8Voci dal Bangladesh - 2008

p. Silvano Garello


Voci dal Bangladesh - 2008


Una lettera ad Avvenire

aprile 2008

Caro Direttore,

da come si mettono le cose, sembra che si accetti come inevitabile che le Olimpiadi in Cina devono seguire il loro corso. E' per me triste vedere come si accetti come inevitabile che il grido del popolo tibetano debba restare inascoltato, perche' la politica internazionale su questo problema se n'e' gia' lavata le mani in modo pilatesco.

Ma io credo che ancora ci sia una via di uscita: basta che i possibili atleti partecipanti si chiedano: 'Se cosi' stanno le cose che significato puo' avere la mia partecipazione ai Giochi olimpici cinesi? Forse e' l'occasione irrinunciabile per la mia carriera personale o forse e' la possibilita' che la bandiera del mio paese si innalzi sul pennone dell'ipocrisia internazionale?'

E' ancora di moda parlare di 'obiezione di coscienza?' .

Ma la politica al giorno d'oggi, come ieri, puoi permettersi il lusso di seguire la coscienza? Forse anche per gli atleti si tratta di una possibilita' ancora minima per non essere valutati solo per i loro muscoli e le loro magliette che portano la patacca della loro nazione.

Io ho visto il Tibet almeno venti anni fa e mi sono reso conto del clima soffocante che respirava il popolo tibetano. Nel tempio della Jokkang ho riscoperto la 'campana di Lhasa' che porta una 'ferita' inflitta dalla rivoluzione culturale. Il Dalai Lama a Pennabilli nelle Marche ha suonato la stessa campana riprodotta accanto a due ruote di preghiera. Io ho visto questo gesto come un segno di speranza per il Tibet. Ma anche il nostro paese sembra abituato a riciclare in modo indolore le icone della liberta' e dei valori umani. Si dice: 'Il Tibet e' lontano da noi, a anche la Cina." Si' forse lontano dal nostro cuore, ma un po' meno dal nostro portafoglio. Che sia alla fin fine solo quest'ultimo il punto che ci tocca?

Un angolo di Bangladesh nel cuore di Franco Saracino

maggio 2008

Franco Saracino, classe 1957, originario da Fasano di Brindisi, di professione infermiere ortopedico, sposato con quattro figli, tradisce nel volto il sole del suo meridione. Ma solo esplorando il suo cuore si riesce a capire perche’, a dire poco, si e’ lasciato affascinare dal Bangladesh.

Dopo il servizio militare, nel 1979 si era iscritto alla scuola infermieri di Parma. Egli da allora ha acquisito una notevole esperienza nel preparare i gessi per gli infortunati che, spesso in seguito ad un incidente, senza poter tornare a casa, passano dalla strada alla sala operatoria. Nemmeno lui sa dirci quanti busti, quante gambe e quante braccia sono passate per le sue mani per le necessarie ingessature. Ma il bello del suo lavoro, secondo la sua testimonianza, resta la tessitura di rapporti umani che egli sa instaurare con i pazienti che i chirurgi gli affidano. Egli si sente orgoglioso del suo modesto contributo per ridare vitalita’ a chi e’ soggetto a trauma debilitanti sia fisicamente che psicologicamente.

Nel novembre del 1995, il professor Elio Rinaldi, direttore della clinica ortopedica di Parma, lo aveva lusingato con la proposta di una trasferta umanitaria. “ Non ti piacerebbe venire con il nostro gruppo in Bangladesh e mettere a disposizione, in modo gratuito, la tua competenza professionale? Nella citta’ di Khulna, c’e’ un piccolo ospedale, gestito dai Missionari Saveriani e dalle Suore di Maria Bambina. Li’, assieme, potremmo fare miracoli, soprattutto per tanti bambini ridotti a trascinarsi sulla strada a chiedere l’elemosina, camminando a quattro zampe. Franco non aveva esperienza di viaggi all’estero, e tantomeno degli ambienti ospedalieri ospedalieri del terzo mondo.

La proposta del prof.Rinaldi era una sfida al suo cuore: gli veniva richiesto un balzo di generosita’. Come avrebbe potuto sopportare il distacco dalla famiglia, o piuttosto come

avrebbe potuto coinvolgere la sua famiglia in questa avventura che che veniva a rompere il ritmo del suo lavoro e delle sue vacanze?

