Le Cartoline di p. Silvano - 2017

p. Silvano Zoccarato


2017

Si formano al pluralismo religioso - Sufi, Chiiti e Sunniti nel Forum delle religioni - Sotto il Monte 31.12.'68 - 31.12.2017

C'è ancora schiavitù nel mondo - Il successo di chi parla - Natale a Tamanrasset

La visita al tempio buddista - Un mese nel seminario del Pime a Yaounde

250 camerunesi rimpatriati - Arrivo a Yaounde - Testimonianze dei rientrati - Avventura da sconsigliare - Un commercio ben organizzato - Non c'è Eldorado fuori dell'Africa

Non c'è alternativa al dialogo - Leggendo la rivista Mondo e Missione

Non confondere le anime dei cristiani - Il Papa ai Metodisti, insieme sulla via della piena comunione - Eccomi! - 19 cattolici assassinati in Algeria presto BEATI

Arrivederci in Paradiso - Non «cultura della paura» e xenofobia.

Che significa BOSA che i migranti gridano? - Accogliere Papa Giovanni col cuore nuovo

La metà del Cielo muove il Cielo - Affascinati dalla morte - Libia - Algeria. Migranti

L'Algeria rimpatria ma potrebbe anche integrare migranti - Come Papa Giovanni - Un musulmano scrive trenta lettere a Padre Hamel

Finito l'Isis, finirà anche il jihadismo? - Al Azhar presenta un progetto di legge contro la propaganda estremista - I monaci di Tibherine (Algeria), martiri o santi per amore?

Il Rosario del Santo Papa Giovanni - A Sotto il Monte la preghiera per tutta l'umanità - Papa Giovanni torna a casa. Che significato ha la sua venuta?

Tutto il mondo è la mia famiglia - Il dolore e le parole di una mamma musulmana

La pietà popolare e missionaria a Sotto il Monte - Cardinale Gualtiero Bassetti e novità nella Chiesa italiana

Contrapposizioni, aperture e chiusure in alcuni settori dell'Islam - La fede tra le braccia della mamma

La nuova pagina evangelica di Papa Giovanni - Anch'io ho il cuore spezzato

I viaggi di Papa Francesco scuotono un po' - Il senso della vita a Sotto il Monte

Vangelo del barcone - La fede tra le braccia della mamma

Pellegrinaggio a Sotto il Monte - Insieme con Papa Francesco al Cairo

Gesù è venuto per abbattere le barriere

I musulmani e i copti contenti della visita del Papa a Milano - Concilio Panortodosso

Padre John Mac William nuovo vescovo di Gardaia (Algeria) - A Sotto il Monte la preghiera per tutta l'umanità

Anglicani e cattolici - Il 'Grazie' a Sotto il Monte

Proteggere il terreno spirituale delle religioni - La pienezza dell'insieme dell'umanità - Africa vicina

Missionario a Sotto il Monte - Migranti e studenti in Algeria - Marocco, mai più condanna a morte per chi vuole abbandonare l’islam

Scegliere a ogni alba di restare - Islam e libertà di culto - Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani


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Si formano al pluralismo religioso

26 dicembre 2017


Anne-Bénédicte Hoffner ha scritto giorni fa nel giornale francese La Croix un articolo sulla fondazione interreligiosa Adyan per far emergere una cittadinanza non confessionale. La fondazione è stata creata nel 2006 dal prete maronita Fadi Daou e dall'esegeta sunnita Nayla Tabbara. Nayla Tabbara, in occasione della 90a sessione delle settimane sociali di Francia, ha comunicato che diciassette giovani giornalisti del mondo arabo hanno riconosciuto "una missione essenziale per prevenire la spirale della violenza e della guerra civile", nel contesto di "sviluppo dell'estremismo e dei conflitti dai contorni religiosi". Hanno partecipato a un incontro chiamato " Giornalisti per una cittadinanza inclusiva della diversità e della libertà di religione e di coscienza". Alla conclusione, questi professionisti venuti dall'Irak, dalla Giordania e dal Libano hanno deciso di scrivere un codice di condotta destinato ai media. Ognuno si è chiaramente impegnato ad astenersi dal " prendere posizione unicamente secondo la propria appartenenza religiosa" o a quella del suo giornale ; impegnato a "utilizzare le espressioni adatte per ogni comunità religiosa " per definirsi; o ancora a non "generalizzare a tutto il gruppo il comportamento di uno dei suoi membri". I diciassette si impegnano a fare macchia d'olio. Il libanese Mohammad Al Arab ha presentato il codice di condotta all'Unione Africana araba dei media numerici. Parecchi articoli sono già ripresi nel regolamento interiore di questo organismo e il suo comitato giuridico pensa di " adottarlo ufficialmente".

Il giornale La Croix privilegia il dibattito sereno e profondo, tra cristiani e con quelli che non credono o credono diversamente.

Sufi, Chiiti e Sunniti nel Forum delle religioni

29 dicembre 2017

Tra le novità del prossimo anno ci potrebbero essere degli avvicinamenti tra membri di religioni diverse.

Ogni giorno giungono notizie di scontri e attentati tra aderenti di questi movimenti islamici. Quanto sta avvenendo dovrebbe renderci attenti e preoccupati, perché ogni fermento di guerra rischia di espandersi. Il disinteresse è preoccupante. Sentiamoci coinvolti. Chi sono?

Dopo la morte di Maometto si doveva decidere chi doveva assumere il comando della comunità. Per gli uni il potere doveva essere affidato a un discendente del profeta: ed erano i seguaci del partito - la shia - di Alì, lo sposo della figlia di Maometto, Fatima. Per gli altri il califfo doveva essere eletto. A prevalere furono questi ultimi, in seguito chiamati sunniti, i seguaci della sunna, la tradizione. Nella pianura di Karbala, in Iraq, avvenne nel 680 il sacrificio del figlio di Ali, Hussein, che fu massacrato con 72 fedelissimi dalle truppe del califfo Omayyade, Yazid. Questo episodio marca la frattura decisiva tra l'islam sunnita e quello sciita.

La tradizione sufi afferma che il movimento nacque da fedeli musulmani e compagni del Profeta (detti ahl al-suffa, cioè "quelli della panca") che si riunivano per recitare il dhikr nella moschea del Profeta (di fronte alla stanza della moglie Aisha) a Medina. Il sufismo è un movimento trasversale ed esiste un sufismo sunnita, uno sciita ed uno ibadita, come esistono sunniti, sciiti ed ibaditi che si riferiscono solo alla moschea e non anche ad un maestro sufi.

In una conferenza a Bordighera (Imperia), 10 aprile 2008, Padre Piero Gheddo, morto il 20 dicembre 2017, missionario giornalista attento a quanto avveniva nel mondo, fuori e dentro casa, comunicava: "A Milano è stato costituito un Forum delle religioni, a cui partecipano ben cinque gruppi musulmani, di cui sciiti e sunniti, oltre a cattolici, protestanti e buddhisti." I giornali non ne hanno parlato, eccetto un trafiletto su “Avvenire”, perché il fatto propone un modello antitetico a quello corrente dello scontro fra le religioni e le civiltà. Il Forum è nato per iniziativa della diocesi di Milano attraverso il “Centro di documentazione per le religioni”, con una riunione ogni due mesi. I musulmani partecipano in vari gruppi: ci sono le moschee di via Padova e di Segrate, c’è la comunità turca sufi, mentre non è stata accettata la moschea di via Jenner perché l’imam di via Jenner è stato chiamato a giudizio per rispondere di atti di terrorismo.

Il Forum è organizzato come strumento di dialogo e di formazione, ma chi non dà garanzie di volere il dialogo o di accettarlo per secondi fini, non è accettato. Questi sono segni visibili di un islam moderato che si fa strada fra i musulmani, mentre non è conosciuto dall’opinione pubblica, non è sostenuto dai giornali e dalle televisioni. Non era mai successo in Europa e anche in Italia che ci fosse una forte presa di posizione di musulmani moderati contro l’estremismo islamico!


Sotto il Monte 31.12.'68 - 31.12.2017

31 dicembre 2017


Mons. Luigi Bettazzi, primo presidente di Pax Christi, presente a Sotto il Monte nella casa natale di papa Giovanni, affidata al PIME, ricorda oggi gli inizi e il cammino della Marcia della Pace in Italia e nel mondo e scrive: "Fu ovvia la scelta del paese natale di Papa Giovanni XXIII, il Papa che aveva indetto il Concilio Vaticano II e che, nel 1962, aveva bloccato la tensione armata tra USA e URSS per la questione di Cuba, a cui aveva fatto seguire, nell'aprile 1963 la grande enciclica "Pacem in terris". Iniziammo proprio nel cortile di casa della famiglia Roncalli, con un discorso di padre Turoldo, il quale, rifacendosi al titolo del nostro Movimento, richiamò che non c'è una "pace romana", come si diceva duemila anni fa, o una "pace americana" come si diceva in quel momento, ma la vera "pace" è quella di Gesù Cristo. In questi cinquant'anni abbiamo girato l'Italia... e le Marce di Capodanno si sono moltiplicate:

Oggi la Marcia della Pace diventa un'icona dell'impegno per la pace; impegno che parte dalla convinzione personale, ma che deve aprirsi all'impegno sociale - e perché sia più efficace dev'essere collettivo - per sconfiggere l'idea che la guerra sia inevitabile. Lo spirito cristiano, della preghiera e della responsabilità, ci accompagni nella nostra generosità e nella nostra speranza".

