Schegge di Bengala - 2015

p. Franco Cagnasso

2015

16/12

Storia - Fastidio - Partenza - Pazienza 

21/11

Piero daktar - Una ragione - Quadriennio - Protezione 

10/10

Perchè - Utholi - P. Dominic - Dito - Il dottore buono 

8/7

Dolore - Ande - Ricerca - Mantello

29/5

Per caso - Deterrente - Copertura - Boom 

6/4

Mohespur - Proliferazione - Premunirsi - Programmazione - Atrocità 

5/3

Ingabbiati - Settantaquattro - Odio - Montagne

2/2

Crescendo - Dispetti - Continua 

9/1

Natale - Crescita - Memoriale - Negozietti - Chi guarisce 

127

Dhaka, 16 dicembre 2015

 

Storia
Il 18 novembre è stata confermata, ed eseguita per impiccagione pochi giorni dopo, la condanna a morte di altri due "criminali di guerra", per fatti accaduti nel 1971. Erano stati oppositori all'indipendenza del Bangladesh, ma - tornati dopo un breve esilio - avevano ricoperto ruoli importanti nel partito islamico Jamaat, o in quello nazionalista BNP, e anche nel governo. La condanna potrebbe essere una con-causa delle azioni terroristiche eseguite in varie parti del Paese contro stranieri, cristiani, hindu e templi, simboli del sostegno all'indipendenza, considerata un rifiuto dell'islam nel cui nome Pakistan Occidentale e Orientale avevano formato un'unica nazione. S'è fatto sentire anche il governo del Pakistan, prima esprimendo preoccupazione per le condanne, e poi negando che ci siano stati nel '71 repressioni e stragi. A sentir loro, addolorato per l'ingratitudine dei loro fratelli Bengalesi che volevano separarsi, l'esercito pakistano per tutto quell'anno protesse la gente dai comportamenti banditeschi di alcuni fuorviati, distribuì caramelle, sostenne i poveri, protesse la castità delle ragazze; usando parole dolci e lacrime fece del suo meglio per tenere il Pakistan unito con vincoli di sincera fraternità, caparbiamente respinto dai "banditi" che volevano separarsi mettendo in pericolo l'Islam...
Furibonda la reazione del Bangladesh, a livello diplomatico, e di "società civile". Stampa e TV sono inondati di testimonianze, rievocazioni, fotografie che ricordano le atrocità commesse, la strategia volta ad annientare la classe colta del Bengala, per tenere unito - e sottomesso - un popolo di poveracci analfabeti. Culmine della reazione, il 14 dicembre, "Giornata degli intellettuali martiri", data in cui l'esercito diede la caccia casa per casa a professionisti, intellettuali, insegnanti, scienziati, artisti, massacrandoli indiscriminatamente: un'inutile, crudele vendetta due giorni prima di firmare la resa incondizionata all'esercito indiano (16 dicembre 1971). L'Università di Dhaka ha sospeso ogni rapporto accademico con tutte le università pakistane, finché non venga riconosciuta la verità storica delle stragi.

Fastidio
Recentemente, cinque giovani operaie cristiane che vivono in una stanzetta a Dhaka sono state avvicinate due volte da sconosciuti e minacciate: "Siete cristiane? Che ci fate qui? Sgombrate il quartiere o vi facciamo sgombrare noi, ci date fastidio" "Perché?" "Perché voi cristiani sostenete il governo che è nemico dell'Islam, e impicca i nostri fratelli maggiori..."


Partenza
Domenica 13 dicembre, a Borni - parrocchia nel nord-ovest del Bangladesh - si celebra la consegna del Crocifisso a suor Chandana Rozario, Missionaria dell'Immacolata (PIME) che parte per il Cameroun. Nella chiesa affollata, dico a tutti che nel 1979, a un anno dal mio arrivo in Bangladesh, passai tre mesi a Borni per far pratica della lingua e ambientarmi. Chandana non era ancora nata, e certo io non pensavo che sarei tornato 36 anni dopo a dare il saluto a una "figlia" di Borni diventata missionaria. Non solo, ma tra i presenti ci sono pure p. Adolphe Ndouwe, camerunese, missionario del PIME in Bangladesh, e Fratel Joseph Mongol Aind, bengalese, per 10 anni missionario del PIME in Camerun, da poco rientrato per un periodo di servizio nel suo Paese. Chiese che si muovono, donano, ricevono, si incontrano... Ma ha senso questo andirivieni? Perché non lasciare ciascuno al suo posto evitando fatiche e spese?
Il partire è vissuto dai missionari non come una scelta personale, ma come una risposta. La "strategia missionaria" dello Spirito Santo è decisamente originale e difficile da inquadrare nei nostri schemi. Sa Lui dove ci saranno frutti, e come; sa Lui quali strade ci permettono di seguire meglio il Maestro. Andare lontano è anche un modo di accogliere e vivere la risposta che Gesù dà alla domanda: "Chi è il mio prossimo?" Non parla di parenti, vicini di casa, connazionali, fratelli di fede religiosa, ma di un Samaritano, straniero ed eretico, che si fa prossimo all'uomo ridotto in fin di vita dai briganti. Suor Chandana e Fratel Joseph, bengalesi, si fanno "prossimo" dei camerunesi, come p. Adolphe, camerunese, si è fatto "prossimo" dei bengalesi: con la loro vita ci mettono sotto gli occhi il valore di ogni essere umano, lontano, vicino, straniero, diverso, e l'attenzione di Gesù per ciascuno; ripetono il gesto di Abramo, che cerca Dio fuori della sua terra. Partire costa fatica, e mette in una condizione di perenne impegno per capire, adattarsi, accettare la condizione di stranieri, ospiti, pellegrini. Non è forse questo che il Maestro chiede al giovane che voleva qualcosa in più per "ottenere la vita eterna"? "Vendi tutto e seguimi". Vendi terre e distribuisci i conti in banca, ma anche staccati dalla tua stessa gente, dalla lingua, dal cibo, da un'appartenenza che rischia sempre di essere chiusa, esclusiva. Partire ti fa più grande il cuore, ti rende libero e quindi, se sai approfittarne, più disponibile al vangelo e all'intimità con il Maestro. Spesso suor Chandana Lo sentirà profondamente, a volte dolorosamente e allo stesso tempo gioiosamente, come unico punto di riferimento e appoggio. E partire può anche suscitare qualche domanda in chi ci accoglie: se lei/lui viene da tanto lontano per testimoniare il vangelo, perché non posso pure io darmi da fare un poco di più fra la mia gente?

Pazienza
Diciotto anni fa i rappresentanti dei 16 gruppi etnici della zona "Chittagong Hill Tracts" (sud est del Bangladesh), dopo oltre 20 anni di guerriglia intesa ad affermare i loro diritti, firmarono un trattato di pace con il governo, formato dalla coalizione attualmente al potere, e deposero le armi. Doveva seguire una rapida de-militarizzazione della zona; più tardi, fu creata una speciale commissione per prendere in esame le controversie provocate da occupazioni forzate da parte di oltre mezzo milione di bengalesi musulmani, invitati dai governi precedenti a "bengalesizzare", e di conseguenza islamizzare, la vasta area, ancora in parte forestale. In occasione di una discussione organizzata per celebrare la data, Santu Larma, rappresentante di tutti i gruppi etnici, ha spiegato: "Il governo ha creato un Comitato per la realizzazione dell'accordo (di pace). Ma non c'è un ufficio, non ci sono fondi, non c'è un incaricato. Non si può neppure trovare un fascicolo che sia del Comitato di realizzazione". L'immigrazione da altre parti del Bangladesh continua, privati e grandi compagnie s'appropriano di terre per sviluppare il turismo o diversi tipi di piantagioni, l'amministrazione è in mano ad estranei, la presenza delle forze di polizia e militari è massiccia, invadente, arrogante. Le visite di stranieri sono ammesse a fatica, e strettamente controllate. Un "consigliere per gli affari internazionali" del primo ministro presente ai colloqui, fra l'altro ha detto che se le donne dei gruppi etnici subiscono violenza da chi vuole costringerle ad andarsene, devono denunciare il fatto alla polizia, e se la polizia non dà retta devono rivolgersi all'ufficio del primo ministro (sic). Riconoscendo che il governo non ha preparato alcun piano né fissato i termini per il lavoro del Comitato, ha aggiunto: avete avuto finora molta pazienza senza vedere risultati, ma bisogna averne ancora, e aver fede in questo governo, perché è sincero.

p.Franco Cagnasso

126

Dinajpur, 21 novembre 2015

 

Piero daktar

Così lo chiama la gente, ma anche “Father Piero”, perché per tutti è prete ed è medico, con i medesimi tratti di disponibilità, attenzione personale, bontà e generosità “proverbiale”, spesso oggetto di scherzi dei confratelli. Da bravo ex dilettante di ciclismo, va sempre in giro in bicicletta, e di gran lena. Come ogni giorno, il 18 novembre era diretto in bici all’ospedale, quando alle 8,10 una moto l’ha affiancato e uno dei passeggeri gli ha sparato un colpo che l’ha fatto crollare a terra. Pensando di averlo ucciso sono scappati subito, ma la pallottola aveva trapassato il collo, sotto la nuca, senza toccare organi vitali. Mentre perdeva molto sangue, passanti lo hanno soccorso portandolo al “Medical College” di Dinajpur, un grande ospedale di recente apertura, incredibilmente sporco, assolutamente disorganizzato e caotico, con pazienti che giacciono a terra in ogni angolo. In poco tempo i corridoi del terzo piano si riempiono con centinaia di giornalisti, cineoperatorei, curiosi, infermiere e medici sfaccendati, fotografi aggressivi, polizia, tutti a sgomitare per andare vicino, vedere, fotografare, commentare. Dopo sommarie medicazioni, una TAC mostra che la pallottola è uscita, e ci sono fratture alla mandibola, ma non è necessario operare con urgenza. Ore di paura, confusione e smarrimento, durante le quali p. Piero riprende a parlare e lamenta dolori al torace cui nessuno fa caso. Poi, i medici decidono di trasferirlo a Dhaka e l’aviazione militare mette a disposizione un elicottero che arriva alle 15.15 e mezz’ora dopo decolla con lui e due accompagnatori. Oltre alla mandibola, p.Piero ha tre costole rotte e parecchie altre ammaccature e ferite dovute alla caduta. La ferita dell’arma da fuoco non è grave. I medici del “Military Hospital” dicono che è fuori pericolo.