Dal primo impatto al coinvolgimento pieno

Arrivando in Bangladesh, il suo primo shok culturale e’ stato nel vedere la massa di persone che premevano all’ingresso dell’aeroporto. Il loro sguardo triste, rivolto verso lontano, gli aveva destato nel cuore la domanda:”Che cosa cerca tutta questa gente?”

A Khulna era ospitato, o forse si dovrebbe dire si era accampato con il suo gruppo presso le Suore di Madre Teresa che gestiscono una casa di accoglienza per i bambini abbandonati. Qui, prendendosi cura dai piedi torti dei bambini, ha imparato presto la comunicazione del sorriso. La sua sfida era quella di stabilire un ponte di speranza tra i bambini e i loro genitori, ansiosi di poterli vedere camminare.

Ora i vari gruppi medici possono disporre una adeguata struttura ospedaliera chiamata ‘ Bichitta o Santa Maria “.

Se l’esperienza del signor Saracino si e’ protratta nell’arco di dieci anni significa anche che attorno a se’ ha percepito una corrente di amore e di riconoscenza verso questi medici stranieri che rispettano la vita di ogni uomo, a prescindere dal colore della pelle e della religione.

Egli ha raccolto un po’ di documentazione fotografica che gli permette di incontrare i bambini delle scuole italiane interessati al destino di tanti altri bambini meno fortunati. Egli non parla loro solamente dei 1500 bambini che sono passati per le sue mani, ma anche del lavoro dei medici chirurghi e delle infermiere, dell’amorevolezza di suor Tecla e delle altre Suore, del servizio dei Padri Saveriani che hanno avuto questa idea geniale di permettere ad altri di partecipare alla loro missione.

Andando a visitare qualche villaggio del Bangladesh egli ha avuto la gioia di essere stato riconosciuto per nome: Dottor Franco! Molti dei “suoi” bambini ora possono giocare a pallone e le bambine possono rincorrersi come farfalle. Domani per loro non ci sara’ piu’ difficolta’ perche’ vengano prese come spose.

Dunque, anche in Bangladesh, tanti dolori possono essere trasformati in gioia. Da questo punto di vista il Bangladesh sta facendo tanta strada, superando gli handicap del suo passato e i contraccolpi della globalizzazione. Per fortuna che c’e anche una globalizzazione del lavoro e della solidarieta’. Come la solidarieta’ dai medici italiani che, per sei mesi all’anno, si succedono all’ospedale s. Maria . E’ una solidarieta’ che ha intrecciato una catena di piccoli miracoli.

Molti medici e infermieri, venendo in Bangladesh, prendono l’accasione per incontrare gli amici zingari di Don Renato Rosso.

Da un po’ di tempo, tutti questi italiani si forniscono da loro di perle per farne dono agli amici.

Ma il risvolto interessante di questa vicenda e’ nelle ‘perle’ che questo servizio medico e’ riuscito a far nascere, come per incanto, nel mare di dolore e di abbandono in cui vivono tante persone che non possono permettersi le cure mediche piu’ ordinarie. Questo scambio di doni che si e’ realizzato attraverso la presenza di chirurghi, fisioterapisti e infermiere ora provenienti da varie parti d’Italia. Anche questa e’ diventata un’altra bella prova a favore della missione . ‘C’e’ piu’ gioia nel dare che nel ricevere’: e’ un detto di Gesu’ che potrebbe onorevolmente trovare posto anche nei nostri ospedali italiani, per suscitare la fantasia della carita’, proprio la’ dove c’e’ il rischio che una vocazione cosi’ alta diventi solo un altro mestiere che garantisce un salario.

Chi crede in Gesù non è mai solo

giugno 2008


Il Rosario e la Nuova Pompei - Anno 124 - N. 4 - 2008 [151]

Si spalancano le "porte" della Pasqua! In Bangladesh, tra i Mandi della diocesi di Mymensingh, il triduo pasquale di un missionario e dei cristiani del villaggio di Dhakua.

Quest'anno ho vissuto il Triduo Pasquale nel villaggio di Dhakua, tra i Mandi della diocesi di Mymensingh (l'autore si riferisce alle celebrazioni pasquali del 2007, ndr). Dalla chiesetta lo

sguardo si beava del verde delle risaie sul quale occhieggiavano le spighe fiorite. Nella notte la fioca luce della candela rendeva più intenso l'ascolto delle voci che emergevano dall'oscurità. Il chiacchierio proveniente dalle capanne veniva di tanto in tanto interrotto dal richiamo lontano degli sciacalli o dallo scroscio intermittente della pioggia che portava ristoro dalla calura.

