Articoli e lettere agli amici - 2011

p. Franco Cagnasso


2011

dicembre


Mariano Ponzinibbi

Dinajpur, 19 gennaio 2011

Prefazione

Mariano carissimo,

mi hanno chiesto di scrivere la prefazione al libro che Enrico Garlaschelli ha scritto su dite.

Subito mi sono chiesto: "Che cosa ne penserebbe Mariano?" Ci ho pensato bene, raccogliendo nella memoria alcuni episodi di condivisione fra noi, e mi sono persuaso che se ti avessi chiesto il permesso tu, che pure scrivevi parecchio, e in modo efficace, avresti reagito con un poco di imbarazzo.

Ma dopo una pausa di silenzio mi avresti risposto, con il tuo sorriso leggero e anche un poco ironico: "Che cosa è bene?" offrendomi la pista giusta e lasciando a me la decisione.

Credo che sia bene che questo libro sia pubblicato, e proprio per questo anche tu ne sei contento.

E' un libro un poco insolito. Enrico, che non ti aveva conosciuto, ha fatto a ritroso il tuo percorso umano e missionario in Bangladesh, in Cambogia, in Italia, alla ricerca delle tracce che hai lasciato - non nelle opere visibili, ma nelle persone.

Le ha trovate, se ne è appassionato, ha cercato di esprimerle. Come lui stesso dice, non offre di te una pittura completa, ciò che ha colto però è vero; leggendo ti ho rivissuto con nostalgia e con gioia, e ho pure trovato qualcosa cui non avevo prestato attenzione quando eri fra noi.

Forse qualche pagina non sarà facile da leggere, perché Enrico procede per abbozzi, suggestioni e sempre, insieme alla descrizione di ciò che ha scoperto, s'intravvede la sua passione. Che tu e lui siate come "intrecciati" in queste pagine è la prova che dove passavi, qualcosa restava nel profondo delle persone: hai lasciato qualcosa di bello anche nell'Autore, che ti cercava nella tua "assenza".

Quando Enrico è venuto in Bangladesh, non ci siamo potuti incontrare, perciò non ho avuto l'occasione di chiedermi che cosa comunicargli di te. L'occasione viene ora, con questa prefazione, e non me la lascio scappare.

Vorrei ricordare la mia visita ai nostri missionari in Bangladesh, quando tu eri superiore regionale qui, e io superiore generale del PIME. Siamo stati insieme un mese, mi hai portato a incontrare tutti, abbiamo condiviso per ore con i missionari, nelle riflessioni serali, in auto, i mille aspetti e le mille domande della missione. E' stata la visita più bella fra le molte che ho compiuto in quasi diciott'anni. Sentivo che avevi preso in te i confratelli, con amore. Eri lucido anche nel descrivere problemi, difetti, ostilità e tensioni; sempre con una pace profonda nel cuore, senza animosità o ansia eccessiva. Mi hai comunicato pace. Stella, che avevo accompagnata in visita qui, mi disse alla fine: "Questa comunità sta vivendo un momento di grazia".

Pensai che era vero, e più tardi capii che soprattutto tu eri stato il canale di quella grazia.

Spendevi tanto tempo ascoltando e conversando. I visitatori di "Giovani e Missione" trovavano con gioia chi li accompagnava passo passo a superare le prime impressioni e arrivare a ciò che è sostanza della missione. Credo che nessuno di loro abbia dimenticato le Messe che celebravi con loro - ed Enrico ha capito bene quanto l'Eucaristia fosse importante per la tua vita.

Parlando costruivi; non con l'aria del maestro, sempre con la voglia di capire, cercare insieme, condividere. Suor Annamaria mi ha raccontato che il giorno in cui t'ha incontrato per la prima volta eri alla vigilia del tuo nuovo servizio fra i Missionari laici a Busto Arsizio. Fatte le presentazioni glielo hai detto, e hai subito aggiunto qualche tua riflessione e opinione chiedendo: "Che ne pensi?' Lei, più giovane di te e suora da poco tempo, ne rimase stupita, e intuì che comunicare con te sarebbe stato un valore grande. Anche le osservazioni critiche non erano mai pettegolezzo, maldicenza, sfogo. Sapevo che, dopo lo studio della lingua, il tuo primo anno in Bangladesh era stato difficilissimo. Ti ho chiesto in proposito, mi hai risposto: "Sì, lo è stato". Nient'altro. Ho rispettato la tua scelta di non tornare ad un passato su cui dire la verità avrebbe significato esporre gli errori di altri.