Ora riceviamo tanti attestati di simpatia, dolore, rabbia da parte di poveri e gente comune, colleghi, gente che lo conosce e lo stima, molti, di ogni religione, aiutati da lui.

 


Una ragione

Continuano a chiederci commenti, e perché mai qualcuno abbia attentato alla vita di p. Piero, uomo senza nemici, conosciuto da tutti come “doyalu”, di cuore buono, compassionevole e mite. Chi conosce la riposta? Siamo nel regno della menzogna e si può credere a tutto e al contrario di tutto. Per le possibili ragioni politiche rinvio ad una mia “scheggia” precedente, “Perché?”, scritta dopo l’assassinio del cooperante italiano Tavella e di un giapponese. Aggiungo che in questi mesi, e specialmente in questi giorni, c’è tensione per la condanna a morte di due politici dell’opposizione, accusati di crimini di guerra commessi nel 1971. Ma occorre andare anche più a fondo. Un amico buddista si emoziona quando gli dico che il nostro Guru Gesù ci ha preparati: “Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. Un giornalista televisivo musulmano mi chiede perché colpiscono un uomo così buono, e ascolta con grande interesse il pensiero del nostro Profeta Gesù: chi opera il male teme e odia la luce, perché non vuole che le sue opere vengano riconosciute.

 

Quadriennio

‘Superiore” è una parola che non ci piace, e non esprime la nostra realtà; la usiamo per non sprecar tempo a cercarne un’altra, convinti che i fatti valgono più delle parole. Così anche noi missionari in Bangladesh abbiamo un “superiore” e l’11 novembre scorso, quattro anni dopo che l’incarico era stato affidato al sottoscritto, abbiamo eletto il successore: p. Michele Brambilla, e il suo consiglio. Abbiamo dato uno sguardo al quadriennio passato per capire in quale direzione andiamo.

Nel novembre 2011 eravamo 33 di cui 30 preti e 3 fratelli laici. Oggi siamo 29, di cui 25 preti e 4 fratelli. “Sorella morte” ha preso con sé p. Enzo Corba, p. Carlo Calanchi e p. Gregorio Schiavi; 9 missionari sono stati trasferiti per operare in Italia con incarichi diversi, o rientrati in Colombia, al termine del “contratto di associazione”. Nello stesso periodo sono arrivati 8 missionari: 5 rientrati dopo aver svolto servizio in altri paesi, 1 di prima destinazione, due nuovi associati. Eravamo 27 italiani, un brasiliano, un camerunese, 4 associati colombiani; oggi siamo 24 italiani, un brasiliano, un camerunese, un bangladeshi, richiamato dal Cameroun per qualche anno di servizio nel suo paese, 2 associati colombiani. Il numero quindi è calato, ma “in compenso” è aumentata l’età: su 29, abbiamo 11 ultrasettantenni, e il nostro vivace decano è ultraottantenne.

Siamo presenti in tre diocesi, avendo lasciato la diocesi di Chittagong, dove era rimasto soltanto uno di noi. Svolgiamo una varietà di servizi di prima evangelizzazione fra gli aborigeni, di pastorale, formazione scolastica, professionale e religiosa, di cura e attenzione agli ammalati, al mondo del lavoro e ai bambini in strada, di formazione al risparmio con le “Credit Unions”, di animazione missionaria.

In 4 anni abbiamo effettuato vari trasferimenti “ordinari” secondo le indicazioni dei vescovi, abbiamo passato alle diocesi tre realtà fondate da noi: due centri di formazione e una missione; stiamo gradualmente affidando alle diocesi il “Sostegno a distanza” (adozioni), pilastro economico di scuole e ostelli nelle diocesi di Rajshahi e Dinajpur.

Ci hanno affidato nuovi incarichi, compresi due sottocentri e due parrocchie. Le attività ecumeniche e di dialogo segnano il passo, mentre ha preso  forma il “Centro Gesù Lavoratore” alla periferia di Dhaka. Siamo in difficoltà a provvedere personale per dirigere l’ospedale diocesano di Dinajpur, e la scuola tecnica di Rajshahi. A causa di visti non concessi, non siamo riusciti d avere personale ALP, che sarebbe molto prezioso.

Nelle nostre due piccole “comunità vocazionali” studiano 13 giovani di “Intermediate” e 11 di college. Sette sono stati accettati come seminaristi PIME nel seminario di filosofia nazionale; due studiano teologia a Monza, uno è stato ordinato prete quest’anno e destinato alla Papua Nuova Guinea. Fra i membri del PIME nel mondo si contano un fratello e tre preti di nazionalità bangladeshi.

Impossibile contare celebrazioni, sacramenti, preghiera, contatti, aiuti, sacrifici, peccati, buona volontà, delusioni, colloqui, tempo perso, amicizie, conflitti. Lasciamo il bilancio al Signore.

   


Protezione

Dopo l’assassinio o il tentato assassinio di stranieri, e di un pastore battista bengalese, le forze di polizia sono in allarme rosso, e sotto enorme pressione del governo, perché ci proteggano. Chiuso uno dei due cancelli della missione, giorno e notte quattro poliziotti presidiano l’altro, controllando chi entra e chi esce. Ci pregano di non uscire troppo, ma quando serve siamo liberi di farlo, purché accompagnati da uno di loro. Possiamo andare anche lontano: allertando il comando due giorni prima, manderanno una scorta.

Il giorno dopo aver ricevuto queste disposizioni, da Khidirpur (70 chilometri da Dinajpur), telefona p. Almir, che s’è malamente tagliato un piede e sanguina molto. Massimo, l’infermiera suor Dipty e io in un attimo siamo al cancello con l’auto. Ma non abbiamo avvisato due giorni prima, e i giovanotti di guardia sono smarriti. Si accertano che non si tratti di un attentato, e che il ferito sia uno straniero (“se è un bengalese non conta...”). Telefonano freneticamente a vari numeri, spiegano e rispiegano, ci fanno spiegare e rispiegare, ricevono ordini confusi. Si fanno dare e ridare nomi e numeri di telefono. Chiedono e richiedono dove andiamo, quando torniamo, che strada facciamo. Poi, raggianti, annunciano che l’auto di scorta arriva in un minuto. Aspettando,.più volte esprimiamo il desiderio di arrivare sul posto prima che il ferito sia dissanguato... Si dicono d’accordo, e ci tranquillizzano: “Ormai è qui...”

Con perplessità ci lasciano spostare l’auto sulla strada, pronta per partire. Si fa avanti un tale in borghese con taccuino, rifà tutte le domande, prende nota, chiede i numeri di telefono, telefona più volte – sorridente e rassicurante. Colpo di genio di Massimo: “Senta, la vostra auto deve arrivare dalla direzione in cui dobbiamo andare, noi  ci avviamo e ci incontreremo”. Telefonata, permesso, si parte.

I chilometri scorrono, incominciano le telefonate: dove siete? Dove andate? Quanti siete? Com’è la vostra auto? Vi aspettiamo al ponte sull’Atrai... Massimo fila veloce, al ponte non c’è nessuno. Poi ecco una camionetta, saluti cordiali. “State tranquilli, noi vi precediamo”. -  40 chilometri all’ora...

Intanto p. Almir, capita l’antifona, s’è fatto portare da una motocicletta fino a Fulbari. Quando vi arriviamo si deve cambiare pattuglia di scorta, e ci vuol tempo a spiegare che sì, intendevamo arrivare a Birampur, ma ora non conviene proseguire per altri 15 chilometri fino là e poi tornare, dal momento che l’infortunato stesso è arrivato a Fulbari. Discussione, telefonate, consenso. Con la nuova scorta raggiungiamo p. Almir e lo carichiamo.

“Precediamo noi” dice Massimo con tono leggermente minaccioso. “Ok, precedete”. In poco tempo la camionetta è fuori orizzonte, e ci telefonano: “Ma voi andate in fretta! Dateci dentro, troverete un’altra scorta più avanti”. Ogni tre minuti, telefonata per chiedere dove siamo e indicare dove ci attendono... ma non li troviamo, finché, a pochi chilometri da Dinajpur, un gruppo di giovanotti in divisa ci ferma. Si accerta sulle nostre condizioni di salute e chiede dove andiamo. Poi, due di loro saltano su una piccola motocicletta per seguirci. Li seminiamo, ma il tratto finale di strada è così sconnesso che ci raggiungono e facciamo trionfale ingresso all’ospedale tutti insieme: il ferito, l’infermiera, l’autista, il sottoscritto e due poliziotti garanti della nostra incolumità.

Mentre il medico sistema la ferita, aspettando di accompagnarci a casa, esprimono  sdegno per l’accaduto, sconfinata ammirazione per i missionari (mia moglie ha partorito due volte nel vostro ospedale, pulitissimo!), lamentano la durezza della loro vita e mi sommergono di domande su preti, suore, missionari, famiglie, chiedendomi in confidenza: “I medici dell’ospedale sono bengalesi?”. “Sì”. “Stipendiati?” “Certo!” “Non fidatevi, noi siamo tutti ladri...”. Concludo, per evitare equivoci: siamo grati per il servizio, e comprendiamo che il loro compito, con i mezzi che hanno, non è semplice.