Qui ho trovato il clima propizio per riprendere la riflessione sulle omelie che avevo preparato. Mi chiedevo: come posso vivere l'annuncio pasquale assieme a questa gente che desidera, almeno vagamente, incontrare Cristo per rinnovare la propria vita? Come poter dire loro efficacemente: "Destati, o tu che dormi, e Cristo t'illuminerà?" Come disporci a fissare lo sguardo su Cristo, ad ascoltare la sua voce e rinnovare il "sì" del nostro battesimo e del nostro incontro eucaristico? Visitando le case dei cristiani, sedendomi a parlare con loro, nella mia mente si è fatta strada una chiave interpretativa della Pasqua alla luce del tema della "porta". Gesù Cristo ha detto: "Io sono la porta" e ha anche detto: "lo sto alla porta e busso". Il momento più angoscioso della mia giornata è quando, tornando a casa la sera, apro la porta e so che nessuno mi aspetta. Al mattino, uscendo di casa, nessuno mi dice: "Arrivederci!". Ma la sera è più dura.

Domenica delle Palme

La Domenica delle Palme ci ha coinvolto nell'ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. Gesù non cerca il trionfo del suo potere, ma quello del suo amore. Sulla porta della sua tomba l'uomo scrive la parola fine a tutte le sue promesse, mentre Egli pone il sigillo della sua donazione. Il suo a-more potrà infrangere anche i sigilli della morte. Ha una porta per entrarvi perché Cristo ha vinto la morte anche per noi. La porta della sua tomba è definitivamente spalancata. Perciò è sempre possibile incontrarlo. Egli si rende ancora ospite sulla soglia della nostra casa, in attesa che gli apriamo la porta.

Giovedì Santo

Il Giovedì Santo Gesù ci fa entrare in una sala al piano superiore, grande e addobbata. Egli l'ha presa in prestito per celebrare nell'intimità con i suoi discepoli la sua ultima Pasqua. Questo luogo sarà presto impregnato dalle sue parole di addio e dai segni imprevisti della sua amicizia. Chi potrebbe mai immaginare che in questo raduno di amici si possano mescolare i segni di una duplice consegna? Gesù si consegna ai suoi come servo che lava i loro piedi e come vero agnello pasquale. Nel dono del Suo corpo e del Suo sangue egli stabilisce la nuova ed eterna alleanza. Giuda consegna Gesù ai suoi nemici in cambio di trenta denari. Duplice sorpresa! Cristo compie ciò che il suo amore ha deciso di fare per i suoi, Giuda si mette in moto per compiere ciò che la sua cecità ha deciso di fare contro il suo Maestro.

Che cosa può avere spinto Giuda a profanare questo luogo d'intimità e varcare la porta che si apriva nella notte del suo tradimento e dell'agonia di Gesù? Proprio in questa circostanza Gesù esprime di nuovo la scelta radicale della sua vita: "Alzatevi, andiamo!". Egli non esita ad abbracciare la volontà del Padre che gli chiede di sacrificare la vita per la salvezza degli uomini.

Prima di lasciare questo luogo egli ha offerto i segni di quel suo amore sconcertante che presto si tingerà del suo sangue. Cantando, egli scende i gradini che lo portano sulla soglia del giardino dove la sua preghiera confermerà ciò che nella Cena pasquale ha promesso di fare della sua vita.

Egli varca per noi questa soglia aldilà della quale Egli s'incontrerà faccia a faccia, non solo con satana, ma soprattutto con il Padre suo. Durante l'ultima Cena, Egli si è impegnato di segnare con il suo sangue le porte degli eletti del Padre suo perché siano risparmiati e perché non esitino a iniziare nel buio il cammino della propria liberazione. I suoi discepoli si sono dati alla fuga. Pietro si è rifiutato di riconoscersi come discepolo di un liberatore tradito, legato, messo a giudizio, beffeggiato. Ciò non impedirà a Gesù di cercare con lo sguardo chi si è tirato indietro per non coinvolgersi nel suo stesso destino. Egli aveva detto: "Vegliate e pregate con me!".

Guardando lo sparuto gruppo di cristiani seduti in preghiera per la veglia eucaristica, mi chiedo: "Su quali forze possiamo contare? Chi ci assicura che anche noi in questa stessa notte, prima del canto del gallo, non rinnegheremo Gesù?"