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C'è ancora schiavitù nel mondo

15 dicembre 2017

Sono appena rientrato dal Cameroun. Dal caldo dell'Africa al passaggio sotto il nevischio di Bruxel per salire in aereo verso l'Italia, attendendo il decollo due ore, perché Milano non poteva accoglierci sotto la nebbia. Ma il cambiamento che vivo è tremendo, non tanto fisico, ma più profondo. Sembro esagerare, ma mi ero immerso, durante un mese, nella vita di seminario come formatore, studiando con 9 seminaristi la storia della Chiesa, delle missioni e dell'Istituto, ma mi ero immerso anche nella vita della gente, della natura, degli amici ritrovati e dei problemi di vario genere. Dopo 50 anni dal mio primo arrivo, avendovene vissuti 40, l'Africa mi appassionava ancora.

Il cambiamento che accennavo è tremendo perché dagli incontri vissuti e dalla lettura dei giornali in Cameroun alla lettura dei giornali italiani, mi accorgo che regna ovunque una tremenda schiavitù, anche se l'Africa mantiene la sua vivacità e giovialità, mentre l'Europa, Italia compresa, mostra chiari segno di grigiore e preoccupazione. Il primo titolo di Popotus (AV) del 14. 11. '17 è : "La mia bambola è una spia". "Molti giocattoli sono facili prede che i pirati informatici usano per rubarci informazioni personali". E non parliamo del condizionamento dei mass media. Il secondo titolo letto è "Domenica riposo", sempre in Avvenire, dello stesso giorno, del teologo Pierangelo Sequeri. Si domanda : "Vogliamo forse abbandonare questo popolo a se stesso? O vogliamo fare di tutto per far coincidere nella libera comunità della festa l'incontro col Signore e la libera azione dalla schiavitù?"

Le parole 'spia','pirati' nei giocattoli e 'schiavitù', pronunciata dal teologo Sequeri per quanto riguarda l'Italia, mi fa pensare subito all'impressione che vivi in Africa quando vedi, interroghi, ascolti e rifletti. Lungo le strade, alcune migliorate, ma poco mantenute, ho rivisto gli immensi fusti di legno pregiato, in viaggio verso il porto di Douala. e ho letto che alcuni si domandano dove vanno i profitti di tale impresa devastatoria e come mai aumenta la corruzione e la povertà di certe zone abbandonate. Queste domande e affermazioni le ritrovi nell'intervento del Cardinale Kleda, arcivescovo di Douala, del 5 dicembre scorso, che giunge con delicatezza e coraggio a consigliare al presidente del Cameroun, Paul Bia, di preparare bene la sua successione. E quando ascolti l'impresario italiano di cui puoi fidarti nel mantenere in buono stato la tua casa, che ti installa il rubinetto proveniente dall'Italia perché altrimenti trovi quello proveniente dalla Cina, o altro, i cui prezzi sono fatti dallo straniero, mentre anche il prezzo del legname è ancora fatto dallo straniero. In questi giorni, ritornato a Sotto il Monte, accanto al santo Papa Giovanni, fiore della bella campagna italiana, ancora vivo e profumato di bontà e di giustizia, amico delle nuove nazioni, finalmente libere dal colonialismo, gli chiederò di prepararci alla venuta di Gesù, prendendo coscienza della schiavitù di vario genere in cui viviamo e che continuiamo a imporre.

Il successo di chi parla

17 dicembre 2017

Con questo titolo nel giornale L'0sservatore Romano del 16 novembre 2017, Zouhir Loussini scrive che nelle ultime settimane i giornali arabi hanno pubblicato numerosi articoli che invitano i musulmani ad ascoltare bene e a capire ancor meglio le parole di Francesco. E il giornalista Abdel Azizi sottolinea che "questo papa è un'occasione d'oro per il dialogo. Bisogna costruire con lui la pace nel mondo". Abdel si spinge oltre : incita il proprio paese a invitare il Pontefice a Riad. Chi conosce la storia e la situazione dell'Arabia Saudita sa che - se mai l'idea si realizzasse, sarebbe davvero un vero miracolo. "Chi non ringrazia gli uomini non ringrazia Dio" : così l'egiziano Ahmad Nur Eddine si rivolge su "Ahram" al Papa. I musulmani devono ringraziare Francesco per quanto sta facendo per la pace, è il senso dell'articolo che, in rete, è accompagnato da commenti in generale positivi. L'approccio rivoluzionario del Pontefice al mondo islamico sta finalmente dando risultati. Ua vera lezione per chi non crede al dialogo.

Natale a Tamanrasset

21 dicembre 2017


Suor Martina, suora francescana, mi tiene informato, sentendomi ancora vicino all'Algeria.

Cari amici, vi raggiungo sulla strada della vita con le sue domande, con la violenza che vediamo tra i popoli, in un mondo col suo peso di sofferenza ma anche nel suo oceano di bene. L'Algeria, è tra il Nord e il Sud alla porta dell'Africa nera col numero impressionante di migranti che passano per poi essere torturati in Libia. Noi a Tamanrasset, dove morì Charles de Foucauld, li accogliamo e facciamo tutto quello che possiamo, non solo dando loro qualcosa, ma anche aiutandoli a non perdere la dignità e i valori che posseggono. Famiglie ormai residenti coi loro figli numerosi, ammalati, e sensibili a rapporti umani e ad accompagnamenti di ogni genere. Condividiamo anche le loro feste, cantando, mangiando, riposando e pregando insieme, ognuno con le proprie preghiere. Col parroco visitiamo i prigionieri. Tra loro, due giovani donne del Nigeria, prima ingannate e sfruttate in tutti i sensi e ora per tre anni in prigione a causa della droga. In tanta sofferenza ci sono degli sprazzi di condivisione, generosità, di coraggio e di carità fraterna che aiutano a non restare vinti dallo scoraggiamento. Vicina a voi nel Natale, vi comunico il senso di speranza, ancora vivo anche a Tamanrasset.

Dopo il mese vissuto in Cameroun, ora da Sotto il Monte, accanto a Papa Giovanni, vi mando sentiti auguri natalizi, accompagnati dalla preghiera.

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La visita al tempio buddista

Yaoundè, Camerun - 30 novembre 2017


Francesco si è poi recato al Kaba Aye Center di Rangoon, uno dei templi buddisti più venerati dell'Asia sud-orientale. È entrato con le sole calze nere ai piedi, insieme al presidente del Comitato Statale "Sangha" Bhaddanta Kumarabhivamsa. Hanno tracciato la strada per superare odio, terrorismo ed estremismo nel nome della religione.

Il Myanmar è scosso dalle violenze perpetrate contro le minoranze etniche e religiose e l'argomento resta indirettamente presente in questo incontro. Buddisti e cristiani possono trovare questa strada comune nei propri padri o figure spirituali di riferimento, Buddha per i primi, san Francesco per i secondi. Due figure le cui parole esprimono "sentimenti simili".

Papa Bergoglio ha citato significativamente per primo Buddha, che nel Dhammapada (XVII, 223) dice: "Sconfiggi la rabbia con la non-rabbia, sconfiggi il malvagio con la bontà, sconfiggi l'avaro con la generosità, sconfiggi il menzognero con la verità". Parole simili, ha detto, a quelle del santo di Assisi: "Signore, fammi strumento della tua pace. Dov'è odio che io porti l'amore, dov'è offesa che io porti il perdono, [...] dove ci sono le tenebre che io porti la luce, dov'è tristezza che io porti la gioia".

Bhaddanta Kumarabhivamsa gli ha fatto eco affermando che "è deplorevole vedere terrorismo ed estremismo messi in atto in nome di credi religiosi. Poiché tutte le dottrine religiose insegnano solo il bene dell'umanità, non possiamo accettare che terrorismo ed estremismo possano nascere da una certa fede religiosa".

Il Papa ha chiesto che questa sapienza comune possa "continuare a ispirare ogni sforzo per promuovere la pazienza e la comprensione, e per guarire le ferite dei conflitti che nel corso degli anni hanno diviso genti di diverse culture, etnie e convinzioni religiose. Tali sforzi non sono mai solo prerogative di leader religiosi, né sono di esclusiva competenza dello Stato.

Piuttosto, è l'intera società, tutti coloro che sono presenti all'interno della comunità, che devono condividere il lavoro di superamento del conflitto e dell'ingiustizia. Tuttavia è responsabilità particolare dei leader civili e religiosi assicurare che ogni voce venga ascoltata, cosicché le sfide e i bisogni di questo momento possano essere chiaramente compresi e messi a confronto in uno spirito di imparzialità e di reciproca solidarietà".


Un mese nel seminario del Pime a Yaounde

Yaoundè, Camerun - 5 dicembre 2017

Avevo ricevuto con gioia l'invito di padre Fabio Bianchi di andare a Yaounde (Cameroun) per dare un corso di formazione ai nostri seminaristi dell'anno di spiritualità. Si tratta di un corso di storia delle missioni che tocca anche la storia della Chiesa e soprattutto la storia del nostro Istituto e della sua spiritualità. Gli studenti sono nove e hanno già fatto tre anni di filosofia e si preparano a continuare i loro studi a Monza. Mi ero preparato cercando documenti in francese e a Yaounde ho trovato quello che altri confratelli avevano tradotto in francese dei documenti dell'Istituto. Per l'internazionalizzazione dell'Istituto, ora dobbiamo tradurre molti documenti in inglese, portoghese e francese. Una bella sorpresa qui a Yaounde è di aver ritrovato il libro A cause de Jésus che avevo tradotto a Maroua (Nord Cameroun) prima di partire per l'lAgeria e che padre Giuseppe Parietti aveva messo in ordine e preparato per la stampa. E' un documento sui 19 martiri dell'Istituto, completato con introduzioni di carattere storico e geografico e quindi un documento interessante e importante per la formazione dei nostri seminaristi e per l'animazione missionaria. Durante il corso, ne abbiamo letto alcuni capitoli e condiviso impressioni e domande. Sono stati momenti commoventi, soprattutto per me. Ritrovare lo spirito dell'Istituto vissuto dai nostri martiri, risentire la missione nel vissuto a partire dal 1850. Condividere non solo lo studio, ma anche la vita insieme e la preghiera con i seminaristi africani della Costa d'Avorio, della Guinea Bissau e del Camerun che saranno miei confratelli, che continueranno la vita missionaria dell'Istituto e che si lasciano formare col e nel carisma che i nostri fondatori avevano ricevuto per la diffusione del Vangelo. Sono le sorprese e le gioie che arrivano a chi ormai si è reso libero per continuare sulle strade della Provvidenza.