 

p. Franco Cagnasso   

125

Dinajpur, 10 ottobre 2015

       
Perché?
Sono tre i “perché” di questa “scheggia”.
Numero uno: perché non si sono viste “schegge di bengala” per molte settimane?
Un’urgenza mi ha costretto a lasciare il Bangladesh a fine luglio, e come produrre “schegge di Bengala” in Italia? Controlli, esami, riposo, medici in gamba, un’acrobazia della tecnica medica moderna mi hanno rimesso in sesto e sono ritornato. Pausa per riprendere contatto, ed eccomi qui a scrivere. Un grazie a chi ha commentato l’ultima scheggia intitolata “Mantello” e a chi s’è chiesto come mai non scrivessi più.
Numero due: perché ti ostini a ritornare, non è imprudente? Non credi che ci sia molto da fare anche qui?
Ho le carte in regola: il permesso del medico, e questa è la pima parte della risposta. La seconda parte me l’ha suggerita p. Gianni, che due anni fa è tornato in Bangladesh – dove ora è incaricato di un’estesissima parrocchia qui nel nord – all’età di 72 anni e dopo 18 anni di servizio in Italia: “Ritorno perché da giovane missionario sono stato – come ci esprimiamo noi – “destinato” al Bangladesh, e questo “destino” ha fatto sì che io ora decida semplicemente di tornare “a casa mia”. Sì, quella è la mia casa”.
Numero tre: perché tra settembre e ottobre hanno ucciso un italiano e un giapponese, e l’ISIS ha rivendicato gli omicidi minacciando di commetterne altri e costringere i “crociati” ad andarsene? Risposta che brancola nel buio. Le ipotesi sono tante, tutte più o meno plausibili. Potrebbe essere davvero l’ISIS che apre un altro fronte. L’idea del califfato ha radici storiche in Medio Oriente e Nord Africa, ed è senza radici da queste parti; ma un poco di fascino potrebbe anche esercitarlo nella gran confusione di idee che ci circonda e nella rabbiosa frustrazione di molti. Potrebbe essere l’opposizione radicale locale per mettere in difficoltà il governo contro il quale diventa sempre più difficile opporsi con metodi aperti e legali. Qualcuno fa notare che gli omicidi sono stati commessi mentre la Primo Ministro Seikh Hasina era a New York a raccogliere premi per il suo impegno ecologico ed elogi per il suo discorso all’Assemblea. Coincidenza voluta? Potrebbe essere un gruppetto sbandato e senza forza che vuole darsi importanza usando nome che fa paura. Non è raro che terroristi di ogni paese e ideologia cerchino di dimostrarsi forti con i propri concorrenti facendo azioni che spaventano, pur senza avere la capacità di dare continuità alle loro pretese.
  

    
Utholi
Non lontano dalla riva sinistra, là dove l’immenso Jamuna (Brahmaputra) si unisce alle acque del Padma (Gange), appena fuori dalla strada verso i traghetti che portano al sud ovest del Paese, potete trovare una piccola missione cattolica con ostelli per ragazzi e ragazze, casa della suore e del padre, piccola scuola e chiesa – tutto nel villaggio di Utholi. Ma ha anche cappelle e scuolette in villaggi più o meno vicini, piccoli agglomerati di case costruite per i più poveri, catechisti, maestri, gruppi di preghiera che girano di casa in casa e tante iniziative. Tutte su scala ridotta, ma sono veri miracoli inattesi, in quella zona e in quelle condizioni. La comunità cristiana è decisamente varia: pescatori senza neppure un pezzo di terra dove seppellire i loro morti, lavoratori a giornata, intrecciatori di ceste, impiegati venuti da altre zone per lavorare nelle imprese dei traghetti, ex membri delle comunità battiste, ex conciatori di pelli fuori casta, aborigeni, bengalesi... Un amalgama difficile da creare e da tenere insieme, con gente semplice e buona e altra gente rissosa e profittatrice. Aveva messo un piccolo seme un prete diocesano, p. Dominic, poi ha innaffiato, sarchiato, diserbato, concimato con immensa pazienza e tenacia p. Arturo Speziale, conosciuto ora da tutti nella zona per il suo cuore tenero (qualcuno dice: troppo) e per il suo ostinato impegno nell’evangelizzazione dei più poveri, quelli che nessuno considera degni di fiducia. Il 7 giugno scorso P. Arturo ha salutato questa gente per andare a servire in un’altra missione. Fatica del distacco da parte di tutti, ma anche soddisfazione per una realtà nata praticamente dal nulla e che ora ha messo radici, per i molti ragazzi e giovani che hanno potuto studiare, per i poveri aiutati, i malati curati, la Parola diffusa in ogni occasione, la preghiera che è diventata parte della vita quotidiana di non pochi. Ad accompagnare questo “piccolo gregge” è ora il primissimo seminatore, p. Dominic Rozario. Fino a pochi anni fa, nessuno avrebbe mai scommesso che in quella zona potesse esserci una comunità cristiana e cattolica. Ora c’è.
    

 
P. Dominic
Purtroppo non ero a Rajshahi il 7 agosto scorso, ma ho saputo che la festa per l’ordinazione di P. Dominic Hasda – il primo aborigeno santal che entra nel PIME – è stata bella e intensa. La diocesi ha solo 25 anni, celebrati (e anche in quest’occasione non c’ero) l’11 settembre, ma oltre a p. Dominic ha già mandato in missione attraverso il PIME un fratello, Joseph Aind, ora missionario in Cameroun. Dominic racconta di aver sempre avuto il desiderio di diventar prete, e da piccolo costringeva i compagni di giochi a partecipare alla “Messa” celebrata da lui indossando un asciugamano e distribuendo biscotti per la “comunione”. Ma non tutto è stato facile per arrivare all’ordinazione, e ha dovuto aprirsi la strada diplomandosi infermiere e lavorando, poi lottando contro varie difficoltà familiari. Per “consolarlo”, gli diciamo che queste prime difficoltà saranno seguite da altre, certamente più dure: è stato “destinato” alla Papua Nuova Guinea. Dominic sorride, e risponde che ne è convinto, ma ha fiducia.
Il Signore ti accompagnerà, e noi siamo ben contenti di averti come confratello.


Dito
Una testimonianza missionaria insolita – almeno per la maggioranza di noi – si può trovare in un libro recentemente pubblicato da un missionario del PIME vissuto per qualche anno in Bangladesh, poi in India, ora in Italia. Parla della sua ricerca interiore e di come si è sviluppata soprattutto in “ashram” indiani, con la guida di “guru” cristiani – specialmente p. Bede Griffiths - in dialogo con la tradizione religiosa indù.
Giovanni Belloni, Grazie al dito che mi indicò la luna, ed. Tracce per la Meta, Sesto Calende, 2015, pp. 237.


Il dottore buono
Non lo conoscevo, ma di lui avevo sentito qualche vaga notizia. L’anno scorso aveva chiesto ospitalità a padre Michele Brambilla nella sua missione di Kodbir, e vi era rimasto un mese; un mese di silenzio, meditazione, lettura della Bibbia, preghiera, solo, ospite discreto e gentilissimo. Faceva spesso periodi di ritiro di questo tipo, ma forse quest’ultima volta era consapevole che stava preparandosi ad “andarsene”. Tempo prima aveva detto a un collaboratore: “So che cosa ho e so che non durerò a lungo. Quando mi aggravo, non voglio cure e metodi artificiali più complessi e costosi di quelli che sto usando qui per i miei pazienti. Voglio un funerale cristiano, e una tomba dietro casa.” E così è stato.
Era neozelandese, nato nel 1941, con una buona carriera medica e specializzazioni varie. Dopo aver lavorato in Nuova Zelanda e poi, in due periodi, nel Vietnam in guerra, aveva servito in Papua e in Zambia, approdando infine in Bangladesh nel 1979. Il suo ultimo luogo di lavoro e della sua vita dedicata e solitaria è stato Kailakuri, zona ancora forestale del nord, abitata per lo più da aborigeni Mandi e Bormon, dove ha gradualmente creato un centro di assistenza medica. Ha lavorato tanto, con metodo e competenza, ma soprattutto si è fatto voler bene. Diceva: “Sono venuto qui perché ho trovato gente buona”. “Lo ha mandato Dio” sostiene la gente, e molti ricordano la sua “filosofia”: “L’uomo può fare qualsiasi cosa se ha dedizione. E la dedizione viene dalla fede. Abbiamo fede in Dio, nella gente, in noi stessi”.
Si chiamava Edrik Baker, era conosciuto come “Fratello dottore”.
  

p. Franco Cagnasso  

124

Dinajpur, 8 luglio 2015 

Dolore  

Cari Fratelli e Sorelle del mondo che amate la pace,

condanno con le parole più forti possibili il fatto che fratelli cristiani siano stati uccisi oggi (15.3.2015) in Pakistan. Gli uccisori si dicono musulmani, ma non hanno in alcun modo diritto  a farsi chiamare così, perché sono i peggiori nemici dell’Islam. E’ terribilmente grave che l’unica colpa di coloro che sono stati uccisi era di essere cristiani. Ci può essere una tragedia peggiore di questa? (…) Circa le relazioni fra cristiani e musulmani,  molti cristiani e molti musulmani non sanno che nel Corano si afferma chiaramente che Maria è la migliore di tutte le donne del mondo, e Gesù è chiamato “Ruhullah” (spirito di Allah). (...) Chiedo con forza a tutti gli uomini di coscienza di condannare il massacro di oggi, e ogni altro assassinio commesso in qualsiasi parte del mondo in nome della religione. Pronuncio questa condanna con il cuore spezzato, sento di avere perso dei fratelli. Prego Dio che noi tutti possiamo avere questi sentimenti. Preghiamo che prevalga il buon senso fra tutti coloro che uccidono in nome della religione. Vostro, nella pace e nell’armonia – Dottor Kazi Nurul Islam – Fondatore e professore del dipartimento delle Religioni e Culture mondiali, e del Centro per il dialogo interreligioso  e interculturale – Università di Dhaka.