Venerdì Santo

Il Venerdì Santo ci mette tutti sul percorso della Via Crucis. Ma è solo quella di Gesù, o anche la nostra? Quest'anno il turno per organizzare la Via Crucis è toccato a un gruppo di capanne

che distano dalla chiesa circa due km. Portandoci sul posto, lungo la strada, raccolgo dei fiori rossi per decorare la croce con i segni delle ferite di Gesù. La Via Crucis ci potrà muovere a versare lacrime su Gesù. Ma come possiamo dimenticare di essere proprio noi quelli che rinnovano la sua passione? Le ferite di Gesù ormai sono fiorite nella gloria della Risurrezione.

Esse però attendono da parte nostra un accostamento da ferita a ferita proprio perché se la Via Crucis ci facesse fermare al Calvario o sulla soglia della sua tomba chiusa, noi saremmo gente senza speranza.

Forse saremmo gente consolata ma non liberata. Durante la Via Crucis, la croce di Gesù sosta di porta in porta. È un invito espiato a uscire dal guscio della propria casa per offrire ospitalità a Colui che ha preso su di se i nostri dolori e il nostro castigo.

Vedendomi grondante di sudore, una donna mi porge un bicchiere d'acqua. Come posso rifiutarlo con il pretesto orgoglioso di stare digiunando? Nella Via Crucis sono drammatizzate le cadute di Gesù per incoraggiarci a diventare noi stessi oggi i cirenei per coloro che cadono. Sostando di porta in porta, la croce di Gesù apre un dialogo con il calvario di ogni famiglia illuminandolo con la sua vittoria. Il nostro procedere suscita un arruolarsi spontaneo verso la chiesa per partecipare alla celebrazione del Venerdì Santo. Ci attende il racconto della Passione secondo Giovanni che ci condurrà fino alla contemplazione del cuore squarciato di Gesù da cui è uscito sangue e acqua. Com'è sorprendente questa porta solenne attraverso la quale entrerà fiduciosamente per primo il buon ladrone! La sera del Venerdì Santo nel villaggio scende un silenzio quasi palpabile. Su di esso aleggia la domanda: "Gesù non ha voluto che la morte facesse per lui un'eccezione. Qual è il senso del vegliare accanto alla sua tomba? Colui che ha promesso di spalancare i nostri sepolcri, non potrà egli spalancare la porta della sua tomba?".

Sabato Santo

La mattina del Sabato Santo gli adulti del villaggio hanno voluto che predicassi loro un breve ritiro spirituale. La nostra meditazione si è concentrata sull'episodio evangelico di Zaccheo. Abbiamo cercato di entrare nello sguardo di Gesù. Lo sguardo che cercherà Pietro è lo stesso sguardo che cerca Zaccheo nascosto tra le fronde di un albero. Gesù gli ha letto nel cuore il desiderio sincero di incontrarlo. Perciò egli fa il primo passo per mostrargli che il suo desiderio di farsi suo ospite è ancora più grande. Gesù chiede a Zaccheo di aprirgli la porta della sua casa, proprio quella porta che per tanti poveri era diventata una barriera invalicabile, una porta maledetta.

"Devo fermarmi a casa tua!" Sembra che Gesù voglia esercitare su Zaccheo una dolce pressione perché rimuova le barriere che egli ha costruito attorno a sé con le sue ingiustizie e con la sua durezza di cuore.

Che cosa importa che ora attorno a Zaccheo altri tentino di porre altrettante barriere considerandolo come un caso irrimediabilmente perduto anche per la misericordia di Dio? La presenza di Gesù ha già fatto di Zaccheo un uomo nuovo, resuscitato.

Sul frontone della sua porta non e più scritta la parola "perdizione", ma la parola "salvezza". Il sacramento della riconciliazione è per noi ben più che un ordine di scarcerazione. La nostra casa viene di colpo illuminata dalla presenza di Cristo Risorto che ci dice: "Pace a voi!" Il suo perdono prende possesso della nostra casa attraverso la porta che gli apriamo.

Il gesto sorprendente di Gesù e la svolta radicale di Zaccheo saranno riusciti a spingere gli abitanti di Gerico a varcare anch'essi la porta di colui che ritenevano un peccatore inconvertibile?

