Le Cartoline di p. Silvano - 2011

p. Silvano Zoccarato


2011

Cuore pulito e nuovo - A Nazaret l’uomo-Dio, imitalo

La religione del cuore

Unire sacrifici e aiuti

A Betlemme tutto l’amore, accoglilo

Promesse di speranza - Se tutti i ragazzi del mondo

La preghiera ad Hassi Messaud - Il Papa in Africa

Saggezze delle religioni

Presenza - Incontro di occhi e sorriso - Lasciarsi vincere - Preghiamo insieme

Il sacrificio di p. Fausto Tentorio

Nuova evangelizzazione far vedere Gesù - Il martirio di p. Fausto Tentorio

Presenza della Chiesa in Tunisia e accompagnamento - Giovani missionari sulla strada dei santi

Ancora a Touggourt - Attendo un altro ‘dono della fede’ della Chiesa Italiana

Cari amici domani ritornerò in Algeria - Attendo un altro ‘dono della fede’ della Chiesa Italiana

Paradiso vicino

Mamme educatrici

Missione nuova - A Yaounde col p. Maurizio - Gioia di cinque fratelli - O amato del cuore non ho che te

Ti mando io

Lasciare agire e parlare il cuore

Preghiera insieme ad Assisi? - Rapporto con gli altri più maturo

Denis Pillet vede col cuore - Il mare non separa, unisce - Lo Spirito ritmerà la fraternità - Attenersi alla parola data

Testamento di Shahbaz Batti, ministro pakistano cristiano ucciso dagli estremisti - E tu preghi?

Tutti al Duomo - Che tempo fa? E’ primavera - Il bene comune

Il linguaggio del cuore vero - Prendimi in braccio, Signore

Cinque anni - Il grido delle pietre - Lo straniero

Venga lo Spirito - Verso Assisi, cammino di conversione

Charles de Foucauld parla e prega ancora - Lettera a un amico musulmano

10 giorni con Charles de Foucauld a Beni Abbes

Anche noi ad Assisi - L’importanza della ‘Umma’

Ritorno a Touggourt - Il saluto è una porta


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Cuore pulito e nuovo

Touggourt, 26 dicembre 2011

Preparandomi a Natale meditavo sul testo di Malachia che diceva: “Manderò il mio messaggero a preparare la via davanti a me…E’ come il fuoco del fonditore e come la liscìva dei lavandai”( Mal 3, 1ss)..

Ai tempi di Malachia si trattava di purificare il tempio e il culto che aveva degenerato”. Ma oggi la liturgia ci aiuta ad accogliere l’Angelo dell’Alleanza, il Messia, l’Emmanuele e a prepararci bene non solo per non sentirsi indegni ma per cogliere tutta la novità della venuta del Signore nella nostra vita e vivere totalmente in modo nuovo.

La parola liscìva mi ha riportato nelle campagne di Padova dove sfollato da Milano vivevo col nonno Pasquale. Prima delle feste, la nonna e la mamma riempivano un mastello e sopra la biancheria mettevano la cenere. Le lenzuola di canapa diventavano bianche come la neve. Poi c’era la pulizia della casa che diventava più bella e profumata di pulito.

Non solo pulizia della biancheria e della casa, ma anche quella dei cuori che si cercavano l’un l’altro per riaprire qualche sportello semichiuso e arrugginito e risentire la gioia di vivere insieme.

In occasione della festa, nei villaggi del Cameroun e del Ciad, i capi famiglia si riunivano nella casa del capo del villaggio. Prima di entrare, deponevano lance e bastoni come segno che in quei giorni la gente del villaggio doveva vivere in pace. E facevano insieme l’esame di coscienza della vita del villaggio per vedere ciò che non rispettava le tradizioni. La festa rinnovava i cuori e il tripudio delle danze e dei canti era un credo… cantato alla vita e alla pace della tribù.

Anche la donna incinta, prima di partorire si sottoponeva a un rito di purificazione. Faceva il giro delle persone incontrate ai tempi degli amori perché il figlio potesse nascere riconosciuto da tutti e soprattutto dagli spiriti degli antenati che si vedevano rispettati nella loro volontà. La nascita di un bimbo è gioia di tutti, un grande avvenimento per la famiglia e il villaggio.

In tutti questi esempi si vede il bisogno della purificazione che permette alla vita di rinnovarsi e di continuare nell’intesa comune e nella pace.

Non posso dimenticare la risposta di un povero di Yaounde (Camerun), un po’ originale… Disturbava con le sue esternazioni gridate fuori della casa, durante un incontro. Uscii, mi sedetti accanto e gli dissi: “Stiamo preparando la venuta del Papa. Come ricevere una persona così?”

Si calmò, divenne serio, pensieroso… poi concluse con solennità: “Un personaggio così, bisogna riceverlo col cuore pulito!”.

I viaggi del Papa in Africa sono sempre stati momenti di grande vitalità e incoraggiamento a un nuovo cammino.

Gesù aveva detto: “Beati i puri di cuore” cioè quelli che agiscono con chiarezza senza intenzioni storte e Dio li accoglie perché si presentano con mani e cuore puri ( Salmo 28). Sono quelli che fanno le scelte di Gesù secondo le leggi del cuore di Dio e sono il nuovo popolo di Dio.

La purificazione del cuore è la condizione necessaria per la ripresa di un cammino e per una pienezza di vita.

Il cuore allora non è solamente pulito, ma nuovo.

L’Islam unisce la carità, l’elemosina, alla purificazione del cuore.

Oggi vigilia di Natale, tra una lezione e l’altra ai ragazzi, arriva un signore con una scatola di cioccolatini. Non aspetta nemmeno il grazie. Il dono gli purifica e gli rinnova il cuore.

Il 2012 sia un anno pulito, nuovo!

A Nazaret l’uomo-Dio, imitalo

Touggourt, 29 dicembre 2011

“Nostro Signore ci ha dato l’esempio di tre vite che ha praticato lui stesso, che sono conseguentemente tutte e tre perfette, tutte tre divine: la vita di Nazareth, quella del deserto, quella dell’operaio evangelico” (Charles de Foucauld).

Il teologo Pierangelo Sequeri prende sul serio la prospettiva di Charles de Foucauld riguardo l’Incarnazione: “In Charles de Foucauld ‘Gesù Nazareno’, al di fuori di ogni equivoco, non è affatto la “parte umana” dell’incarnazione. Gesù di Nazaret “è” l’incarnazione del Figlio unigenito. Gesù “è” il Figlio… Non l’uomo che il Figlio assume e abita… ma è sempre il Figlio di Dio, l’Emmanuele, il Dio-con-noi”. (Dal libro di Cruz Osvaldo Curuchich Tuyuc Charles de Foucauld e René Voillaume, Cittadella Editrice, pag 175).

“La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo. Qui si impara ad osservare, ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato così profondo e così misterioso di questa manifestazione del Figlio di Dio tanto semplice, umile e bella. Forse anche impariamo, quasi senza accorgercene, ad imitare”. ( Dal discorso di Paolo VI, tenuto a Nazareth, 5 gennaio 1964)

Per imitarlo bisogna sentircelo vicino, come ci dice don Antonio Marangon:

-“Nazaret dice normalità cioè essere contenti della propria identità e viverla intensamente.

- Nazaret dice solidarietà, condividere con gli altri con simpatia…

- Nazaret dice tempo per Dio: quel ‘per primo’ di Dio riconosciuto attraverso il primato della Parola.

- Un' esistenza umanissima, senza singolarità, per non mettere a disagio l’ultimo di noi uomini: è questo il Cristianesimo!

Chiediamo per noi e per tutta la Chiesa la grazia di tornare Nazareni…

Più semplici.

Chiediamolo per l’intercessione di un testimone di questa spiritualità: Charles de Foucauld”.

Anche il tuo cuore è Nazareth se vi abitano anche loro: Gesù, Maria, Giuseppe.

Anche la tua casa è Nazareth se è aperta anche per loro: i poveri.

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La religione del cuore

Touggourt, 22 dicembre 2011


Alcune persone e famiglie che incontro vivono di bontà. Ne resto commosso. Le vedi attente a chi soffre. Anche nelle difficoltà, continuano nella pazienza e nell’umiltà. La diversità di religione, di tradizioni e di formazione non è un ostacolo all’accoglienza. Nei rapporti non hanno nessuna paura, nessun sospetto dell’altro perché con la semplicità e la bontà nel cuore non hanno niente da perdere.

Mi domando dove si alimenta questa bontà. Da dove viene? Mi è capitato anche in carcere di seguire persone che nonostante il male fatto conservavano una condotta guidata da un cuore sensibile e generoso. Una volta poi, guardato a vista dal poliziotto, ho ascoltato uno che aveva commesso un crimine. I giornali parlavano di lui come di una bestia. Sentivi invece che era ancora un uomo e che aveva ancora un cuore. Come il “buon ladrone” del Golgota che cresciuto forse nel male, trovandosi accanto a un uomo come lui, che soffriva con nobiltà di sentimenti, si è sentito toccare. Ha percepito nelle sue fibre profonde un qualcosa di nuovo, di bello, si è lasciato andare anche lui verso la bontà e gli ha chiesto di stare vicino a lui anche dopo la morte.

La ricchezza del cuore l’ho trovata dappertutto, tra gli africani di religione tradizionale del Cameroun e del Ciad, la sento ogni giorno nei musulmani che mi accostano e si confidano.

La sorgente e la spiegazione la trovo nel Creatore. E’ stato lui a mettere nel cuore del mondo la bontà, la bellezza… in tutto, in tutti. Noti che l’umanità scopre e sente in se questa forza innata e vuole mantenerla viva anche nelle situazioni più difficili.

E poi lo straordinario avvenne quando nel Figlio, Dio ha voluto umanizzarsi in ogni uomo, bianco, nero giallo, cristiano, buddista, musulmano…e far capire a tutti che l’esistenza è piena quando diventa un dono da donare.

Da sempre ogni bontà è bontà di Dio e Dio ama nel cuore dell’uomo. Questo mantiene viva una grande speranza. La bontà non può morire. E’ più forte del male, salverà il mondo, vincerà.

Quando trovi bontà, ti si apre il cuore.

Prima delle religioni definite tali, e anima di tutte, c’è quella del cuore.

Il cristiano ha il compito di riconoscerla in tutti e diventarne il lievito.

Suor Maddalena incontra il Patriarca Athenagora e questi le chiede: “Come sta mio fratello Paolo VI?” Poi Athenagora continua: “Siamo caduti (sic)le braccia dell’uno, nelle braccia dell’altro, l’anima dell’uno, nell’anima dell’altro. Ci hanno chiesto . “Quante volte?” Risposi: “Quando due fratelli si incontrano dopo nove secoli, gli abbracci non si contano!” – E in che lingua parlavate? - Risposi: “Dopo nove secoli, è il cuore che parla… ed è inesprimibile!”

Ancora: Buon Natale!

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Unire sacrifici e aiuti.

Touggourt, 12 dicembre 2011


Anche nel deserto del sahara arriva la televisione da tutto il mondo e mi capita di cogliere, tra le tante notizie, due segnali diversi: Bisogna fare sacrifici! Aiutiamo chi soffre!

Alcuni amici mi hanno scritto: “E se i cristiani, facendo i loro conti, mettessero anche la voce “la parte dei poveri” ?

Per confermare ciò, mi citano il Deuteronomio: "Quando facendo la mietitura del tuo campo, vi avrai dimenticato qualche fascio di spighe, non tornerai indietro a prenderlo; sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornerai indietro a ripassare i rami: saranno per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare: sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto”. Deuteronomio 24,19-21

Come? Siamo obbligati a fare sacrifici e nello stesso tempo ci viene chiesto di aiutare chi soffre…

Sì, perché anche nelle ristrettezze, noi non viviamo come isole ma sempre membra di un solo organismo, la famiglia umana.

Ognuno di noi è in relazione e influisce sugli altri più di quanto si possa immaginare, nel bene e nel male. La sofferenza e la gioia degli altri sono anche sofferenza e gioia di ciascuno.

Perché non ricordare, per comprendere meglio, quanto Paolo scrive ai Corinzi (12,26-27): “ … voi siete corpo di Cristo e, ognuno secondo la sua parte, sue membra … se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui”?

Un amico di Touggourt mi racconta: “Ero in terza elementare e sedevo in giardino. Arrivarono due alunni di quinta e strapparono dei fiori. Il maestro vide e ci chiamò tutti in classe. Tre colpi sulle mani dei due e cinque colpi sulle mie. Al mio lamento… il maestro disse: “Tu hai visto e non hai fatto nulla. Se protesti, te ne darò ancora di più”. Gli dava un insegnamento di corresponsabilità.

Nel romanzo di Dostoievskji “I fratelli Karamazov” si leggono queste parole: “Sappi che in verità ognuno è colpevole dinanzi a tutti e per tutto … Non c’è che un mezzo di salvezza: renderti responsabile di ogni peccato umano. È proprio così, amico mio: appena ti sarai reso responsabile per tutti e per tutto, vedrai subito che è così davvero”.

Non basta fare sacrifici perché obbligati, ma anche accompagnare quanto facciamo e viverlo con un senso di corresponsabilità e di condivisione.

Certo, queste parole possono restare belle, ma inaccettabili da un padre di famiglia che non sa come portare avanti la sua famiglia.

Anche a lui pensa, chi riconosce di dover fare sacrifici e di restare aperto per aiutare…

Può essere possibile unire sacrificio e aiuto. In ogni sacrificio c’è anche dell’amore.

Nella preghiera, Gesù può aiutarci a capire e riesce a convincerci.

E’ venuto per vivere e svelarci la vera fraternità, per farci rinascere attraverso la sofferenza, per aprirci alla famiglia nuova.

Anche il Corano non lascia l’individuo isolato, ma apre il suo animo agli altri…e unisce fede e aiuto al prossimo: “La pietà non consiste nel volgere la faccia verso l’oriente e l’occidente, bensì la vera pietà è quella di chi crede in Dio… e dà dei suoi averi, per amore di Dio, ai parenti e agli orfani e ai poveri e ai viandanti…” (2,177)

Ancora auguri!!!

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A Betlemme tutto l’amore, accoglilo

Touggourt, 7 dicembre 2011


La Chiesa, i discepoli del Signore accolgono Gesù e diventano amore.

La Piccola Sorella Jeanne, venuta a Touggourt per celebrare i 70 anni della fondazione, ha messo nelle mani della sorella più giovane la statua del piccolo Gesù Bambino che la fondatrice Maddalena aveva trovato tra i rifiuti, riparato e messo accanto alla cappella per custodire la fraternità. È a causa di quel bambino da niente, che loro, sorelle da niente, mantengono rapporti di vera amicizia con tutti. E tutti ci stanno, perché tutti hanno bisogno di sentirsi amati e di volersi bene.

Charles de Foucauld ci dice ancora: “Facendosi cosi piccolo bambino, bambino così dolce, vi grida: “Fiducia! Familiarità! Non abbiate paura di me!… E’ il vostro Dio.. pieno di dolcezze e di sorrisi…Diventate tutta tenerezza, tutto amore e tutta confidenza…”

E la Piccola Sorella Maddalena: “Guarda … L’aspetto così semplice di tante riproduzioni del bambino non ti crei difficoltà… è l’umano sulla realtà divina. E’ Dio che ti chiama a seguirlo col suo spirito d’infanzia e d’abbandono. Davanti a Dio… sentiti bambino! Davanti a Maria… abbandonati come un bambino che cerca la mamma. E ora accogli dalle sue mani il suo piccolo Gesù per tenerlo sempre con te e portarlo nel mondo col suo messaggio di abbandono umile e fiducioso, di semplicità e di amore… amore universale…”

Gesù non si accontenta di venire ad abitare in mezzo a noi, ma vuol entrare nella vita e nel cuore di ognuno di noi. Siamo disposti ad accoglierlo e a viverlo in noi?

Non restare solo/a, apri la porta.

Senti il Bambino-Dio vivo in te. Sentilo…!

Ti ricorda il bene che sei, che hai vissuto e fatto.

Ti toglie, ti perdona ogni male.

Ora ti aiuta a vedere, a sentire una vita nuova.

Ti porta in casa te stesso/a, dentro di te,

e i tuoi vicini e tanti che hanno bisogno di te e che puoi amare.

Apri la porta. Ti riaccende…

Auguri, amici! Non solo da me, ma anche dalle Piccole Sorelle e da tanti vostri amici di Touggourt! Parlo spesso di voi. Vi conoscono, vi vogliono bene.

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Promesse di speranza

Touggourt, 24 novembre 2011

La primavera araba vista dai vescovi del Nord Africa

Dal 13 al 16 novembre i vescovi del Nord Africa, dalla Libia all’Algeria alla Tunisia hanno vissuto la loro assemblea annuale. La prossima assemblea la terranno a Mazara del Vallo, in Sicilia per sottolineare il legame profondo tra ciò che succede in entrambe le sponde del Mediterraneo. Proprio per questo anche il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero - che con la sua diocesi da tempo intrattiene legami di profonda amicizia con le Chiese del Maghreb - ha partecipato già quest'anno ai lavori dell'assemblea. Vi trasmetto una parte della loro analisi come emerge dal loro comunicato.

Passaggi cruciali. “Sono tre le sfide essenziali che emergono in questi Paesi: sfida religiosa, politica e socio-economica”. A parere dei vescovi maghrebini queste sfide richiedono “passaggi” essenziali che se intrapresi possono rappresentare delle “promesse di speranza” per tutta la Regione. Il primo è “il passaggio dalla paura di manifestare la propria religione all’affermazione tranquilla delle proprie convinzioni di fede nel rispetto delle opinioni altrui e all’interno di un dibattito senza più tabù sull’importanza della promozione di tutte le libertà, compresa la libertà di coscienza”. Altra sfida cruciale per tutto il Nord Africa è “il passaggio da una vita sociale abitata dalla paura e dal rischio della libertà all’impegno affinché tutta la nazione possa vivere nella democrazia e nel rispetto della dignità della persona”. Altro punto sottolineato è “la presa di parola e responsabilità delle donne che chiedono di essere più rispettate nella loro dignità e nei loro diritti”. Infine, i vescovi danno voce al “grido dei giovani che esigono per sé formazione di buon livello e finalizzata ad un reale avvenire professionale”.

Responsabilità, speranze, difficoltà. I membri delle Chiese che vivono nei Paesi del Nord Africa generalmente non sono attori diretti di questi passaggi ma vogliono essere testimoni di speranza. Le comunità cristiane vogliono, cioè, dare il loro contributo per “la promozione dei valori nei quali essi si riconoscono pienamente”. “Sentono la responsabilità d’incoraggiare quella volontà di libertà, cittadinanza e apertura che si è espressa chiaramente nella primavera araba: cercano di farlo accompagnando nel discernimento e dando testimonianza della loro speranza anche in mezzo alle reali difficoltà che incontrano”. A questo proposito i vescovi hanno espresso la loro solidarietà alla Chiesa d’Algeria, “condividendo la sofferenza dei vescovi di fronte al non rilascio e talvolta al rifiuto dei visti ai preti e ai religiosi, qualsiasi sia la loro nazionalità. Essi – si legge nel comunicato – lo ritengono come un grave attentato alla vita delle Chiese e ci provoca maggiore sofferenza quando questi provvedimenti riguardano persone che senza alcuno spirito di proselitismo, rendono un reale servizio a quei Paesi e intrattengono relazioni molto cordiali con tutti”. Da qui la gratitudine dei vescovi per tutti i sacerdoti, i religiosi e le religiose che vivono nei loro Paesi: “Essi ammirano il loro lavoro e rendono grazia per la qualità del loro impegno”.