      


Ande

I più anziani di noi lo avevano conosciuto negli anni sessanta e settanta, quando veniva a Milano per studi e frequentava il PIME. Allora era don Giovanni Gualdi. Poi, circa quattro anni fa, ci avevano detto che un certo don Giovanni Gnaldi sarebbe venuto in Bangladesh come associato. E’ arrivato qualche mese dopo preceduto da un interrogativo: Gua o Gna? è lui o è un altro? Era lui. Con capelli e barba bianca, e 25 anni di servizio missionario in Perù, come “Fidei donum” della sua diocesi, Città di Castello. Nelle gelide parrocchie dove ha lavorato, per lo più ad altissima quota sulle Ande, ha frequentato genti e usato lingue a noi sconosciute – ed è pure diventato esperto in patate, il cibo quasi esclusivo di quei posti. Dalle Ande al Gange, che cosa cerca in Bangladesh, piatto come un tavolo da biliardo? Ce la farà a imparare la lingua? Cercava, ci ha spiegato, uno spazio diverso, quasi un filtro fra quel mondo e il mondo dell’Italia di oggi dove era richiamato a continuare il suo ministero di prete. Triplo salto mortale senza rete: Italia, Perù, Bangladesh, Italia. La lingua l’ha imparata poco poco, quel che basta a celebrare la Messa e tenere una piccola omelia preparata per tutta la settimana con cura e tenacia. Ma c’era. In parrocchia, con i bambini, i ragazzi, i malati, in cappella e in chiesa a pregare, negli incontri... silenzioso, sorridente, sereno, un poco misterioso. E’ rimasto poco più dei tre anni stabiliti, ripartendo nel maggio scorso per Città di Castello. Senza parole, ci ha detto che la missione non è solo correre e fare, ma anche guardare, accompagnare, ascoltare, pregare – essere inutili, ma esserci, con la fede in Gesù e nell’uomo che Dio ci ha regalato.

      


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“Devo ringraziarvi - si confidò un giorno il padrone di casa. Amici e vicini mi guardavano male, come un traditore, per aver affittato un appartamento a voi stranieri e cristiani, e allora per dimostrare che sono ancora un  buon musulmano ho ripreso ad andare in moschea il venerdì.” Erano i tempi in cui si parlava appassionatamente di “vie nuove” nella missione del post-concilio, soprattutto ci si chiedeva come essere più vicini alla gente, e come arrivare ad ambienti finora appena sfiorati. Così, con i dovuti permessi di superiore e vescovo, p. Achille Boccia e p. Gianni Zanchi approdarono a Bogra, cittadina del nord dove i cattotici si contavano sulle dita di una mano, ma per contare anche i protestanti ci volevano due mani. Poi mi agganciai pure io: tre preti giovani e in buona salute a fare... che cosa? Questo si domandavano tutti, specie i missionari più anziani – e ce lo domandavamo pure noi. Volevamo rapportarci con la gente senza essere visti subito come benefattori con tanti soldi, o come dedicati a un gruppo religioso a preferenza di altri. Annaspammo a lungo (anni 1980-81), Achille e Gianni più o meno trovarono agganci, fra famiglie in difficoltà per figli con qualche handicap, e nei villaggi dove fare un poco di istruzione di igiene e medicina preventiva. Io rimasi al palo di partenza, mentre il proposito di visitare moschee e allacciare rapporti con imam si scioglieva come neve al sole dei tropici. Ci pensò la Provvidenza: Gianni viene eletto superiore del PIME in Bangladesh e deve trasferirsi, Achille ha bisogno di un’operazione alla colonna vertebrale a Hong Kong, io resto solo e dico al Vescovo: “Da solo non ce la faccio”. Chiusa la prima fase dell’esperienza lungamente sognata e preparata.- Ma Achille torna guarito, e apre la seconda fase: di nuovo in affitto, punta su una presenza silenziosa di preghiera, sua, e per altri cristiani. Allora in Bangladesh non c’erano luoghi per un ritiro tranquillo, e Achille propone un luogo che sta proprio nel cuore della città, fra musumani e hindu. Il suo carisma richiama, e seminaristi, preti, catechisti, suore si sentono descrivere, come parte del programma dei ritiri, anche un’insolita “meditazione visitando il bazar.” Scrive e illustra, a mano, in bengalese, la rivista di spiritualità Atma o Jibon (Spirito e Vita) che si diffonde pian piano e piace. Il PIME appoggia, e nel 1998 si compra una casa per avere più spazio, ma sempre in mezzo alla gente, che guarda con simpatia indipendentemente dalla religione o dalla denominazione di appartenenza. Si chiamerà “Emmaus House”, il luogo dove i discepoli riconobbero il Signore che aveva camminato con loro lungo la stessa strada. Ma arriva la terza fase: Achille deve lasciare e gli succedono i padri Carlo Dotti, Emanuele Meli e poi Carlo Buzzi, con i quali la presenza si configura sempre più come servizio pastorale ai cattolici che nel frattempo (in piccoli numeri!) vengono in città per lavoro, studio, commercio, e come ospitalità a studenti delle superiori che accettano di studiare facendo un cammino formativo impegnato. Finché... sembra bene trasferire il piccolo ostello a Dinajpur, più vicino ad altre iniziative dell’Istituto, e affidare alla diocesi la cura pastorale del piccolo gregge cattolico (forse 200 persone) che ora è presente a Bogra. Il 5 giugno il vescovo riceve formalmente questo regalo del PIME, mentre la gente gli raccomanda di non trascurarli, e di rendere più visibile la chiesa con una scuola o altre iniziative tipiche delle missioni “classiche.” – 1980-2015: un bilancio? Chi ha vissuto con passione questi passaggi certamente ha sperimentato la misericordia di Dio e la sua presenza. Altri bilanci li lasciamo a Lui.

 

      

Mantello

Una giovane donna indù, madre di due figli, che lavora in una fabbrica di abiti, da qualche anno viene a Messa saltuariamente. Le piace tanto il Vangelo, e ascolta le omelie con grande attenzione. Due settimane fa l’ho rivista, stanca. Mi parla dei turni di lavoro sfiancanti che è costretta a seguire, e del rammarico di non poter venire a Messa più spesso, poi con imbarazzo mi chiede il permesso di dirmi qualche cosa che “Ti dispiacerà. Ma non riesco più a tenerla per me...” Permesso accordato... “Padre, so che posso partecipare alla Messa ma non posso ricevere il piccolo pane bianco che i cristiani mangiano. Non mi faccio mai avanti quando viene distribuito. Però... quattro anni fa ero molto ammalata, e non trovavo la cura per guarire. Ho sentito dentro di me che se avessi preso quel Pane anche solo una volta sarei guarita. Cercai di resistere, perché è proibito, ma un giorno non ce l’ho fatta più e ho detto: Gesù non ti arrabbiare, ma tu mi puoi guarire. Mi sono mescolata alla fila dei cristiani, l’ho ricevuto, e sono guarita. Non l’ho mai più fatto, però ogni tanto mi sento in colpa, e ho paura che Gesù sia arrabbiato con me.” -  “Una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni, gli si avvicinò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Diceva infatti fra sé: Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò salvata. Gesù si voltò, la vide e disse: Coraggio figlia, la tua fede ti ha salvata. E da quel momento la donna fu salvata.” Mt 9,20-22.

 

p. Franco Cagnasso  

123

Dinajpur, 29 maggio 2015

         

Per caso
Narrano le cronache che, a metà degli anni sessanta, un prete di Novara, don Ercole Scolari fece un viaggio fino a Roma, pieno di buona volontà. Era il periodo in cui la chiesa cattolica portava alla ribalta il tema della "fame nel mondo", e don Scolari - un instancabile animatore - aveva mobilitato i giovani della diocesi per una raccolta che finanziasse un progetto di formazione tecnica in un paese povero. Messo insieme il gruzzolo, gli era sembrato bene offrirlo all'organizzazione che per statuto si cura degli affamati di tutto il mondo, la FAO - e andò a Roma. Ma l'accoglienza fu freddina, forse un poco ironica: "Noi lavoriamo su progetti grandi, non su sommette del genere..." Così don Ercole, deluso, riprese la via del ritorno. Proprio alla stazione ferroviaria di Roma, incrociò per caso uno sconosciuto, inequivocabilmente missionario: veste nera, aria semplice, un po' smarrita nel viavai di gente, fluente barba bianca, voglia di chiacchierare. In più, un anello episcopale al dito. Era mons. Giuseppe Obert, valdostano del PIME, vescovo di Dinajpur. Don Ercole gli confidò la sua delusione, e il monsignore gli confidò che la somma rifiutata dalla FAO a lui non sembrava poi tanto disprezzabile, anzi... Da tempo infatti sognava di fondare una scuola tecnica per "insegnare un mestiere" specialmente agli aborigeni e tirarli fuori dalla crescente miseria dei villaggi. Una scuola del genere non si trovava in tutto il nord del Bangladesh, e con il tempo sarebbe diventata sempre più utile.
Il primo maggio scorso si sono festeggiati i 50 anni dalla fondazione di quella scuola, la "Novara Technical School", che nacque "per caso", e fu occasione per dare il via ad una collaborazione intensa e ricca di frutti. Non solo la scuola, ma anche la parrocchia di Suihari, le scuole elementari e poi medie, gli ostelli per bambini poveri e mille altre cose devono la loro esistenza alla tenacia e all'entusiasmo di don Ercole e della diocesi di Novara. E quando don Ercole fu trasferito a Varallo come parroco, fu la gente di Varallo a raccogliere il suo appello e a continuarlo anche dopo la sua morte, fino ad oggi.
La NTS accoglie circa 150 giovani per periodi più o meno lunghi, e la maggior parte di loro risiede all'ostello annesso. Sono dunque molte centinaia di ragazzi - e da qualche anno anche ragazze - che si sono formati là: elettricisti, meccanici, falegnami, motoristi, operatori di computer, e di macchine per maglieria. Nei primi anni trovare sbocchi per queste professioni in un Bangladesh ancora esclusivamente rurale non era facile; ora invece i tecnici che escono da questa scuola, presentati dal Direttore Fratel Massimo Cattaneo, sono richiesti da parecchie ditte ancora prima che finiscano la preparazione. Che, si insiste, non è solo formazione tecnica, ma umana e religiosa, con risultati degni di nota.
    