Enrico nota che forse non ci siamo accorti di quanto ti costava vivere la missione come l'hai vissuta. E' vero, e lo prova anche la tua capacità di fare silenzio, tenendo in te ciò che sarebbe stato solo uno "sfogo". Ma non saresti stato capace di essere diverso, perché ciò che credevi era troppo profondo in te per rinunciarvi.

Quando i superiori decisero di chiederti di rinunciare al ritorno in Bangladesh e ricominciare daccapo in Cambogia, ti scrissi per dirti che apprezzavo la tua scelta, certo difficile, di accettare, e per incoraggiarti: ero persuaso che fosse la scelta giusta per la nostra missione, e per le Missionarie laiche in Cambogia, e certamente lo è stata. Ti invitai pure a fare una breve deviazione e passare a trovarci, prima di volare là.

Tu, l'uomo delle amicizie e dei rapporti personali, mi dicesti di no: caso mai dopo. Non volevi caricare altri e te stesso di nostalgie, volevi arrivare alla tua nuova missione leggero, e completamente disponibile.

Stavi preparandoti a venire qualche anno dopo, per predicarci gli esercizi spirituali, ma ci hai lasciati improvvisamente.

Questo libro mi ha ricordato tante cose. L'ho letto con un crescente senso di riconoscenza per ciò che Dio ti ha dato, e per chi tu sei stato con noi. Mi ha incoraggiato a vivere la missione, anzi ad essere missione.

Mariano, prega per noi.

Con amicizia

Franco

"Ho altre pecore non di questo ovile"

Mondo e Missione - 1 marzo 2011

"SE L'ATTENZIONE DEL PASTORE NON SI RIVOLGE SOLO ALLE PECORE RIUNITE NELLA CHIESA, QUALE SGUARDO VERSO TUTTI GLI ALTRI?"

SI TRATTA DI UN SOGNO, ma nella cultura dei Marma, il popolo cui appartiene quest'uomo poco più che trentenne di nome Mong Yeo, i sogni sono un mezzo significativo per cogliere il significato degli eventi, delle scelte compiute o da compiere, delle relazioni umane e con se stessi.

Buddhista praticante, ha avviato insieme ad alcuni bonzi di una piccola pagoda di Bandarban (Bangladesh) un ostello che raccoglie, mantiene e fa studiare un'ottantina di ragazzi e ragazze orfani o di famiglie poverissime. Terminato il College a Dhaka, aveva già un impiego discreto, quando ha deciso di lasciarlo per mettersi in quest'impresa fidandosi solo di Dio e del poco inglese che conosce. L'ho aiutato, e spesso abbiamo parlato delle motivazioni che sostengono lui, e me. È stato, ed è tuttora ispirato dall'esempio di Madre Teresa e da Gesù, di cui ha sentito parlare al liceo, per poi incontrarlo nella lettura dei Vangeli e, dice, nella vita dei missionari. Prega davanti al Buddha, e prega Gesù.

"Due settimane fa - racconta - stavo male. Avevo la febbre alta ed ero terribilmente depresso. "Ho iniziato un'impresa troppo grande per me?". Ero solo, temevo che tutto sarebbe finito in nulla, dopo aver illuso quei ragazzi. Mi sono addormentato sfinito, senza mangiare, e ho sognato davanti a me una bella strada, dritta, su cui da lontano si avvicinava lentamente, a piedi, un uomo da cui mi sentii attratto.