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250 camerunesi rimpatriati

25 novembre 2017


Da qualche giorno mi trovo in Camerun per dare un corso di Storia delle missioni ai nostri seminaristi di Yaounde. I giornali in questi giorni hanno molto scritto sulla schiavitù nella Libia e sulla situazione dei 1700 camerunesi, ivi imprigionati. Leggo nel giornale Le Messager di mercoledì, 23 novembre, un articolo di Blaise Pascal Dassié.

Uomini, donne e bambini che erano fuggiti da situazioni difficili, dalle bande di trafficanti e da gruppi islamisti, sono stati rimandati in Camerun con un aereo speciale organizzato dal governo algerino e dall'Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim). Secondo la Crtv, un canale televisivo del Camerun, i migranti bloccati in Algeria sono ritornati volontariamente. In Camerun sono assistiti sotto l'aspetto medico-sociale e riceveranno dallo stato una somma di 65.000 Fcfa per il ritorno in famiglia.

Dalla guerra in Libia del 2011, il Sahara è diventato un territorio di passaggio. Il deserto è il luogo ideale per il traffico di droga, di sigarette, di armi e di carburante. E' pure la strada dell'immigrazione illegale. Nonostante la mancanza di sicurezza, molti ripassano per la Libia. Agadez resta il punto più centrale di partenza.

Si calcola che in Algeria i migranti, venuti da differenti paesi, sarebbero oggi 100.000, vivendo di piccoli lavori nella clandestinità, rassegnati ormai a lasciare il sogno dell'eldorado europeo. Ma alcuni sperano ancora di raggiungere l'Europa, superando i rischi e i pericoli, attraversando il Mediterraneo verso la Spagna. Oppure, nonostante tutto, riprendere la strada della Libia.

Arrivo a Yaounde

Due notizie si sono succedute a distanza di poche ore nei giornali del Cameroun. La prima, data dal giornalista Pascal Dassiè, che ho riportato e che annuncia la partenza dei migranti camerunesi dall'Algeria, la seconda che trascrivo ora e che racconta l'arrivo di un aereo dalla Libia e poi le testimonianze dei rimpatriati.

Una quarantina di medici, infermieri e psicologi erano pronti all'accoglienza. I migranti sono passati a ricevere il vaccino contro la febbre gialla, dovettero sottomettersi ad esami e a inchieste e a riempire schede di identità personale. Non tutti accettarono di essere fotografati. Questa operazione è voluta dal governo del Cameroun col sostegno delle Organizzazioni Internazionali, soprattutto dell'OIM, per i Migranti, dopo la scoperta dei campi di concentramento della Libia. Il progetto di due anni vuole ricondurre a casa 1700 camerunesi.

Testimonianze dei rientrati

Ndong : A nessun mio nemico auguro quanto ho sofferto. Avevo tutto investito per raggiungere l'Europa. Fui separato da mia moglie e non so se è viva. Avevamo guadagnato insieme tre milioni di CFA ( un euro : 600 cfa). Non ho più niente. Vorrei dire a tutti di partire per un altro paese solo dopo un VISA e non passare per la Libia o il Marocco.

Adeline : Un popolo, quello libico, che pretende di essere civile, ma odia gli africani. Non c'è niente di buono in Libia. Non volevo restare in Libia, ma passare solamente per arrivare in Europa. Sono contenta di essere ritornata in Camerun.

Salomé : Partita da Douala con mia cugina, arrivai in Algeria dopo aver speso 300 000 F pagando controlli e tasse lungo la strada. In Algeria vivevo di un piccolo commercio. Passata in Libia trovai l'inferno. In prigione si mangiava male. Nessuno sa che sono ritornata. Avevo lasciato un figlio di nove anni e la mia famiglia non mi può aiutare. Vorrei completare i miei studi.

Frank : Raggiunsi l'Algeria con un piccolo progetto di commercio. Per strada in Niger fummo dichiarati ostaggi e dovetti chiedere a mia madre di versare 300 000 F in una banca per la mia liberazione. Son finito in prigione in Libia e trattato come una bestia, battuto notte e giorno. Ritorno e non so dove andare.

Avventura da sconsigliare

La giornalista Yvette Mbassi Bikele scrive : "Marcati con le stimmate di una avventura ambigua... i salvati dalla tratta dei Neri in Libia, assicurano che non vi ritorneranno. Si credevano ospitati come avviene in questo caro e bel paese del Camerun, ora pensano a quelli che son rimasti e consigliano ad altri di non tentare una simile avventura. Purtroppo, nonostante i drammi, il mercato di schiavi, e le migliaia di morti nel deserto e nel mare che non cessano di alimentare le informazioni internazionali, niente sembra fermare l'immigrazione verso le coste europee, che continua ad arricchire i trafficanti. E' vero che si può criticare il sistema di governo di alcuni paesi africani, ma come può oggi un giovane indebitare e impoverire la sua famiglia col sogno dell'arrivo in un paese più ricco? Una realtà curiosa : mentre alcuni figli e figlie del paese cercano l'erba migliore del vicino, alcuni stranieri trovano nel nostro un'ospitalità leggendaria e si arricchiscono di pesca, agricoltura, abbigliamento e altri mestieri e non sognano affatto di ripartire. Forse è vero quello che diceva Voltaire : "Ognuno dovrebbe interessarsi a coltivare bene il proprio giardino e ne ricaverà un benessere e un futuro migliore, invece di restare ad attendere e ricevere tutto dagli altri".

Un commercio ben organizzato

Parecchi migranti camerunesi, di ritorno in Camerun, confermano che la schiavitù è un ricco commercio in Libia. Considerato come un commercio risalente a un epoca lontana, oggi nel paese di Mouhammar Kadhafi è una attività ben organizzata e sviluppata. Alcuni giovani migranti in transito verso l'Europa o fissatisi in Libia, sono ora la preda privilegiata di gruppi e di associazioni. Vulnerabili per la loro debole situazione e il loro statuto, queste persone sono una facile preda. In questo mercato di schiavi, la pelle nera è preferita perché più resistente alle crisi e alle intemperie. Per questo i subsahariani sono i più numerosi. La maggior parte delle persone rapite sono generalmente messe in prigione dai loro rapitori. Secondo le dichiarazioni degli ex migranti, le vittime sono oggetto di violenze e di umiliazioni di ogni genere. Molti vi perdono la vita quando non ne escono coperti di segni di sevizie corporali. Secondo loro il mercato di schiavi in Libia non ha prezzo standard. Come in un mercato di bestiame, i prezzi sono fissati secondo l'età, l'apparenza e il sesso della persona venduta. Può essere di 120.000, 200.000, o 300.000 F., se la persona comprata è destinata ai lavori domestici, o agricoli, o di infrastrutture secondo il progetto dell'acquirente. Gli uomini robusti e i giovani sono comprati per i lavori d'Hercole perché più resistenti, secondo le testimonianze degli ex-ostaggi. Le donne generalmente sono destinate ai lavori domestici quando non sono semplicemente messe a servizio dei prosseneti. Una madre con figli costa più cara di una donna senza figli. I migranti più ricalcitranti sono uccisi o gettati nel deserto. (Sainclair Mezinc, Cameroun tribune, 24 novembre 2017)

Non c'è Eldorado fuori dell'Africa

Il professore in scienze politiche Jean Emmanuel Pondi interrogato da Sainclair Mezing afferma:

"L'ossessione della partenza è un errore fatale degli africani. L'Africa possiede ricchezze non ancora esplorate. E' necessario riorganizzarci e credere di più in noi stessi. Nostra enorme deficienza è non avere fiducia in noi e non voler organizzarci. La maggior parte degli africani è estroversa. Pensano che il benessere venga dal di fuori dell'Africa. Illusione fatale e suicida. Nessun continente si è sviluppato contando sugli altri o contando sull'aiuto internazionale. Sono d'accordo sulla cooperazione internazionale ma deve avvenire coi nostri sforzi. Noi dobbiamo essere al centro del nostro processo di cambiamento e progresso. Restiamo noi il motore dello sviluppo. Non è l'immigrazione che ci svilupperà. Non c'è un continente come l'Africa dove esiste la maggior parte delle ricchezze del mondo. I giovani africani lasciano questa terra e le sue ricchezze per rendersi a rischio e pericolo là dove sono trasformati. Dobbiamo rivedere e riprecisare la nostra cooperazione internazionale per il nostro avvenire. In Libia c'è la negazione dell'Humanité africaine".

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Non c'è alternativa al dialogo

9 novembre 2017


Non mancano i segni di speranza nel miglioramento dei rapporti con l'islam. La settimana scorsa, in occasione della conferenza “Oriente e Occidente: dialoghi di civiltà” promossa a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio, Al-Tayyeb, il grande imam di Al-Azhar era stato ricevuto in udienza dal Papa che poi lo aveva invitato a pranzare insieme a Casa Santa Marta.

«Vogliamo vedere – ha spiegato il grande imam – come lavorare insieme per ridurre i patimenti dei poveri, di tutti i sofferenti nel mondo. E devo dire che sono ottimista. Il Pontefice è un uomo simbolo, profondamente buono, ha un cuore inondato di amore, di bene sincero, di desiderio che l’umanità possa beneficiare dello scambio tra le culture».