 
Deterrente
Non siamo certo gli unici al mondo, comunque anche nelle città del Bangladesh capita di inoltrarsi su un marciapiedi o di svolare in un vicolo e... ritirarsi disgustati. Il posto, per varie ragioni, è comodo ed è diventato una latrina a cielo aperto. La gente protesta, i giornali richiamano le autorità, e allora si mette un cartello in bella vista "Vietato Orinare". Nessuno ci bada. Che fare? L'amministrazione di un quartiere di Dhaka ha avuto un'idea: tolta la scritta in bengalese, ha fatto dipingere sul muro incriminato una grossa scritta in caratteri arabi. Nessuno sa leggerla, ma l'arabo, che è lingua legata alla religione e istintivamente considerata sacra, in questi casi funge da efficace deterrente. Gli abituali frequentatori del luogo, quando la vedono decidono di cercare un altro posto, e se per caso, senza accorgersene, iniziano la solita operazione al solito posto, quando si rendono conto della scritta si ritraggono immediatamente, si guardano intorno imbarazzati, con l'aria di scusa, e certo non torneranno più.
Lo scopo è raggiunto. Però la giornalista che ha informato di questo fatto si chiede se non sarebbe meglio lasciar perdere l'arabo e costruire gabinetti pubblici, magari anche per donne.
 

 
Copertura
"Poela Boishak", il capodanno bengalese che nel 2015 è caduto il 16 aprile, è una festa molto sentita da tutti in Bangladesh, anche se osteggiata dai musulmani tradizionalisti perché considerata pagana. Centinaia di migliaia di persone vanno a festeggiare in parchi, campi aperti, stadi, e ci sono canti, danze, discorsi che esaltano la cultura e la tradizione del Bengala, a prescindere dalle religioni. Quest'anno a Dhaka, mentre la folla si accalcava ai cancelli di un parco, gruppetti di giovani (in tutto una cinquantina) hanno iniziato ad isolare ragazze, circondandole e mettendo le mani addosso, strappando il velo, disturbandole pesantemente. La polizia, presente in forze, non ha agito, la gente cercava di allontanarsi a spintoni facendo finta di non vedere, qualcuno s'è unito al "divertimento". A difendere le ragazze sono stati pochi, forse una dozzina di giovani che hanno rischiato e sono stati picchiati, uno ha avuto un braccio rotto. Si chiama Liton, è fra i leader di un partitello studentesco progressista. I giornali ne hanno parlato, le autorità hanno detto che a loro non risultava nulla, e che avrebbero rese pubbliche le registrazioni delle telecamere fisse collocate attorno al parco. C'erano 18 telecamere, e sono state passate ai media i contenuti di 17; mancava solo quella collocata sul cancello dov'è avvenuto il fatto. Un funzionario ha dichiarato di averla esaminata accuratamente, "ma non ho visto alcuna donna nuda". Per settimane la notizia è stata snobbata e negata in tutti i modi. Qualcuno ha dato la colpa ai fondamentalisti, che avrebbero organizzato l'assalto per screditare il "Poela Boishak". Parte della stampa non ha mollato, gruppi universitari hanno continuato a protestare anche se pesantemente pestati dalla polizia. Poi, improvvisamente, il governo mette una taglia di 1.000 euro su una decina di giovani, pubblicandone le foto estratte dai contenuti delle telecamere. Perché tanto tempo e tanti dinieghi? C'è chi pensa che si sia voluto accuratamente coprire qualcuno, evitando di pubblicare foto di "figli di papà" impegnati in questa impresa.
 

 
Boom
"Belle per sempre" è il titolo di un libro che m'ha subito ricordato il famoso "La città della gioia" di Dominique Lapierre, pubblicato nel 1985 e ambientato negli anni '70. Era un modo originale ed efficacissimo di descrivere la vita nel più grande e terribile "slum" (baraccopoli) di Calcutta, seguendo le storie personali di alcuni degli abitanti, mettendo in evidenza le condizioni disumane in cui si trovavano, a anche l'indomabile ricchezza umana che c'era in molti di loro; e descrivendo il tentativo di un missionario francese di condividere in tutto la loro vita.
"Belle per sempre" è ambientato invece a Mumbay, non ha un missionario come protagonista, ma ha uno stile analogo: seguire alcune storie autentiche di persone immerse nella miseria dello slum più vicino all'aeroporto della metropoli. Il contesto in cui si trova lo slum che descrive è quello di un'India ben diversa. Un'India in pieno "boom", dove i soldi corrono, modernizzata, che cresce in modo travolgente e offre anche a chi è finito in uno slum la speranza, o il miraggio di venirne fuori, di "fare fortuna". Un'India profondamente e capillarmente corrotta, cinica, dove si fa qualsiasi cosa per denaro, le tensioni fra etnie, religioni, provenienze geografiche emergono spesso, la vita vale pochissimo.
Perché questo titolo? Lo lascio scoprire ai lettori. Ne parlo nelle schegge "di Bengala" anche se è ambientato a Mumbay, perché mi pare che ci siano moltissime analogie con la situazione del Bangladesh, e che valga la pena leggerlo.
Katherine Boo: "Belle per sempre" Piemme, Milano, 2012  

 

p. Franco Cagnasso  

122

Dhaka, 6 aprile 2015

 

Mohespur
Dopo un forzato rinvio, dovuto alle difficoltà di circolazione causate dagli scioperi, il Vescovo di Dinajpur ha deciso che - sciopero o no - l'erezione della nuova parrocchia di Mohespur sarebbe avvenuta il 19 marzo, visto che la chiesa è intitolata a S. Giuseppe. Tutto s'è svolto tranquillamente, e anche il Nunzio apostolico è venuto da Dhaka per partecipare, e rallegrare gli uditori con vari simpatici aneddoti sul Papa, che fa sedere e offre un panino alla Guardia Svizzera di servizio alla sua porta, e organizza presso il colonnato di piazza s. Pietro un "beauty parlor" gratuito per i senzatetto di Roma... Tempo buono, clima di festa, soddisfazione dei Santal che sono la stragrande maggioranza dei fedeli di questa parrocchia staccata, insieme a 33 villaggi, dal grande territorio della parrocchia di Suihari (Dinajpur). Tanti i missionari che per decenni hanno seguito catecumeni e cristiani di queste aree, e fra loro P. Gregorio Schiavi che, pur non interessandosi direttamente del lavoro pastorale e di catechesi, ha avuto un influsso notevole per accostare alla Chiesa. Poco appariscente ma tenace e importante anche la presenza fedele delle Suore locali "Shanti Rani", con i loro servizi nell'area della salute e dell'istruzione. Primo parroco è P. Pierfrancesco Corti, sprizzante entusiasmo pienamente condiviso dal suo aiutante, il "giovane" p. Paolo Ciceri. Oltre 2.100 i pasti serviti, e consumati con soddisfazione fra una danza e l'altra.
    

 
Proliferazione
Erano 5.250 le "qoumi madrassah" censite dal governo nel 2008; ora, quando ancora mancano i dati di circa 50 province, si è già raggiunto il numero di oltre 12.000 madrassah con oltre un milione e mezzo di studenti. In Bangladesh, il sistema di insegnamento legato al Corano e alle moschee è molto frammentato. C'è quello "ufficiale" delle Aliya madrassah, con programmi approvati e controllati dal governo, che le sostiene economicamente, e ce ne sono molte altre, fra cui le più diffuse sono le "qoumi madrassah", su cui il governo non ha alcun controllo; nascono e vivono senza neppure essere censite. Raccolgono per lo più studenti poverissimi, offrendo insegnamento, vitto e alloggio completamente gratuiti; ma avranno ben pochi e poveri sbocchi nel mondo del lavoro, perché sono considerati impreparati.
Finanziate da paesi esteri, si pensa che siano centri di formazione ad un Islam radicale, intransigente, in qualche caso che addestrino anche a combattere. Un primo allarme venne lanciato nel 2008, quando si scoprì un ingente quantitativo di armi custodito in una qoumi madrassah nell'isola di Bhola; fu l'occasione per effettuare il primo censimento, e il governo disse di voler esercitare un controllo, per dare poi certificati riconosciuti legalmente. Con un'immediata, energica levata di scudi, i leader di queste scuole dissero che non avrebbero mai accettato un controllo del genere, e che non volevano i soldi del governo, minacciando sfracelli se il governo avesse tentato di mettere in pratica il preannunciato controllo. Non se ne fece nulla. Ora, con sorpresa e preoccupazione, si scopre che queste scuole sono più che raddoppiate nel giro di 6 anni.
   