"È Gesù" pensai, ma subito mi chiesi: come posso saperlo, io che non sono cristiano? Poi vidi al mio fianco, a destra e a sinistra, diversi stranieri, come te, che lo aspettavano inginocchiati, e mi persuasi che era proprio Gesù. Tenni gli occhi su di lui, quando mi fu vicino m'inchinai con la fronte a terra, secondo il nostro costume, e gli sfiorai i piedi. Mi sollevai, mi guardava. Mise una mano sulla mia spalla e disse: "Mong Yeo non avere paura, sono contento di te". E scomparve.

Mi svegliai senza febbre, profondamente felice...".

La gioia interiore continuò a lungo, turbata però da un dubbio: si tratta di un sogno autentico, o di un'autosuggestione? Mong Yeo consulta due saggi, uno del villaggio e un altro, famoso, che risiede lontano. Entrambi indagano con cura sulle modalità e le condizioni del sogno: "Ti sei addormentato leggendo qualcosa su Gesù? Ne avevi parlato recentemente? Assomigliava a qualche dipinto o statua?", poi lo rassicurano che il sogno non è un inganno. Ma a lui non basta; viaggia un giorno intero per confidarsi con me: "Loro no, tu conosci Gesù; dimmi se può aver fatto questo per me". Sì, Mong Yeo, può averlo fatto!

A RICORDARMI questa storia semplice sono state le parole di Gesù nel vangelo di Giovanni: "Io sono il buon pastore e conosco le mie pecore e le mie conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre. Io do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di questo ovile. Anch'esse io devo guidare, ascolteranno la mia voce e saranno un solo gregge, un solo pastore" (20,14-16). Gesù, che si rivolge alle pecore della casa di Israele (l'ovile), dice di averne altre in "ovili" diversi; le cerca fino a dare la vita anche per loro. Le conosce, sa che esse conoscono la sua voce.

Possiamo allargare il senso immediato, per vedere nell'ovile cui Gesù si riferisce la Chiesa. L'attenzione del Pastore non si rivolge soltanto alle pecore riunite nella Chiesa: vive in intimità con loro, ma la sua mente e il suo cuore si rivolgono pure ad altre che sono sue e lo conoscono.

È facile pensare al Centurione Cornelio negli Atti degli Apostoli (cap. 10). Pagano in ricerca, invita Pietro ad aiutarlo, e in lui la presenza dello Spirito è tanto evidente da persuadere Pietro - che prima l'avrebbe ritenuto impossibile - a battezzarlo. Lo Spirito Santo e l'annuncio ogni anno conducono migliaia di adulti come Cornelio, in Bangladesh e in tutto il mondo, al fonte battesimale per una totale adesione a Cristo e alla Chiesa. Soltanto loro, fra tanti, conoscono la voce del Pastore?

Il Concilio Vaticano II e altri testi del Magistero insegnano che anche coloro che non sono battezzati possono salvarsi. Un'interpretazione affrettata e superficiale di queste affermazioni opera spesso un doppio corto circuito: il primo è che la frase "possono conseguire la salvezza eterna" (Lumen Gentium 16) viene a significare "si salvano", dimenticando l'altra affermazione del Concilio, che nemmeno per i battezzati la salvezza finale è scontata. E poi il secondo corto circuito: che la salvezza se la conquistano con le buone opere, mentre la salvezza è dono, e il Vaticano II spiega che chi segue una coscienza corretta e compie buone opere lo fa "non senza la grazia divina" (cf Lumen Gentium 16).

La grazia, che è la presenza, la vita dello Spirito di Cristo in noi, spinge anche chi non è battezzato a "sintonizzarsi" sulla lunghezza di un'onda di cui forse non conosce l'origine, ma che riesce a percepire, e da cui si lascia guidare. "Cristo è morto per tutti (...) dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale" (Gaudium et Spes 22).