«Questi incontri non sono un lusso ma una necessità» ha sottolineato Al-Tayyeb. E lo ha fatto annunciando, tra gli applausi dei tanti partecipanti, che Al-Azhar «mette a disposizione le proprie risorse e tutto il proprio contributo per una collaborazione continua per cercare soluzioni al terrore e produrre ogni sforzo per la pace mondiale».

Nel suo articolato intervento, pronunciato in arabo, Al-Tayyeb ha ribadito «la necessità, l’ineluttabilità del dialogo tra Oriente e Occidente, per salvare l’umanità e non ripiombare in un’epoca oscura». Per il grande imam, «la violenza reciproca isola la nostra civiltà rispetto alle precedenti: questo secolo rappresenta un arretramento rispetto al secolo passato... la religione non è un ostacolo al dialogo, ma ne è il fondamento come «cintura di salvataggio », anche se le ideologie laiciste «irridono a questo». Al-Tayyeb ha concluso il suo intervento con l’invito a «rispettare le altre fedi e i loro credenti, rispetto che non può essere inferiore a quello per la propria religione. In questo punto gli estremisti hanno compiuto un passo falso, con la loro spinta a uccidere gli infedeli».


Leggendo la rivista Mondo e Missione

10 novembre 2017

Nell'articolo PIME e MYANMAR scritto nel novembre 2017 da Giorgio Bernardelli e Anna Pozzi ho visto che Papa Francesco arriverà nell'ex Birmania e vi resterà dal 27 al 30 novembre. L'articolo racconta momenti interessanti della storia della amicizia tra Birmania e PIME durata 150 anni. E' meravigliosa la testimonianza del giovane padre John The Thu, missionario del PIME. Racconta : "Ero un bambino e incuriosito dell'italiano parroco. Non sapevo che era del PIME e non sapevo niente del PIME. Si trattava di padre Igino Mattarucco, uno degli ultimi missionari rimasti in Myanmar. Poi conobbi il vescovo Giovanni Gobbato. Noi bambini eravamo incuriositi. Entrato in seminario sentii parlare di Paolo Manna, Felice Tantardini, Clemente Vismara. Quando alcuni missionari vennero a Taunggyi a tenere dei corsi, ho riscoperto la storia della mia diocesi così legata a questo Istituto. Scoprii che la fede che avevo ricevuta come dono prezioso, era frutto anche delle fatiche e dei sacrifici di tanti missionari. Dunque, non potevo tenerla solo dentro di me, dovevo condividerla con altri".

Ora padre John The Thu è missionario in Guinea Bissao. Leggere la sua bellissima testimonianza mi commuove e mi fa risentire la gioia di aver accompagnato altri ragazzi del Camerun verso la missione. Presto ripartirò ancora per il Camerun per dare un corso ai nostri seminaristi sulla storia della missione. Ma nell'articolo ho trovato anche una sorpresa. Il padre The Thu ha pronunciato i nomi dei trevigiani Gobbato e Mattarucco. miei carissimi amici e conterranei. Missionari ormai in Paradiso, di cui oggi non si parla più. Non è vero, si parlerà ancora di loro e di noi. Si ricorderanno e ci ricorderanno i nostri ragazzi indiani, birmani, africani, brasiliani, bengalesi... diventati missionari del PIME come noi. E forse il nostro nome apparirà ancora nella rivista Mondo e Missione.

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Non confondere le anime dei cristiani

5 ottobre 2017


Lo scorso aprile (vedi Fides 26/4/2017) il dipartimento dottrinale della Commissione episcopale copta ortodossa incaricata della pastorale, aveva messo in guardia i propri fedeli rispetto alle attività dei Testimoni di Geova in Egitto. In un documento ufficiale, rilanciato dall'Agenzia Fides, il dipartimento dottrinale copto ortodosso aveva specificato che i Testimoni di Geova sono una sètta non cristiana fondata negli Stati Uniti, le cui origini risalgono al secolo XIX, e i cui adepti non riconoscono la divinità di Gesù Cristo. Lo stesso dipartimento dottrinale ha in particolare lanciato l'allarme intorno ad articoli e messaggi pubblicati sul website arabo intitolato “Ortodossia e Bibbia”, riferendo che dietro alle attività del sito online ci sarebbero gli stessi Testimoni di Geova, e il loro intento sarebbe quello di confondere le anime dei cristiani per farli allontanare dalla fede custodita e proposta dalla Chiesa copta. (GV) (Agenzia Fides 4/10/2017).


Il Papa ai Metodisti, insieme sulla via della piena comunione

20 ottobre 2017


Emanuela Campanile scrive nell'Osservatore Romano del 19 ottobre: - Papa Francesco ha aperto il suo discorso alla Delegazione del Consiglio Metodista Mondiale, ricevuta oggi. L’occasione è stata l’anniversario del cinquantesimo dall’inizio del dialogo teologico metodista-cattolico, un cammino in cui “siamo fratelli che, dopo un lungo distacco, sono felici di ritrovarsi e riscoprirsi a vicenda”. “Gli altri familiari di Dio possono aiutarci ad avvicinarci ancora di più al Signore - ha proseguito il Papa, ricordando l’invito alla santità del teologo John Wesley, fondatore del movimento protestante metodista - e stimolarci a offrire una testimonianza più fedele al Vangelo”. Fede tangibile che “si concretizza nell’amore” e in particolare "nel servizio ai poveri", come risposta all’antico invito della Parola: Proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti”. Si tratta della “stessa chiamata alla santità che, essendo chiamata alla vita di comunione con Dio - ha evidenziato Francesco - è necessariamente chiamata alla comunione con gli altri”. Da qui, l’esortazione a “crescere in una comunione maggiore”, di proseguire il cammino “con la nuova fase di dialogo che sta per avviarsi sul tema della riconciliazione”, nella certezza dell’opera dello Spirito di Dio che sempre crea carismi nuovi e “il miracolo dell’unità riconciliata”.


Eccomi!

22 ottobre 2017


Sabato scorso, 21 ottobre, nel Duomo gremito di Milano, l'arcivescovo Mario Delpini, ha consegnato il crocifisso ai "Fidei Donum" ambrosiani e ha detto : "Il Vangelo non chiede le nostre cose, ma la nostra risposta libera, lieta, fiduciosa. La pratica del gesto minimo si riassume in una parola : eccomi!

Eccomi, adesso consegno tutta la libertà di cui dispongo;

eccomi, per un'ora di servizio ai poveri;

eccomi, per preparare una torta per il banco missionario;

eccomi, per 15 giorni d'estate in Brasile;

eccomi, per una classe di catechismo;

eccomi, per un anno di discernimento vocazionale;

eccomi, per consegnarmi ad un amore che sia fedele per tutta la vita;

eccomi, per andare in croce a morire!


19 cattolici assassinati in Algeria presto BEATI

24 ottobre 2017


Il primo settembre scorso Papa Francesco ha ricevuto Mgr Paul Desfarges, arcivescovo di Algeri, accompagnato da Jean-Paul Vesco, vescovo di Oran e dal padre Thomas Geogeon, postulatore della causa di beatificazione e ha ascoltato la domanda portata dalla Chiesa dell'Algeria. L'arcivescovo di Algeri ha rilasciato in una intervista: "Nel dialogo col Papa non potevamo pensare ai nostri martiri senza pensare a tutti i martiri dell'Algeria. Il decreto di beatificazione non è ancora firmato dal Papa. Presto ci sarà una dichiarazione di questa beatificazione. Ho accettato di parlarne perchè è bene che ci prepariamo a questa grazia, e ne abbiamo discusso col Papa che si è mostrato attento a questa causa di fratelli e di sorelle. In prima linea c'è il nome di Mgr Pierre Claverie, assassinato a Orano e nel gruppo ci sono i monaci di Tibherine. L'attenzione del Papa è soprattutto rivolta alla sofferenza del popolo algerino. L'assassinio dei 19 dei nostri fratelli e sorelle avvenne in mezzo a un popolo martoriato e le sue ferite non sono ancora cicatrizzate. I nostri fratelli martiri non sono che una goccia dentro un oceano di violenza che ha veramente martirizzato l'Algeria durante una decina d'anni, e sì, non potevamo pensare ai nostri martiri senza pensare a tutti i martiri dell'Algeria; cioè a quelli e a quelle che hanno dato anch'essi la loro vita, nella fedeltà alla loro fede in Dio e alla loro coscenza. Penso, e l'abbiamo ricordato al Papa, al centinaio d'imams, uccisi per non aver firmato le fatwas che giustificavano la violenza. Penso agli intellettuali, ai giornalisti, agli scrittori... ma soprattutto alla povera gente, ai padri, alle madri che rifiutavano di obbedire agli ordini dei gruppi armati. Abbiamo voluto dire al Papa che questa beatificazione, quando sarà annunciata, sia una sorgente di pace, di pace per tutti. Nella Chiesa viviamo in pace, nel perdono, ma desideriamo che la beatificazione sia anche una grazia per tutto il popolo algerino. Che ci aiuti a procedere insieme sul cammino della pace e della riconciliazione e, se ci sarà data la grazia, anche del perdono.