Se tutti i ragazzi del mondo

Touggourt, 30 novembre 2011


Sono le quattro. Ho appena fatto un sogno. Non riesco più a dormire.

Forse il vissuto si è trasformato in sogno.

Ieri il mio maestro Charles de Foucauld, il marabutto del deserto fattosi il fratello universale mi diceva in un suo scritto:

Che siano tutti una sola cosa, come tu, o Padre, sei in me e io in Te; che siano anch’essi una cosa sola in noi”. (Gv 17,21)

Noi dobbiamo amare tutti gli uomini in vista di Dio, sino a formare una cosa sola con loro.

Questo anzitutto perché Dio ce lo comanda e ci dà l’esempio di un amore ardente verso di essi.

E noi dobbiamo amare tutti gli uomini per diversi importanti motivi tratti ancora dall’amore dovuto a Dio. Ma soprattutto dobbiamo amare tutti gli uomini per un motivo che ci rende assai facile e assai dolce quest’amore appassionato, questo amore che giunge sino all’unificazione di tutti gli uomini in vista di Dio. Il motivo è che tutti gli uomini sono, per un titolo o per l’altro, membra di Gesù, materia prossima o remota del suo corpo mistico.

Per conseguenza, amandoli, formando una sola cosa con loro, vivendo in essi col nostro amore, noi amiamo qualcosa di Gesù, noi formiamo una cosa sola con una porzione di Gesù, noi viviamo col nostro amore nelle membra di Gesù, nel corpo di Gesù, in Gesù.

In giornata mi era giunta questa lettera da p. Maurizio Bezzi, mio antico alunno, che vive a Yaoundè (Cameroun) coi ragazzi della strada.

Il Natale porta nel mondo una novità assoluta : qualcosa di mai visto né immaginato che entra nella storia per restarci e poter arrivare al cuore di chiunque al di là di ogni cultura e tradizione.

Tutto parte da quel Bambino in una mangiatoia che riesce a stabilire un dialogo misterioso ma reale anche con ragazzi segnati dalla violenza e dall’abbrutimento della vita di strada e della prigione. E’ impressionante vedere la sete di rapporti più veri e più umani di questi ragazzi… In questi anni abbiamo toccato con mano quanto sia insufficiente insistere solo sulle regole di comportamento…senza poter mostrare la bellezza che nasce e si dilata da un’amicizia… Ed è così che uno, guardando alla sua storia e a quante ne ha combinate, dice « devo proprio chiedere perdono a quella che mi ha messo al mondo ». In prigione davanti alle lacrime di sua madre, un ragazzo si rende conto di quanto ha sbagliato. Qualche mese fa, al Centro, è sembrato un miracolo l’atteggiamento di quel padre che chiedeva perdono a suo figlio ( che stava cominciando l’ avventura della vita di strada ) per averlo trattato duramente, implorandolo di tornare a casa.

Il fatto più toccante degli ultimi mesi è accaduto a uno dei nostri amici, quando, dovendo lavare un’ auto, ha visto sotto il tappetino una grossa somma di denaro. Naturalmente è stato tentato di rubare :pensando all’amicizia con noi ha continuato a lavare l’auto, con grande meraviglia del proprietario…

E’ la vita di quel Bambino in una mangiatoia che continua a crescere. Ed è per questa vita che i ragazzi sentono sempre di più come loro il Centro Edimar e l’esperienza che viviamo.

Il pensiero di Charles de Foucauld e l’immagine del Bambino a Yaounde, nel mio sogno sono diventati un grande foglio con volti e firme di ragazzi e la scritta:

Se tutti i ragazzi del mondo si volessero bene… perché in loro vive Gesù!

Un semplice sogno. Un soffio. Ve lo affido.

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La preghiera ad Hassi Messaud

Touggourt, 20 novembre 2011


Dopo la partenza di don Emmanuele, Fidei Donum di Novara, i Padri Bianchi da Wargla e il sottoscritto da Touggourt, ogni settimana cerchiamo di assicurare la celebrazione eucaristica in quella chiesa e in quella città, la città del petrolio, dove don Emmanuele aveva speso tante energie e tanta passione di buon pastore.

Entrando nella chiesetta della Nostra Signora della Sabbia, mi sono commosso pensando a quanti, algerini compresi, hanno dato lavoro, mezzi e competenza perché ad Hassi Messaud accanto alla preghiera musulmana ci sia anche la preghiera dei cristiani. E entrando nella casa accanto, ho pensato alle Missionarie dell’Immacolata che attendono il visto di entrata in Algeria da oltre due anni, per assicurare anche la loro presenza di preghiera, di accoglienza e di servizio.

Celebrando la messa con i tecnici ho ringraziato il Signore per tale chiesa-presenza, frutto di fede e di tanto amore.

Accanto all’altare ho trovato una preghiera, lasciata da un cristiano sopra un ricamo con la scritta PGR (per grazia ricevuta). Ve la scrivo perché anche voi preghiate per quanti si adoperano perché si possa usare ancora della ricchezza della natura, petrolio e gas, nascosti sotto la sabbia.

Oh, Nostra Signora della Sabbia, a te ci rivolgiamo noi uomini resi aridi nei sentimenti, dalla lontananza dai nostri cari.

A te ci rivolgiamo, noi uomini resi duri dal pesante lavoro del deserto.

Stendi su di noi e sulle nostre famiglie il tuo manto benedicente.

Proteggici ed aiutaci a perseverare nella nostra fede.

Oh, tu Signora della Sabbia, volgi il tuo sguardo amorevole sugli ammalati, infondi loro la speranza della guarigione, consolali nella loro malattia.

Oh, Nostra Signora della Sabbia, a te ci rivolgiamo noi poveri peccatori, a te rimettiamo le nostre mancanze. Perdonaci, consolaci, aiutaci ad affrontare le avversità della vita.

Infine, Madre Santa, poni ai piedi di Gesù, tuo Figlio e nostro Signore, le nostre pene, le nostre miserie e le nostre speranze. Amen!

E preghiamo anche perché un altro ‘don Emmanuele’ possa venire a pregare stabilmente nella chiesetta di Nostra Signora della Sabbia nella città del petrolio.

Il Papa in Africa

Touggourt, 22 novembre 2011


Ogni volta che il Papa viene in Africa, cerco di seguirlo coi mezzi che ho, per vivere con lui la vitalità di un momento che fa esultare e scuotere, perché mette in evidenza la verità di questo continente. Da una parte, la realtà dei doni coi quali il Creatore ha benedetto l’Africa, come il senso innato di Dio, la gioia di vivere, l’apertura alla vita, il valore della famiglia, il senso della festa, ecc. Dall’altra, il bisogno di liberarsi dalla paura degli spiriti cattivi, dalle pratiche della magia e della stregoneria che causano tanti effetti negativi nella vita familiare e sociale.

La presenza del Papa è rinnovare quello che il Cristianesimo porta all’Africa, cioè la grande novità di Gesù che offre la vera libertà dalle forze che la paralizzano. Gesù continua a dire quello che disse un giorno al cieco di Gerico: “Coraggio! Alzati”. Riconciliati con Dio e con gli altri, i cristiani sono chiamati sempre di più a diventare artigiani di pace e agenti di giustizia, luce del mondo e sale della terra africana.

Di grande importanza è la domanda-grido ai responsabili dell’Africa e del mondo: “Non private di speranza i vostri popoli! Non amputateli del loro avvenire, distruggendo il loro presente!”

Il Papa ha accolto e baciato il bambino trovato in foresta da una suora di Madre Teresa.

Si era perso? Abbandonato agli spiriti? Immagine dell’Africa, amata, sulle braccia del mondo?

Bella l’immagine della mano descritta dal Papa:

Cinque dita, diversi, essenziali, uniti a formare una mano.

L’intesa tra culture, considerazione e rispetto dei diritti di ognuno.

L’odio è un fallimento, l’indifferenza un vicolo cieco, il dialogo un’apertura.

Terreno con semi di speranza.

Bella la mano tesa.

Mano tesa per giungere ad amare.

Dio la vuole per offrire e ricevere.

Non per uccidere o far soffrire, ma per medicare e far vivere.

Strumento di dialogo… col cuore e l’intelligenza.

Per far fiorire la speranza…

anche quando l’intelligenza balbetta e il cuore inciampa.

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Saggezze delle religioni

Touggourt, 9 novembre 2011


La presenza dei Semi del Verbo nelle varie religioni e culture le rende degne di stima e di rispetto e capaci di dare il loro contributo alla pace come è stato affermato negli incontri di Assisi.

Ma non va tralasciato in tutte un impegno importante, quello di procedere verso una fedeltà alla verità, alla giustizia e alla ricerca del bene comune dell’umanità.

Durante i secoli, non sempre le religioni ( o meglio, gli aderenti a tali religioni) hanno evitato comportamenti di violenza, compresa la Chiesa cattolica, e il papa ne ha chiesto perdono. E’ necessario quindi un cammino impegnato di conversione e di purificazione.

Nel discorso ai trecento esponenti religiosi e "cercatori della verità", tenuto poco dopo il recente incontro di Assisi, il papa ha proposto un esame di coscienza a tutte le religioni, comprese le religioni tradizionali africane. Le ha accomunate in una storia fatta anche di "ricorso alla violenza in nome della fede": una storia, quindi, bisognosa per tutte di purificazione.

E due giorni dopo Benedetto XVI è stato ancor più preciso. Ricevendo in Vaticano i vescovi dell'Angola in visita "ad limina", ha denunciato una violenza che in nome delle tradizioni religiose africane arriva persino ad uccidere bambini ed anziani. C’è nel papa la preoccupazione pastorale che anche i cristiani africani si liberino da tali comportamenti.

Interessanti gli interventi di alcuni responsabili delle varie religioni presenti ad Assisi che suggeriscono cammini verso l’autenticità delle religioni.

L’arcivescovo di Cantorbéry afferma la sua determinazione appassionata per la pace nel mondo. E perché ciò avvenga, invita a fare appello alle saggezze proprie ad ogni religione per rispondere alle sfide del nostro tempo, soprattutto riconoscendo il prossimo… non come uno straniero. Egli propone una alleanza delle saggezze delle religioni… e attingere dal profondo delle tradizioni.

Il presidente del Jogye Order appartenente al buddismo sud-coreano ha paragonato la vita di ciascuno a un bel fiore che…fa di questo mondo un luogo magnifico. Ha chiamato le religioni a mettersi insieme in cinque fraternità: la fraternità per la vita, per eliminare le radici della violenza, la fraternità per la pace per una coesistenza armoniosa, la fraternità per la cultura per accettare le differenze, la fraternità per la condivisione per aiutare quelli che soffrono e la fraternità dell’azione per far diventare il mondo… luogo puro e profumato come un fiore.

In questi interventi si nota che ogni religione può e deve vivere il proprio cammino di purificazione, conversione, e crescita. Lo Spirito di Dio l’accompagna e l’assiste. Si tratta di ritornare alle ispirazioni iniziali contenenti i Semi del Verbo, perché è avvenuto che lungo i secoli, alcuni comportamenti non sono sempre stati fedeli allo spirito delle radici e alla natura originaria e quindi non sempre hanno prodotto frutti buoni. E’ necessaria una riscoperta, una fedeltà. Ogni albero (ogni religione) deve poter sviluppare la propria identità dentro l’ordine e l’armonia del creato.

Sosteniamo l’azione dello Spirito con la preghiera.

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Presenza

Touggourt, 29 ottobre 2011


Per una settimana celebro da solo nell’angolo rimastomi della mia chiesa affidata a una associazione musulmana che la occupa per incontri formativi.

Le Piccole Sorelle sono ad Algeri per un loro incontro.

Mi accompagna la riflessione del teologo Sequeri che partendo dalla figura di Charles de Foucauld la estende ad ogni presbitero e ad ogni cristiano: “L’immagine evocata da Fratel Carlo, che si immagina come sacerdote, dove non se ne sono visti, per spezzare il pane e invitare al banchetto invitati improbabili rispetto ai soliti noti, è particolarmente commovente da leggere oggi. Da qualche tempo ci siamo abituati all’idea del sacerdote come guida e animatore di una Chiesa-comunità già formata, con tutti i suoi ministri sussidiari, i suoi laici impegnati, le sue iniziative caritative e culturali, che quasi abbiamo rischiato di dimenticarci che dove un cristiano si trova a vivere la sequela e l’imitazione del Signore, la Chiesa è già arrivata. E dovunque un sacerdote vive sinceramente la propria vocazione al discepolato come ministro ecclesiastico dell’Evangelo in seno alla condizione umana, la Chiesa ha già incominciato ad agire formalmente nella successione apostolica della confessione della fede, dell’ospitalità evangelica, dell’annunzio della salvezza, della speranza di riscatto, delle opere di agape”.

E P. Sequeri conclude: “Un sacerdote, un religioso, un cristiano, non sono mai senza Chiesa. Al contrario, i luoghi dell’umano che rimangono senza Chiesa sono sempre molti. Non basta che la Chiesa viva la sua vita, nei luoghi in cui abita l’uomo. Né è sufficiente che essa viva la vita di coloro che la abitano già. E’ necessario che essa mostri di saper vivere la vita di coloro che abitano ai confini della sua: anzi, che essa viva proprio la vita di coloro che non la abitano per nulla. E forse non arriveranno ad abitarla, su questa terra, con la comprensione e la libertà che sono necessarie affinché siano onorate insieme - secondo la limpida intenzione di Dio, significata da Gesù – la qualità del discepolo e la dignità dell’ospite” (a pag. 157 del libro di Cruz Oswaldo Curuchich Tuyuc Charles de Foucauld e René Voillaume, Cittadella Editrice).

Sopra la cupola è rimasta anche la piccola croce, segno dell’amore di Gesù nei suoi discepoli.

Incontro di occhi e sorriso

Touggourt, 2 novembre 2011


Una signora, membro di un gruppo impegnato, mi ha scritto: “Grazie padre Silvano per le tue cartoline…

Ci sembra di non aver niente o poco da dire a confronto della tua vita ... ed invece, come tu insegni, è l'incontro quotidiano, quindi è la quotidianità, che a volte ci sembra banale, che va valorizzata....

Ti racconto quindi la bella passeggiata… Sono ritornata da poco, fatta con mio marito…, che spinge la carrozzina Ho gli occhi ancora pieni del giallo e rosso delle foglie illuminate dal sole di questo autunno 2011. Anch'io ricevo saluti da chi incontro, anche se sconosciuti. E' un incontro di occhi e sorriso... Non resta che ringraziare... Cari saluti…”

Che bello! Il cuore canta e ringrazia … per i colori…per il sole…per le persone incontrate… Incontro di occhi e sorriso. Sembra l’eco del Cantico delle Creature di S. Francesco.

Bella, ma non facile, la determinazione di guardare sempre l’altro, qualsiasi, come un prossimo, un amico, un fratello, anche lui dotato dell’immagine di Dio.

Non è facile conservare la fiducia nell’altro e mantenerti aperto e col desiderio che il tuo saluto vado al cuore e possa essere accettato.

E’ gioia grande quando c’è risposta… perfino col sorriso. Anche il mondo allora è più buono.

Si tratta di credere… nell’uomo.

E’ bello l’incontro di occhi e sorriso!

Lasciarsi vincere

Touggourt, 2 novembre 2011


Oggi 2 novembre, festa dei defunti. Ho appena celebrato con le Piccole sorelle. Rientrato a casa mia ho vissuto un momento molto bello. Mi hanno vinto!

In questi giorni ero preoccupato perché la vicina aveva chiesto il mio cortile per la festa del matrimonio della figlia. Si trattava di accettare giorni di grande affluenza con danze pranzi musica col rischio di vedere il giardino invaso e un po’ o tanto bistrattato.

Invece la famiglia ci aveva ripensato e ho visto che già avevano eretto un grande tendone per occupare la strada davanti alla loro casa. Mi sono presentato con un dono per la festa e la mamma disse che non voleva mettermi in disagio e che mi invitava alla festa. Mi sono sentito vinto.

Come è importante mantenere calmo il cuore anche quando esiste o immagina una difficoltà e si sente sossopra, aggredito. E poi è bello sentirsi vinto da una bontà che non si pensava.

Preghiamo insieme

Touggourt, 6 novembre 2011


Dieci minuti fa tutta la città era un solo grido: Dio è il più grande. Dalle cento moschee una sola parola di fede. Ora non senti un respiro. Dov’è la popolazione di Touggourt? Prima in moschea poi tutte le famiglie sono riunite per il sacrificio del montone. Momenti di rito, di preghiera. Tutti uniti, inchinati di fronte a Dio. Niente è più importante.

Non posso liberarmi da questa forte impressione e mi sento anch’io dentro questo mondo di fede e di preghiera. Mi sento unito al mio vescovo Claude Rault che così ha scritto a tutti gli amici musulmani:

“La festa dell’Aid El Adha è per la nostra comunità cattolica del Sud dell’Algeria l’occasione di rinnovare l’assicurazione della nostra profonda amicizia. Che Dio l’altissimo benedica le vostre famiglie. Vi accordi prosperità, salute e pace. Come il nostro antenato Abramo, tutti dobbiamo rispondere alla chiamata di Dio e l’esempio della sua sottomissione ci stimola a esservi fedeli. Preghiamo insieme Dio Onnipotente perché realizzi la vera pace e cambi il cuore di quelli che provocano la violenza.

Il Papa ad Assisi disse: “Il rivolgersi dell’uomo verso Dio, vissuto rettamente è una forza di pace”.

Preghiamo perché la pace abiti la terra. Coi migliori auguri di bella e santa festa!

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Il sacrificio di p. Fausto Tentorio

Touggourt, 23 ottobre 2011


Continuo a meditare sulla morte di p. Fausto Tentorio, mio confratello del PIME.

Il nostro primo martire, p. Giovanni Mazzucconi, appena ordinato sacerdote, interrogato da un fratello, come passava la sua giornata, aveva risposto: “Dico Messa”.

Penso che a partire dal sacrificio della Messa si può capire il valore di quanto ha vissuto e fatto il missionario p. Fausto.

Leggo il primo annuncio della sua morte : “Aveva appena finito di celebrare la Messa nella parrocchia di Arakan e stava entrando in macchina quando uno sconosciuto in moto gli ha sparato. Soccorso dai fedeli, è stato subito portato al più vicino ospedale, distante 30 chilometri, ma inutilmente”.

Aveva appena celebrato il sacrificio di Cristo e il suo. Anche i fedeli l’avevano celebrato e ora lo vivono e lo rivivranno in comunione con p. Fausto. E’ nel sacrificio di Gesù che il discepolo impara ad amare, a resistere al male e a fare il bene.