Penso a Lota Rebeca Sultana, una giovane musulmana, istruita, di famiglia benestante, che da anni si dedica con grande impegno e sacrificio ai ragazzi di strada, accostati attraverso fratel Lucio Beninati e la sua associazione di volontari, a Dhaka. A un incontro vocazionale di giovani cristiani, spiegava: "Non so se questa sia una "vocazione" come voi intendete. Alcuni provano la droga e non riescono più a liberarsene, io ho incontrato questi ragazzi, e non posso più stare senza di loro... Forse Allah mi ha fatto assaggiare la "droga buona" dei ragazzi di strada, e ne sono felice".

Se - come leggiamo nella parabola del giudizio finale (Mt 25,1-46) - Cristo si identifica con gli affamati, ammalati, carcerati, e quindi con questi ragazzi disprezzati, Lota Rebeca lo incontra in loro. Il suo richiamo silenzioso ad amarli e servirli trova in lei ascolto, perché la grazia divina forma nel suo spirito questa sintonia interiore, anche se lei non ne identifica chiaramente l'origine.

Forse - dice Lota - è la "droga buona" donata da Allah. Noi diciamo che è dono dello Spirito di Cristo, mandato dal Padre: "Nessuno viene a me se il Padre mio non lo attira" (cf Gv 6,44). Cristo, crocifisso in questi ragazzi, compie in lei la sua Parola: "Quando sarò innalzato da terra, attrarrò tutti a me" (Gv 12,23). Ai cristiani spetta scoprire questa presenza dello Spirito di Cristo e camminarvi insieme, perché lo Spirito è uno, uno il gregge con il suo Pastore buono.

Gesù ha lodato la fede della donna cananea, messa alla prova dalle sue parole dure: "Non è bene dare il pane dei figli ai cani" (cf Mt 15, 26), e quella del Centurione che crede alla potenza della sua Parola risanatrice (cf Lc 7,1-10); ha detto ai discepoli di non ostacolare chi caccia demoni nel suo nome, perché "chi non è contro di voi è per voi" (Lc 9,49-50). Non dobbiamo dunque dire che anch'essi hanno lo Spirito di Cristo e operano nello Spirito?

LO SGUARDO DI GESÙ non si ferma sui ben disposti, va lontano fino a rompere corazze di malvagità, durezza, sofferenze e debolezze paralizzanti. Impressionante il racconto della morte del "buon ladrone". Di quell'uomo crocifisso sappiamo soltanto che merita la sua condanna. Un delinquente incallito che, soffrendo, riconosce la voce del Pastore, si abbandona a Lui e riceve una promessa di salvezza piena, seguendolo immediatamente ai pascoli eterni del paradiso (cf Lc 23,39-43).

La pastorale e la missione hanno sempre la tentazione di selezionare i buoni escludendo i cattivi. Una selezione è inevitabile, si può collaborare solo con chi accetta; ma non deve diventare la linea di demarcazione fra il grano e la zizzania, né costruire un ovile chiuso, dove si morirebbe di fame e di sete. Le pecore devono "entrare e uscire e trovare pascolo" (cf Gv 10,9b), sapendo che là dove il Pastore le conduce proteggendole con la sua vita, si affiancheranno a pecore di "altri ovili" che pure ascoltano la stessa voce. Un ascolto interiore che, pur forse inconsapevole, li spinge a "fare la volontà del Padre", ed è perciò ben più fruttuoso della conoscenza di chi dice: "Signore, Signore!" senza fare la sua volontà (cf Mt 7,21).

"Li riconoscerete dai loro frutti" (Mt 7,16). La conversione di un musulmano rigido e formalista, chiuso agli altri e orgoglioso della sua giustizia, ad una fede viva e personale, umile, aperta alla ricerca di Dio e all'ascolto degli altri, non è forse un frutto in cui riconoscere l'opera del Padre - anche se conosciuto come Allah?

Le pecore che Gesù cerca sono... tutti. Negli ovili di altre religioni o dell'incredulità, del fanatismo religioso o dell'idolatria del potere e del denaro, o semplicemente smarrite, senza meta né direzione. Anche in quegli ovili ci sono "uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia" (Gaudium et Spes 22). Chi esce da sé per volgersi verso chi soffre, e per riconoscere un Dio di libertà e amore, compie questo viaggio, ne sono convinto, in ascolto dello Spirito di Cristo.