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Arrivederci in Paradiso

18 settembre 2017


Julian Carròn, nell'opuscolo con i testi degli esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione IL MIO CUORE E' LIETO PERCHE' TU, CRISTO, VIVI ( Rimini 2017), scrive:

"L'anno scorso mi ha molto colpito un fatto. Un immigrato musulmano arriva in Italia e viene assegnato a un centro di accoglienza. Un volontario gli domanda: "Vuoi carne o pesce?" E lui si mette a piangere. Non era un sentimentale. "Perché piangi?", gli chiede; e lui racconta di avere lavorato diciotto anni sotto un padrone che lo trattava sempre a bacchettate. Ma ora, tra gli "infedeli", qualcuno lo chiamava finalmente col suo nome e gli chiedeva addirittura se volesse scegliere dal menu. "Questa gente andrà all'inferno?", è stata la sua domanda finale. Quando raccontavo questo, durante una conversazione in Italia, ho detto: "Non esageriamo dicendo che noi italiani accogliamo bene e che ciò dipende dalla nostra educazione. No, non è questione di "buona educazione". Deve venire uno da fuori perché ci rendiamo conto del dono profondo che abbiamo ricevuto e che è diventato parte del nostro modo di guardare la realtà? Si tratta di qualcosa che non sarebbe accaduto, che non ci apparterebbe, se Cristo non fosse entrato nella storia e se Cristo non vivesse in noi. Forse ne abbiamo perso la consapevolezza".

Durante i 10 anni vissuti coi musulmani dell'Algeria, quante volte i miei amici e soprattutto le mie amiche mi dicevano con tristezza: "Ci vogliamo bene. Peccato che non sarai con noi in Paradiso". Ma sono riuscito a vivere tra loro lasciandomi voler bene. Quando sono partito, parecchi mi hanno detto: "Arrivederci in Paradiso".

Forse si sono accorti che c'era qualcosa di importante in me cristiano, come ha detto Julian Carròn.

Non «cultura della paura» e xenofobia.

27 settembre 2017


Invito a leggere una parte del testo integrale della prima prolusione del card. Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani, in apertura dei lavori del Consiglio permanente della Cei (Roma, 25-27 settembre 2017)

Accogliere i migranti è un primo gesto, ma c’è una responsabilità ulteriore, prolungata nel tempo, con cui misurarsi con prudenza, intelligenza e realismo. Non a caso il Santo Padre, di ritorno dalla Colombia, ha ricordato che per affrontare la questione migratoria occorre anche «prudenza, integrazione e vicinanza umanitaria». Tale processo va affrontato con grande carità e con altrettanta grande responsabilità salvaguardando i diritti di chi arriva e i diritti di chi accoglie e porge la mano.

Il processo di integrazione richiede, innanzitutto, di fronteggiare, da un punto di vista pastorale e culturale, la diffusione di una «cultura della paura» e il riemergere drammatico della xenofobia. Come pastori non possiamo non essere vicini alle paure delle famiglie e del popolo. Tuttavia, enfatizzare e alimentare queste paure, non solo non è in alcun modo un comportamento cristiano, ma potrebbe essere la causa di una fratricida guerra tra i poveri nelle nostre periferie. Un’eventualità che va scongiurata in ogni modo.

Infine, alla luce del Vangelo e dell’esperienza di umanità della Chiesa, penso che la costruzione di questo processo di integrazione possa passare anche attraverso il riconoscimento di una nuova cittadinanza, che favorisca la promozione della persona umana e la partecipazione alla vita pubblica di quegli uomini e donne che sono nati in Italia, che parlano la nostra lingua e assumono la nostra memoria storica, con i valori che porta con sé.

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Che significa BOSA che i migranti gridano?

1 settembre 2017


Negli articoli sui migranti di Avvenire leggo:

Le difficoltà sulla tratta libica spingono tanti a prendere un percorso alternativo. L’enclave spagnola in Marocco è la nuova via. Il «muro» e le retate non fermano i migranti.

Ci ha messo sette mesi per arrivare dal Camerun a Benyunes, distesa di gole e boschi fra Tangeri e Ceuta dove i subsahariani si nascondono in attesa di provare a scavalcare. E, ora, crede di avercela fatta.«Bosa», si dice nella lingua africana fula: così gridano i migranti al toccare l’enclave spagnola. «Bosa», ripete Dominique, 19 anni dichiarati, molti di meno a vederlo, mentre mangia riso e salsa piccante – il suo piatto preferito – insieme a Luigina, Carmen, Gloria e Paloma, le quattro Piccole sorelle di Gesù che, nel quartiere periferico di Hadu, hanno creato un’oasi per gli scartati della globalizzazione. Il loro appartamento – modesto e, al contempo, curatissimo – è aperto h24 per chi ha superato la “valla” e ancora non sa che, dopo sei-sette mesi al Centro di permanenza temporanea (Ceti) di Ceuta, avrà un biglietto per un centro di espulsione nella Penisola. Da cui, nella peggiore delle ipotesi, uscirà per essere rimpatriato.

Che bella sorpresa per me leggere la parola Bosa e vederla tradotta Vittoria in qualche articolo, come anche in quello di Lucia Capuzzi "Qui non siete corpi estranei " sulle Piccole Sorelle di Gesù. Può darsi che la traduzione sia giusta. Ma per anni nel nord del Camerun e in Ciad, ho interrogato Tupuri, Foulbé , (fula in altri paesi) Massa e Guiziga che usavano la stessa parola per poter tradurla in francese o in italiano e non ero arrivato a una conclusione. Ero giunto solo a questo : "Sei tu, fa tu", intendendo la loro divinità.

Nella mia vita di missionario, a contatto con tanta gente di culture e religioni diverse, continuavo a cercare di capire il significato di certe parole. Alcune parole di una lingua diversa dalla tua, sono intraducibili soprattutto quando sono cariche di sentimento e di fede.

Ricordo l’emozione vissuta dopo aver accompagnato a casa un camerunese che ritornava da sua madre dopo anni di vita in Gabon. Nel totale silenzio, la madre si era stesa a terra, e alzava per tre volte le mani verso cielo dicendo Bosa, Bosa, Bosa.

Come il padre del bambino appena nato che secondo la sua tradizione, per tre giorni, mattina, mezzogiorno e sera si reca su un’altura e presenta il bimbo al cielo e dice: Bosa, Bosa, Bosa. O la gente che in momenti forti, come trovando l’acqua, o dopo la morte a causa un fulmine, o alla nascita di un figlio, grida: “Bosa, bosa, bosa” per dire, (penso io): “Sei tu che fai, sei tu”.

Il camerunese Dominique arrivando a Benyunes gridò Bosa, Bosa, Bosa ! Non credo abbia voluto dire solo Vittoria ! Penso abbia detto: “ Sei tu che fai, sei tu”. Sarei contento se qualcuno mi trovasse un'altra traduzione.

Il senso della presenza e dell’azione del trascendente accompagna e riempie ancora tutta l’esistenza di molti popoli e questo diventa una testimonianza e può accomunarci.

Accogliere Papa Giovanni col cuore nuovo

13 settembre 3017


Turoldo era convinto che Giovanni XXIII continuava a essere vivo più di quanto non si pensava, non solo vivo nella devozione popolare - segno di quanto il popolo ci tenga ai suoi santi...- ma vivo nella cultura e nella storia. E ricordava che il Papa il giorno dell'apertura del Concilio, diceva che quanto stava avvenendo era "appena un'aurora".

Oggi quindi, durante l'attesa della venuta del santo Papa Giovanni a Sotto il Monte, potremmo impegnarci a conoscere meglio la pagina evangelica che ci ha donato con la sua vita e la pagina che ha aperto per un nuovo volto della Chiesa e del mondo intero. Prepararci anche interiormente per cogliere il suo desiderio di vederci veri discepoli di Cristo Gesù.

Ero a Yaounde, capitale del Camerun, per preparare con un gruppo di laici la venuta di Papa Giovanni Paolo II. Fuori del nostro locale, un ammalato di mente ci disturbava col suo vociare. Mi sedetti accanto a lui e gli dissi : "Tu sai che sta arrivando a Yaounde un grande personaggio. Tu cosa pensi? Come dobbiamo accoglierlo?" L'ammalato si calma, si fa serio e poi dice, solenne : "Un tipo così, lo si accoglie con un cuore puro!"

Per prepararci ad accogliere Papa Giovanni ho cercato nel Giornale dell'anima, scritto da papa Giovanni, un suo pensiero sul cuore per immaginare come desidera essere accolto e ho trovato: "Gesù mite e umile di cuore, fa che il mio cuore sia d'accordo col tuo. E ancora : Crea in me un cuore puro e uno spirito saldo. Il cuore è la volontà, e lo spirito è l'intelletto. Volontà monda, adunque, occorre, e intelletto rinnovato. Ohimè, quanti attacchi, quante tentazioni assediano la volontà, specialmente dalla parte del sentimento: oggetti, persone, circostan¬ze! Il fascino dell'ambiente, talora l'incontro fortuito, la mettono a dura prova. Da sé il cuore non regge. Quando poi si è sciupato, lasciandosi infiacchire dalle superfluità, è necessaria una creazio¬ne novella. Rattoppi valgono poco. Presto si torna alla caduta. Il cuore di Paolo, il cuore di Agostino, furono creazione nuova".

E papa Giovanni che cosa ci dirà e che cosa ci porterà?

Ho trovato in un libro questo grazioso racconto scritto da monsignor Scavizzi : Nel vaporetto, alcuni veneziani commentano il discorso che il patriarca Roncalli, appena arrivato, aveva pronunciato il giorno del suo arrivo: "Non ha detto cose grosse e difficili, a ha parlato col cuore. Ma il più bello è stato quando ci ha detto che, non potendo darci ricchezze materiali, ci dava la sua unica ricchezza, il cuore, l'amore di padre, senza limitazioni".

Papa Giovanni ci porterà il suo cuore!

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La metà del Cielo muove il Cielo

25 agosto 2017


"Sarà quel che sarà, ma l'aggettivo "impossibile" ha perso la prima sillaba". Così Umberto Folena chiude il suo articolo su Avvenire del 24 agosto '17 : L'altra metà del cielo che costruirà la pace.