Leggo il mio maestro Charles de Foucauld: “Il dovere speciale del sacerdozio è il sacrificio di Gesù e di se stesso sulla croce… I preti debbono offrire Gesù al Padre, per la sua gloria e la salvezza degli uomini nella santa Eucaristia come egli si è offerto nella cena; e debbono offrirsi con Gesù al Padre per la sua gloria, quella di Gesù, e la salvezza degli uomini sulla croce, soffrendo, con Gesù, l’agonia, la passione e la morte, nella misura in cui piacerà a Gesù e ad essere vittime con lui”.

Il teologo A. Padula scrive che il ministero di Frère Charles fu di vivere in un “dinamismo eucaristico proteso nell’essere con e per la gente, effettivamente solidale con le ‘pecorelle più abbandonate’ … in modo da portare con loro, per amore, i pesi del peccato (cf Eb 9,28), i pesi della loro dura esistenza e giungere a trasfigurare le storie personali in cammini di liberazione e redenzione”.

Il discepolo non vive il dono della vita separato da Cristo. Terminata la Messa, Cristo non è uscito ad accompagnare p. Fausto e i fedeli ma a continuare a essere in loro.

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Nuova evangelizzazione far vedere Gesù

Touggourt, 14 ottobre 2011


Durante le mie vacanze in Italia ho vissuto una settimana a Iondini, a 13 Km oltre Biella, in una vallata dove trovi i paesi di Campiglia, Rosazza, Piedicavallo e poi la strada finisce. A Campiglia c’è il primo e più grande santuario europeo dedicato a S. Giovanni Battista, frequentato anche da stranieri. In quella zona ogni gruppetto di case ha il suo luogo di preghiera col suo campanile. E poi lungo la strada altri piccoli santuari e qualche capitello.

La gente un tempo univa la sua vita dura di montagna con momenti di preghiera e di piccole feste rionali. Mancando oggi i sacerdoti, anche la celebrazione della messa è ridotta. Trovandomi lì per una settimana di esercizi, la domenica ho celebrato nella chiesetta del quartiere che si era riempita. Poi qualcuno mi ha molto ringraziato. Quello che mi è tanto piaciuto è come la gente si fermava a parlare con le Missionarie dell’Immacolata. Esse abitano per due mesi, ogni anno, nella casa che un tempo apparteneva alla famiglia di Igilda Ridolfi, una delle due loro fondatrici. Vi organizzano momenti formativi e un po’ di riposo.

Quando le missionarie sono lì, mi dicono, la gente mostra gioia e si presta ad aiutarle. Anche il Vescovo e i sacerdoti della diocesi di Biella sarebbero contenti se potessero restare. Nella fraternità nascono delle amicizie e molti aprono i loro cuori a confidenze e a domande di preghiere.

E’ gente cresciuta dentro tradizioni religiose e sociali e che si trova ora dentro un vuoto e un’assenza. E penso anche a quanti sono cresciuti senza quelle tradizioni.

Mi risuona, nel profondo, uno scritto di Hetty Hillesun, mistica ebreo cristiana che nel lager di Auschwitz medita il Vangelo e legge San Agostino. Non si abbatte, si carica delle sofferenze del suo popolo, fa di tutto per alleviare le sofferenze e trova nella sua intensa comunione con Dio, una forza straordinaria di amore. Scrive: “ Dio, tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi… Esistono persone che … si preoccupano di mettere in salvo aspirapolvere, forchette e cucchiai d’argento, invece di salvare te”.

Certo la situazione di Auschwitz era tragica, ma già quarant’anni fa Joseph Ratzinger scriveva: “Continua a salire dall’umanità quel grido che l’evangelista Giovanni mette in bocca ai greci saliti a Gerusalemme: “Vogliamo vedere Gesù”. E’ un grido che chiede a uomini e donne di mostrare Gesù, facendo vedere la loro vita ispirata dal Vangelo e ad essa conformata, testimoniano la prassi del servizio, di amore, di riconciliazione e di libertà vissuta da Gesù”.

Dal deserto Charles de Foucauld scriveva: “Gesù chiese a sua madre di portarlo dove doveva nascere Giovanni. Oggi dice a noi: Portatemi in mezzo alla gente che non mi conosce. Portate il Vangelo, predicandolo non con la bocca, ma con l’esempio. Non annunciandolo, ma vivendolo. Santificate il mondo, portatemi… anime nascoste e silenziose, come Maria mi condusse a Giovanni”. (Es, pp, 128-129)

Il martirio di p. Fausto Tentorio

Touggourt, 17 ottobre 2011


Don Bruno Maggioni dice: “Il martire colpisce e affascina per la libertà della sua morte, piena di significato; il martire muore per una ragione, non semplicemente perché ogni uomo è destinato a morire”.

Ancora un confratello martire. Quale ragione nel martirio di p. Fausto Tentorio? Solo, col mio computer che mi porta la notizia dell’uccisione, rivedo p Fausto e prego per lui e per l’Istituto.

Leggo: P. Fausto Tentori è stato ucciso oggi alle ore 8.30 locali nella cittadina di Arakan, nell’isola di Mindanao.

Aveva appena finito di celebrare la Messa nella parrocchia di Arakan e stava entrando in macchina quando uno sconosciuto in moto gli ha sparato. Soccorso dai fedeli, è stato subito portato al più vicino ospedale, distante 30 chilometri, ma inutilmente.

P. Fausto era nato a S. Maria di Rovagnate, in provincia di Como, nel 1952.

Partito nel 1978 per le Filippine, aveva lavorato inizialmente ad Ayala, nella diocesi di Zamboanga. Era passato nel 1980 alla diocesi di Kidapawan, prima nell’area di Columbio, poi dal 1986 in quella di Arakan. Impegnato già a Columbio con le comunità indigene, pur lavorando anche con quelle cristiane, nel 1990 aveva deciso di impegnarsi a tempo pieno con i tribali della zona, i Lumad, circa 20.000 persone in via d’estinzione.

A partire dal 1955, con l’arrivo dei primi coloni, a queste popolazioni erano stati tolti migliaia di ettari di foresta, loro habitat naturale. La scomparsa della terra avrebbe portato anche alla scomparsa delle tribù. Con l’aiuto della CEI, di alcune ONG e di agenzie governative, era riuscito in questi anni a far sì che il governo riconoscesse la priorità dei tribali sulle terre ancestrali rimaste.

Il lavoro era poi continuato con la nascita di cooperative agricole, educazione sanitaria e alfabetizzazione. Negli ultimi tempi il missionario era anche impegnato per fermare la diffusione dell’industria mineraria, altro elemento di distruzione delle popolazioni indigene.

Proprio per questa sua attività a favore degli ultimi, p. Fausto era già stato in passato oggetto di minacce ed era scampato ad altri attentati.

Tempo fa aveva detto: Si potrebbe pensare che andare nelle Filippine è un viaggio nell’ignoto, in mezzo a persone che ti inseguono, che ti vogliono rapire, che cercano “la testa del turista”. Invece, la prima cosa che ti sorprende, quando arrivi, è la grande disponibilità e umanità della gente. Dagli addetti all’aeroporto, ai poliziotti (sì, anche loro sanno essere simpatici…), dagli altri viaggiatori che ti tengono compagnia durante le 14 ore di volo fino al signore delle pulizie dell’aeroporto di Manila, che si fa in quattro per indicarmi il gate giusto per prendere l’aereo per Davao. E poi i bambini… E poi … e poi …”

«Uno dei cambiamenti più importanti che avviene attraverso la scuola - spiega Tentorio - è che i manobo prendono coscienza dei propri diritti soprattutto per quanto riguarda la difesa delle proprie terre».

Martirio per la fede o per amore?

Qui in Algeria si è parlato molto di martirio. Corro a rivedere le note che conservo sul martirio dei monaci di Tiberine.

Christian de Chergé, il superiore dei monaci di Tiberine, disse in una sua omelia : “Si dovette attendere Massimiliano Kolbe perché la Chiesa riconoscesse il titolo di martire a una testimonianza che fu più di carità che di fede. In realtà anche nella definizione classica del martirio assieme alla testimonianza di fede si parla anche di virtù…

Il martirio dei monaci è fedeltà a un popolo come quello di Gesù per l’umanità. Nell’ultima cena Gesù fece dono della vita che visse poi sulla croce. Anche nei monaci ci fu offerta della vita e il sacrificio. Christian diceva: “Non sarà l’Emir Sayat a prendermi la vita, perché l’ho gia donata”.

Christian spinge il suo amore per il suo popolo fino a non volere che qualcuno sia responsabile della sua morte. Diceva: “Non voglio chiedere una tale morte. Voglio crederlo, professarlo. Non voglio e non sarei contento se questo popolo che amo potesse esser accusato del mio martirio”.

Restare a Tiberine fu solo per fedeltà a quello in cui credevano, non una provocazione.

Anche p. Fausto era rimasto… ed è lì col suo popolo.

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Presenza della Chiesa in Tunisia e accompagnamento

Touggourt, 3 ottobre 2011


La Tunisia vive una grande svolta della sua storia. Il Tsunami politico iniziato in gennaio (2011) sta portando il paese verso la democrazia, la prima nel mondo arabo musulmano. La gente sente che il paese è come un ‘laboratorio’ e ha tutto l’interesse che questo riesca bene.

L’arcivescovo di Tunisi, Maroun Lahham, segue il momento molto da vicino e ha raccomandato sempre e a tutti di seguirlo con ottimismo e discernimento. Egli scrive a tutto il suo popolo. Cristiani, musulmani e credenti di altre religioni, tutti insieme devono vivere questo momento di rinnovamento.

Così vede il procedimento di quanto sta accadendo e lo precisa in tre momenti: la rivoluzione, le elezioni e la vera democrazia.

- La rivoluzione si è svolta senza gravi disordini e la situazione del paese è abbastanza calma.

- Le elezioni. Tra l’assemblea costituente fissata per il 23 ottobre e le elezioni ci vorranno almeno due anni. E’ importante posare delle fondamenta di una Costituzione e di un governo democratico. Costituente che non dovrà cambiare ogni due anni. Un governo che guidi il paese con una mentalità democratica.

- La vera democrazia. Come per altri paesi anche per la Tunisia sarà necessario del tempo per formare alla vera democrazia. Una mentalità democratica significa lavoro ben fatto, precisione nel dire e nel fare, rispetto del tempo e degli impegni presi, umiltà di dire che non si sa tutto, rispetto dell’altro diverso, responsabilità nell’esercizio del diritto a parlare, a fare sciopero e a manifestare, i valori civici come la nettezza generale e il rispetto del codice della strada. La mentalità democratica significa anche coniugare il fatto di essere un paese arabo e musulmano con ciò che concerne la modernità.

L’Arcivescovo non vorrebbe scoraggiare, ma essere realista. Se si vuol subito tutto, si rischia di restare delusi. La Tunisia dovrà essere inventiva per darsi un modello di democrazia a lei confacente.

“Mettiamoci con gioia, ottimismo, realismo, dice ancora l’Arcivescovo, ma con uno spirito di preghiera perché tutto si svolga bene!”

Giovani missionari sulla strada dei santi

Touggourt, 7 ottobre 2011


Il Papa ai giovani G.M.G. di Madrid: “Il mondo ha bisogno della testimonianza della vostra fede, ha bisogno della vostra fede…Non è possibile incontrare Cristo e non farlo conoscere agli altri. Quindi non conservate Cristo per voi stessi. Comunicate agli altri la gioia della vostra fede”.

Mettersi sulla strada dei santi.

San Francesco Saverio si recò nei tuguri dei poveri, al capezzale dei malati, negli antri dei lebbrosi. Girava nei quartieri più squallidi, sonando un campanello, per rac­cogliere intorno a sé torme di ragazzi laceri e affamati. Lo chiamavano “il grande Padre”.

Ma il suo cuore andava più lontano, verso co­loro ai quali il messaggio di Cristo non era giunto... Appena poteva, s'imbarcava per andare tra i pescatori di perle sparsi nelle isolette, poi più lontano, nelle Molucche, tra infedeli ancora allo stato semi­selvaggio.

Temendo per la sua vita, spesso gli venivano negate le imbarcazioni. « Andrò a nuoto» diceva Francesco Saverio. Cercavano di frenarlo, con la paura degli animali velenosi. Francesco sorrideva: « La fiducia in Dio- diceva - è un buon antidoto».

Santa Teresa del Bambino Gesù diceva: «Vorrei essere missionaria non solo per qualche anno, ma vorrei esserlo stata dalla creazione del mondo ed esserlo fino alla consumazione dei secoli…Vorrei percorrere la terra, predicare il tuo nome e piantare sul suolo infedele la tua Croce gloriosa! Ma, o mio Amato, una sola missione non mi basterebbe: vorrei al tempo stesso annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo e fino nelle isole più lontane... Vorrei essere missionaria non solo per qualche anno, ma vorrei esserlo stata dalla creazione del mondo ed esserlo fino alla consumazione dei secoli»

Maddalena Houtin, la fondatrice della fraternità delle Piccole Sorelle di Touggourt, diceva:“Frère Charles de Foucauld, da solo, non esitava a colmare diverse fraternità con tutto il suo amore… (Béni Abbès, Tamanrasset, Assekrem). Un’anima che irradia, è sufficiente per accendere un braciere… Stamattina ho affidato a piccola sorella Yva tutto l’Islam e tutto l’Oriente…A piccola sorella Gabrielle ho affidato il Giappone… A piccola sorella Mathilde affideremo l’America… Ci sarà anche la Russia, la Germania, il Ciad… Io non sono nulla, ma Gesù mi ha dato una piccola scintilla del suo amore”.

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Ancora a Touggourt

Touggourt, 25 settembre 2011


Anche questa volta ho passato le dieci ore di pulman da Algeri leggendo un libro. E’ La storia di un uomo, cioè il ritratto di Carlo Maria Martini scritto in modo attraente e comprensibile da Aldo Maria Valli. Non potevo farmi un regalo più bello. Non solo c’è il racconto della vita del Cardinale, ma anche il suo pensiero tratto dai suoi scritti. Sono sempre stato un assiduo lettore di Martini, da quando, leggendo in Camerun il suo commento del Vangelo di Marco, mi sembrava di vedermelo accanto. Il suo essere penetrato dalla Parola di Dio, gli permetteva di capire le situazioni umane anche di gente di diverse culture. Vicino a Dio era ed è vicino all’uomo. Eccolo ora ancora vicino a me in preghiera per la pace.

Leggo a pag. 159 : “Intercedere non vuol dire semplicemente ‘pregare per qualcuno’, come spesso pensiamo. Etimologicamente significa ‘fare un passo in mezzo’, fare un passo in modo da mettersi nel mezzo di una situazione. Intercedere vuol dire allora mettersi là dove il conflitto ha luogo, mettersi tra le due parti in conflitto. Non si tratta solo di dire ‘Signore, dacci la pace!’, stando al riparo. Si tratta di mettersi in mezzo…. Intercedere è un atteggiamento molto più serio, grave e coinvolgente, è qualcosa molto più pericoloso. Intercedere è stare là, senza muoversi, senza scampo, cercando di mettere la mano sulla spalla di entrambi e accettando il rischio di questa posizione”.

Leggendo, mi sembrava che mi vedesse a Touggourt, non in situazione di conflitto, ma nel mio comportamento di ‘stare là… accettando il rischio’.

E per quando riguarda l’Islam, a pag 136, dice: “Occorre guardare non tanto, in modo generico, all’Islam in quanto religione e tradizione (della quale, fra l’altro, sappiamo ben poco), ma all’uomo islamico come lo incontriamo nelle nostre città. E da questo rapporto che nasce il dialogo. E’ da questo riconoscimento fraterno che nasce un cammino di pace, nella realtà quotidiana”.

Il taxi mi lascia davanti alla porta della mia casa. Apro, saluto Gesù Eucaristia, solo come me, e gli dico che ci faremo buona compagnia. Guardo il termometro: 41 gradi. Dico tra me: ‘Sabrun bab ge’na’ (La pazienza è la porta del Paradiso). Poi, tornando dalla polizia, saluto la gente. Alcuni anziani mi dicono: “Passa spesso di qui e resta un po’ con noi”. E’ sempre sul marciapiede che vivo i miei incontri. Il Papa in Germania ha detto : “L’umiltà è l’olio che facilita il dialogo”.

Riprendo il mio stare accanto a questa popolazione con affetto e discrezione, vivendo, dice ancora Martini, un’autentica esperienza dello Spirito Santo: lo Spirito è infatti il vincolo di unità tra i diversi e aiuta ciascuno a gridare l’Abba del cuore e della vita verso l’unico Padre di tutti”.

Attendo un altro ‘dono della fede’ della Chiesa Italiana

Touggourt, 29 settembre 2011

Questa mattina Don Emmanuele Cardani mi ha salutato. Ha vissuto con me e con p. Davide Carraro un po’ a Touggourt e soprattutto ad Hassi Messaud, grande centro petrolifero. Prete Fidei Donum della diocesi di Novara, appartenente alla famiglia sacerdotale degli Oblati che fanno voto di obbedienza al Vescovo. Queste due note di prete ‘dono della fede’ e ‘oblato’ hanno improntato fortemente e un po’ orgogliosamente il suo vivere a servizio non solo dei cristiani delle società petrolifere che vengono da tutte le parti del mondo ma anche degli algerini che si confidavano a lui. Dovette occuparsi della riparazione della piccola chiesa Notre Dame des Sables e della casa adiacente. Tutto ciò gli domandava di tessere un continuo rapporto con gli operai e i donatori delle società, in gran parte italiani, con le autorità della città e col vescovo del Sa’ara, mons Claude Rault.

Mentre era qui con me, negli ultimi giorni, il suo telefono portatile era testimone di un intreccio di saluti che dicevano che non gli è stato facile interrompere dei rapporti di amico e di sacerdote anche con gente di varie situazioni umane e religiose. E’ bello vedere un missionario che entra nel vivo della vita della gente e che accetta di compromettersi nelle gioie e nelle sofferenze.

Terminato il suo contratto col Pime (il mio istituto ‘Pontificio Istituto Missioni Estere’) al quale era associato, parte in Italia per un’operazione all’anca e, rientrato, risiederà ad Algeri per un altro impegno con l’Arcivescovo di Algeri, mons Bader.

Questa mattina, celebrando l’Eucaristia con le Piccole Sorelle di Gesù con le quali, insieme, abbiamo vissuto questi anni, gli ho ripetuto quanto il superiore generale del Pime disse un mese fa ai quattro nuovi membri del Pime, tre brasiliani e un italiano : “Vi accogliamo con gioia, ma non vi tratteniamo”. Mi era piaciuto sentire riaffermato lo spirito del Pime che forma missionari e continua a mandarli. Anche con don Emmanuele il Pime ha vissuto insieme e ora lo lascia libero ad andare… ad andare ancora!

E circa il vivere insieme aggiungo anche un altro pensiero del superiore: “La chiamata non è una vostra iniziativa, ma è dono di Dio; la chiamata è un dono per la missione, la quale chiede fedeltà fino alla fine; infine la chiamata è comunitaria, perché il carisma lo si vive assieme, così come si impara reciprocamente assieme dalla memoria vivente dei confratelli, solo mettendo a parte l’individualismo … per vivere in una famiglia di Apostoli dove ci si trova non perché ci si è scelti, ma perché Lui ci ha scelto”.