Pasqua di Resurrezione

Come sono solito fare, la Veglia di Pasqua ha avuto il suo inizio con una cerimonia che ha colto dì sorpresa la gente. I fedeli sono stati divisi in piccoli gruppi e sono stati invitati a sedersi sul prato antistante la chiesa. Ogni gruppo doveva assicurarsi di avere dei bambini. Agli adulti è stato chiesto di introdurre i più piccoli al senso della celebrazione che avremmo iniziato al cadere delle tenebre. Ancora una volta ho potuto costatare che i nostri cristiani possiedono le risorse necessarie per raccontare la Pasqua e suscitare nei piccoli l'entusiasmo di partecipare a un rito e che li abilita a portare con maggiore senso di responsabilità il nome cristiano. Accompagnando in processione il cero pasquale e trasmettendoci gli uni agli altri la luce di Cristo, ci sentiamo un popolo libero dalle catene della schiavitù del peccato. Ci è passata la voglia di voltarci indietro verso la terra di schiavitù, perché il sangue del vero agnello pasquale ha consacrato le nostre case. Come popolo in pellegrinaggio verso una terra di libertà siamo diventati protagonisti della storia della salvezza.

Ascoltando la proclamazione della Parola ci vengono spalancate "nuove porte" per entrare nel cuore e nella mente di Dio e per rispondere alla scelta che lui ha fatto di noi. Nella comunione dei Santi che ci hanno preceduto troviamo la forza per rinnovare con gioia e fiducia le promesse del nostro battesimo. Acclamando i! nostro "rinuncio!" e "credo!", abbiamo alzato in alto la nostra candela accesa al cero pasquale, l'entusiasmo con cui i fedeli compiono questo gesto mi ha sempre commosso profondamente. Sono passati appena cento anni dal battesimo del primo Mandi del Bangladesh.

Il mattino di Pasqua ho celebrato trentatré battesimi: tra essi trenta bambini e tre adulti. Durante la notte la mancanza di luce mi aveva convinto a svolgere la cerimonia battesimale in modo ordinato il mattino seguente.

Il rito di accoglienza dei candidati si è svolto davanti alla porta della chiesa. Invitandoli ad entrare, ho detto loro: "Chi crede in Gesù Cristo non è mai solo"! Ci sono ad attendervi tanti nuovi fratelli e sorelle". Dopo l'amministrazione dei battesimo, mi sono ancora rivolto ai battezzati: "Voi siete il dono di Cristo Risorto. Ora portate il sigillo della Trinità. Giorno dopo giorno imparerete a camminare come figli della luce e a tenere sempre aperta a Cristo la porta dei vostro cuore ' Richiamando le parole di un canto che avevo composto per i Mandi cristiani, ho aggiunto: "Il cammino della nostra liberazione è iniziato: non fermiamoci a metà strada! Anche i non cristiani che vi stanno accanto sono ansiosi di scoprire la bellezza e la gioia di essere cristiani. Dio ha collocato ogni cristiano in un posto così nobile che non gli è lecito abbandonare. Egli propone ai suoi eletti una forma di vita meravigliosa da condividere con gli altri ".

Com'è stato bello riscoprire con i cristiani del villaggio di Dhakua le meravigliose porte della Pasqua! È proprio vero che nella casa del Padre ci sono molti posti, ma che ci sono anche molte porte, su ognuna delle quali è scritto il nome di Cristo. Anche la locanda di Emmaus ha preso il suo nome. Cristo vi è stato invitato come ospite e lì ha svelato la sua identità di Signore Risorto. E così Egli ci ha fatto anche sapere che la porta della nostra casa fa battere di emozione il cuore di Dio perché là dove è accolto Egli porta sempre il suo dono. Sarà per questo che i cristiani del Bangladesh, soprattutto in chiesa, con le porte spalancate dallo Spirito della Pentecoste, cantano cosi volentieri.

Una Priorità Pastorale per la Chiesa del Bangladesh

aprile - luglio 2008

L'insegnamento del Catechismo a tutti i livelli

Tradotto dall'inglese - Ricevuto in aprile 2008 - Non rivisto dall'Autore

Come missionario che lavora in Bangladesh dal 1970, voglio qui condividere alcuni pensieri, perché credo che anche la nostra Chiesa sia ' semper reformanda'.

