spaventarsi. In questo villaggio ebbi una sorpresa tutta natalizia. Al termine della Messa di mezzanotte mi raggiunse la bella notizia della nascita di un bambino. Betlemme si era rinnovata. In una capanna non lontano dalla chiesa trovai la mamma e il bambino stesi sulla paglia. Il bagliore di una lampada illuminava i loro volti. Spontaneamente mi sono inginocchiato sul pavimento. Mi e’ venuto in mente un detto del poeta bengalese Tagore, che dice: ”La nascita di un bambino ci porta la notizia che Dio non si e’ ancora stancato degli uomini”. Piu’ tardi, in questo ricordo, lessi un’altra verita’: quando nasce un bambino abbiamo la prova che anche gli uomini non si sono stancati di credere nel dono della vita. Questo sembra essere soprattutto il privilegio dei poveri.

Quel giorno mi venne l’idea di trasportare il presepio, costruito su un piccolo tavolo, proprio davanti alla finestra della nostra chiesetta perche’ tutti i passanti lo potessero vedere. Per questo gesto non trovai nessuna resistenza. Anzi ci fu un’esplosione di gioia. Del resto, come sarebbe possibile privatizzare la venuta del Salvatore del mondo?

Anno Santo: buon compleanno a Gesu’ Cristo

Nell’Anno Santo del 2.000 celebrai il Natale ancora a Champur. Durante l’Avvento avevo spiegato ai bambini le icone della nascita di Gesu’, della Madonna della tenerezza e della Madonna del segno. Fui felicemente sorpreso di vedere come le icone possano introdurre all’accoglienza del messaggio cristiano. Da qui sono partito per un uso piu’ frequente di esse, anche nell’ora di adorazione eucaristica e nella preghiera del rosario.

E’ di questo periodo la costruzione di un tempietto dedicato a “Maria che indica la via”. Esso custodisce la statua di Maria con il bimbo Gesu’ che ella offre al mondo. Si tratta di un richiamo permanente alla spinta missionaria del Natale. E’ un’immagine che visualizza il suo invito: ”Fate quello che vi dira”.

Il 2001 mi ricorda il mio ultimo Natale trascorso nel villaggio di Noluakuri e il mio successivo ritorno a Dhaka, impegnato a tempo pieno per scrivere libri di formazione cristiana e di dialogo interreligioso. Un po’ scherzando, qualcuno mi dice che ora mi sono trovato in mano una ‘parrocchia di carta’. Anche se non cammino come s. Paolo, cerco di far camminare i miei libri che pur servono a stabilire contatti a sorpresa. Mi entusiasma far conoscere la vicenda di Gesu’, il suo messaggio, l’ispirazione che egli ha dato lungo tutta la storia a tante persone di buona volonta’ che hanno preso il rischio di imitarlo. Personalmente mi sento inclinato ad esercitare le opere di misericordia spirituale.

Anche durante questo mio periodo trascorso nella capitale del Bangladesh, per il Natale ho continuato a fare le mie ‘uscite’ nei villaggi del nord. Ed eccomi di ritorno nel 2002 a Birishiri e nel 2003 a Dhakua.

Nel 2004 ho celebrato il Natale nel Kumudini Hospital, dove un folto numero di infermiere cattoliche si preparano a servire i malati in altri ospedali del paese. Si tratta di una testimonianza molto apprezzata. Alcune di loro si specializzano come ostetriche: e’ un compito cosi’ vicino al Natale. La loro educazione professionale cristiana le mette nella condizione delle levatrici Sifra e Pua, ricordate nell’Esodo, che si sono schierate in difesa della vita. Questo ospedale e’ stato fondato da un dottore indu’, ucciso dai soldati pakistani durante la guerra di indipendenza. La direzione dell’ospedale ha messo a disposizione delle infermiere cristiane una stanza per la celebrazione della Messa domenicale. E’ stato bello passare per le corsie dell’ospedale per portare l’Eucarestia a qualche cristiano. Qui i malati cristiani e non cristiani chiedevano tutti la mia benedizione. Del resto, nelle mie visite ai villaggi ho l’abitudine di informarmi se ci sono dei malati, e prendo volentieri l’occasione di pregare con loro.

Dal 2005 al 2008 ho celebrato il Natale tre volte nel villaggio di Kumira e poi a Dhairpara, sempre pero’ con il rammarico di non avere potuto aiutare quei fedeli ad una adeguata preparazione. Di solito durante l’Avvento i catechisti guidano la preghiera delle piccole comunita’ in assenza del sacerdote. Mi viene in mente il tempo in cui, trovandomi a Vicenza, sapevo che in citta’, tra parrocchie e conventi, la domenica venivano celebrate almeno 200 Messe. Ora mi chiedo: quanto ci ha giovato questo lusso spirituale?

Natale nella megalopoli di Dhaka

Dal 2009 al 2013 mi trovo a celebrare il Natale nella parrocchia di s. Cristina, a pochi passi dalla nostra casa saveriana di Dhaka, dove di solito presto il mio aiuto domenicale. Di solito per Natale la citta’ si spopola dai cristiani, attratti dal villaggio natale. Coloro che sono rimasti non rinunciano alla suggestione della Messa prima della mezzanotte. Con i tempi che corrono, per garantire la sicurezza, ormai e’ di regola che la chiesa sia presidiata da alcuni militari.

Nel 2011 mi trovo a celebrare il Natale a Champur, una succursale della mia quasi-parrocchia di Noluakuri. Di questo giorno ricordo la grande cordialita’ della gente che conoscevo e l’invito a partecipare al loro ‘Prem bhoj’, ossia al pranzo di Natale al quale partecipa tutto il villaggio. E’ una bella tradizione che tra i Mandi si rinnova anche a Pasqua. Per l’occasione si ammazzano alcuni maiali, la cui carne rende piu’ saporito il loro riso, che di solito prevede solo un po’ di verdura o forse un uovo. In tali occasioni appare in scena anche il loro vino tradizionale ricavato dal riso fermentato. Per scongiurare il pericolo di esagerare nel bere, avevo scritto un canto nel quale benevolmente esortavo a “non affogare nel vino le sofferenze del proprio cuore”.

Ogni Natale guarda alla Pasqua

Al termine di questa carellata natalizia, anche come sacerdote missionario, mi sento riconoscente a Dio Padre per avere avuto tante occasioni per festeggiare il dono di suo Figlio Gesu’ nato da Maria come Salvatore del mondo. Con i cristiani, ma anche con i credenti di altre religioni, ho riflettuto tante volte sulle profezie che lo riguardano , sui personaggi coinvolti nellla sua venuta e sul nostro impegno ad accoglierlo. Da questa esperienza ho imparato che il Vangelo resta ancora un libro aperto, la cui scrittura comporta la risposta della propria vita.

Non mi sorprende che anche il Bambino Gesu’ si presenti con una dichiarazione di amore: “Sono venuto proprio per te, e per tutti”.

Mi sarebbe piaciuto rievocare anche le mie Pasque di questi 50 anni di sacerdozio missionario. Anch’esse mi hanno portato tanta grazia. La memoria tiene desta la riconoscenza. Forse un giorno mi dedichero’ ad intrecciare anche il rosario pasquale, per poi passare a quello della Pentecoste.

Buon Natale!