Ora non mi resta che attendere p. Davide e sperare in un altro ‘dono della fede’ della Chiesa Italiana. Per questo vi chiedo una preghiera.

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Cari amici domani ritornerò in Algeria

Italia, 20 settembre 2011


Dopo tre mesi impegnati in incontri e testimonianze varie. Salutandomi, mia madre che il 12 settembre scorso ha compiuto 102 anni, mi ha detto: "Fa puito" che significa: Fa bene, fa il bravo. Salutandovi, lo dico anche a voi. Fra qualche giorno, padre Emmanuele sarà in Italia per una operazione. Allora a Touggourt resterò solo fino all'arrivo di Padre Davide previsto per febbraio prossimo, visto permettendo. Per tutte queste cose vi chiedo di pregare. Ma non resterò solo perché ritroverò, nel suo bel luogo, Gesù Eucaristia, lo stesso che cinque anni fa quando arrivavo gli dicevo: "Sono qui per te". E lui mi aveva risposto: "Sono io qui per te e ti aspettavo". Vi comunico una cosa che mi sta tanto a cuore:

Pellegrini della verità e della pace ad Assisi

Italia, 20 settembre 2011


Il Papa desidera far rivivere lo spirito della storica preghiera di Assisi di 25 anni fa.

Nel prossimo numero della rivista Mondo e Missione si leggerà quanto il teologo Jean Marie Ploux ha scritto: " Se, come diceva Giovanni Paolo II, lo Spirito è all'origine di ogni autentica preghiera, allora che cosa c'è di più urgente di quest'assemblea di credenti che ciascuno secondo la propria tradizione e fede, si rivolge al Dio unico per il bene di tutti gli uomini?"

Non semplice celebrazione di un anniversario e né desiderio di trovare una religione globale che ci unisce, ma sentire e pronunciare il grido profondo del cuore dell'uomo che ha bisogno di dialogo e di fraternità per una pace che permetta al mondo di avere un avvenire.

Il Papa invita tutti i credenti e in particolare i responsabili delle diverse religioni del mondo, a uscire da tutti i conflitti, compresi quelli interiori, ancora persistenti e micidiali. Anche la crisi economica è il frutto di scontri e di lotte, poco apparenti, ma che portano a fallimenti e a suicidi.

"Farci pellegrini della verità e della pace" significa uscire dalla sfiducia nell'uomo e di non crederci più capaci d'amore, di vera libertà e di giustizia.

"La pace, dice ancora il Papa, è possibile, perché tutti gli uomini sono creati capaci di vero e di bene e sono dei pellegrini infaticabili della verità e quindi dell'assoluto... La capacità universale di conoscere il vero, il bene e Dio, rende tutti gli uomini, credenti e non credenti, membri di una ricerca comune e di un patrimonio di valori etici condivisi di cui è possibile servirsi per cooperare all'affermazione della giustizia e della pace nel mondo".

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Paradiso vicino

Rancio di Lecco, 14 settembre 2011


Il padre Clemente Vismara, beatificato a Milano il 26 giugno scorso, mi ha fatto sentire la santità vicina perché la sua vita è stata quella di un missionario coi piedi per terra, senza cose straordinarie, ma certamente tutto dedito a donarsi alla gente che incontrava in Birmania e col cuore aperto a Dio. Anche domenica scorsa, 11 settembre, ho vissuta un’altra vicinanza, facendo visita ai confratelli di Rancio di Lecco. Ero con un gruppetto di Pimini partecipanti al Consiglio Plenario.

A Rancio vivono 24 missionari del PIME provenienti da varie missioni. La maggior parte ha superato gli anni 80, ma qualcuno è più giovane di me. Tutti sono ormai bisognosi di assistenza. Per loro l’Istituto riserva delle cure di una professionalità straordinaria e delle premure affettuose. Oltre che dal personale sanitario, essi sono assistiti anche da alcune missionarie dell’Immacolata e dai nostri seminaristi che vi passano il sabato e la domenica.

In quella casa regna la carità e la preghiera. Anche quella è missione. E bello vedere qualcuno spingere la carrozzella di un altro e poi scambiarsi un gesto di incoraggiamento e di gratitudine. Altro momento bello, al quale ho assistito, è stato vedere con quanto amore curavano il loro missionario, la sorella e la nipote venute da lontano per passare qualche giorno insieme. La maggior parte parla solo con gli occhi… come quando un seminarista chiese un giorno ripetutamente al padre Carelli: “P. Carelli, è bella la Birmania?”. Alla terza volta, il missionario rispose con una lacrima.

Poi siamo passati a Sotto il Monte nella casa natale di Papa Giovanni dove continuamente i fedeli vogliono rivedere il loro Papa. Guardandoli accarezzare la statua ormai lucida… sul mento, gli orecchi, sul naso… ti sembra di vedere il papa sorridere come nonno… felice di stare vicino ai nipotini.

E finalmente la visita a Villa Grugana dove riposano i nostri missionari defunti. Li, quando leggi i nomi, risenti la storia del Pime. Ritrovi i primi, poi i tuoi formatori, qualche tuo compagno…

Prima di partire ci ha salutati il custode del cimitero. P. Angelo Gianola, anni 92, sorriso aperto, felice, lucente, già missionario in Brasile.

Una giornata vissuta in comunione. E dove c’è la comunione dei santi il cielo è più vicino. Anche il paradiso è vicino.

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Mamme educatrici

Italia, 27 agosto 2011

Oggi Santa Monica, madre di Sant’ Agostino, vescovo algerino. Prego per tutte le mamme, in particolare per quelle che conosco a Touggourt. E’ importante che le mamme facciano opera di educazione nel mettere… e far emergere dal cuore dei figli i primi sentimenti umani, religiosi e di accoglienza dell’altro anche se straniero, correggendo, se necessario, quei luoghi comuni che ci mantengono separati.

La mamma dei sette Maccabei chinatasi sul figlio… così disse nella lingua paterna: "Figlio, abbi pietà di me che ti ho portato in seno... che ti ho educato... Ti prego, o figlio, di osservare il cielo e la terra e di mirare tutte le cose in essi contenute e di dedurne che Dio non le ha fatte da cose preesistenti, e che il genere umano ha la stessa origine. Non temere questo carnefice, ma accetta la morte, mostrandoti degno dei fratelli, affinché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli al momento della misericordia".

Sant’ Agostino nel libro delle Confessioni ci tramanda le ultime parole di sua madre sul lido di Ostia: “Mia madre disse: - Figlio mio, per quanto mi riguarda, questa vita ormai non ha più nessuna attrattiva per me. Cosa faccio ancora qui e perché sono qui, lo ignoro. Le mie speranze sulla terra sono ormai esaurite. Una sola cosa c'era, che mi faceva desiderare di rimanere quaggiù ancora per un poco: il vederti cristiano… prima di morire. Il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente, poiché ti vedo addirittura disprezzare la felicità terrena per servire lui. Cosa faccio qui?”

Christian de Chergé, il superiore dei sette monaci di Tiberine (Algeria) uccisi nel 1996 dice che fu sua madre a mettergli nel cuore i primi sentimenti di rispetto per i musulmani. Scrive: “Avevo cinque anni, e scoprivo l'Algeria per un primo soggiorno di tre anni. Conservo una profonda riconoscenza a mia madre che ha insegnato, a me e ai miei fratelli, il rispetto della rettitudine e dei gesti della preghiera musulmana. “Pregano Dio”, diceva mia madre. Così, ho sempre saputo che il Dio dell'islam ed il Dio di Gesù non sono diversi».

Lettera di una mamma algerina musulmana dopo l’uccisione dei sette monaci.

Dopo la tragedia e il “sacrificio vissuto da voi e da noi, dopo le lacrime e il messaggio di vita, di onore e di tolleranza trasmesso a voi e a noi dai nostri fratelli monaci, ho deciso di leggere il testamento di Christian, ad alta voce e con profonda commozione, ai miei figli perché ho sentito che era destinato a tutti e a tutte. Volevo dire loro il messaggio di amore per Dio e per gli uomini…

Io e i miei figli siamo molto toccati da una così grande umiltà, un così grande cuore, dalla pace dell’anima e dal perdono. Il testamento di Christian è molto più di un messaggio: è come un sole che ci è trasmesso, ha l’inestimabile valore del sangue versato.

Nostro compito è quello di continuare il cammino di pace, di amore di Dio e dell’uomo nelle sue differenze. Nostro compito è innaffiare i semi affidatici dai nostri fratelli monaci affinché i fiori crescano un po’ ovunque, belli nella loro varietà di colori e profumi.

La chiesa cristiana con la sua presenza continui a costruire con noi l’Algeria della libertà delle fedi e delle differenze, l’universale e l’umanità. Sarà un bel mazzo di fiori per noi e una grande opportunità per tutti e per tutte. Grazie alla chiesa di essere presente in mezzo a noi oggi. Grazie a ciascuno e a ciascuna. Grazie a voi monaci per il vostro grande cuore: continui a battere per noi, sempre presente, sempre tra noi…E ora riposino tutti in pace, a casa loro, in Algeria. (lettera firmata. 01.06.96)

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Missione nuova

Touggourt, 22 luglio 2011

Nei dodici giorni vissuti in Camerun, dal 4 al 16 luglio scorso, ho potuto incontrare, rivedere, rimettermi dentro varie situazioni e vari aspetti di questo paese e della Chiesa che vi opera.

Yaounde, Maroua, Yagoua e alla fine Ebolowa, i luoghi delle visite e degli incontri. Naturalmente ho frequentato maggiormente i miei confratelli del PIME e la sorpresa è che la maggioranza sono indiani, e uno del Bangladesh, poiché parecchi italiani erano in Italia o per vacanza o per cure mediche.

Ebbene questo è il nuovo volto del PIME che si fa sempre più internazionale.

E’ con viva soddisfazione che vedo questi preti e fratelli laici svolgere le loro attività con dedizione e capacità. Lo spirito italiano si trova a condividere con altri spiriti e genii in comunione ecclesiale.

La Chiesa è la prima a esperimentare con spirito di famiglia l’internazionalità e la globalizzazione; è cattolica, universale, per natura e per espansione.

Una novità importante è che in questi ultimi anni sono state affidate al clero locale tre grosse parrocchie, quelle di Guidiguis e di Moutourouwa nella diocesi di Yagoua e quella di Ngousso nella diocesi di Yaounde. Parrocchie da noi già bene avviate e autosufficienti. Ci si è spostati verso luoghi bisognosi di una presenza e di una azione con la dedizione e la forza di chi sempre ricomincia.

E’ un po’ quanto l’Istituto ha vissuto da oltre 150 anni in varie parti del mondo.

Interessante la domanda postami da un confratello indiano: “Finora la nostra presenza è stata vissuta prevalentemente nella pastorale delle comunità da far crescere e da organizzare. Ci sono altri servizi che possiamo offrire a queste Chiese locali?”

Risposi che anch’io avevo cominciato nel Nord del Cameroun nella normale pastorale degli inizi e della organizzazione della comunità di Guidiguis. Poi la diocesi mi diede l’incarico della formazione dei catechisti che ho svolto per 25 anni. Presto varie diocesi del Cameroun avranno un clero sufficiente. Se ritornassi giovane, mi offrirei ad accompagnare i preti perché mi sembrano un po’ isolati. Poter offrire un luogo dove pregare, riposarsi e alimentarsi di una bella e sana formazione sacerdotale. Ma ci sono altri servizi per noi membri di Istituti missionari, come quello, già vissuto, delle traduzioni della Bibbia e dei testi liturgici e dello studio delle lingue e delle culture. Poi c’è la fondazione Betlemme per handicappati, orfani, sordomuti, ecc. ecc

A conferma di ciò, aggiungo che P. Rino non nasconde la gioia di aver predicato gli Esercizi Spirituali a 120 preti di Yaounde e di essere invitato a predicarli ai preti di Ebolowa, il prossimo anno.

Ovunque sono stato, ho visto vescovi e preti tanto affezionati e riconoscenti per il nostro operato. Siamo visti come gli iniziatori, e senza esagerare, i patriarchi. Dopo la morte di Don Mario Bortoletto, il vescovo e i fedeli del Sud del Cameroun hanno voluto le sue spoglie. Il parroco di Ma’an mi diceva che ogni giorno arrivano dei fedeli, anche da lontano, per pregare sulla sua tomba. Molti africani vedono gli inizi della loro fede e della loro vocazione sacerdotale e religiosa a partire dall’esempio di qualcuno di noi.

Il vescovo di Ebolowa mi ha invitato a parlare a tutti i preti della mia vita in Algeria. Alla fine del pranzo ho concluso: “Nei miei ricordi, vedo che lo Spirito Santo ha i suoi tempi per le sue imprese. Fu durante un pranzo, nel 1975, che chiesi al vescovo di Vicenza preti per Ebolowa e li mandò. E oggi, durante un pranzo, ottengo per l’Algeria l’interesse e le preghiere di un vescovo e dei preti”.

Naturalmente, in questi giorni, nel cuore sentivo la gioia di poter dire: “Grazie, Signore! Non a noi la gloria! A te lode e benedizione”.

A Yaounde col p. Maurizio

Touggourt, 27 luglio 2011


Avvicinandoti alla casa del Pime a Yaounde ti metti le mani sui capelli e dici: “Sempre peggio”. In questi anni le strade sono peggiorate. Povere auto quando dalla casa vai verso le due località dove i missionari del Pime vivono il loro ministero. E se le strade hanno ancora l’asfalto, fissa lo sguardo, frena, va a destra… a sinistra… e evita i migliaia di taxi che tengono insieme i loro pezzi, non si sa come. Ma non esageriamo. All’aeroporto arrivi bene. La città continua a vivere. Di sera le mille luci e le mille musiche ti fanno sentire che c’è ancora voglia di vivere e di gioire.

A Edimar, sede dell’opera di p. Maurizio per i ragazzi che vivono sulla strada, entri con fatica. Edimar è il nome del ragazzo brasiliano di strada, ucciso perché non voleva più uccidere. La sede è davanti alla stazione ferroviaria della città di Yaounde. Devi cercarti il luogo dove mettere i piedi tra i venditori, ambulanti o stesi per terra, e i clienti dei mille negozietti, grandi un metro quadrato, o poco più. Vi si trova tutto e di tutto. Puoi cambiarti i vestiti e puoi mangiare e bere. Dentro larghi piatti, e sulla testa dei ragazzi o delle ragazze, con maestria, restano, senza cadere, banane, manghi, avocats, uova e brochettes. Ci sono bambini che vendono fazzolettini di carta, accendini, limoni, caramelle ecc. In tutti gli angoli, qualche donna passa la giornata davanti a un mucchietto di pomodori o di cipolle o di frittelle.

E la città di Yaounde è tutta così. Ognuno, se vuol mangiare si da’ da fare. Ti chiedi dove vadano a dormire, la notte, tutte queste persone. Al mattino presto, le chiese e le cappelle sono piene di fedeli. Si canta e si prega in tutte le lingue. Davanti alla statua della Vergine, vi passano tutti, e alcuni vi restano prostrati a lungo.

Finalmente entri a Edimar. Per riuscire a parlare un po’ con calma col padre Maurizio e coi suoi collaboratori, devi evitare il pallone dei ragazzi che giocano nello spazio libero per loro. In un angolo, le docce e i gabinetti. Perché i ragazzi di p. Maurizio, quelli che vivono sulla strada, quando, come e quelli che vogliono, possono permettersi di venire a Edimar per giocare, lavarsi e fare i loro bisogni senza che nessuno chieda loro i documenti. Così, sono tutti uguali, tutti liberi e tutti importanti. Alcuni, p. Maurizio li incontra al commissariato o in prigione. Ma piano piano, qualcuno cade anche nella sua rete e finisce per ritornare a casa, o a mettersi a studiare o a lavorare. E quando ce la mette tutta, arriva anche a qualche diploma o addirittura ad affiancarsi a p. Maurizio per aiutare altri a lasciare la strada. Ti viene voglia di credere ancora nei miracoli.

Gioia di cinque fratelli

Italia, 8 agosto 2011


Il 31 luglio 2011 a Vercelli la nostra sorella Suor Maria Rita (in famiglia Rosetta) ha festeggiato 50 anni di vita religiosa tra le Figlie di Sant’Eusebio di Vercelli. Con me erano presenti anche gli altri tre fratelli con le loro mogli.

50 anni di vita accanto a delle creature, nate con malformazioni, ma accolte, vestite, nutrite, amate dalle suore come principi, come angeli. A queste si aggiunsero anziani di varie categorie.

Oggi le suore sono diminuite come numero e le vedi… alcune un po’ dondolanti…

Ma la loro chiesa e la casa degli ammalati sono splendenti di luce, di colori, di profumi. Respiri un’aria di professionalità nel servizio e di modernità dei locali. Dai volti degli ospiti ricevi un saluto di gioia e di serenità.

50 anni di dono con un cuore di amore, di fiducia, di umiltà.

Parlando con alcune responsabili della congregazione ho colto delle novità che non immaginavo.

“Da qualche anno, mi hanno detto, l’impegno messo a scoprire i valori della “Lectio Divina” ci ha rinnovato nella nostra interiorità e ci ha aperto a delle relazioni con l’esterno. L’accoglienza della Parola di Dio rende ora la nostra liturgia, Eucaristia e preghiera dei salmi, più bella e più ricca. E nei momenti più importanti, la comunità si apre ad accogliere anche alcuni laici appassionati, pure loro, a un cammino spirituale più intenso. Anche il personale laico, a noi necessario, vive un rapporto ben integrato e condivide con noi, non solo il lavoro quotidiano ma anche il nostro servizio di dedizione e di fede con gli ammalati.”

Mi sono piaciute queste novità di un carisma di consacrate che permane aperto e in comunione con altre persone. I doni dello Spirito sono per tutti. Le congregazioni possono essere famiglie che vivono sempre in comunione ecclesiale e che accompagnano altri con la loro testimonianza di servizio e di contemplazione. E queste novità sono una speranza che nella Chiesa e nel mondo continueranno ancora ad esserci persone così.

La comunione che abbiamo vissuto in quel giorno, noi cinque fratelli, è quella che continuiamo a vivere anche se distanti e chiamati con vocazioni diverse.

O amato del cuore non ho che te

Italia, 17 agosto 2011


Nata in Iraq nel secolo VIII, Rabi’a fu, secondo una tradizione, venduta schiava e resa poi alla libertà dal suo padrone, che un giorno la sorprese sprofondata nella preghiera e tutta avvolta di luce. Secondo altri, fu per qualche tempo suonatrice di flauto, quindi peccatrice pubblica. Dopo l’Illuminazione, visse in assoluta povertà, e chiedendo soltanto «un atomo di povertà di spirito», mentre irraggiava la sapienza delle sue brevi, spesso aspre, paradossali, estreme sentenze, che si tramandarono poi nei secoli. Morì in grande vecchiaia, «ridotta come un piccolo otre consunto che sta per afflosciarsi». I suoi Detti sono schegge brucianti e vanno posti all’origine della linea mistica più radicale dell’Islam, il sufismo, di cui Rabi’a è stata detta «la madre».(A cura di Caterina Valdrè)

O mia gioia

O mia gioia, mio desiderio, mio appoggio,

amico mio, mio sostegno e fine a cui aspiro!