Natale 2011

Pime House - Dhaka - S. Natale 2011

Carissimi Amici,

Se vi capita di usare zenzero, o di bere un "ginger", ricordatevi di noi. Infatti, con l'aiuto del "Fondo 1%", associazione fra i dipendenti della FAO, abbiamo comprato in zona adatta alla sua coltivazione un campo. Sarà, speriamo, una risorsa per l'ostello di Tong Khyang Para, le cui strutture sono state completate con un piccolo edificio utile per la scuola e la preghiera. Lo hanno donato gli amici di Antonio Nava, di Lecco, di cui ora porta il nome. La vita degli ottanta ragazzi e ragazze marma e tripura che vi sono ospitati continua bene. Qualcuno dei grandi finisce e se ne va, altri piccoli arrivano. Stiamo cercando però di preparare meglio gli alunni della classe VIII perché l'anno scorso non tutti hanno superato gli esami statali, una novità appena introdotta. A chi ha fallito abbiamo dato l'occasione di riprovare.

Le bambine della baraccopoli di Dhaka fanno quello che possono a scuola e hanno tutti i giorni il loro piatto di riso con lenticchie e patate; occasionalmente pure qualcosa di meglio. Dal prossimo anno il loro numero crescerà, arrivando a circa 120.

Il laboratorio è continuamente in ristrutturazione, perché Dino ha molta fantasia (ma non altrettanta capacità organizzativa, nonostante Giovanna Danieletto cerchi di "metterlo in riga"...); fra i molti prodotti che mandiamo in Italia, alcuni vengono di lì. Non sono i migliori, ma sono il lavoro di giovani donne che non avrebbero altre possibilità di guadagnarsi qualcosa.

Nel "mini-ostello delle ragazze santal, tre si preparano agli esami di maturità. Max e Loreta lo gestiscono bene, così come gestiscono il progetto "12 villaggi" e la biblioteca per giovani, dove hanno organizzato un "seminar" con 300 partecipanti.

Chi ricorda alcuni degli studenti poverissimi che aiutiamo, sarà contento di sapere che Joseph Tripura ha fatto buon uso della borsa di studio che si era conquistato; dopo tre anni in Australia è tornato, lavora, e mantiene agli studi una schiera di fratelli, sorelle, cugini e parenti vari. Win Diaz a sua volta ha vinto una borsa di studio per un'Università negli Stati Uniti, e ora ce la mette tutta per portarsi all'altezza dei migliori, che - mi scrive - sono i Cinesi.

Proshanto Tripura invece annaspa ancora. Non ha terminato il Master perché, al suo villaggio, è stato brutalmente picchiato da giovinastri che disturbavano la sorella Dipa, per costringerla a sposare uno di loro e impadronirsi delle poche terre rimaste alla famiglia. Dieci giorni in ospedale, tanta paura e sofferenza, gli ultimi esami persi, la mamma e l'altra sorella trasferite da parenti in un remotissimo villaggio, il giudizio delle autorità locali che ha dato ragione a lui, ma ha condannato i colpevoli ad un rimborso ridicolo. Ora Dipa è in un ostello a Dhaka, per finire la maturità, mentre Proshanto ha ripreso la corsa per raggiungere finalmente il traguardo. Ha anche vinto un concorso per un buon posto statale, ma per rendere effettivo il risultato bisogna pagare un'ingente "bustarella" ad alcuni funzionari. Quindi, niente impiego...

Molti altri continuano, e fra loro alcuni nuovi, del gruppo aborigeno dei Koch, che si sono accostati al Centro per lavoratori di Zirani che mi era stato affidato... Ma qui bisogna aprire un altro discorso, che riguarda anche me.

L'anno che sta terminando infatti è stato davvero insolito.

Ho iniziato traslocando dal seminario alla parrocchia periferica di Mirpur, con p. Paolo, pur continuando ad insegnare due giorni la settimana. Mi stavo inserendo, quando sono arrivati i mesi delle vacanze in Italia, intensissimi e belli.