 
Premunirsi
L'ufficiale comandante di una stazione di polizia provinciale, ha denunciato un segretario locale del partito al potere, Awami League, per avergli ordinato, sotto pena di "gravissime conseguenze", la liberazione di un membro del "Chattro Shibir", la sezione giovanile del partito fondamentalista Jamaat-islam, arcinemico dell'Awami League.
In un successivo incontro, il segretario del partito ha tolto ogni dubbio circa le sue intenzioni: "Qui le cose vanno male, io sono il capo del partito ma tu stai facendo di testa tua, arresti a casaccio, per poi liberare dietro pagamento di centinaia di migliaia di taka che vanno in tasca a te. Tu devi arrestare quelli che io ti dico di arrestare, e liberare quelli che io ti dico di liberare... altrimenti qui non ci rimani." Non ha mancato anche di spiegare il perché: "Se vogliamo restare qui anche dopo che perderemo il potere, dobbiamo tenere qualcuno, in mezzo a loro, disposto a non distruggerci; per questo proteggiamo qualcuno del Shibir, e teniamo qualcuno dei nostri in mezzo a loro". Un quotidiano ha pubblicato questa notizia, senza informare su nomi e luogo. Certamente per evitare i fulmini dell'Awami League, ma anche a significare che questa non è un'eccezione...
   
 

Programmazione
Subito dopo la terribile guerra per l'indipendenza (1971), volonterose ONG (Organizzazioni non Governative) progressiste, esperti di governi occidentali, specie nord europei e americani, e politici bangladeshi unirono le loro forze e investirono soldi per studiare come controllare la crescita demografica del neonato Bangladesh. Si fissò anche un tetto : questo paese non deve andare oltre i 60 milioni di abitanti - che sono pure troppi. Si fece un programma preciso per informare, distribuire contraccettivi, ricompensare chi accettava la sterilizzazione, facilitare gli aborti.
Siamo nel 2015. Gli abitanti del Bangladesh sono 160 milioni.
   

 
Atrocità
I caratteri del libro sono abbastanza grossi, e ben stampati, per cui sono riuscito a leggerlo nel viaggio fra Dhaka e Dinajpur nonostante gli scossoni dell'autobus. E non riuscivo a staccarmene. Si tratta di una biografia di Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce, eccellente e stimatissima filosofa degli anni '30, ebrea convertita al cristianesimo e diventata suora carmelitana, arrestata e uccisa nel lager di Auschwith per il solo fatto di essere ebrea. Il libro parla della situazione politica e sociale della Germania e dell'Europa del tempo, solo quel tanto che è necessario per collocarvi la vicenda della giovane Edith, ma basta poco per porsi tante domande sull'oggi che stiamo vivendo. Oggi 21 lavoratori egiziani in Libia possono essere decapitati solo perché cristiani; allora insegnanti, professionisti, scienziati, gente comune veniva mandata nelle camere a gas solo perché ebrea. Oggi ad agire è una porzione impazzita del mondo islamico, in nome della religione; allora era una porzione impazzita del popolo tedesco, in nome della razza e della supremazia culturale. Che cosa accomuna il mondo arabo islamico di oggi e il mondo germanico di 70-80 anni fa? Non so darmi una risposta, se non questa: la nostra tendenza a crearci un nemico da condannare sempre e comunque, senza permetterci di distinguere, senza voler capire, senza criticare se stessi. La nostra assurda speranza che si possano dividere i buoni dai cattivi, per eliminare questi ultimi e vivere finalmente nel modo giusto: giusto secondo la mia religione, la mia razza, la mia classe sociale, la mia cultura - quale che sia.
Oggi è il mondo islamico che ha questa febbre alta e delirante. Ha identificato il suo nemico e lo vuole distruggere; ma lotta e soffre al suo interno, nonostante un'apparente compattezza che ci scandalizza. Come lottarono e soffrirono molti tedeschi sotto l'asfissiante cappa del nazismo; molti russi sotto l'egemonia comunista. Se non riusciamo o non vogliamo vedere questa lotta, se avviene l'identificazione fra tedeschi e nazismo, russi e comunismo, musulmani e terrorismo, allora siamo anche noi vittime di questi germi letali che corrodono dall'interno la nostra umanità. Combattiamo gli estremismi, ma ne siamo contagiati pure noi.
(Elisabeth de Miribel, Edith Stein - dall'università al lager di Auschwitz, Paoline, 1987)
    

p. Franco Cagnasso  

121

Dhaka, 6 aprile 2015

 

Mohespur
Dopo un forzato rinvio, dovuto alle difficoltà di circolazione causate dagli scioperi, il Vescovo di Dinajpur ha deciso che - sciopero o no - l'erezione della nuova parrocchia di Mohespur sarebbe avvenuta il 19 marzo, visto che la chiesa è intitolata a S. Giuseppe. Tutto s'è svolto tranquillamente, e anche il Nunzio apostolico è venuto da Dhaka per partecipare, e rallegrare gli uditori con vari simpatici aneddoti sul Papa, che fa sedere e offre un panino alla Guardia Svizzera di servizio alla sua porta, e organizza presso il colonnato di piazza s. Pietro un "beauty parlor" gratuito per i senzatetto di Roma... Tempo buono, clima di festa, soddisfazione dei Santal che sono la stragrande maggioranza dei fedeli di questa parrocchia staccata, insieme a 33 villaggi, dal grande territorio della parrocchia di Suihari (Dinajpur). Tanti i missionari che per decenni hanno seguito catecumeni e cristiani di queste aree, e fra loro P. Gregorio Schiavi che, pur non interessandosi direttamente del lavoro pastorale e di catechesi, ha avuto un influsso notevole per accostare alla Chiesa. Poco appariscente ma tenace e importante anche la presenza fedele delle Suore locali "Shanti Rani", con i loro servizi nell'area della salute e dell'istruzione. Primo parroco è P. Pierfrancesco Corti, sprizzante entusiasmo pienamente condiviso dal suo aiutante, il "giovane" p. Paolo Ciceri. Oltre 2.100 i pasti serviti, e consumati con soddisfazione fra una danza e l'altra.
    

 
Proliferazione
Erano 5.250 le "qoumi madrassah" censite dal governo nel 2008; ora, quando ancora mancano i dati di circa 50 province, si è già raggiunto il numero di oltre 12.000 madrassah con oltre un milione e mezzo di studenti. In Bangladesh, il sistema di insegnamento legato al Corano e alle moschee è molto frammentato. C'è quello "ufficiale" delle Aliya madrassah, con programmi approvati e controllati dal governo, che le sostiene economicamente, e ce ne sono molte altre, fra cui le più diffuse sono le "qoumi madrassah", su cui il governo non ha alcun controllo; nascono e vivono senza neppure essere censite. Raccolgono per lo più studenti poverissimi, offrendo insegnamento, vitto e alloggio completamente gratuiti; ma avranno ben pochi e poveri sbocchi nel mondo del lavoro, perché sono considerati impreparati.
Finanziate da paesi esteri, si pensa che siano centri di formazione ad un Islam radicale, intransigente, in qualche caso che addestrino anche a combattere. Un primo allarme venne lanciato nel 2008, quando si scoprì un ingente quantitativo di armi custodito in una qoumi madrassah nell'isola di Bhola; fu l'occasione per effettuare il primo censimento, e il governo disse di voler esercitare un controllo, per dare poi certificati riconosciuti legalmente. Con un'immediata, energica levata di scudi, i leader di queste scuole dissero che non avrebbero mai accettato un controllo del genere, e che non volevano i soldi del governo, minacciando sfracelli se il governo avesse tentato di mettere in pratica il preannunciato controllo. Non se ne fece nulla. Ora, con sorpresa e preoccupazione, si scopre che queste scuole sono più che raddoppiate nel giro di 6 anni.
  

  
Premunirsi
L'ufficiale comandante di una stazione di polizia provinciale, ha denunciato un segretario locale del partito al potere, Awami League, per avergli ordinato, sotto pena di "gravissime conseguenze", la liberazione di un membro del "Chattro Shibir", la sezione giovanile del partito fondamentalista Jamaat-islam, arcinemico dell'Awami League.
In un successivo incontro, il segretario del partito ha tolto ogni dubbio circa le sue intenzioni: "Qui le cose vanno male, io sono il capo del partito ma tu stai facendo di testa tua, arresti a casaccio, per poi liberare dietro pagamento di centinaia di migliaia di taka che vanno in tasca a te. Tu devi arrestare quelli che io ti dico di arrestare, e liberare quelli che io ti dico di liberare... altrimenti qui non ci rimani." Non ha mancato anche di spiegare il perché: "Se vogliamo restare qui anche dopo che perderemo il potere, dobbiamo tenere qualcuno, in mezzo a loro, disposto a non distruggerci; per questo proteggiamo qualcuno del Shibir, e teniamo qualcuno dei nostri in mezzo a loro". Un quotidiano ha pubblicato questa notizia, senza informare su nomi e luogo. Certamente per evitare i fulmini dell'Awami League, ma anche a significare che questa non è un'eccezione...
   

 
Programmazione
Subito dopo la terribile guerra per l'indipendenza (1971), volonterose ONG (Organizzazioni non Governative) progressiste, esperti di governi occidentali, specie nord europei e americani, e politici bangladeshi unirono le loro forze e investirono soldi per studiare come controllare la crescita demografica del neonato Bangladesh. Si fissò anche un tetto : questo paese non deve andare oltre i 60 milioni di abitanti - che sono pure troppi. Si fece un programma preciso per informare, distribuire contraccettivi, ricompensare chi accettava la sterilizzazione, facilitare gli aborti.
Siamo nel 2015. Gli abitanti del Bangladesh sono 160 milioni.
   