Tu sei lo spirito del cuore, tu sei la mia speranza,

tu sei per me un amico, e il tuo amore è il mio viatico.

O amato del cuore, non ho che te;

abbi, oggi, pietà di chi viene a te.

O mia speranza, mio riposo, mia gioia,

il cuore non vuole amare altri che te.

Il mio riposo, o fratelli, è nella mia solitudine;

il mio amato è sempre alla mia presenza.

Non c'è, per me, corrispettivo al desiderio di lui,

e il desiderio di lui nelle creature è la mia prova.

O medico dell'anima, o ogni dono,

donami un'unione che guarisca la mia anima.

O mia gioia, o mia vita per sempre!

Da te la mia origine, da te la mia ebbrezza.

Ho abbandonato il creato interamente, sperando

che tu mi unisca a te.

Non posso desiderare di più.

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Ti mando io

Camerun - Yagoua - 9 luglio 2011


Giunto in Italia dall’Algeria, in pochi giorni sono riuscito ad avere i documenti necessari per andare in Cameroun e il 9 luglio ho partecipato nella cattedrale di Yagoua all’ordinazione sacerdotale di Adolph Ndouwe. Con lui furono ordinati anche un altro giovane toupouri e un giovane guiziga.

Adolph era cresciuto al centro di formazione dei catechisti di Doubane, dove suo padre Simon Pierre dirigeva quella comunità, assieme a me. Poi frequentò il seminario diocesano di Guider e dopo il liceo, passò alla scuola di filosofia di Yaounde e poi al seminario di teologia del PIME a Roma e a Monza. Membro del PIME ha già avuto la sua destinazione, il Bangladesh.

Durante l’omelia, il vescovo della diocesi, Bartelemy, rivoltosi ad Adolph disse: “Sono contento che uno dei figli di questa terra possa partire per un paese di missione, come il Bangladesh. I missionari ci hanno portato il vangelo e ora anche noi siamo maturi per trasmettere il vangelo ad altri popoli. Anzi ti dico: “Ti mando io”. Si commosse… e terminò l’omelia così.

Dopo i miei cinque anni di silenzio orante,in Algeria, in un ambiente unicamente musulmano, senza folle, musiche danze e canti ho vissuto alcuni giorni al sud (foresta) e al nord (savana), immerso nella folla di amici che mi rivedevano gioiosi. Il sentimento più forte era quando, salutando catechisti, preti e vescovi, sentivo che attraverso la mia persona, il mio segreto…la passione missionaria, era come se si riaccendesse, si illuminasse in loro. Alcuni giovani, ragazzi e ragazze mi dicevano: “Sono in quel seminario… sono in quel noviziato… Sono figlio/a del tale catechista che hai formato…”

Ho avuto l’impressione della vitalità di una parte d’Africa che trova nel Vangelo una grande luce, una grande forza vitale.

Ad Adolph ho ricordato quanto mi disse il card Montini, poi divenuto Paolo VI, ordinandomi prete: “Gesù mette il suo cuore nel tuo e mette il tuo cuore nel suo”.

E celebrando a fianco di Adolph nella sua prima messa, al memento (ricordo) dei defunti, ho ricordato suo padre Simon Pierre e lo straordinario cristiano Pierre Malina, morto lapidato dalla gente del suo villaggio perché ritenuto stregone. Anche l’Africa ha i suoi santi e i suoi martiri.

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Lasciare agire e parlare il cuore

Italia, 2 luglio 2011


“Se veramente crediamo e cerchiamo la pace dobbiamo guardarci negli occhi con gli occhi dei bambini che eravamo”. Così Frida Di Segni Russi, della Comunità ebraica di Ancona, ha concluso il suo intervento all’incontro per la marcia della pace del 31 dicembre 2010. Nella sua infanzia, giocava con l’amico Edoardo Menichelli, ora arcivescovo di Ancona e presente all’incontro. Ero presente anch’io, accanto ai due, e mi sono sentito come in famiglia. E’ quello che sento anche coi miei amici musulmani di Touggourt. Constato continuamente che quando si lasciano liberi i moti del cuore, questi sono sentiti comuni e più profondi e più forti dei sentimenti religiosi.

Nel libretto Giusti dell’Islam (Pimedit) di Giorgio Bernardelli, leggo delle testimonianze molto belle di musulmani che hanno salvato ebrei nella persecuzione nazista, al rischio della loro vita. Una fra tante, quella di Zejneba Hardagan, donna coraggio di Sarajevo che insieme al marito Mustafa abitava proprio di fronte al quartier generale della Gestapo. Una posizione strategica che permetteva loro di avvertire gli ebrei quando le camionette dei nazisti uscivano per le retate. Ma gli Hardagan fecero di più: aprirono anche le porte di casa all’amico ebreo Yossef Kabilio dicendogli: “Voi siete nostri fratelli. Questa è casa vostra”. Il nome di Zejneva Hardagan fu il primo nome musulmano ad essere inserito nel 1985 nella lista dei “Giusti tra le nazioni”.

“Anche nel mondo islamico di oggi ci sono persone coraggiose che - non solo a parole, ma anche con alcuni gesti concreti -, provano a gettare ponti tra i popoli”.

La più bella è questa: Un cuore nuovo da Jenin

Il 3 novembre 2005, il primo giorno dell’Aid Al Fitr, la festa che conclude il mese sacro di Ramadan, il piccolo Ahmed, dodici anni, ha in mano un fucile giocattolo. Un soldato israeliano scambia il giocattolo per un’arma vera e spara. I medici chiedono ai genitori se sono disposti a donare i suoi organi. Per un palestinese il consenso vuol dire accettare che quel cuore, quel fegato, quei reni porteranno vita a uomini, donne bambini israeliani come il soldato che ha premuto il grilletto. I genitori prima di dire di sì, consultano l’Imam e questi dice: “Dona quegli organi, perché qualcun altro abbia la vita”. E così è successo nella “Jenin dei Terroristi”.

Spesso, quando sento alcuni amici musulmani che lasciano parlare il cuore, mi ritrovo sentimenti e parole universali. Il bello è che nel linguaggio del cuore risento le stesse parole, gli stessi sentimenti di Gesù.

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Preghiera insieme ad Assisi?

Touggourt, 10 giugno 2011


Certo ognuno farà la sua preghiera. E se ci fosse anche un’unica preghiera? Vedremo. Comunque quando si prega l’uno accanto all’altro significa che si è sulla stessa direzione: avvicinarsi a Dio e Dio ci avvicina. Si accetta di lasciarsi condurre… e Dio lo sa fare. Pierre François de Béthune dice che la preghiera è come la chiave di volta della cupola del Pantheon: essere nello stesso tempo un’apertura verso il cielo.

Ecco due preghiere e per ciascuna un suggerimento di Christian de Chergé, monaco ucciso di Tibherine.

La prima è quella recitata al Cairo da musulmani e cristiani della Fraternità religiosa al termine delle loro riunioni.

Dio, a te ci rivolgiamo, in te poniamo la nostra fiducia, a te chiediamo aiuto e supplichiamo di accordarci la forza della fede in te e la buona condotta attraverso la direzione dei tuoi Profeti e Inviati. Ti chiediamo di rendere ciascuno di noi fedele alla sua credenza e alla sua religione, senza chiusura che fa torto a noi stessi e senza fanatismo che fa torto ai nostri fratelli di fede.

Ti imploriamo di benedire la nostra fraternità religiosa e di fare che la sincerità sia la guida che ci conduce, la giustizia, fine della nostra ricerca e la pace, il bene che vi troviamo. O Vivente, O Eterno, O Tu, a chi sono la Gloria e l’Onore. Amen

Suggerimento di Christian: “E’ importante lasciarmi trasportare il più avanti possibile nella preghiera dell’altro se voglio essere un cristiano vicino a un musulmano. La mia vocazione è di unirmi a Cristo attraverso il quale monta ogni preghiera e che offre al Padre misteriosamente questa preghiera dell’Islam come quella di ogni cuore giusto”.

La seconda è la preghiera di Giovanni Paolo II pronunciata a Casablanca (Marocco, 1985) e in Senegal (1992) davanti ai musulmani.

O Dio, tu sei il nostro Creatore. Tu sei buono e la tua misericordia è senza limiti. A te la lode di ogni creatura. O Dio, tu hai dato a noi uomini una legge interiore con la quale noi dobbiamo vivere.

Fare la tua volontà è nostro dovere. Seguire le tue vie è conoscere la pace dell’anima. Guidaci in tutti i sentieri che percorriamo. Liberaci dalle cattive decisioni che allontanano il cuore dal tuo volere. Non permettere che invocando il tuo nome giungiamo a giustificare i disordini umani. O Dio, tu sei l’Unico, a Te la nostra adorazione. O Dio, giudice di tutti gli uomini, aiutaci a far parte dei tuoi eletti nell’ultimo giorno. O Dio autore della giustizia e della pace, accordaci la gioia vera e l’amore autentico e una fraternità durevole tra i popoli. Riempici dei tuoi doni infiniti. Amen.

Suggerimento di Christian: “Questa preghiera di Giovanni Paolo II rende concreto l’esercizio del suo servizio apostolico che è di convocare all’incontro con Dio tutti gli uomini e di confermare i suoi fratelli nella fede viva abbeverandoli alla sorgente dello Spirito che prega e geme nel cuore di ciascuno. Ministero di Eucaristia in atto, in cui il pastore riunisce i figli di Dio dispersi, suoi fratelli, per farne membri di un Corpo vivo entrando in sacrificio di lode… per la più grande gloria di Dio”.


Rapporto con gli altri più maturo

Touggourt, 14 giugno 2011

Come è possibile restare separati?

Mi sono interrogato: “Che comunione vivo con questa gente? Posso sentirmi solamente diverso e quindi distaccato, separato? Quando mi raccontano la loro vita, il loro amore della famiglia e dei poveri, la loro preghiera quotidiana. Quando ogni mattina vedo la mamma davanti a casa sua che mi indica al suo bambino perché mi saluti. Quando costato ogni giorno la loro stima che hanno per tanti che hanno lavorato qui, quando sento l’affetto della gente per le Piccole Sorelle ritenute le loro mamme. Quando con affetto osano chiedermi: “E tu preghi?” e lo fanno perché la preghiera è il momento più bello della vita e lo dobbiamo vivere tutti e tutti vicini gli uni agli altri.

Charles de Foucauld in Marocco, militare e lontano dalla sua fede, si sentì interrogato dall’Islam e scrisse: “L’islam ha prodotto in me un grande cambiamento. La vista di questa fede di queste anime che vivono nella continua presenza di Dio mi ha fatto intravedere qualche cosa di più grande, di più vero che le occupazioni mondane”.

Il vescovo Claverie racconta: “La mia educazione è avvenuta dentro l’amore esemplare della mia piccola e grande famiglia e dentro una tradizione religiosa ben fissa. Ma era anche come vivere dentro un recinto ben protetto e chiuso, dentro una bolla di sapone. Membro di una famiglia francese, avevo vissuto la mia infanzia in mezzo a un popolo di algerini musulmani, ignorando la loro cultura e la loro religione”. Poi cambiò direzione fino a dare la sua vita.

Christian de Chergé ha trovato il fondamento della unica fede, dell’unica preghiera, dell’unico amore nell’uomo che ha salvato la sua vita, poi nell’uomo musulmano col quale ha passato una notte in preghiera, e con gli Alauyis che hanno chiesto di pregare insieme. Diceva:“E’ importante lasciarmi trasportare il più avanti possibile nella preghiera dell’altro se voglio essere un cristiano vicino a un musulmano. La mia vocazione è di unirmi a Cristo attraverso il quale monta ogni preghiera e che offre al Padre misteriosamente questa preghiera dell’Islam come quella di ogni cuore giusto”.

Anche per me sta avvenendo un’ apertura. Poco a poco, avviene un aprirmi, un'interesse, l’appropriarmi di una realtà più vasta.

Le varie esperienze fatte, di missione e di azione nelle varie società, mi porta alla conoscenza di un’umanità più ricca, delle varie culture, delle religioni e di un Dio dai mille nomi, volti, esperienze, cammini.

Più resto qui, più mi sento interrogato a rendermi conto di ciò che ci unisce già, anche se resta velato, prudente, ma in attesa. Per trovare nella loro esistenza quanto mi unisce a loro mi sento chiamato anzitutto ad approfondire la mia spiritualità e a partire da quanto c’è già in me nel mio essere cristiano. Christian de Chergé diceva che lo Spirito gioca con le diversità, gioca… agisce, conduce.

La preghiera del cristiano è preghiera di Gesù e dello Spirito che la anima. Gesù presenta al Padre le preghiere dell’umanità e le preghiere che lo Spirito ispira nei credenti. Il cristiano continua a vivere in Gesù il servizio di essere l’intercessore per l’umanità. Questo mi domanda di impegnarmi a sentirmi unito a ogni preghiera e a farla mia, a mettere la mia preghiera nella loro e la loro nella mia.

In più sono invitato a mantenere viva la contemplazione di quanto ci unisce. Come ogni uomo e ogni donna sono tali e diversi non per restare separati ma per vivere una comunione più intensa, così la diversità nelle culture e nelle religioni mostra la ricchezza dell’azione dello Spirito e sono fatte per un arricchimento comune. Si tratta di scoprirle, di conoscerle.

Il Concilio ha riacceso la spiritualità della comunione e della contemplazione. “Dobbiamo ritenere che in un modo che Dio sa, per lo Spirito santo, ogni uomo è associato al mistero pasquale”. Gaudium et spes 22,5

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Denis Pillet vede col cuore

Touggourt, 18 maggio 2011


Si prepara a ritornare in Francia dopo 64 anni vissuti in Algeria. La sua vista e la sua salute deboli gli chiedono questo sacrificio. Figlio di un architetto che visse e operò in vari paesi islamici, fratello di un altro Padre bianco. Incaricato della formazione di insegnanti a livello nazionale, creatore di un museo, scrittore di vari libri sulla cultura della regione di Ouargla e sulla storia di varie comunità dell’Algeria. Era presente durante la guerra di indipendenza (1962) e durante gli anni del terrore (1983-1988).

Presente anche a Tiberine con altri religiosi la notte del rapimento dei sette monaci, poi uccisi. Si è salvato perché, accortosi di un certo trambusto, spiando da una porta, ha visto da lontano il custode che gli diceva con gli occhi di non muoversi, essendo quello un momento pericoloso.

Fu lui, ancora, che nel processo difese il custode accusato di aver tradito i monaci. Si trovava a Tiberine perché faceva parte del gruppo Ribat el salam (Unione di pace), tutt’ora attivo, cioè di quel gruppo di cristiani che cercano di vivere la loro fede cristiana in consonanza coi credenti dell’Islam.

Ho avuto la fortuna di vivere i miei primi tre mesi di Algeria nella sua comunità di Ouargla e di essere stato alla sua scuola di arabo. La fortuna é che vivendo con lui, potevo chiedergli molto sulla storia e la vita dell’Algeria e della Chiesa in Algeria.

P. Denis ha vissuto con un cuore di studioso, di ricercatore, ma soprattutto col cuore di cristiano che, come dice lui, aveva fatto la scelta di amare i musulmani. Tanti abitanti di varie categorie hanno vissuto e goduto della sua amicizia. Coi suoi occhi ormai non legge più, ma continua a leggere col cuore. Ogni volta che viviamo con lui momenti di scambio di esperienze e di riflessione sulla nostra presenza in Algeria il suo discorso ormai è sempre questo: “Anche qui lo Spirito Santo agisce”.

Grazie padre Denis, maestro di cultura, di lingua, di spiritualità musulmana.

Il mare non separa, unisce

Touggourt, 21 maggio 2011


Il Mediterraneo era chiamato dai romani Mare nostrum. Divenuti padroni di tutte le coste bagnate dal Mediterraneo consideravano queste acque come una sorta di "piscina di casa". Attorno a questa piscina di casa i Romani coprirono le terre circostanti di empori di commercio, di anfiteatri, di templi, ecc.

Dopo i romani altri popoli emersero e viaggiarono… L’Italia conobbe varie invasioni e presenze e ne conserva ancora i segni.

Oggi parecchi abitanti dei paesi vicini chiedono ospitalità. Non si presentano più come una volta con le armi di aggressori ma come gente che vuol convivere. Resta l’idea e alcuni italiani hanno paura che possano poco a poco invadere e conquistare. Dipenderà da come gli italiani sapranno incoraggiare e attuare una vera integrazione.

Monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo ha affermato che il mare non separa ma unisce. La convivenza con molti tunisini è pacifica e reciprocamente vantaggiosa. La popolazione della regione è meravigliosa col suo spirito di accoglienza e di fraternità. Soprattutto meravigliose sono state le donne, le mamme, che continuano a dire: “Siamo tutti figli di Dio, siamo fratelli!” Sappiamo anche che il Vescovo ha offerto la sua collaborazione al Governo italiano nel dialogo con la Tunisia, per affrontare l'emergenza immigrazione. "I rimpatrii, dice, non devono diventare deportazioni all'incontrario: vanno concordati con Tunisi e accompagnati da progetti per creare lavoro nel Paese nord-africano. Non basta, quindi, il blocco degli imbarchi".

Varie sono oggi le iniziative attorno al Mediterraneo. Il governatore Francesco Socievole del Rotary Club di Caserta impegnato in varie iniziative, afferma:“Il nostro obiettivo è quello di avvicinare ed unire i diversi popoli che hanno abbracciato l'Umana Civiltà. Sappiamo bene che il Mediterraneo è la fonte di ogni fede, di ogni cultura e di ogni ragione e che i popoli spesso si sono divisi, dilaniati. E’ forte la speranza che il Mediterraneo diventi mare di pace e di civiltà….

L’Italia apre e si fa giovane

Aprire la porta e accogliere è rischioso ma non tutti hanno paura. Abramo e Sara accolsero i viandanti e grazie a quella accoglienza si trovarono cambiati, giovani, genitori, benedizione per un popolo nuovo. Sono un simbolo di accoglienza.

Anche l’Italia sente ogni giorno qualcuno che bussa alla porta. Ciò non è nuovo. E’ sempre stato così fin dai suoi inizi proprio per la sua situazione geografica. Gente dal nord, dal sud, dall’est, dall’ovest… Venne ad ogni momento e formò un popolo cosmopolita, multireligioso, multirazziale, multicolore. Ho amici che mi parlano di origini greche, montenegrine, slave, nordiche ecc. ecc. Forse abbiamo tutti qualcosa di straniero nella nostra persona. Ora tutti ci diciamo italiani, italiani veri. Ed è bello. Come quel piccolo cinese che canta: “Lasciatemi cantale, con la chitalla in mano, sono un italiano, italiano velo”.