Nella situazione presente la Chiesa del Bangladesh sta sperimentando l'urgente necessità di una nuova evangelizzazione. Siamo grati a missionari, preti locali, suore, catechisti e leaders laici della che hanno dato, e continuano a dare, una buona testimonianza alla nostra fede cattolica. Ma sembra che quattrocento anni della nostra storia cristiana non sono abbastanza per far sì che i nostri Cristiani adulti trasmettano efficacemente la loro fede alle nuove generazioni. Uno dei motivi può essere quello che loro non hanno potuto ricevere una catechesi secondo lo spirito del Concilio Vaticano II, in linea con le necessità della moderna situazione. Durante la loro formazione nei vari stadi della loro vita cristiana (battesimo, prima confessione e comunione, confermazione, preparazione al matrimonio, introduzione al loro ruolo nella società), hanno potuto sviluppare solo parzialmente una forte identità cristiana e forte senso di missione.

Così ora la Chiesa deve umilmente chiedersi: cosa dobbiamo fare per preparare i nostri fedeli ad essere insegnanti di fede per i loro figli ed essere convincenti testimoni di Cristo?

Oltre alle divisioni dei Cristiani in Bangladesh c'è un altro fatto che evidenzia per la debolezza dei nostri sforzi nel campo dell'evangelizzazione: la scarsa influenza culturale del Cristianesimo nella grande società del Bangladesh.

È mia convinzione che uno sforzo più creativo nel campo della catechesi, nelle nostre parrocchie e nelle nostre istituzioni istruttive, può creare le condizioni per un rinnovamento della nostra testimonianza cristiana e della nostra efficace comunicazione del Vangelo. Solamente una Chiesa auto-evangelizzata può essere una Chiesa che evangelizza efficacemente.

Voglio insistere sul bisogno della catechesi (senza dimenticare tutti gli altri aspetti di un evangelizzazione integrale) affinché una buona catechesi possa aiutare la nostra Chiesa a superare il sentimento di stanchezza, mancanza di visione, scarso coinvolgimento dei, ruolo confuso dei preti e religiosi.

Una buona catechesi può aiutare il rinnovamento della nostra Chiesa in queste aree:

1) rendendo più evidente il ruolo e l'immagine del Vescovo, principalmente non come amministratore ma come predicatore del Vangelo e della dottrina autentica;

2) aiutando una comprensione più profonda della nostra fede cattolica espressa nella lingua locale: il seminario teologico e i centri pastorali dovrebbero giocare un ruolo più grande in questo sforzo;

3) promovendo una partecipazione liturgica ed un'inculturazione più significativa anche con l'espressione artistica della nostra esperienza di fede attraverso letteratura, arti, musica;

4) rendendo il catecumenato più profondamente connesso ai valori spirituali, sociali e culturali e alle necessità dei vari gruppi di persone (gruppi etnici) che vivono in Bangladesh e che sono aperti alla proposta cristiana;

5) coinvolgendo più specialmente i preti e le congregazioni religiose nel "ripensare" la nostra fede cristiana e nell'offrire una comunicazione più efficace della stessa;

6) una ridefinizione e qualifica dei catechisti laici (uomini e donne), non solo come leader spirituali di sostegno delle piccole comunità cristiane ma anche come qualificati evangelizzatori di tutta la società.

In linea con quanto sopra, suggerisco altre considerazioni pratiche e proposte:

1) senza un'adeguata catechesi le nostre persone cristiane rimangono spiritualmente denutrite, miopi e incapaci di integrarsi non solo nella società che cambia ma anche nelle proposte formative bibliche, liturgiche, sociali, spirituali e apostoliche che ricevono.

2) a livello sia nazionale che diocesano c'è bisogno di programmi di formazione catechetica diretta ai bambini, ai giovani, agli adulti e ai catecumeni. Dovremmo cominciare a preparare i nostri catechismi in accordo al Catechismo della Chiesa cattolica, il Compendio Generale per la Catechesi, tenendo anche che in considerazione le necessità spirituali, culturali, sociali e pastorali dei nostri Cristiani e le domande, a noi poste, dai non Cristiani.

3) i Seminari, le Case di formazione e i Centri pastorali dovrebbero divenire centri ispiratori e creativi per la catechesi, scoprendo e sviluppando le buone qualità dei loro membri in tutte le aree pastorali e dando la possibilità per un ulteriore addestramento.

4) la Chiesa cattolica in Bangladesh può finalmente contare su sufficienti aiuti per la catechesi in lingua Bengali, ma c'è il bisogno urgente di preparare adeguati aiuti all'insegnamento sui valori morali e professionali, leadership cristiana, spiritualità, dialogo interreligioso, spiritualità ecumenica, diritti umani, pace, ruolo delle donne, sviluppo, salute, cultura, formazione continua, tempo libero e sport.