Alisa Eshet Moses è ebrea. Gadir Hani è araba. Entrambe vivono in Israele. Sono esponenti di spicco di WWP, Women Wage Peace, il movimento per la pace a cui aderiscono 20mila donne ebree, musulmane e cristiane. "Diventeremo 6, 7milioni, dice Eshet, e non potranno ignorarci ". Che cosa vogliono queste donne? Eshet, isreliana con madre nata in Marocco e padre nato in India, dice chiaro: "Vogliamo diventare una lobby e fare azione per influenzare la politica obbligandola alla pace". Sono sognatrici capaci di realismo, sognatrici con obiettivi chiarissimi. "Siamo di destra e di sinistra... ma tutte attraversate dall'identico malessere. Vogliamo offrire occasioni di incontro a chi non si è mai incontrato per incominciare a scoprire gli elementi comuni alle nostre fedi e dimostrare quanto sono vicine. Il cambiamento sarà graduale, passerà dalle scuole, ma ciò che unisce le donne è il bene più grande : la pace. Non siamo d'accordo su tutto, ma possiamo, dobbiamo dialogare. Stiamo creando una nuova "lingua di pace", che ci permette di parlarne, discuterne, cercare di risolvere i problemi senza ricorrere alla violenza. Riuniamo le donne e abbattiamo i muri tra noi".

Sono donne, mogli e madri. Eshet racconta la sua angoscia, le notti insonni mentre la figlia soldatessa è in guerra. "Ci hanno sempre escluse dai negoziati. Ma quando saremo tante, tantissime, non potranno ignorarci. Nel nostro movimento il 20 per cento è fatto di uomini. Ma a comandare, siamo noi donne".

Sarà quel che sarà, ma l'aggettivo "impossibile" ha perso la prima sillaba.

Le donne dell'articolo fanno pensare alla figlia di Israele, Maria, e alla Cananea che hanno aiutato Gesù a dare gioia e a liberare dal male. Due donne della Metà del Cielo che hanno mosso il Cielo.

Affascinati dalla morte

28 agosto 2017


“Quello che ci fa paura nel terrorismo islamico non è la violenza ma il fascino per la morte di chi si immola. Sono persone che amano la morte”. Lo ha affermato questa pomeriggio Olivier Roy, docente dell’Istituto universitario europeo, intervenendo all’incontro “Tra nichilismo e jihadismo: la sfida di ricostruire la civiltà nello spazio pubblico” svoltosi al Meeting di Rimini, la scorsa settimana. “Il fondamentalismo religioso non è niente di nuovo – ha spiegato l’intellettuale francese – ma è nuovo l’attentato suicida in nome della religione”, “Circa il 25% dei volontari occidentali – ha proseguito – vanno a fare la jihad in Siria e sono convertiti, “la maggioranza dei giovani terroristi non ha una conoscenza religiosa. “C’è una sorta di mancanza di integrazione sociale in loro. I giovani rimproverano ai genitori di essere cattivi mussulmani e rifiutano l’islam dei genitori”. “Cancellano la storia”, “rifiutano la cultura, qualsiasi tipo di cultura, anche musulmana”, ha aggiunto. “L’elemento principale della loro azione è che tutti muoiono, dal 1997/2000 quasi tutti si uccidono o si fanno uccidere. “Per lottare contro questo nichilismo”, secondo Roy, bisogna “non lasciare la religione nelle mani dei radicali e offrire uno spazio di spiritualità all’interno di una società profondamente laicizzata".


Libia - Algeria. Migranti

30 agosto 2017


«Le guardie carcerarie uccidono la gente e la gettano in una buca. Chiudono la buca soltanto quando è piena di corpi». È il racconto di un migrante salvato domenica scorsa dalla nave Aquarius della Ong internazionale Sos Mediterranée. A descrivere le torture a cui sarebbero sottoposti coloro che attendono di partire per l'Europa è stato un camerunense di circa 20 anni. «Tutte le persone che vedete qui - ha detto facendo riferimento agli altri sopravvissuti - sono passate attraverso tante prove, sono morte dentro da molto tempo, anche le loro famiglie devono credere che siano morti. Oggi è come una resurrezione».

Sulla scia di questi racconti, la Ong lancia l'ennesimo appello all'Unione europea, affinché non riduca le proprie responsabilità nel Mediterraneo. Il riferimento va agli accordi che sono stati fatti con la guardia costiera libica per il controllo dei propri confini territoriali e il contrasto all'attività dei trafficanti. Secondo molti, infatti, le autorità libiche al momento non sarebbero un interlocutore all'altezza per la gestione della situazione.

Negli ultimi mesi l’Algeria ha intensificato i rimpatri di immigrati regolari provenienti dall’Africa subsahariana. Ma il contesto di queste operazioni è una campagna xenofoba condotta da alcune autorità e dai media.

Il Sahara non è mai stata la destinazione finale dell’immigrazione proveniente da sud, ma negli ultimi anni le città del deserto algerino sono diventati snodi importanti della rotta che conduce verso l’Europa, dai quali transitano molti migranti provenienti dall’Africa subsahariana. Un flusso che ha innescato tensioni razziali fra i nordafricani di cultura araba e i neri, con numerosi attacchi nei confronti di questi ultimi in tutta l’Algeria.

Lo scorso luglio, durante un’intervista al canale televisivo Ennahar, Ahmed Ouyahia, ministro e direttore di gabinetto della Presidenza, ha dichiarato che i migranti che risiedono illegalmente in Algeria sono «l’origine del crimine, della droga, e delle malattie». Questa volta, il nuovo presidente della Commissione nazionale algerina per la promozione dei diritti umani Noureddine Benissad ha condannato le parole di Ouyahia affermando che un migrante «non è un delinquente o un criminale o un propagatore di malattie», dimostrando così un cambiamento di rotta rispetto al suo predecessore. Ma la “patologizzazione” dei migranti neri, come la chiama Hagan, non si è fermata e scava un solco sempre più profondo fra il Nord Africa e l’Africa subsahariana, cavalcando una retorica di un’area separata del continente “pulita e vergine” che ha bisogno di proteggere sé stessa da una “vile”, e “infettiva”, Africa nera.

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L'Algeria rimpatria ma potrebbe anche integrare migranti

5 agosto 2017


“Per far fronte al fenomeno dell’immigrazione irregolare e lottare contro le reti della tratta della persone, le autorità algerine hanno deciso, in stretto coordinamento con quelle nigerine, la ripresa dal 1° agosto, delle operazioni di rimpatrio dei cittadini nigerini in posizione irregolare in Algeria” ha annunciato il portavoce del Ministro degli Affari esterni algerino, Benali Cherif. “I rimpatri-ha aggiunto Cherif- fanno parte di una serie di misure prese dal governo algerino per rafforzare la collaborazione con i Paesi dell’Africa sub-sahariana, in particolare Niger e Mali, per frenare il flusso delle migrazioni irregolari che il nostro Paese sta affrontando”.In Algeria arrivano diversi migranti in posizione irregolare, provenienti da Paesi dell’Africa sub-sahariana, in particolare da Niger, Mali e Burkina Faso. Non vi sono statistiche ufficiali dei migranti sub-sahariani in Algeria.. Secondo stime non ufficiali sono circa 100.000.

Alcuni di loro cercano lavoro in Algeria, altri sono invece in transito verso l’Europa, attraverso la Libia.Le autorità algerine rinviano i migranti nigerini nel loro Paese con convogli di autoveicoli. Il campo di Dar El Beïda, alla periferia di Algeri, è stato smantellato.

Il primo ministro Abdelmadjid Tebboune ha annunciato un piano per integrare i migranti nel settore agricolo e delle costruzioni. Molti impresari e proprietari algerini vivono già questo tipo di 'ospitalità' e non approvano il rinvio al loro paese di gente da cui ricavare dei vantaggi. Altre persone influenti del paese criticano la proposta di integrazione perché vedono nei migranti un pericolo per la sicurezza del paese.


Come Papa Giovanni

9 agosto 2017


E' bello accostare a Papa Giovanni l'emerito arcivescovo di Milano, il cardinale Tettamanzi. E' ricordare quanto erano immagini vicine tra loro e di Gesù di Nazareth, come lo definì il card Scola: Testimone fedele di Gesù. E' ricordare quanto ci hanno toccato in alcuni momenti della nostra esistenza. E' renderli ancora vivi, l'uno accanto all'altro. La giornalista Annamaria Bracconi ci dice in un titolo di Avvenire : "E' stato facile voler bene a Tettamanzi". Ecco alcune testimonianze nel suo articolo: "Per me, era una persona buona sostanzialmente e semplicemente, dice Paolo, impiegato di mezza età. E' un poco come Papa Giovanni XXIII. Penso sempre a quella frase : "Quando tornerete a casa, fate una carezza ai vostri bambini". "Mi pare che sia giusto definirlo Il cardinale delle mani. Quando veniva nelle nostre parrocchie, si fermava a stringere la mano a tutti. Mi ha stretto la mano e mi ha rivolto qualche parole al termine della messa".

Nel suo lungo telegramma, papa Francesco lo ha dichiarato Amato e amabile.

In una bella lettera alle famiglie nella prova, dal titolo Eppure tu vedi l'affanno e il dolore, il cardinale Tettamanzi terminava con la preghiera : "Quante famiglie, Signore, vivono ogni giornata fin dall'inizio, come una lotta e un affanno... Eppure tu, Signore, non hai chuso gli occhi, ... non sei assente, Signore. Manda il tuo Spirito Consolatore .... perché nessuno si senta abbandonato o dimenticato".

Il Signore non chiude mai gli occhi, non è assente. Ci ha mandato Papa Giovanni, ci ha mandato il cardinale Tettamanzi. Sentiamoli ancora vivi, vicini.