Sì, ridiamo, ma con cuore giovane, aperto, coscienti che ci troviamo in un momento importante, da non perdere, anche se un po’ scombussolati.

Ma perché e come aprire? Non basta il sentimento, pur bello e nobile. Non è solo questione di opere buone, ma di fedeltà alla propria identità culturale. Quello che dicono le donne siciliane:”Siamo tutti figli di Dio, siamo fratelli” è definire la nostra vera natura, credere fortemente al grande progetto della famiglia umana. Questo spalanca cuore, casa… tutto. Con questa verità ci accorgiamo che abbiamo ancora qualcosa da donare e che siamo disposti a diventare nuovi…

Con la coscienza che quello che abbiamo e che siamo non è solo per noi. Tutto ciò che è vita è un dono… da scoprire e da donare.


Lo Spirito ritmerà la fraternità

Touggourt, 1 giugno 2011


In un inno allo Spirito Santo leggo: “Lo Spirito ritmerà la fraternità”.

Quando trovo la parola ritmo non posso dimenticare quello che ho vissuto in Camerun durante le feste. Al centro c’era sempre il tamburo e questo per ore e ore. Varie volte, anche durante le liturgie, vidi qualcuno togliere bruscamente il tamburo al battitore perché non sapeva dare il giusto ritmo. C’è anche un proverbio che dice: “Non si affida il tamburo a uno stolto!”. Infatti il ritmo è l’anima della festa. Se il ritmo non è perfetto, tutti sono infastiditi e insoddisfatti.

Puoi vedere mille e più persone muoversi tutti insieme. Da lontano, anche a dieci km di distanza, puoi sentire il ritmo sordo profondo: lì c’è una festa!

La frase “Lo Spirito ritmerà la fraternità” mi ricorda l’ultima frase che ci ha lasciato scritta p. Denis Pillet, un Padre Bianco prima di ritornare in Francia dopo 64 anni di vita in Algeria.

“Quando papa Giovanni Paolo II disse: - Ogni preghiera autentica appartiene allo Spirito Santo che è nel cuore di ogni uomo. E per trovare la pace è necessaria la preghiera di tutti-.

P. Denis dice che siamo in piena situazione evangelica e si augura che chi resta in Algeria abbia il coraggio di inventare la sua strada nella fedeltà ecclesiale allo Spirito che soffia dove vuole. Dove c’è vera preghiera lo Spirito agisce, forma i cuori all’incontro con Dio e col fratello.

L’avventura dell’incontro con l’altro di ogni cultura o religione non è solo un’avventura umana. Il primo a crederci e a impegnarsi è lo Spirito Santo.

Spirito di Dio tu sei il vento… ai tempi nuovi sei dato sospiro di un mondo che spera, ovunque presente come una danza, esplosione della tua libertà.

Ogni uomo è una storia sacra, l’uomo è immagine di Dio. Inventa ancora agli uomini i cammini del loro esodo


Bob Dylan. Congresso eucaristico Bologna. C’è una chitarra e una voce in questa notte fredda. Karol Wojtyla è seduto su una poltrona con i braccioli dorati. Appoggia a tratti il volto sulla mano, gli occhi attenti ai movimenti di trecentomila giovani là sotto che ondeggiano e alzano le braccia e battono le mani. La chitarra accenna piano un paio d’accordi. La voce è quella di sei giovani attori: «Quante strade deve percorre un uomo perché possa essere chiamato uomo?»; «Quante volte dovremmo voltarci dall’altra parte per fingere di non vedere?»; «Quanti morti ci vorranno ancora prima di convincerci che troppi sono morti?»; «La risposta sta soffiando nel vento».


E qui Wojtyla risponde, finalmente, ai versi del menestrello anarchico: «Sta soffiando nel vento? È vero, ma non nel vento che tutto disperde nei vortici del nulla, ma nel vento che è soffio e voce dello Spirito, voce che chiama e che dice "vieni". La decisione è difficile e dura, la tentazione del cedimento insistente, perché il mondo è pieno di strade comode e invitanti, strade in discesa, che si immergono nell’ombra della valle, dove l’orizzonte si fa sempre più ristretto e soffocante. Gesù vi propone una strada in salita, che è fatica percorrere, ma che consente all’occhio del cuore di spaziare su orizzonti sempre più vasti. A voi la scelta: lasciarvi scivolare in basso verso valli di piatto conformismo o affrontare la fatica dell’ascesa verso vette su cui si respira l’aria pura della verità, della bontà, dell’amore». Alberto Bobbio


Attenersi alla parola data

Touggourt, 3 giugno 2011


Il card Bagnasco dice l’importanza di attenersi alla parola data. Pur da lontano vivendo ora nel Saara algerino, seguo le vicende di questo mondo o alla radio o alla televisione. Si va verso la globalizzazione, cioè apertura e messa insieme di tutto, e nello stesso tempo verso l’abbandono e il distacco dalle tradizioni, dalle radici culturali. Ogni cultura ha conosciuto l’importanza della parola. Osservando e seguendo ora informazioni, giudizi, supposizioni, attacchi offensivi, ecc mi domando dove stia andando la parola.

Spesso mi sorprendo a ricordare le ‘parole’ degli anziani tupuri del Camerun e del Ciad.

La lingua è stata messa come spartiacque delle parole

Alcuni parlano senza riflettere e nelle vive discussioni dicono parole malvagie e offensive. A volte rivelano segreti o cose personali che non rispettano la dignità delle persone. La parola deve mostrare la saggezza di chi parla.

Non si semina con la pioggia di un mentitore

Bisogna ben conoscere le piogge. Alcune sono vere, sufficienti, scese al momento giusto per poter seminare. Altre non danno sufficiente garanzia ed è inutile seminare.

Se uno è mentitore, non offre sufficiente fiducia per credergli.

E’ il flauto vedovo

Da solo il flauto non piace, deve essere accompagnato da qualche strumento. E’ la parola di chi pensa da solo senza rispettare il pensiero degli altri e la tradizione del suo popolo che è molto importante.

Si macina sulla grossa pietra

Ogni donna nella sua capanna ha due pietre: una grossa e appiattita su cui si posa il miglio da macinare, e una piccola che passa sopra con forza di muscoli per rendere il miglio in farina. La pietra grande è simbolo del capo famiglia o degli anziani. Oggi gli anziani si lamentano quando i giovani, (la pietra piccola), parlano senza tener conto degli anziani.

La parola è migliore del bastone

Si ottiene di più con la persuasione della parola. Col bastone non si convince.


La bocca è una cicatrice che non guarisce

Chi non fa attenzione alle sue parole continua a soffrire e a fare del male.


La parola dell’uomo ha preso l’uccello in volo

La parola arriva lontano.

La furbizia del parlare non dura un mese

Il fidanzato può vantarsi di possedere ricchezze e meriti, ma presto si scopre la verità e perde la fidanzata.

Dici che sei scaltro, ma Dio ti vede

E’ la parola dell’anziano e del povero di fronte al giovane prepotente. Dio vede e protegge.

Le parole passano, il male fatto resta


La parola “coraggio” non riempie il sacco

Non si soddisfa un bisognoso soltanto con belle parole.

Non si danza sui piedi degli altri

Ognuno è responsabile di quello che dice. Non si è come il pappagallo che ripete parole altrui e che non sa.

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Testamento di Shahbaz Batti, ministro pakistano cristiano ucciso dagli estremisti

Touggourt, 11 maggio 2011


Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.

Mi sono state proposte alte cariche al governo e mi è stato chiesto di abbandonare la mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa: «No, io voglio servire Gesù da uomo comune».

Questa devozione mi rende felice. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora — in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan — Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita.

Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire.

Ora al fratello medico, Paolo, formato a Padova, il governo pakistano ha chiesto di continuare il suo lavoro in favore delle minoranze del paese.

Leggendo il testamento di questo cristiano pakistano mi son venuti alla mente i miei confratelli missionari del Pime arrivati in Pakistan nel 1855.

Il 'ricordare i nostri' è per me 'malattia di famiglia'.

Oggi lavorano nel Pakistan orientale divenuto Bangladesh nel 1971.

Leggo nelle prime cronache del PIME.

I primi missionari del Pime destinati al Bengala, p. Albino Parietti, p. Luigi Limana, p. Antonio Marietti e fratel Giovanni Sesana, sbarcano a Calcutta all’inizio del giugno 1855 e il 17 giugno arrivano a Berhampur. Cominciano una vita da monaci: studio e preghiera, preghiera e studio, imparano l’hindi e il bengalese. Vivono in una povertà estrema. Appena riescono a farsi capire, i tre sacerdoti si stabiliscono in tre località diverse. Il superiore Parietti a Berhampur, Limana a Krishnagar con fratel Sesana e Marietti a Jessore.

Studiamo a tutta posa e con vero calore perché senza lingua saremmo statue. ...4 ore di scuola e 5 di studio, oltre agli altri doveri diversi. E ciò con 44°. (P. Parietti) BERHAMPUR, 26 Luglio 1855

I nostri cattolici sono così dispersi e così bisognosi dell’assistenza del missionario che di tre che siamo, siamo divisi in tre differenti province, e ciò per assentimento del nostro amatissimo Vescovo di Calcutta, che molto approvò tale divisamento. (P. Parietti) BERHAMPUR, 19 Marzo 1857

Nella primavera del 1857 scoppia la “rivolta dei sepoys”. I civili inglesi fuggono. I missionari restano, affermando di essere “protetti dalla sola Divina Provvidenza”, come scrive Parietti. Non hanno infatti nessun fastidio da parte dei ribelli.

“La Chiesa, diceva qualche tempo fa p. Sozzi, pur senza accorgersi, e pur facendo pochi e incerti cristiani, ha trasformato il Bengala. (…) le idee cristiane, testimoniate e predicate da questa piccola comunità, hanno cambiato radicalmente l’ambiente, come, io credo, hanno cambiato il mondo”.

E tu preghi?

Touggourt, 14 maggio 2011


Spesso mi siedo accanto a due anziani ad assaporare un buon tè. Seduti sul marciapiede a gustare o il sole o l’ombra secondo le stagioni. Mi pongono tante domande… come questa: “E tu preghi?” La stessa cosa, con i giovani che vengono a casa mia per un po’ di francese, di italiano e altre cose.

Al loro inizio con un bel “Bismillah” (nel nome di Dio), mi unisco volentieri anch’io e mi felicito per la loro invocazione a Dio che accompagna il loro studio e tanti momenti della vita. E poi qualcuno mi chiede: “E tu preghi?”.

Le prime volte restavo sorpreso, ma poi trovavo la domanda simpatica. Per un musulmano la preghiera è la cosa più importante della vita. Uno vale quanto prega. Non vedendomi pregare, è normale che se lo chiedano. La domanda sottintende anche: “Tu come e quante volte preghi?”. Rispondo:”Anch’io ho i miei momenti fissi di preghiera. A questi momenti accompagno quella del cuore che vuol restare aperto a Dio e alla persona con cui mi trovo. Sto pregando…” . Vorrei dire che la preghiera non si riduce a dei momenti fissi.

Mi guardano…li trovo pensosi… Forse col mio modo di parlare di dialogo affettuoso…, del dialogo del cuore con Dio, mi accorgo che c’è una certa attenzione e desiderio di capire meglio. Come se fosse nuovo per loro. Dire: “Amare, ascoltare Dio padre” o “Siamo figli di Dio e Dio ci ama” suscita in loro un po’ di sorpresa.

In realtà osservando la vita di alcune mamme e di alcuni giovani, vedo che la fedeltà a dei momenti precisi li mantiene in una armonia di vita, fiduciosi e sereni. Oltre a precisare tanti comportamenti di preghiera, il Corano dice anche: “Quando avete finito di fare la preghiera, pensate (ancora) a Dio, in piedi, seduti o stesi. (4, 104)

Quando sono con loro e il discorso va alla preghiera, mi sembra di muovermi da una situazione a un’altra. Subito constato un atteggiamento di sospetto e di difesa di fronte alla diversità che notano in me per sentirsi toccati su qualcosa di intoccabile, nell’avvertire un invito a cambiare o a dubitare su quanto possiedono. Poi vedo anche la gioia di sentirsi uguali a me, uniti sullo stesso terreno.

A volte sento la tentazione di precisare meglio, di correggere, di dire anche il mio parere… nuovo, diverso… Ma mi fermo qui. Ho imparato a non giudicare un’altra religione, un’altra cultura, con i miei schemi. E c’è ancora tanto da capire della religione dell’altro.

In qualcuno ho visto anche il desiderio di vedermi un giorno pregare assieme a lui. L’ho già fatto qualche volta, in situazioni particolari. Pregavamo in silenzio, l’uno accanto all’altro. Era un momento molto bello e che ci rendeva ancora più vicini. Quando verrà il giorno in cui pregheremo veramente insieme?

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Tutti al Duomo

Touggourt, 18 aprile 2011


Qui nel sahara dell’Algeria, in questa settimana della Passione e della Risurrezione di Gesù mi giunge la notizia della beatificazione di P. Clemente Vismara nel Duomo di Milano il 26 giugno prossimo. Sarà una grande festa della Chiesa e della grande famiglia del PIME. Spero di esserci anch’io, perché inizio in quei giorni un periodo di vacanze. In quei giorni, qui nel deserto, il caldo sarà tanto. L’ho già gustato l’anno scorso.

P. Vismara, col suo caratteraccio è un segno di passione e di risurrezione. Ora Beato anche lui! Passione per l’umanità, risurrezione di una vita donata. E’ chiamato il Patriarca della Birmania e il protettore dei bambini. A lui si attribuiscono vari miracoli, soprattutto in favore dei bambini, ma il vero miracolo è stato lui cogli orfani che ha salvato. Ne aveva sempre, dai 200 ai 250.

Quanto vorrei incontrare nel giorno della beatificazione tanti amici dell’Istituto. Il pensiero va soprattutto ai parenti non solo del Vismara ma di tutti i nostri missionari, senza dei quali non avremmo potuto fare quello che abbiamo fatto. Sono stati gli amici e i parenti del Vismara la sua provvidenza. Diceva con fiducia a un parente: “Perdiamo, perdiamo quaggiù, se vogliamo ricevere lassù quello che abbiamo perduto. La mia è un’amministrazione un po’… apostolica. Non ho tempo né testa per tenere registri, vado avanti a occhi chiusi, non tengo registrazione alcuna. Spendo, spendo e vedo che ce n’è sempre”.

L’aiuto dei parenti mi ricorda quanto mi disse mio padre prima di partire per la missione: “Fa il tuo lavoro, al tuo pane ci penso io”. E ancora oggi quando la gente mi chiede: “Chi ti aiuta?”, rispondo : “La mia famiglia, gli amici”.

Alla televisione, quando riesco a captarla, tra i politici gli artisti e gli industriali, sento i cognomi Clerici, Perego, Maggioni, Mazzucconi, Ramazzotti, Vismara, Crespi, ecc. Certo le famiglie sono numerose e non tutti quelli che portano lo stesso cognome si ritengono parenti.. Ma la mia curiosità e il mio sussulto quando sento quei nomi, fanno nascere questa domanda: “Queste famiglie sanno di avere avuto tra i loro parenti dei veri santi?”

Avendo conosciuto alcuni di questi missionari che hanno contribuito alla mia formazione, mi viene spesso il desiderio di incontrare qualcuno della loro famiglia per dirgli il mio ricordo pieno di gratitudine e di stima. Spero di incontrarne alcuni, nel Duomo di Milano.

La festa della beatificazione dovrebbe riunirci tutti, con una certa fierezza e gioia per i doni che il Signore ha fatto alle nostre famiglie.

Cari amici, ancora auguri di Risurrezione.

Che tempo fa? E’ primavera

Touggourt, 25 aprile 2011

Dove? Nel mondo arabo, attorno al Mediterraneo? A Lampedusa? In Italia?

L’ho chiesto agli amici. “Il mondo arabo sta cambiando”. “La fine del mondo è vicina”.

L’ho chiesto al card Martini. “Che cosa fare in momenti difficili?” Martini scrive che «nessun momento, anche se di transizione o di incertezza, di nebbia e di notte, è fuori dal disegno di Dio» e che «ogni epoca è un tempo di grazia». Ricorda che “il cristiano, destinato a essere collante della società, oggi ha il compito non di erigere barriere insormontabili, ma di «creare piazze nuove tra le case, dove ci siano, nel rispetto reciproco, vere possibilità di intesa tra il fratello, il cittadino e lo straniero» (Discorso di addio a Milano pronunciato nel giugno del 2002).

Teilhard de Chardin dice:"Il pericolo maggiore che possa temere l’umanità non è una catastrofe che venga dal di fuori, non è né la fame né la peste, è invece quella malattia spirituale, la più terribile perché il più direttamente umano dei flagelli, che è la perdita del gusto di vivere".

“E' dai 'segni dei tempi' che dobbiamo risalire ad una fecondità spirituale che sa intercettare il presente e aprirsi al futuro, seguendo i disegni di Dio sull'umanità". (Card Dionigi Tettamanzi, giovedì santo 2011)

L’ho chiesto anche a Gesù. "Quando vedete una nuvola salire a ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?

Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada procura di accordarti con lui, perché non ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all'esecutore e questi ti getti in prigione. Ti assicuro, non ne uscirai finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo". Lc 12,54-59

Gesù dice che anche oggi è tempo di cambiare il modo di vivere le relazioni umane e il rapporto con la natura.

Il Patriarca di Gerusalemme Fouad Twal parla di una “Primavera Araba: “Siamo molto contenti di questa presa di coscienza della gioventù che comincia a prendere nelle sue mani il proprio destino. È un movimento senza colore politico e senza particolari pregiudizi religiosi. Emana dalla consapevolezza della gioventù araba della propria forza e vitalità. Essa è riuscita a spezzare l'elemento della " paura": paura della polizia, paura dei servizi segreti, paura della prigione. Oggi, possiamo affermare che la paura ha cambiato schieramento. I governi temono questa massa di giovani, questa massa di opinione e di credenze che si stanno risvegliando”.

Il bene comune

Touggourt, 29 aprile 2011

Nel suo discorso pasquale il papa ha parlato anche agli abitanti dei paesi dell'Africa settentrionale e del Medio Oriente. “Tutti i cittadini, ed in particolare i giovani, ha detto, si adoperino per promuovere il bene comune e per costruire società, dove la povertà sia sconfitta ed ogni scelta politica risulti ispirata dal rispetto per la persona umana".

Spesso il papa tocca il tema del bene comune ed è una realtà veramente rivoluzionaria. Il papa presenta anche il cammino nuovo.

"Cristo risorto cammina davanti a noi verso i nuovi cieli e la terra nuova (cfr Ap 21,1), in cui finalmente vivremo tutti come un’unica famiglia, figli dello stesso Padre. Lui è con noi fino alla fine dei tempi. Camminiamo dietro a Lui, in questo mondo ferito, cantando l’alleluia. Nel nostro cuore c’è gioia e dolore, sul nostro viso sorrisi e lacrime. Così è la nostra realtà terrena. Ma Cristo è risorto, è vivo e cammina con noi. Per questo cantiamo e camminiamo, fedeli al nostro impegno in questo mondo, con lo sguardo rivolto al Cielo".