 

Atrocità
I caratteri del libro sono abbastanza grossi, e ben stampati, per cui sono riuscito a leggerlo nel viaggio fra Dhaka e Dinajpur nonostante gli scossoni dell'autobus. E non riuscivo a staccarmene. Si tratta di una biografia di Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce, eccellente e stimatissima filosofa degli anni '30, ebrea convertita al cristianesimo e diventata suora carmelitana, arrestata e uccisa nel lager di Auschwith per il solo fatto di essere ebrea. Il libro parla della situazione politica e sociale della Germania e dell'Europa del tempo, solo quel tanto che è necessario per collocarvi la vicenda della giovane Edith, ma basta poco per porsi tante domande sull'oggi che stiamo vivendo. Oggi 21 lavoratori egiziani in Libia possono essere decapitati solo perché cristiani; allora insegnanti, professionisti, scienziati, gente comune veniva mandata nelle camere a gas solo perché ebrea. Oggi ad agire è una porzione impazzita del mondo islamico, in nome della religione; allora era una porzione impazzita del popolo tedesco, in nome della razza e della supremazia culturale. Che cosa accomuna il mondo arabo islamico di oggi e il mondo germanico di 70-80 anni fa? Non so darmi una risposta, se non questa: la nostra tendenza a crearci un nemico da condannare sempre e comunque, senza permetterci di distinguere, senza voler capire, senza criticare se stessi. La nostra assurda speranza che si possano dividere i buoni dai cattivi, per eliminare questi ultimi e vivere finalmente nel modo giusto: giusto secondo la mia religione, la mia razza, la mia classe sociale, la mia cultura - quale che sia.
Oggi è il mondo islamico che ha questa febbre alta e delirante. Ha identificato il suo nemico e lo vuole distruggere; ma lotta e soffre al suo interno, nonostante un'apparente compattezza che ci scandalizza. Come lottarono e soffrirono molti tedeschi sotto l'asfissiante cappa del nazismo; molti russi sotto l'egemonia comunista. Se non riusciamo o non vogliamo vedere questa lotta, se avviene l'identificazione fra tedeschi e nazismo, russi e comunismo, musulmani e terrorismo, allora siamo anche noi vittime di questi germi letali che corrodono dall'interno la nostra umanità. Combattiamo gli estremismi, ma ne siamo contagiati pure noi.
(Elisabeth de Miribel, Edith Stein - dall'università al lager di Auschwitz, Paoline, 1987)
   

p. Franco Cagnasso  

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Dhaka, 2 febbraio 2015

        

Crescendo
Dal 5 gennaio a oggi (29 gennaio 2015) l'opposizione (BNP + Jamaat-ul-Islam) ha proclamato il blocco totale, ad oltranza, di tutto il traffico, per far cadere il governo e avere nuove elezioni; di tanto in tanto, si aggiungono giornate extra di sciopero generale, nazionale o per regioni. In realtà, il traffico e le attività ordinarie a Dhaka proseguono quasi indisturbate, mentre in tutto il resto del Paese la situazione è pesante: quasi impossibile viaggiare, merci non consegnate, rifornimenti che scarseggiano, i prodotti agricoli marciscono nei campi, e i prezzi crollano nelle zone rurali, mentre crescono enormemente nelle città. I lavoratori a giornata fanno fame.
L'adesione al blocco, pur in calo, è ampia, perché buttando qualche bomba incendiaria, anche non grande, dentro un autobus, o nella cabina di un camion, con qualche morto e molti ustionati, e anche i più duri di testa capiscono che è meglio stare a casa. La mano d'opera per questi "servizi" non manca: basta girare nelle baraccopoli promettendo soldi a chi incendia. I giornali offrono i bollettini quotidiani; oggi siamo a quota 35 morti, oltre 350 feriti e un numero imprecisato di veicoli dati alle fiamme.
Le autorità minimizzano: tutto sotto controllo. Il Primo Ministro ha promesso di rimborsare chi viene danneggiato mentre viaggia, e le promesse/minacce si fanno più dure. Il comandante delle guardie di frontiera dice: "La forza paramilitare per mantenere legge e ordine userà armi letali, se la gente viene attaccata". Il ministro del "Welfare": Si spari a vista su incendiari e sabotatori. Stiamo per dare l'ordine, come in tempo di guerra". Un deputato della maggioranza: "Prima le forze dell'ordine caricano con i bastoni... se non basta sparino alle gambe, e quando necessario al petto". Il Primo ministro Hasina dice alla polizia: "Prendo io la responsabilità di qualunque cosa accada, voi fate tutto quello che occorre per garantire la sicurezza della gente. Non esitate, vi do io la libertà". E infine (ma sarà davvero in-fine?) un altro deputato di maggioranza ha dichiarato: "Chiedo ai leader del mio partito di darci via libera. Non servono polizia, guardie, esercito... centinaia di migliaia di uomini dell'Awami League scenderanno in strada per eliminare Khaleda, il suo partito, e tutti gli sconfitti."
      

 
Dispetti
La situazione politica di stallo completo, senza soluzioni in vista, è rallegrata da aneddoti che la dicono lunga sulla qualità dei nostri leaders.
Khaleda Zia, la capo della coalizione di opposizione (BNP, Jamaat, e altri 18 partitelli) aveva detto di sentirsi in pericolo e chiesto maggiore protezione. Quando è iniziato il blocco ad oltranza, s'è trovata la casa circondata da camion carichi di sabbia, camionette e cordoni di polizia e le autorità hanno dichiarato che erano là per proteggerla. Lei prova ad uscire, e poi dichiara che l'hanno bloccata in casa e si trova in pratica agli arresti domiciliari.- Improvvisamente muore d'infarto il suo secondo figlio, di 45 anni, rifugiato in Malaysia per sfuggire a una valanga di processi e accuse per corruzione e simili. La primo ministro Sheik Hasina, ricevuta la notizia, va subito alla residenza dell'avversaria "per consolarla". Trova il cancello sbarrato, nessuno si fa vedere, e deve ritornarsene senza essere ricevuta. Le diranno poi che Khaleda era sotto sedativi, dormiva e non poteva accoglierla.- Il ministro della Marina Mercantile (chissà perché proprio lui?) minaccia: se non fermano il blocco, blocchiamo noi luce, acqua, gas e rifornimenti a Khaleda, così capisce i danni che fa. Detto e fatto, il giorno dopo la fornitura elettrica e le comunicazioni telefoniche sono tagliate per 19 ore. Il governo dichiara: non siamo stati noi, ma gli operai, inferociti dal blocco imposto al Paese... Poi la storia si ripete, l'opposizione dichiara: se la luce non ritorna, non solo blocco, ma sciopero ad oltranza in tutto il Bangladesh.
       
Continua
Chi segue le "Schegge" da anni, forse ricorda Dino e Rotna, giovane coppia di insegnanti con due figlie, che - vivendo ai margini di una grande baraccopoli, hanno sentito di dover aiutare alcune ragazze, la parte più debole del variegato popolo delle baracche. Iniziano insegnando a ricamare, passando poi a taglio e cucito, poi aggiungono corsi di alfabetizzazione per le più grandi, e poi si danno da fare per tirar fuori le piccole dalla strada. L'esca è un bel sacchetto con dieci chili di riso ogni mese, in modo che, sicure di poter mangiare, vengano a scuola senza paura di restare a pancia vuota. Quando le bambine sono ormai quasi cento, l'esca si dimostra insicura: spesso il riso finisce nelle mani di papà alcolizzati o drogati che lo vendono lasciando le figlie con la fame. Ecco allora che si organizza la cucina scolastica: classi in due turni, il primo turno mangia a scuola alla fine delle lezioni, il secondo turno mangia alla stessa ora, e poi va in classe. Il tutto in locali ristrettissimi, senza banchi, tavoli, sedie... e sostenuto da una varietà di donatori che Dino sa agganciare e convincere: dalla segretaria di un'ambasciata alla moglie di un industriale, alla signora moscovita che vuole aprire un negozio di abiti confezionati da loro, via via fino al sottoscritto, che fa da canale per aiuti vari che vengono da amici italiani.
Continuavo con il mio contributo mensile, ma per varie ragioni ultimamente non ero più riuscito ad andare a trovarli. Poi Dino mi dice che per la quarta o quinta volta sta per cambiare casa: nella prima mancava sempre l'acqua, il padrone della seconda chiedeva sempre aumenti, la terza finiva sott'acqua nella stagione delle piogge, e così via. Vado a vedere... sbagliando data: si trovano ancora nel vecchio edificio; in quello nuovo, leggermente più grande, si trasferiranno fra qualche giorno. Ma anche nel vecchio, trovo belle sorprese. Sempre schiacciati come sardine, si sono riorganizzati separando la sartoria vera e propria, che produce procurando circa un quarto delle risorse necessarie al tutto, dalla parte di istruzione, con corsi di taglio e cucito di tre mesi. Ora fanno tre turni scolastici, insegnando a ben 200 bambine (con qualche fratellino benevolmente accolto), che danno gli esami nelle scuole di stato con buoni risultati. Sempre senza banchi e sedie, hanno però un bel po' di sussidi didattici interessanti, abilmente ottenuti da scuole varie per stranieri: sussidi americani, francesi, turchi, australiani e via viaggiando per il mondo. E persino, udite, udite! tre computer dove insegnano agli alunni di quarta e quinta elementare gli elementi essenziali per la gestione di una piccola attività economica e per l'uso di internet.
Tempo fa non avrei scommesso su questa iniziativa, aiutavo... finché la va... Invece pare proprio che sia una piccola storia di successo a cui si aggiunge un non trascurabile particolare: Dino, che appariva sempre piuttosto timoroso, preoccupato e quasi piagnucoloso, ha ora una grinta di tutt'altro tipo e sprizza fiducia.
Speriamo che si continui!