5) in appoggio all'ordinario insegnamento catechetico, con i dovuti adattamenti, si possono promuovere "missioni popolari", istruzioni in stile catecumenale, conferenze, dibattiti, drammi sulle vite di Santi come esempi viventi del Vangelo, festivals biblici.

6) in collaborazione con le altre Chiese si potrebbe preparare un testo, con orientamento biblico e di vita cristiana, per l'insegnamento del Cristianesimo nelle scuole.

È arrivato il momento per fare dell'insegnamento catechetico (in senso esteso) una vera priorità pastorale per la Chiesa cattolica del Bangladesh. Il Sinodo sulla Parola di Dio e l'anno dedicato a San Paolo sono inoltre una buona opportunità per inspirare nuove iniziative per renderci più consapevoli del tesoro della nostra fede cristiana ed evangelizzatori più coraggiosi.

Grazie per l'attenzione. Uniti in Cristo.

Nota: Riceviamo in data 23 Luglio 2008 un aggiornamento:

Per l'anno paolino ho pubblicato il mio primo contributo:

GLI ATTI DEGLI APOSTOLI per inquadrare l'attivita' di s. Paolo nella Chiesa delle origini. Il libro contiene una sezione di attualizzazione su diversi temi dell'attivita' di Paolo in relazione alle nostre comunita' cristiane del Bangladesh.

Ho stampato pure, avvalendomi di diverse collaborazioni, un altro volume:

ENGLISH-BENGALI CHRISTIAN TERMNINOLOGY.

Il volume contiene 8.802 termini cristiani bengalesi che si riferiscono a questi temi: Bibbia, Filosofia, Teologia, Liturgia, Morale, Diritto canonico, Storia della Chiesa, Arte cristiana, Psicologia, Sociologia, Spriritualita', vita Cristiana.

E' una piccola miniera.

Grazie per 'attenzione e come sempre buon lavoro a tutta la tua compagnia!

Nel Bangladesh si canta il Rosario

dicembre 2008

La devozione alla Madonna sta nel cuore del cristianesimo. Le semplici parole dell’Angelo Gabriele ‘Rallegrati, Maria’ sono state pronunciate e poi scritte sul muro della chiesa domestica di Nazaret. Da allora, lungo i secoli, sotto diversi cieli queste parole si sono trasformate in melodie piene gioia affettuosa. Il saluto rivolto a Maria dall’Angelo e’ ormai diventato anche il saluto dell’umanita’ che si e’ trovata tra le mani il dono divino di una sua figlia degna di essere proclamata beata tra tutte le donne. Anche in Bangladesh tra i canti del repertorio religioso quelli dedicati a Maria sono tra i piu’ carichi di fede e di entusiasmo.

Il Rosario e’ la preghiera che ci aggancia alla Trinita’ e ci immerge nel Vangelo. Questo e’ il posto di onore di Maria. Per questo noi suggeriamo alla gente che recita il Rosario nelle proprie case di tenere davanti ai loro occhi una Bibbia aperta, di esporre un’icona mariana e di accendere una candela.

Maria ci introduce passo passo nel Vangelo di cui lei e’ fedele discepola. In lei la Buona Notizia fatta carne si chiama Gesu’ Salvatore.

In questo contesto mi si e’ destato nel cuore il desiderio di fare cantare il Rosario, per fare entrare il cristiano nella storia della salvezza con lo sguardo e il cuore di Maria. Il canto facilita l’esperienza di chi cammina nel mondo sapendo di non essere solo.

L’animo bengalese ha una spiritualita’ canora. Il sigillo di una devozione popolare lo si trova quando essa e’ consacrata dal canto. Per questo mi sono rivolto ad un compositore bengalese cristiano, Clement Nanok Das, con il mio piccolo progetto di dare una cornice musicale alla preghiera del Rosario. Gli ho posto nelle mani la lettera apostolica sul Rosario di Papa Giovanni Paolo II e gli ho suggerito tre piste poetico-musicali: l’enunciazione del mistero nel suo significato centrale, un pensiero di meditazione ed una invocazione lirica a Maria. Insieme abbiamo riflettuto sul messaggio da mettere in canto. Cosi’ e’ nato un libretto che accompagna l’orante e due CD che insegnano a cantare le parti musicate. Dopo questa introduzione, le dieci Ave Marie diventano immersione spontanea nel mistero pregato e contemplato.