Ho incontrato molti di voi per condividere, ringraziare, parlare di quello che insieme facciamo in Bangladesh. Ho avuto il dolore di non rivedere don Bruno Menegardi di Mantova, morto pochi giorni dopo il mio arrivo a Roma. Ha lasciato un'eredità di grande entusiasmo per il vangelo, la chiesa, le attività delle missioni, che ha continuato a seguire fino ad oltre i 90 anni di età; con i suoi amici e parenti ho celebrato a "Sereno Soggiorno", dov'era vissuto negli ultimi anni.

Ho avuto la gioia di celebrare l'Eucaristia con le comunità del Beato Bernardo a Siena, di S. Lucia a Bergamo, di Roncola (Bg), di Tremona (Ticino), e con le Amiche del "giro" delle Scolte AGI (mondo scout) di Lecco, dove ho ammirato il loro enorme impegno. Prenotano, espongono, vendono, stimolano altre a vendere molti prodotti del Bangladesh aiutandoci non poco con il ricavato, e anche con la preghiera.

L'ospitalità di Yves e Paola mi ha permesso di incontrare molti Amici di Milano e di Roma, alla loro tavola o altrove, mentre a casa di Vittorio e Mariagrazia ho rivisto alcuni volontari all'Esposizione Missionaria di Roma (Giubileo del 2000). Gli Amici di Gaeta e di Genova mi hanno dato l'occasione di rivedere loro e il loro bellissimo mare, con le Suore di Carità a Cervia ho respirato l'aria dell'Adriatico.

Due scuole "gemellate" con Tong Khyang Para e con l'Ostello Santal, rispettivamente le elementari di Basiglio (Milano) e il Liceo Mascheroni di Bergamo, mi hanno permesso di incontrare gli studenti, parlare del Bangladesh, mostrare fotografie e informarli. Momenti gioiosi.

Una settimana di ritiro a Esino Lario mi ha ricaricato interiormente, e quindici giorni a Pragelato, in Val Chisone, mi hanno offerto una "full immersion" con le mie sorelle, mio fratello e le loro carissime famiglie, comprese le due nipotine adottate in Cina l'anno scorso.

Poi il ritorno in Bangladesh, e un altro trasloco: la parrocchia di Mirpur mi ha affidato la cura del "Centro Gesù Lavoratore" di Zirani, a 30 chilometri di distanza. Si tratta di un'iniziativa nuova, che offre un servizio sociale e pastorale ai molti lavoratori che fioccano nella zona, dove sorgono continuamente stabilimenti di ogni tipo.

Un incarico che mi appassionava, ma è stato di brevissima durata, due mesi! I missionari del PIME in Bangladesh, a fine ottobre, mi hanno eletto successore del superiore locale uscente, P. Francesco Rapacioli, e ora devo salutare sia i seminaristi sia gli amici di "Gesù Lavoratore", per trasferirmi alla nostra sede regionale a Dinajpur, nel nord. Mantengo, naturalmente, tutti gli impegni di aiuto che ci siamo assunti: Tong Khyang Para, di Dhaka, studenti, malati ecc.

Ho accettato con una certa fatica questa nomina, che mi chiede un distacco da impegni che mi piacciono molto. Mi ha aiutato a ridimensionare il "problema" la morte - accaduta proprio in quei giorni - dell'amico P. Fausto Tentorio, missionario del PIME ucciso a Mindanao (Filippine) per il suo servizio convinto e coraggioso agli aborigeni Manobo. Era consapevole dei rischi che correva, ma si era donato senza riserve a Dio per questi suoi fratelli, con grande serenità e semplicità. Lo ricordo, vivendo pure io il mio nuovo incarico con serenità e semplicità.

Non so ancora dove trascorrerò il Natale, ma là dove sarò avrò presenti tutti voi - specialmente chi lotta con la malattia - nel mio affetto, nella riconoscenza e nella preghiera.

A tutti tanti, tantissimi grati auguri!

P. Franco Cagnasso