p. Franco Cagnasso  

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Dinajpur, 9 gennaio 2015

Natale
La vigilia celebro alle 21 nella chiesa parrocchiale di Suihari, zeppa. Cantano bene, seguono con attenzione. Finita la Messa, i giovani sparano qualche petardo, e iniziano i kirton, canti tradizionali del Natale, che tanto amano. Dura poco: un vento freddo tagliente fa scappare tutti a casa, a scaldarsi con un goccio (o due, o tre) di vino di palma...
Mattina. Il Parroco p. Zanchi m'ha detto che la Messa è verso le 8.30. Alle 7.30 sono nervoso perché non trovo la borsa con calice, vino, ecc.; alle 8, calma calma, arriva la ragazza incaricata e mi prepara tutto per bene. Su un "jippino" traballante, il seminarista Joseph, la giovane suor Dipa, la novizia Lolita e io partiamo verso Pargao, un villaggio santal che non conosco. La strada è discreta, anche quando diventa soltanto sterrata, e per le 8.45 arriviamo. Ci accolgono un arco di trionfo in tronchi di banani e tante bandierine; di gente non se ne vede. La chiesetta, quasi nuova, è bella ma completamente spoglia, salvo decorazioni di carta colorata e impertinenti palloncini con la scritta "Merry Christmas" appesi dappertutto.
Qualcuno ci porta tre sedie, e se ne va. Mi dicono che la Messa è alle 9.30, quindi c'è tempo per le confessioni, e sguinzaglio i tre accompagnatori ad avvisare che il prete è a disposizione. Aspetto seduto, con tanto di camice e stola, battendo i denti...
I tre, visitate diligentemente tutte le famiglie nelle casette sparse nella pianura, tornano delusi: nessuno s'è fatto avanti. "Niente paura, si vede che qui nessuno fa peccati" - dico per tirarli su. Arriva il catechista, suona il gong e se ne va; entra esitante un anziano che si accovaccia vicino a me, s'inginocchia, prega, e se ne va. Alle 9.40 i tre hanno finito il secondo giro di avvisi, e quando si siedono presso la porta della chiesa, qualche giovane si avvicina per chiacchierare. Sono sempre in attesa, quando entra un tizio con una grossa borsa, estrae l'armonium, lo sistema e se ne va. Subito dopo, seconda serie di colpi di gong. Alle 10 entrano pian piano i primi fedeli, luccicanti nei loro vestiti migliori, e in pochi minuti la chiesetta è piena. Il catechista attacca le usuali preghiere prima della Messa, accompagnate dalla recita dei comandamenti, i precetti della chiesa e altro. Indosso i paramenti, parte il canto d'ingresso e io, pronto ad incominciare, mi siedo all'altare davanti a tutti quando - calmo calmo - si alza un anziano che viene al mio fianco e s'inginocchia per confessarsi. Uno, due, tre, dieci... uno dopo l'altro, prima gli uomini poi le donne, senza fretta, mentre i canti vanno avanti. Ogni volta penso che sia finito, faccio per alzarmi, e se ne alza un altro...
Alle 10.40 incomincia la Messa. Comunico a tutti la mia delusione: speravo che in questo villaggio nessuno facesse peccati, invece vedo che anche voi come me... Ridono di gusto. Della mia omelia pare colgano il raccontino: io ai miei nipotini non facevo regali, ma dicevo: "Vengo io stesso, e gioco con te. Non ti basta?". Il Signore ha fatto così, è venuto di persona a vivere con noi. Sono un poco scandalizzati di me, e dispiaciuti per i miei nipotini, ma fanno cenni di aver capito e condividere.
Poi tutti fuori. Due musulmani con tanto di barba hanno fiutato l'affare e stanno pronti con un padellone di olio bollente su un fuoco improvvisato; per 10 taka fanno friggere in pochi secondi tre saporite, sottilissime larghe frittelle di un impasto di legumi. Chiacchierando, si fa la fila per questo inatteso antipasto, e intanto si chiacchiera aspettando che sia pronto il cibo per tutti: risotto con carne! Fa capolino il sole, un po' timido ma sufficiente a scaldare i commensali intirizziti accoccolati all'aperto con i piatti in mano...


Crescita
Nei villaggi aborigeni, quarant'anni fa non trovavi qualcuno che sapesse leggere correntemente, e per celebrare la Messa il prete doveva arrangiarsi a fare tutto lui, anche le letture. Oggi trovi persone istruite, anche universitari, pronti a collaborare e aiutare, e non solo per leggere. Trovi chi sta a testa alta davanti ai musulmani, andando tranquillamente al bazar per prendersi un te e sedersi a chiacchierare. Trovi professionisti capaci e autorevoli, convinti e consapevoli della propria cultura. Certo, gli aborigeni non sono più sottomessi e obbedienti come erano una volta a missionari e preti, qualche volta diventano opportunisti, arroganti. Ma sottolineare solo questo è un errore. Noi non siamo più "tutto" per loro, la nostra autorità si è affievolita, bisogna alzarsi dalla poltrona e mettersi alla pari. Sono i segni della liberazione che avviene gradualmente, del lievito del Regno. E' lo Spirito che lavora facendo crescere. E qui troviamo la gioia del Vangelo, di essere missionari, quella gioia che - se siamo attenti - non manca mai!
P. Emilio, in Bangladesh con Santal e Orao dal 1975, in una riflessione condivisa durante la celebrazione eucaristica.


Memoriale
Ha 11 anni. Nata in un giorno piovoso, l'hanno chiamata Bristi (Pioggia). Ho aiutato i genitori a trasferirsi, quando i loro vicini di casa - aborigeni hindu - li hanno costretti ad andarsene perché si preparano ad essere battezzati nella Chiesa cattolica. Abita lontano, e mi telefona per comunicarmi che è stata promossa in prima media con buoni risultati, e accetta volentieri di andare all'ostello per proseguire. "Però io e mio fratello ci siamo arrabbiati con la mamma, perché ha detto che per Natale e capodanno non potrà darci un vestito nuovo e nemmeno farci mangiare la carne." E' grande abbastanza, e le spiego: "Il Natale è bello anche senza vestito nuovo. Ci porta l'amore di Gesù e fra di noi. Voi in famiglia vi volete molto bene, siete uniti, dovete festeggiare la vostra famiglia insieme a Gesù. Neppure Maria e Giuseppe avevano un vestito nuovo, anzi, forse era sporco e stracciato per il viaggio, e avevano trovato una casa proprio malandata. Papà e mamma fanno tanti sacrifici per farti studiare, tu comincia a consolare loro, e a dire che non si preoccupino anche se non possono comprarti un vestito nuovo". Lungo silenzio. "Ho capito bene. Non preoccuparti, li farò contenti anche senza vestito nuovo. Ma tu a Natale mangerai carne?" "Sì - dico con una certa esitazione - penso di sì..." "Allora metti un piattino vicino al tuo piatto, con un poco di carne, e pensa che quella è la mia porzione".
A questo punto vorrei scrivere che la sera di Natale, invitato dalle suore insieme agli altri missionari, ho cenato e mangiato il pollo tenendo accanto il "piattino di Bristi". Invece no, l'ho ricordata più volte durante il giorno e poi - al momento buono - non ci ho più pensato. Mi dispiace; voi però non ditelo a Bristi...


Negozietti
Una o due, massimo tre sigarette per volta. Una lametta da barba, una dose singola di shampo, o detersivo per lavaggio a mano, olio per capelli... una gomma da masticare o, molto più frequentemente, il "pan" - foglia con spezie che fa masticare e salivare abbondantemente... due biscotti, 5 taka di ricarica del telefono... Milioni di negozietti in Bangladesh praticano questo commercio veramente "al minuto" o "al dettaglio", e costituiscono il sogno di tutti i disoccupati, i tiratori di rikscio, i lavoratori a giornata, chi non può fare lavori pesanti. Il cambio di marcia avviene quando riescono ad avviare, insieme alla fornitura di sigarette e lamette da barba, anche il servizio "Bkash", diffusosi ovunque in un lampo: trasmissione di soldi ovunque nel paese sulle onde dei telefoni portatili. Allora si passa dalle due alle migliaia di taka - e la famiglia si sistema davvero.


Chi guarisce?
In un incontro con alcune giovani suore bangladeshi, non ricordo attraverso quale girovagare del discorso, mi capita di dir loro che "ai miei tempi", cioè "tanti e tanti anni fa", poco dopo l'inizio del mio cammino di prete nel 1969, mi dovetti confrontare con uno slogan che circolava negli ambienti allora un po' turbolenti della Chiesa e del mondo missionario: "Non si predica il Vangelo a chi ha la pancia vuota." Stupore assoluto delle ascoltatrici, tutte provenienti da famiglie molto povere. Spiego con pazienza il testo e offro una dotta ambientazione storica, dicendo che si voleva "contestare" il modo tradizionale di fare missione che - secondo chi usava lo slogan - era "spiritualista" e non teneva conto del dovere di attuare giustizia, e di pensare allo "sviluppo" che libera dalla fame, prima di fare proposte spirituali. Dopo molto mio impegno linguistico e logico, una sorellina mi conforta: "Padre Franco, ho capito quello che vuol dirci." E mi confessa: "Ma non capisco come si possa dire che prima di annunciare Gesù a uno che soffre bisogna guarirlo: ma non è Lui che guarisce?"

 

p. Franco Cagnasso