Il nostro CD, lanciato dal Centro Catechistico Nazionale di Jessore, sta avendo un buon successo nelle parrocchie, nei gruppi giovanili e nei santuari mariani. E’ un nuovo stimolo alla creativita’ liturgica. Io credo che anche Maria sia felice dei nostri canti che, alla fine, sono un commento alle sue parole di congedo: ’Fate quello che vi dira’’. Il Rosario cantato vuole essere anche un commento alle parole del Padre lasciate cadere dal cielo sul monte della Trasfigurazione: ’Questo e’ il mio Figlio diletto: ascoltatelo!’

Viene proprio da dire:’Com’e’ bella la nostra religione cristiana che mette in accordo le parole del Padre con quelle della Madre e che suscita melodie sempre nuove sulla bocca dei figli di Dio.

La casa della Bibbia

dicembre 2008

Il recente Sinodo sulla Parola di Dio ha ridestato nuove speranze e iniziative per garantire una più cordiale accoglienza della Bibbia nella Chiesa e una più creativa proposta di essa anche ai non cristiani.

Tra gli stranieri che vivono in Italia, si trovano rappresentati molti popoli che possiedono una propria lingua e cultura. C’e’ chi pensa di offrire loro in lingua italiana sia la Bibbia sia altre pubblicazioni che li aiutino ad entrare nel mondo della Bibbia. In questo campo ci sono libri ed audiovisivi che si rivolgono sia agli adulti che ai bambini. Alcune chiese e musei hanno preparato sussidi che illustrano le opere d’arte a carattere biblico.

Questa catechesi di supporto al nostro diffuso analfabetismo biblico un domani si potrebbe aprire a delle mostre interculturali che illustrino come il messaggio biblico si sia incarnato nelle varie culture.

Ma possiamo anche andare oltre. Perché non aprire dei centri biblici che mettano a disposizione la Bibbia completa o parziale nelle diverse lingue dei gruppi stranieri più rappresentativi che vivono in Italia?

Per andare al concreto. In Italia vivono più di 50.000 bengalesi. Tra essi ci sono chi cerca una Bibbia nella propria lingua. Oggi abbiamo a disposizione due traduzioni cattoliche della Bibbia in lingua bengalese: una è chiamata ‘Mongolbarta’, stampata a Calcutta, ed una è chiamata ‘Jubilee Bible’, stampata in Bangladesh. Naturalmente sono disponibili altre buone traduzioni protestanti.

Ecco la mia proposta: trovare un'organizzazione che si presti al servizio di mettere in vendita la Bibbia nelle varie lingue.

‘Tolle et lege’ (Prendi e leggi): l’invito che è risuonato nel cuore di S. Agostino risuona ancor oggi nel cuore di molte altre persone aperte all’Assoluto. Ora si tratta di aiutare concretamente uno straniero che vive in Italia a trovare una Bibbia scritta nella sua lingua.

Questo servizio potrebbe chiamarsi ‘Casa della Bibbia’. Questa casa potrebbe diventare un luogo di dialogo interreligioso, proprio a partire dalla Parola che Dio rivolge a ciascun popolo, usando la sua madre lingua.

Credo che anche per gli stranieri che vivono in Italia non dovrebbe essere difficile trovare qualcuno che, come il diacono Filippo, risponda alle loro domande:’Che cosa significa questa parola? Come posso vivere questa Buona Notizia?’

Il 21 febbraio in Bangladesh, dal 1952, si celebra la festa della lingua bengalese. Oggi questa data è stata accolta a livello internazionale e porta un messaggio più ampio come ‘festa della madre lingua’.

Dio si è fatto ‘poliglotta’, rispettoso ascoltatore e buon parlatore di tutte le lingue del mondo.

Mettiamoci dunque a disposizione di questo suo bel titolo, che non ci spinge alla competizione, ma ci invita alla condivisione. La Bibbia stessa, nella sua origine, si presenta in tre lingue diverse: l’aramaico, l’ebraico e il greco. Ogni egemonia linguistica è dunque esclusa. Queste sono le prime tre lingue entrate nella ‘casa della Bibbia’.

Questa casa si è fatta più vasta, perché accoglie già in sé più di mille lingue parlate. Io credo che proprio la chiesa cattolica dovrebbe prendere l’iniziativa di dare a questa casa uno spazio adeguato. A chi entra nella casa della Bibbia dovrebbe poter ricevere questo biglietto d’invito:’ Benvenuto! Qui Dio parla la tua lingua materna!”


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