Ma una domanda: “Sappiamo tutti che cos’è il bene comune?

Un volontario dello sviluppo educa alcuni ragazzi africani alla ginnastica, allo sport. Un giorno si presenta con una scatola di cioccolatini e dice: “Vedete quell’albero lì, lontano. Conterò fino a tre e poi correrete. Il primo che toccherà l’albero riceverà questi cioccolatini.

Uno, due, tre, Via!” -

Con sorpresa… i tre… si danno la mano e corrono tutti insieme. E si dividono i cioccolatini.

Questa è la vera corsa che il mondo dovrebbe correre. Il proprio interesse, non l’unico, la competitività, la libera iniziativa e la concorrenza sono stimolanti ed efficaci. Ma non la guerra.

Anche i cinesi hanno l’idea del senso comune della vita, della gioia e del dolore. Lo dicono raccontando come si è all’Inferno e come si è in Paradiso. In inferno si soffre la fame davanti a un cibo gustosissimo che si mangia già cogli occhi, ma che ciascuno non può raggiungere perché i bastoncini per avvicinarlo alla bocca sono troppo lunghi. Ognuno pensa per se.

In Paradiso invece sono tutti felici perché ognuno coi bastoncini lunghi può raggiungere la bocca dell’altro, anche se lontano. Tutti per uno, e ciascuno per tutti.

Oggi siamo ancora tutti all’inferno. Il paradiso è ancora lontano?

A Napoli si beve il caffè al bar e si lasciano anche i soldi per qualcuno che non avendo soldi, si presenta e chiede: “C’è un caffè già pagato?” E il cameriere risponde : “Si, c’è”. E’ un uso sacro, parola di Massimo Ranieri.

Gesù ha già pagato un bene comune, per tutti!

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Il linguaggio del cuore vero

Touggourt, 8 aprile 2011

Tanti arrivano… Chi sono? Non tutti uguali. Alcuni forse pericolosi…

Un giorno un uomo arrivò in un villaggio, per lui nuovo, e non conosceva nessuno. Aveva paura perché gli abitanti potevano vederlo come un nemico e una spia. Non portava niente con se e non poteva far male a nessuno. Incominciò per strada a salutare con un volto pacato. Qualcuno rispondeva al saluto.

Non disturbava nessuno. Solo chiedeva dell’acqua e beveva e ringraziava. Passarono dei giorni e fu condotto dal capo del villaggio che gli offerse del cibo. Poté fermarsi e continuava a salutare, sempre meglio accolto…

La gente cominciò a vederlo bene, ad aiutarlo. Si costruì una capanna e a volte restava presso qualcuno per aiutarlo nel lavoro dei campi. Imparò a capirli e a parlare con loro.

Passarono gli anni … Ai figli un giorno disse: “Sono venuto da lontano e avevo paura. Ora la gente mi ama. Avevo e ho trovato una sola grande ricchezza: il cuore”.

Lo straniero Gesù aveva sete e incominciò a chiedere dell’acqua. La samaritana lo ascoltò e finì per dire ai suoi concittadini: “Venite a vedere un uomo che mi ha fatto verità nel cuore. E’ il messia?”

Ogni uomo porta in se una ricchezza… il suo cuore. Incontrandolo, puoi scoprire il suo valore, qualcosa per te… per diventare vero. Non ci avevi pensato. Ti senti diverso, nuovo.

E’ bello fare della poesia e oggi si rischia di non farcela con tutti i problemi da risolvere. Ma il cristiano ha il coraggio di guardare anche Gesù e crede nella forza del cuore. Anche Gesù ha trovato presso molte persone un’accoglienza che non pensava. Disse, anche lui commosso, grandi verità, importanti: “Non ho mai trovato una fede così grande!” “Ero straniero e m’avete accolto”. “Verrà un giorno in cui si pregherà in spirito e verità” .

Dio è presente nel cuore di ogni uomo e vi lavora.

Dopo Gesù non c’è più straniero sulla terra. Lo straniero è un fratello! E’ Gesù! E tu, Gesù per lui!

Prendimi in braccio, Signore

Touggourt, 10 aprile 2011

Cari amici, in questo momento di pericoli e di sofferenza, mondiale, spunti ancora la luce di Gesù risorto. Luce di speranza, di fiducia, di gioia. Vi comunico quanto ricordo delle mie catechesi. Tutto ciò lo trovo anche nei miei fratelli musulmani. Auguri!

Una piccola piuma bianca

Danza nell’aria

Sospesa a un filo invisibile

Fino a quando? Perché?

“Io sono ignorante, ma ho letto qualche libro. Tu non ci crederai, ma tutto quello che c'è a questo mondo serve a qualcosa. Ecco, prendi quel sasso li, per esempio.

Quale?

Questo... Uno qualunque... Be', anche questo serve a qualcosa: anche questo sassetto.

E a cosa serve?

Serve... Ma che ne so io? Se lo sapessi, sai chi sarei?

Chi?

Il Padreterno, che sa tutto: quando nasci, quando muori. E chi può saperlo? No, non so a cosa serve questo sasso io, ma a qualcosa deve servire. Perché se questo è inutile, allora è inutile tutto: anche le stelle. E anche tu, anche tu servi a qualcosa, con la tua testa di carciofo”. (Richard Basehart e Giulietta Masina nel film di Fellini)

« Se in una notte nera, c’è una formica nera su una pietra nera … Dio la vede e l’ama. »

"...E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo; non lavorano e non filano, eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro..." (Mt. 7,28-29; Lc. 12,27).

"...ecco, l'inverno è passato, è cessata la pioggia, se ne è andata, i fiori sono apparsi nei campi..." (Cantico dei Cantici 2,11-12);

"...Ogni uomo è come l'erba, tutta la sua gloria è come un fiore del campo. Secca l'erba, appassisce il fiore, quando il soffio del Signore spira su di essi, secca l'erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre..." (Isaia 4,6-8).


“Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata. E per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia due orme: le mie e quelle del Signore. Ma in alcuni tratti ho visto un sola orma. Proprio nei giorni più difficili della mia vita. Allora ho detto: “Signore, io ho scelto di vivere con te e tu mi avevi promesso che saresti stato sempre con me. Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti difficili? E lui mi ha risposto: “Figlio, tu lo sai che ti amo e non ti ho abbandonato mai: i giorni nei quali c’è soltanto un’orma nella sabbia sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio”. (Anonimo brasiliano)

Prendimi in braccio Signore!

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Cinque anni

Touggourt, 18 marzo 2011


Presto saranno cinque anni dal mio arrivo in Algeria e i miei confratelli del Pime mi chiedono di fare un bilancio. Non mi sembra vero che sia passato così tanto tempo. Dopo il primo anno qui a Touggourt, cittadina sul deserto, distante 600 km da Algeri, sono stato raggiunto da p. Davide Carraro del Pime e da don Emmanuele Cardani, prete fiedi donum di Novara, associato al PIME. Siamo stati insieme solo qualche mese. Dopo, p. Davide è partito per il Cairo e sta completando i suoi tre anni di studio dell’arabo e di Islamologia. Spero ritorni i primi mesi del 2012, visa permettendo. Don Emmanuele ha dovuto occuparsi dell’assistenza religiosa degli operai del petrolio di tutte le nazionalità ad Hassi Messaud e della restaurazione di una cappella dal titolo di ‘Nostra Signora delle Sabbie’, e della casa dove sono attese le missionarie dell’Immacolata, anche per loro, visa permettendo. Sono rimasto praticamente solo, ma con alcune permanenze un po’ veloci di don Emmanuele.

La mia e nostra fortuna è di avere a circa due Km dalla nostra abitazione, la fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù, che hanno celebrato, due anni fa, 70 anni di permanenza. Sono state le mie maestre di vangelo vissuto. Sono le ‘mamme’, le ‘sorelle’, le ‘avvocate’ dei più poveri per aver praticato e per continuare a vivere con la gente, come Gesù, “venuto ad abitare in mezzo a noi”. La mia sorpresa, dopo la paura dei primi giorni, fu di trovare una popolazione interamente musulmana che conserva oltre all’affetto per le Piccole Sorelle, anche una profonda nostalgia degli anni vissuti coi Padri Bianchi e con le Suore Bianche per le mille opere di scuola e di assistenza.

Quando manifesto una domanda di aiuto, di qualsiasi genere, la gente mi risponde: “E’ una gioia averti con noi”. Un dentista, quando gli chiesi che cosa gli dovevo, mi disse: “A gente come voi non ho mai chiesto nulla!”.

Occupo la giornata celebrando la messa presso le Piccole Sorelle, dove vado a piedi ogni giorno, poi nelle faccende domestiche, nelle camminate al mercato e nell’aiuto a persone di ogni genere, ragazzi/e e adulti, nello studio delle lingue. Un amico viene due o tre volte la settimana per pulirmi la casa, soprattutto quando il vento di sabbia me la riempie.

Quello che mi fa restare con gioia è la constatazione che nel cuore della gente, anche musulmana, c’è un bisogno profondo e vivo di fraternità.

Approfitto per dire agli amici che sono loro vicino in questa quaresima di dolore. Tutti vicini ai giapponesi per un Giappone nuovo.

Il grido delle pietre

Touggourt, 24 marzo 2011


Varie volte ho incontrato ad Algeri Jean-François Debargue durante le pause delle sue presenze tra i Sahraoui, che sono da trenta cinque anni in esilio nel deserto algerino. Ha deciso di essere la loro voce con un libro che mi ha dato e che ho appena letto durante le dieci ore del viaggio che mi ha ricondotto a Touggourt.

Ecco un suo grido:

“Per averle viste e versate,

chi potrà impedirmi di pensare

che le lacrime degli uomini

hanno rese salate le acque dei pozzi?

Per averle sentite… gridate,

chi potrà vietarmi di immaginare

che le grida degli esiliati

sono nel canto del vento?

Dopo essere stati filtrati e assottigliati,

chi potrà smentire

che le sabbie delle dune e la polvere delle piste

siano le vite setacciate dei nomadi erranti?”


“Chi sono? Per i marocchini, il sahraoui è un marocchino che si ignora. Per i francesi, il sahraoui è qualcuno che potrebbe aver un rapporto col Sahara? Per gli spagnoli, il sahraoui permette di avere una buona coscienza in cambio di una “indennità umanitaria” .

“Per il PAM (Programma Alimentare Mondiale) un sahraoui è ogni mese: 8 kg di farina, 1 kg di zucchero, 1 litro d’olio, 1 kg di cipolle, 1 kg di patate, 1 kg di proteine di cereali, 2 kg di miglio, 2 uova, 1,5 kg di riso, 500 gr di carote, 500 gr di mele e a volte ogni tre mesi: 1 o 2 kg di lenticchie, 500 gr di datteri, 500 gr di pasta.

Per le statistiche un sahraoui è da 35 anni un quarto di popolo nei campi dei rifugiati, un quarto nei territori occupati (dal Marocco), un quarto nei territori liberati e un quarto seminato in diaspora.

Per Dio, un sahraoui è un seme caduto e dimenticato, del deserto, in attesa e nella promessa di germinare.”

Ormai i sahraoui non hanno più voce, non hanno più forza di gridare. Questo “Grido delle pietre” (il titolo del libro), l’amico Jean-François me lo ha affidato anche per voi.

Lo straniero

Touggourt, 30 marzo 2011


Sempre di più il discorso sullo straniero occupa le nostre conversazioni e le nostre preoccupazioni e non è sempre facile o rispettoso o pacifico. Mi sono venuti in mente alcuni proverbi che avevo trovato nella cultura dei Tupuri del Camerun e del Ciad, presso i quali ho vissuto tanti anni.

Mi hanno voluto tanto bene e continuo ad amarli, soprattutto quando li vedo qui, stranieri come me.

Se trovi gente che danza o che cammina la testa in giù, danza e cammina come loro

Quando sei straniero devi rispettare le leggi che trovi e comportarti come chi ti accoglie senza opporti.

La terra straniera si affonda con te durante la stagione secca

In realtà, durante la stagione secca non c’è pericolo di affondare. Ma se sei straniero puoi trovare delle cose che non conosci e che ti rendono difficile la vita. Fa attenzione e usa tanto rispetto. Non essere come un bambino che non sa. Si può anche accusarti di cose che non hai fatto.

Il verme parassita approfitta dello straniero

Una persona, ospite, mangia meglio quando uno straniero arriva, perché il padrone di casa normalmente uccide un animale per onorare il nuovo arrivato.

Lo straniero non beve l’acqua del sacrificio

Lo straniero non partecipa delle cose più importanti della famiglia in cui è ospite. E’ certamente ben accolto ma la familiarità e la condivisione arrivano fino ad un certo punto, oltre il quale lo straniero non va.

Lo straniero beve l’acqua sotto il naso dell’ippopotamo

Con questo simpatico proverbio si vuole dire cosa succede ad uno straniero che giungendo in una terra a lui sconosciuta non vede dove stanno i pericoli e le insidie. Infatti, bere nei pressi del naso dell’ippopotamo è pericolosissimo, perché non lo si vede mentre resta sott’acqua. E’ un invito a chiedere consiglio a chi è del posto, anche sulle cose più semplici, per non trovarsi in difficoltà.

L’ospite (straniero) non supera mai il padrone di casa

Che sia ben chiaro: chi è del posto resta comunque colui che decide!

Lo straniero è come l’acqua dell’inondazione: passerà presto!

Non preoccuparti. Lo straniero se ne andrà. Oppure si integra.

Ma questo proverbio la dice lunga sulle innumerevoli presenze straniere che ci sono state in Africa: progetti di tutti i tipi, grandi inizi, grandi promesse, grande spiegamento di mezzi…tutto puntualmente già concluso. Questo, quando non si tiene conto della cultura africana.

Tutti dobbiamo vigilare e fare tesoro di questa semplice sapienza che riguarda lo straniero.

E non dimenticare mai quanto preghiamo nel salmo 146, 9: Il signore protegge lo straniero!

42

Venga lo Spirito

Touggourt, 6 marzo 2011


Porto in preghiera Libia, Egitto, Tunisia, Algeria, Marocco e tanti altri paesi, compresa l’Italia.

La preghiera del Breviario mi dà speranza:

Come nebbia che si squarcia

E lascia uscire una cima

Questo giorno ci scopre, indicibile

Un altro giorno, che si indovina.


Tutto raggiante di una promessa

Già questo giorno ci trascina

Figura dell’alba eterna

Sulla nostra strada quotidiana


Venga lo Spirito per insegnarci

A vivere in questo giorno che avanza

Lo spazio dove matura la nostra attesa

Del giorno di Dio, nostra speranza.


Sto attendendo con una certa ‘passione’ il grande giorno di Assisi anche se alcuni hanno paura. Paura di chi? Paura della forza dello Spirito? Giovanni Paolo II vi ha creduto!

Mi viene in mente quanto mi diceva un grande missionario, il p. Bonaldo Pietro, quando davo segni di paura. “Abbi fiducia in Dio, il Signore è più bravo di noi!”

Papa Giovanni Paolo II ha creduto nella forza della preghiera dei popoli, là dove solo lo Spirito di Dio può far capire alla coscienza del mondo i gemiti dell’uomo.

Verso Assisi, cammino di conversione

Touggourt, 12 marzo 2011


Alcuni cristiani protestano perché Giovanni Paolo II ha pregato ad Assisi accanto a rappresentanti di altre religioni e ha detto: “Ogni preghiera autentica è ispirata dallo Spirito Santo che è misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo”.

E dicono: “Ma, allora, sarebbe una preghiera autentica anche quella del buddista davanti all’idolo di Budda, e anche quella del mago che ha fumato il calumet della pace e quella dell’animista? Dirle una “preghiera autentica” sarebbe un qualificare come autentica anche la preghiera al demonio, e anche sarebbe autentica la preghiera del terrorista islamico che, prima di schiantarsi col velivolo contro la torre di Manhattan, ha gridato: “Allah è grande!” .

Certo il papa sapeva bene che non ogni preghiera è autentica e che lo Spirito Santo è presente nei cuori puri e sinceri.

Allora chiediamoci: “Quale preghiera è veramente autentica?” E come pregano i fedeli nelle altre religioni?”

Solo Dio può saperlo. Ma ci sono alcuni segni che possono dircelo.

Il papa ha invitato a pregare per la pace. Questo invito per noi e per tutti è molto impegnativo. Accettare di andare a Assisi per pregare per la pace, l’uno accanto all’altro, significa accettarci e voler conoscerci perché la pace è un impegno serio, di tutti, e domanda di essere insieme in questa ricerca. Unirci per vivre insieme il grande lavoro dello Spirito.

Per accoglierci e conoscerci bisogna uscire, ciascuno di noi, dal proprio guscio che ci mantiene nella convinzione che solo noi possediamo la verità e la preghiera. La verità e la preghiera non le possediamo, ma le cerchiamo e le cerchiamo insieme. Questa ricerca esige un’ attitudine di continua conversione verso i veri ‘Semi del Verbo’ presenti in ogni tradizione religione. Semi che sono ‘senso di Dio’, ‘senso della vita’ e ‘senso dell’’altro’. Il profeta Isaia (58, 9ss)aveva profetizzato questa conversione dicendo che è l’uomo, tempio di Dio, che santifica il tempio e diventa luce quando toglie da se ogni giogo per la persona umana e che fa crescere la vera uguaglianza e la vera fraternità. Una volta vista la verità, la dobbiamo vivere. La preghiera non resta solo intimista ma diventa vita. L’albero della preghiera per la pace deve dare frutti.

Il papa domandava una cosa importante. Ogni religione deve convertirsi verso l’autenticità. Il primo passo è di avvicinarsi veramente a Dio. Il secondo è di avvicinarsi all’altro’ in preghiera.

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Charles de Foucauld parla e prega ancora

Touggourt, 21 febbraio 2011


In una stanza di Beni Abbes (Algeria) che conserva ancora la sua valigia-cappella, uno dei tabernacoli da lui fatti, la grata confessionale inserita in una porta, il dizionario Tuareg da lui composto e i disegni che faceva nei suoi viaggi, si possono vedere foto e scritte che riportano il suo cammino verso Tamanrasset, dove fu ucciso nel 1916. Vi invito a leggere:

L’islam ha prodotto in me un grande cambiamento. La vista di questa fede di queste anime che vivono nella continua presenza di Dio mi ha fatto intravedere qualche cosa di più grande, di più vero che le occupazioni mondane.

Voglio abituare tutti gli abitanti cristiani, musulmani, ebrei, idolatri a guardarmi come un fratello universale. Cominciano a chiamare la casa “la fraternità” (la Khaua in arabo) e questo mi è dolce.

Bisogna passare per il deserto, e restarvi, per ricevere la grazia di Dio. E’ là che ci si svuota che si caccia da se tutto ciò che non è Dio.

Tutti gli uomini sono dei figli di Dio. E dunque impossibile voler amare Dio senza amare gli uomini. Più si ama Dio e più si ama gli uomini. L’amore di Dio è tutta la mia vita, sarà tutta la mia vita, lo spero.

Ecco ciò che sono venuto a fare: lavorare per stabilire la fraternità sulla terra. Fare che regni questo amore, questa fraternità che il cuore di Gesù vi ha portato dal cielo.