Un musulmano scrive trenta lettere a Padre Hamel

11 agosto 2017


Mohammed Nadim, franco-algerino, al prete ucciso ai piedi dell'altare da due giovani musulmani di 19 anni, scrive : "Dove siamo, padre mio, dove siamo? Non sappiamo più dove andare... quale direzione prendere. Sono venuti con un grande vuoto nel cuore e l'hanno riempito di un progetto a lungo fermentato nel loro spirito, proclamando alto e forte di amare Dio e il suo profeta".

Nadim è prostrato, impotente, rivoltato davanti alla violenza commessa in nome di una religione che è anche la sua. Musulmano praticante vuole dichiarare il suo malessere, la sua collera, e condividere le sue domande di fede, vita, amore, martirio e difficoltà di vivere insieme. Mons Lebrun, arcivescovo di Rouen, nella prefazione al libro delle lettere scrive : "Mirabile cammino spirituale, non ancora concluso".

Di Nadim, non sappiamo niente. Le lettere le ha scritte da Timimun, oasi dell'Algeria del Sud. Frequenta e conosce la Chiesa attraverso gli scritti di Agostino, i suoi martiri, Popieluszko assassinato in Polonia, Romero ucciso durante la messa in Salvador e i sette monaci di Tibhirine. Alla loro memoria vorrebbe costruire un ospedale o un orfanatrofio, qualcosa che accoglie, che protegge...

Scrive con rabbia : "Ho un sentimento di rivolta, che non amo, ma che mi resta dentro insieme alla paura... di non fare il gesto che devo fare, di non dire la frase che devo dire. Ma accetta di lasciarsi attraversare da questi movimenti interiori contradittori. Poetiche... queste meditazioni si trasformano in preghiere d'intercessione per Padre Hamel e la sua famiglia. Domanda perdono in nome degli uomini, non in nome della sua religione, loda pure tutti quelli che in seno alla Chiesa restano capaci di tenere in tali circostanze un discorso di pace bello e generoso.

Conclude: "Padre mio, non fate attenzione a questa storia, non cambiate le vostre abitudini e lasciatevi invadere da sogni meravigliosi (...). Crede di aver preso la vostra vita e forse ha sorriso davanti al sangue, forse... ma già da tempi lontani, da secoli, da mille anni, la vostra vita l'avevate già data ai vostri fratelli, alla Chiesa e a Dio".

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Finito l'Isis, finirà anche il jihadismo?

3 luglio 2017


Il cardinale Scola Arcivescovo di Milano e presidente Fondazione Oasis ha fatto un intervento su i segnali contraddittori dell'Islam contemporanei al Comitato scientifico della Fondazione Oasis. Dall'articolo nel Corriere della sera di domenica 2 luglio, colgo alcune frasi.

"Il fenomeno del jihadismo non scomparirà neppure nel momento in cui venisse meno la sua dimensione territoriale in Siria e Iraq. Non va dimenticato che vi sono altre aree di crisi, come la Libia, in cui le formazioni jihadiste «persistono e si estendono», per citare un loro slogan... Vorrei, a questo proposito, concentrarmi su due fenomeni: da un lato la crescente istituzionalizzazione dell’Islam, per poter definire chi parla per i musulmani; dall’altro un inedito dibattito su che cos’è l’Islam, stimolato anch’esso dalle efferate azioni dei gruppi jihadisti... Questo dibattito propone, a mio avviso, il tema della libertà... Sono contento di constatare che sempre più numerosi autori musulmani, di fede o di cultura, interloquiscono con Fondazione Oasis, certi che il metodo adottato — una volta l’ho riassunto nella formula «parlare con i musulmani, non sui musulmani» — sia l’unico in grado di leggere veramente la complessa situazione dell’Islam contemporaneo, decifrando i contraddittori segnali che esso lancia... Nel mio ultimo libro, Postcristianesimo, ho cercato di proporre alcune riflessioni, che stanno sotto il duplice segno del malessere e della speranza. Un malessere che, per singolare coincidenza con quanto sta avvenendo nel mondo islamico, è legato in larga misura proprio alla libertà, o meglio a una concezione ridotta della libertà, intesa come assenza di vincoli, strutturalmente opposta a un’autorità vissuta sempre come oppressiva.... In ogni caso sono convinto che l’orrendo jihadismo, nella sua versione europea, resti più il tragico sintomo di una grave prova che un reale progetto alternativo. Esso sembra a me una forma di antimodernità...

È anzi evidente che esiste un ampio lavoro di studio da fare per comprendere le radici culturali di questo fenomeno. Ma occorre liberarsi dall’illusione che, sconfitto il jihadismo, le società europee si libererebbero delle loro contraddizioni per entrare finalmente nella «fine della storia». No, sconfitto il jihadismo, le società europee si ritroveranno con i loro problemi. O, per dirla in un altro modo, solo risolvendo i problemi generati da un liberismo soffocante le società europee saranno in grado di sconfiggere il jihadismo. Proprio per questo mi pare centrale ricercare una vera e propria alleanza con quanti, nel mondo musulmano, mettono oggi a tema la questione della libertà, senza rinunciare a declinarla in modo non relativistico e quindi mantenendola ancorata a un riferimento veritativo. È questa la vera alleanza che, anche come Oasis, dobbiamo cercare: non un’alleanza contro, ma per qualcosa, un’alleanza che passa attraverso i confini, che unisce e non divide. Papa Francesco, durante la sua visita a Milano, ha suonato la «sveglia» e rinnovato il grande insegnamento del suo viaggio in Egitto, in particolare laddove ha affermato che «l’unico estremismo ammesso per i credenti è quello della carità".

Al Azhar presenta un progetto di legge contro la propaganda estremista

11 luglio 2017


L' 1 luglio 2017 l'Osservatore Romano pubblica:

Nessuna violenza in nome del Corano. È quanto ribadisce il testo di una proposta di legge, tesa appunto a contrastare le violenze e le propagande settarie compiute in nome della religione islamica, che in questi giorni gli studiosi dell’università di Al Azhar, principale centro teologico-accademico dell’islam sunnita, hanno sottoposto agli uffici della presidenza della Repubblica egiziana. Lo ha riferito lo stesso Ahmed Al-Tayyib, grande imam di Al Azhar, specificando che il progetto di legge punta nella sostanza a riaffermare la totale incompatibilità tra la violenza giustificata con argomenti religiosi e la legge islamica.

Il progetto di legge, approvato dagli studiosi di Al Azhar e successivamente presentato ai collaboratori del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, punta dunque a ridurre le manifestazioni di odio e di intolleranza promosse da gruppi estremisti e a riproporre il principio di cittadinanza come base di una convivenza pacifica tra connazionali appartenenti a diverse componenti religiose. Un tentativo di arginare soprattutto quelle ondate terroristiche che ormai ciclicamente investono e tendono a destabilizzare l’Egitto colpendo con particolare virulenza i fedeli della Chiesa copta, la più folta comunità cristiana del Medio oriente.

Il testo, riferisce l’agenzia Fides, evita di entrare nel dettaglio delle singole pene da infliggere a chi si rende responsabile di istigazione all’odio religioso e dei crimini a esso collegati, che andranno dunque specificate dall’organo legislativo. Tuttavia, numerosi osservatori ritengono come l’iniziativa abbia il palese obiettivo di esprimere una netta presa di distanze di Al Azhar nei confronti di teorie e propagande che in seno alla variegata comunità islamica giustificano l’odio e la violenza citando il Corano e facendo uso di argomenti a sfondo religioso.

I monaci di Tibherine (Algeria), martiri o santi per amore?

12 luglio 2017


Oggi Papa Francesco ha istituito, con il motu proprio "Maiorem hac dilectionem", una nuova "fattispecie dell'iter di beatificazione e di canonizzazione" (art. 1) volta a riconoscere l'esistenza de "l'eroica offerta della vita, suggerita e sostenuta dalla carità". Questo ci aiuta a riconoscere meglio quali siano i tratti del cambiamento d'epoca che stiamo vivendo.

Il "punto focale" di questa nuova via per la santità, infatti, è quello dell'offerta della vita "propter caritatem" (a motivo della carità): una fattispecie che permette di riconoscere una speciale configurazione a Cristo — e un corrispondente dono dello Spirito che la sostiene e la rende possibile — in situazioni nelle quali da parte dell'uccisore o del persecutore non vi è nemmeno l'intenzione di agire "in odium fidei", ma semplicemente una tale mancanza di umanità, che arriva a sfigurare completamente in lui l'immagine di Dio. E davanti a questa situazione — di cui tanti tragici esempi abbiamo davanti agli occhi — la testimonianza dell'offerta della vita per amore è innanzitutto la via per dimostrare che la fede in Cristo ridona all'uomo tutta la sua dignità, capace di dire una parola nuova anche a chi è ormai divenuto insensibile alla stessa percezione della presenza di Dio.

Frère Christian, il priore, e i suoi confratelli, monaci di Tibherine, Luc, Christophe, Michel, Bruno, Célestin e Paul caddero «vittime del terrorismo che sembrava voler coinvolgere tutti gli stranieri che vivevano in Algeria», come scrisse nel suo testamento - un testo di pregnanza cristiana paragonabile a quella che emerge dagli Acta Martyrum dei primi secoli. I sette monaci furono gli ultimi di 18 religiosi e religiose vittime di una violenza cieca; dopo di loro cadde ancora il vescovo di Orano, il domenicano padre Pierre Claverie, assassinato assieme al suo giovane autista musulmano al ritorno da una celebrazione in memoria dei sette monaci dell'Atlas.