Faccio fatica a staccare questa vista meravigliosa di cui la bellezza e l’impressione di infinito avvicinano tanto al creatore. Nello stesso tempo la sua solitudine e il suo aspetto selvaggio mostrano quanto si è soli con lui.

Dalla stanza si passa alla cappella da lui voluta. Questa unità tra vita e Eucaristia ci fa capire De Foucauld. Scrive il teologo Pierangelo Sequeri: “Quello di De Foucauld appare un mondo sin troppo affollato di relazioni: e fitto di incessante conversazione con il suo “popolo adottivo”.

Impressionante è piuttosto, se si vuole, il fatto che questa continua relazione e conversazione sia perfettamente sovrapposta con una totale relazione/conversazione- apparentemente altrettanto fitta e ininterrotta- con il suo Signore. Il suo Signore è lì perché lui ce l’ha portato. E Gesù-fratello si concede a questa abitazione: cosa della quale de Foucauld non finisce di stupirsi e di commuoversi.

(…) Il mistero della viva presenza del Signore trae la sua inconfondibile evidenza di prossimità semplicemente dal fatto che è povero, semplice, ‘piccolo’, ‘nascosto’, e ridotto all’essenziale tutto il resto”. (Pierangelo Sequeri Charles de Foucauld , Il Vangelo viene da Nazareth, VeP)

Lettera a un amico musulmano

Touggourt, 4 marzo 2011


Mio fratello musulmano. L’altro giorno mi hai chiesto perché non mi facevo musulmano. Sorpreso, non ti ho risposto subito. Poi mi son detto e ti dico: “Perché tu non ti converti al cristianesimo?”

In realtà queste domande non ci fanno avanzare nelle nostre relazioni. Il più importante è di credere che Dio è con ciascuno di noi. Tu sei mio fratello. Non sono diverso da te. Solamente, io credo in Dio tramite Gesù. Tu, tramite il Corano. Noi viviamo insieme, crediamo nell’unico Dio. Dobbiamo rispettarci e conoscerci di più e creare un clima di tolleranza e di fiducia. Per noi cristiani, il primo comandamento è di amare Dio più di tutto e di amare il prossimo come se stessi. E per voi musulmani, qual’è la prima esigenza? Non aver paura di avvicinarti a me. Frequentarmi non è un peccato, anche se la società insiste a farti pensare che l’Islam à l’unica via di accesso al Paradiso.

Ricordati che un giorno mi hai chiesto di bruciare una candela secondo le tue intenzioni. L’ho fatto con la mia convinzione e l’ho presentata a Gesù e ho chiesto a Maria che tu sia esaudito. Il mio desiderio più vivo è che possiamo trovarci in uno scambio che ci arricchisca della fede dell’altro. Questo scambio ci porterebbe a una migliore conoscenza di Dio e amplierebbe la nostra preghiera. Ti abbraccio, fratello. (Dal bollettino diocesano di Costantine)

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10 giorni con Charles de Foucauld a Beni Abbes

Touggourt, 12 febbraio 2011

Continuo a essere fortunato. Le Novizie delle Piccole Sorelle di Gesù stanno vivendo il noviziato proprio dove Charles aveva vissuto alcuni anni in attesa di entrare in Marocco. Da lì poi aveva sentito il richiamo di andare tra i Tuareg a Tamarasset. Accanto alle Piccole Sorelle vivono anche tre Piccoli Fratelli che custodiscono l’eremitaggio di Charles de Foucauld sempre visitato da algerini e da stranieri. Proprio in questi giorni ho visto l’Ambasciatore di Spagna con la Signora, naturalmente massivamente scortati da un esercito di polizia e di militari. Le Piccole Sorelle mi avevano invitato a passare con loro 10 giorni per dare un corso di catechesi col tema: “I Sacramenti fanno del cristiano un’immagine di Gesù”.

La fortuna per me è stata di sentire presente il grande eremita Charles in quel luogo di silenzio e di preghiera. Lo auguro a tanti sacerdoti e a tutti. Questi Piccoli Fratelli e Sorelle oltre ai luoghi di Charles hanno ricevuto il dono per tutta la Chiesa di mantenere viva una presenza fraterna tra i mussulmani. Vi vedi tante cose appartenenti a Charles, ma il luogo dove lo senti adorare è quella chiesa di terra e di sabbia coi suoi dipinti.

Oltre a lui mi ha interessato come vivono i Fratelli e le Sorelle. Con loro fino a pochi anni fa aveva vissuto un certo Don Ermete Sattoloni della diocesi di Nocera Umbria che dopo alcuni anni di parroco aveva voluto vivere a Beni Abbes, fattosi anche lui Piccolo Fratello assieme a Carlo Carretto. Leggete quanto scrive un suo amico prete, Alessandro Pronzato, venuto a visitarlo.

“Fratel Ermete manovra la cazzuola con disinvoltura e non ha certo paura dei calli alle mani. Si distinguono perfettamente quando innalza l’ostia, oppure apre le palme al “Padre Nostro”. Fanno un bel vedere.

Due giorni prima della mia partenza, è venuto a cercarmi nella cella, prima ancora di andarsi a rinfrescare. Sai? Alessandro, oggi mi è successo un fatto curioso. Un manovale della mia squadra, durante la breve sosta di mezzogiorno, mi ha domandato all’improvviso: “Ermete, spiegami un po’ che cosa ha fatto di straordinario per te Gesù Cristo che lo ami tanto”. “Non so se ti rendi conto...E’ la prima volta, in tre anni, che mi sento rivolgere una domanda sulla mia fede. Guarda che strano. Embé, che devo dirti, Alessandro? Sono contento.”

Non posso guardarlo negli occhi. Ma mi porto dentro l’avvenimento. Mi servirà, ne avro’ bisogno, senza dubbio. Una parola su un argomento religioso in tre anni.

Penso ai nostri trionfalismi, alle nostre cifre, statistiche, registri, alle nostre “molteplici attività apostoliche”, all’ansia di vedere dei risultati, allo scoraggiamento per gli insuccessi, alle proteste contro l’indifferenza della gente e i tempi cattivi...”ma vale la pena di continuare cosi?”, “che cosa ci sto a fare in un ambiente come questo?”, “...per quel che ottengo..;”.

Ermete, invece, è felice. Ce l’ha fatta a piazzare una parola in tre anni. Un seme piccolissimo, invisibile, che “si perde” nella sterminata vastità del Sahara.

Può darsi, che fra tre anni, abbia la possibilità di buttarne un altro in quel deserto immenso, terrificante e meraviglioso.

Lui è felice. Perché sa che il deserto fiorisce soltanto a questo prezzo della pazienza, dell’amore. Non ha tempo di controllare i risultati, Ermete. Deve lavorare. Domani partirà presto, come al solito. E, come al solito, si sarà alzato due ore prima, per pregare.

Non dimenticherà certo di mettersi sotto l’ascella il lungo sfilatino. Al silenzio c’è avvezzo. Al digiuno, no. A quello sono abituati soltanto i suoi compagni musulmani che però si mangiano quotidianamente il suo pane. E magari sono curiosi di sapere cos’è Gesù Cristo per Ermete, proprio perché vedono che cos’è Ermete per loro.

Ermé, non ha per caso un piccolo seme di pazienza da gettare nel mio deserto di tutti i giorni?”

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Anche noi ad Assisi

Touggourt, 16 gennaio 2011

Siamo tutti partecipanti. Leggendo la notizia che Papa Benedetto vi parteciperà, mi esce dal cuore un affettuoso: “Bravo, Papa Benedetto. Coraggio! Portaci tutti ad Assisi!”

Sì, anche noi dobbiamo avere il coraggio e la convinzione che Papa Giovanni Paolo II ha vissuto in quel 27 ottobre del 1986. “Tutti i credenti hanno in cuore la ricerca di Dio e l’amore per l’uomo. Lo Spirito prega in loro”

Mons.Vincenzo Paglia, ha scritto "Ripetere Assisi vuol dire irrobustire ed affinare l’arte dell’incontro che richiede pazienza ed audacia, perdono e capacità di chiarirsi. L’Incontro interreligioso, libera energie di solidarietà che rendono possibile la convivenza anche nella diversità. In questi anni, uomini e donne di religioni diverse hanno appreso il modo di conoscersi e spiegarsi, di sentire responsabilità comuni di fronte a problemi e speranze".

E il card. Poupard dice le sfide a cui ogni credente è invitato:

- approfondire la propria tradizione religiosa, non in maniera selettiva, ma nella piena fedeltà alla propria tradizione religiosa;

- incontrare i fedeli di altre tradizioni religiose in uno spirito di reciproco rispetto, fiducia ed amicizia;

- combattere insieme per la promozione della dignità di ogni persona attraverso l’impegno nella giustizia".

“Con la Giornata di preghiera per la pace del 27 ottobre 1986 – ha ricordato Riccardi - si compì l’evento interreligioso più partecipato del Novecento. Non si negoziò, non si cercò un accordo confusamente: si digiunò, si stette in silenzio, in preghiera, in amicizia”.

In questi mesi, dobbiamo tutti prepararci perché siamo tutti coinvolti. Ogni gruppo missionario, ogni famiglia religiosa, ogni movimento… dovrebbe vivere intensamente questa preparazione. Bisogna sentire meglio ciò che lo Spirito sta facendo in noi e negli altri, e metterci a conoscere e ad incontrare gli altri. Soprattutto, organizziamo dei bei momenti di preghiera. Chi lavora di più è lo Spirito. Giovanni Paolo II ha posto "l’accento sul valore della preghiera nella costruzione della pace": "Gli oranti delle varie religioni poterono mostrare come la preghiera non divida ma unisca, e costituisca un elemento determinante per un’efficace pedagogia della pace".

L’importanza della ‘Umma’

Touggourt, 28 gennaio 2011


Conoscere l’altro può suscitare un confronto e può essere arricchente. Anch’io, quando incontro un cristiano, esco dalla mia solitudine e sento che faccio parte di una famiglia. Leggiamo la testimonianza di una musulmana.

A volte trascuriamo l’importanza della Umma (la comunità islamica), ma la umma è fondamentale nel nostro cammino verso Dio. La Umma è l’intera comunità islamica, sono tutti i nostri fratelli che vivono nelle svariate parti del mondo, sono le nostre sorelle che ogni giorno incontriamo mentre ci dirigiamo sul posto di lavoro.

Insomma, ogni musulmano, ogni persona che dica “la ilaha illallah, Mohammed rasullullah” fa parte della umma.

La umma è il rifugio di ogni musulmano, far parte della umma, vuol dire sentirsi più sicuri e più protetti, vuol dire sapere di poter contare su qualcuno che nei momenti di difficoltà ti potrà essere di aiuto.

Sabato sera sono stata in moschea (la mia piccola umma) è li ogni volta si assaggia il buon sapore che ha il far parte di questa comunità! Pensare di essere musulmani e di poter fare tutto da soli, a mio parere è un grosso sbaglio, perchè da soli non si va avanti, stare insieme alle sorelle e ai fratelli ti aiuta a superare quegli ostacoli che ti sembrerebbero insormontabili.

Personalmente i vantaggi che ho riscontrato facendo parte della umma sono stati moltissimi, i più rilevanti sono:

- fede rafforzata: il fatto di conoscere fratelli e sorelle che superano tantissime prove davvero gravose (molto spesso i nostri problemi sono davvero inezie rispetto a quelli di queste persone), e di vedere come nonostante tutto, grazie all’aiuto di Allah (swt - gloria a Lui l’Altissimo) sono sempre lì, sono sempre fedeli, non smettono mai di credere alle promesse di Allah, beh, non può che rafforzare anche la tua fede, e farti capire che l’unica vera soluzione la puoi trovare solo abbandonandoti completamente nelle braccia del tuo Signore.

- Conoscenza dell’islam: le lezioni che si tengono in moschea, ti aiutano a conoscere tanti piccoli aspetti dell’islam da vivere nel quotidiano.. magari piccole azioni sbagliate che non sapevi di compiere possono essere modificate, oppure come migliorare l’adorazione di Allah.. cose che per impararle da solo, magari dovresti leggere libri e ancora libri, e che invece puoi imparare frequentando la Umma!

- Lo svago: per quanto strano può sembrare, frequentare la Umma è anche occasione di svago, perchè a volte con le sorelle, si organizzano incontri, o si festeggia in moschea qualche evento particolare ed è piacevole stare in loro compagnia anche per divertirsi!

Ci sarebbero pagine e pagine da scrivere sui benefici che si hanno facendo parte di questa meravigliosa Umma, ma nessuna parola può davvero descrivere quello che si sente quando si fa parte di una comunità che protegge, cura e nutre i suoi componenti senza mai chiedere nulla in cambio! Tutto questo non può che essere fonte dell’Altissimo, non vi pare?

Maryam

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Ritorno a Touggourt

Touggourt, 5 gennaio 2011

Dopo i quindici giorni intensi di incontri con tanti amici in Italia e dopo la marcia della Pace ad Ancona, eccomi di nuovo, solo, tra i miei amici musulmani. Durante le 10 ore di viaggio in pulman da Algeri ho potuto rivedere con la memoria quanto ho vissuto. La natura dei paesaggi che mi si presentavano, tra un sonno e l’altro, mi aiutava a fare paragoni e a riprendere coscienza che mi trovavo in Algeria. I primi trecento km sono altipiani e colline con terreni ben coltivati a frutta e a frumento. Poi trecento km di deserto. Dopo le città, per alcuni chilometri vedi sacchetti e sacchetti di plastica che il vento trasporta lontano. Mi hanno fatto pensare alla situazione crescente di apatia e di indifferenza di ogni genere che si vive in Italia. Questa indifferenza sta spegnendo lucidità, entusiasmo e fiducia. Ma a Loreto e ad Ancona ho vissuto incontri interessanti per la passione che vivono ancora alcune persone: passione e sensibilità per situazioni di sofferenza e di disagio, voglia di portare soluzioni, disponibilità a donarsi. Per quanto riguarda il tema del dialogo, dell’accoglienza dell’Altro, e della libertà di religione, se da una parte ho sentito preoccupazione e paura, alimentate anche da fatti dolorosi, dall’altra c’è la disponibilità a capire e a cogliere l’occasione per il nostro paese di sentire che c’è un nuovo cammino da percorrere. Ormai si è tutti coinvolti ad approfondire la nostra vera identità e a dare una mano a chi vuol aprirsi alla vera fraternità, unica soluzione perché l’umanità possa continuare il suo cammino. Sempre di più ci si deve convertire. Sì, anche le religioni, e quindi i credenti, ritrovino le ispirazioni delle origini che ci fanno sentire più vicini e più simili. Prego perché il prossimo incontro di Assisi, incontro di preghiera, l’uno accanto all’altro, sia veramente una nuova pentecoste. Grazie amici di Loreto e di Ancona.

Il saluto è una porta

12 gennaio 2011


Il saluto è la prima cosa che mi ha sempre interessato in Camerun. All’inizio mi faceva ridere perché era una serie di domande: “Bene, la tua casa va bene? I tuoi figli stanno bene? Tua moglie va bene? Ecc, ecc”. Finalmente dopo mesi, avevano capito. Al posto della moglie mi chiedevano: “La tua macchina va bene?”

Ma ho presto capito che il saluto era un momento importante perché mi faceva sentire l’umore della persona che incontravo e mi preparava al dialogo e a un sentire insieme.

Ora, in Algeria, coi miei amici musulmani, il saluto mi ha aperto una relazione ogni giorno più vasta. Fin dai primi giorni ho salutato tutti. Non però le donne, come mi avevano consigliato. Ma anche lì ora c’è un certo progresso. Dal saluto cosiddetto laico: “Sbah kair”(mattino di luce), ormai sono giunto al vero saluto dei musulmani “Salam alaikum” (pace a voi), perché loro stessi mi vogliono salutare così.

Il significato della parola “Salam” , che alla lettera vuol dire “pace” , si spinge un po’ oltre , delineandosi come “salvaguardia” , “sicurezza” , e “protezione” dal male e dagli errori.

Il nome di “Al-Salam” è anche uno dei Nomi di Allah, pertanto il saluto della “Salam”, suona come un “possa la Benedizione del Suo Nome scendere sopra di voi”.

“Quale categoria di azioni dell’Islam sono meritevoli ?" Il Profeta rispose : “Dare sostentamento (cibo) agli altri e offrire il saluto della “Salam” a coloro che conosci e a coloro che non conosci.

Al-Qaadi ‘Ayaad ha detto in al-Ikmaal (1/304):

“Questo è un incoraggiamento a diffondere il saluto. Il saluto “Salam” è il primo livello di rettitudine e la prima qualità di fratellanza , ed esso è la chiave per generare l’amore.

Attraverso la pratica del saluto “Salam”, l’amore dei Musulmani, l’un per l’altro, cresce più forte ed essi dimostrano i propri simboli distintivi e diffondono un sentimento di sicurezza tra loro stessi”.

Dire “Salam ‘alaykum” (sia la pace con te) è meritare dieci ricompense.

Dire: “Salam ‘alaikum wa rahmat-Allah (Sia la pace su di voi e la Misericordia di Allah) è meritare venti ricompense.

Dire: “Salam ‘alaykum wa rahmat-Allah wa barakatuhu (Sia la pace su di voi e la Misericordia di Allah e le Sue Benedizioni)” è meritare trenta ricompense.

Ibn al-Qayyim ha detto in Badaa’i' al-Fawaa’id (144):

“Allah, l’Onnipotente, il Maggiormente Sacro, il Pacifico, ha prescritto che il saluto tra la gente dell’Islam dovesse essere “al-salamu ‘alaykom” che è meglio di tutti gli altri saluti delle altre nazioni che include idèe impossibili o bugie , come per es. dire : “Possa tu vivere per un migliaio di anni”, a volte accompagnati da azioni poco sincere, come prostrarsi nel salutare. Per questo il saluto della Salama è meglio di tutti questi , perché esso ha il significato della sicurezza che è la vita , senza la quale nient’altro potrebbe essere raggiunto. Quindi questo ha la precedenza su tutti gli altri scopi o mete. Una persona ha due scopi principali nella vita: tenersi al riparo dal male, e raggiungere qualcosa di buono. Tenersi al riparo dal male ha la precedenza sul raggiungere qualcosa di buono…”

Il saluto è anche accompagnato da qualche gesto come quello di mettere la destra sul cuore per dire: “Ti porto nel cuore”.

Ora, quando sono per strada, anche qualche ragazza e qualche donna osa salutarmi. Sono le ragazze che vengono a fare i compiti da me e le loro mamme che le accompagnano.

Quando sei salutato, e con un bel sorriso, senti qualcosa nel cuore.

Mentre giorni fa ero a Treviso in autobus, mi capitò di sentire un uomo che telefonava in arabo, seduto davanti a me. Al termine della telefonata gli dissi: “Salam alaikum”. Quegli mi sorrise, un po’ sorpreso, e rispose: “Alaikum salam”. E continuammo a parlare.

Il saluto è una porta che ci fa dire : “Marhaba bika”. “Benvenuto, la casa è aperta per te”.