Eppure, ciascuna di queste vittime, così come ognuno dei pochi, umili, ma fieri cristiani rimasti in Algeria, a cominciare dall'arcivescovo di Algeri, monsignor Henri Teissier, ha fatto proprio con la sua vita quanto scriveva ancora frère Christian nel testamento: «Sarebbe un prezzo troppo caro, per quella che, forse, chiameranno la "grazia del martirio" il doverla a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l'Islam. So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell'Islam che un certo islamismo incoraggia. È troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti. L'Algeria e l'Islam, per me, sono un'altra cosa: sono un corpo e un'anima».

Il documento del Papa invita a meditare sul senso del martirio, oggi. Pensando ai martiri di Tibherine: Il cristiano segue le orme di Gesù. Il martirio dei monaci è fedeltà a un popolo come quello di Gesù per l’umanità. Nell’ultima cena Gesù fece dono della vita, dono che visse poi sulla croce. Anche nei monaci ci fu offerta della vita e il sacrificio. Christian diceva: “Non sarà l’Emir Sayat a prendermi la vita, perché l’ho gia donata”.

Christian spinge il suo amore per il suo popolo fino a non volere che qualcuno sia responsabile della sua morte. Diceva: “Non voglio chiedere una tale morte. Voglio crederlo, professarlo. Non voglio e non sarei contento se questo popolo che amo potesse esser accusato del mio martirio”.

Restare a Tibherine fu solo per fedeltà a quello in cui i monaci credevano, non una provocazione. Nel martirio ciò che è più importante non è la morte violenta, ma il dono della vita. Non è necessario un assassino, ma che ci sia un testimone di amore. E questa è la vocazione di ogni uomo, non solo del cristiano.

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Il Rosario del Santo Papa Giovanni

21 giugno 2017

Leggendo il giornale dell'anima che Angelo Giuseppe Roncalli incominciò a scrivere fin dai suoi primi anni, troviamo il racconto della sua vita, i suoi pensieri e i propositi di vita impegnata. Ora possiamo leggere come il Rosario imparato e recitato tutte le sere sulle braccia della mamma, quando era bambino, e che poi diventò una parte importante ed amata della sua giornata.

Faccio mia formale e solenne promessa alla Madonna, mia carissima madre, di recitare in quest'anno nuovo ( 1914 ), con una speciale devozione, tutte le sere, il santo rosario.

Fra i più bei conforti della vita vi è questo: di essermi sempre mantenuto fedele alla pratica del Rosario.

Il Rosario che fin dall'inizio del 1958 mi sono impegnato di recitare devotamente tutto intero, è divenuto esercizio di continuata meditazione e di contemplazione tranquilla e quotidiana che tiene aperto il mio spirito sul campo vastissimo del mio magistero e ministero di pastore massimo della Chiesa e di padre universale delle anime. Gusto di più il rosario e la meditazione dei misteri con le intenzioni in ginocchio presso il sacro velo dell'Eucaristia.

Leone XIII più volte invitò il mondo cristiano alla recita del rosario come esercizio di sacra e benefica meditazione, nutrimento di spirituale elevazione e intercessione di grazie celesti per tutta la Chiesa.

Eccovi la Bibbia dei poveri. Come vorrei questa divozione più diffusa nelle vostre anime, nelle vostre famiglie, in tutte le chiese del mondo.

Chi visita la casa natale di Papa Giovanni e arriva davanti alla sua bella statua, vede che ci sono ogni giorno dei rosari appesi a una mano della statua, il cui volto è reso lucido dalle carezze e dal tocco di tanti pellegrini. Alcuni fedeli affidano al Papa con gioia il loro rosario sapendo che andrà lontano, nelle missioni d'Africa, d'Asia, ecc.. I missionari che riceveranno quei rosari, li metteranno nelle mani dei cristiani. Così la preghiera a Maria e l'intercessione del Santo Papa Giovanni continueranno ad unire, alimentare e formare la famiglia dei cristiani.

A Sotto il Monte la preghiera per tutta l'umanità

27 giugno 2017


A Sotto il Monte si viene per pregare accanto a Papa Giovanni. Non solo per chiedere i doni di Dio per se stessi, non solo per dire 'Grazie' per i beni ottenuti, ma anche per unirsi alla preghiera di Papa Giovanni, il grande intercessore che continua a volere il bene per tutta l'umanità. Nel cuore buono di Papa Giovanni c'era sempre posto per le invocazioni, per la preghiera. E continua ancora. Ora vediamolo e ascoltiamolo a Lourdes durante la grande guerra mondiale: "A Lourdes. La Madonna è sempre là nel suo atteggiamento : occhi in alto, mani giunte, labbra in preghiera. Ed in preghiera invita la Bernadetta : "Prega per i poveri peccatori, e per il mondo tanto agitato". Oh la preghiera : la gran cosa che essa è. Non conviene mai dimenticare come Dio l'abbia voluto costituire il vincolo tra cielo e terra e come tutto abbia promesso alla preghiera (...). E seguiamo a pregare per i giovani nostri, perché il Signore li mantenga valorosi, buoni, vincitori di se, delle loro passioni, dei loro nemici; per coloro che sono rimasti qui nell'aspettazione affannosa, spesso nella incertezza della sorte dei loro cari, spesso nel lutto e nel pianto per le notizie infauste qui giunte e che non rivedranno mai più i loro figli, fratelli, mariti. Preghiamo per tutti nostri fratelli, per tutti noi, affinché attraverso le cure e i dolori della nostra patria terrena possiamo non perdere, ma acquistarci con merito maggiore, la patria celeste".

Eletto papa, si fece ancora più vicino a Gesù risorto, l'intercessore presso il Padre per tutta l'umanità. "Tutto il mondo è la mia famiglia. Questo senso di appartenenza universale deve dare tono alla mia mente, al mio cuore, alle mie azioni. Esso vivificherà la mia costante ed interrotta preghiera quotidiana di unione con Gesù, familiare e confidente".

Per sottolineare il valore della preghiera di intercessione, il Cardinal Carlo Maria Martini il 3 gennaio 2008, ormai libero dal servizio pastorale e residente a Gerusalemme, ha detto: "La preghiera di intercessione appare come un non senso per le persone che guardano solo a questo mondo e che misurano ogni cosa col metro dell’efficienza materiale e del frutto visibile. La preghiera di intercessione è un dono dello Spirito di Dio che lavora per l’unità del piano divino per l’umanità. Questa preghiera è pregna di significato e potente nella sua dinamica, specialmente nel campo della riconciliazione tra gli uomini e tra l’uomo e il suo Dio. La preghiera di intercessione è una conseguenza della legge della mutua appartenenza e della mutua responsabilità. Guarda all’unità del genere umano proponendo a ciascuno l’invito a partecipare alle difficoltà e ai drammi di ogni essere umano e a cooperare al piano di Dio per questo universo. La preghiera di intercessione non consiste soltanto nel raccomandare a Dio le intenzioni di molta gente, ma anche nel domandare il perdono dei peccati dell’umanità e di ogni singola persona. La preghiera di intercessione è una espressione della struttura dell’essere. In essa il primato non è quello della persona che è preoccupata della propria identità e benessere, ma quello della persona-in relazione, che è ha a cuore il bene-essere degli altri. In questo modo nasce un sistema di relazioni attraverso il quale alcune persone possono portare i pesi degli altri e soffrire per essi. Questa legge è molto misteriosa e perciò non sempre considerata, ma è uno dei pilastri del piano di Dio. Da questa struttura dell’essere deriva anche la possibilità e il valore di un vero dialogo interreligioso, dove ciascuno accetta di riconoscere non soltanto il valore dell’altro, ma anche di soppesare con pace le critiche che vengono fatte alla propria tradizione. Da tutto questo deriva la necessità e l’urgenza della preghiera di intercessione. Essa è necessaria perché corrisponde all’intimo dell’Essere divino e porta in questo mondo l’immagine del mondo a venire e del grande mistero che sarà rivelato alla fine dei tempi. È urgente, perché la necessità dell’umanità di superare oggi la violenza è terribilmente pressante e chiama all’azione tutta la gente di buona volontà".

Papa Giovanni torna a casa. Che significato ha la sua venuta?

30 giugno 207

Monsignor Beschi, vescovo di Bergamo, lo ha annunciato con gioia e ha subito invitato a fare queste attenzioni sull'importanza di accogliere bene i messaggi che ci può ricordare e portare la venuta di Papa Giovanni: "Quella della pace è una speranza che percorre tutta l'umanità. Il Concilio con quanto ha portato alla Chiesa. Il dialogo ecumenico e interreligioso".

E' interessante quindi impegnarsi a far capire e poi a vivere bene l'avvenimento della venuta delle spoglie di Papa Giovanni nella sua terra. Papa Giovanni viene da santo e quindi ancora in piena attività. I suoi messaggi sono ancora vivi e attuali.

In tutta la storia della Chiesa i santi e le sante sono stati sempre fonte e origine di rinnovamento, soprattutto nelle più difficili circostanze della sua missione nel mondo. E Papa Benedetto sui santi ci ha detto : "In ogni tempo i santi hanno sfogliato una pagina del Vangelo e l'hanno resa evidente ai loro contemporanei. Essi sono i veri saggi, coloro che,alla luce del Vangelo, trasformano la realtà di questo mondo... sono i veri rivoluzionari che mettono in atto la rivoluzione che viene da Dio, la rivoluzione dell'amore".

E ce lo dice Il catechismo della Chiesa: "A causa infatti della loro più intima unione con Cristo i beati rinsaldano tutta la Chiesa nella santità... non cessano di intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in terra mediante Gesù Cristo, unico Mediatore tra Dio e gli uomini... La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine":"Non piangete. Io vi sarò più utile dopo la mia morte e vi aiuterò più efficacemente di quando ero in vita. Passerò il mio cielo a fare del bene sulla terra" (Santa Teresa di Gesù Bambino, Novissima verba). "Poiché tutti i credenti formano un solo corpo, il bene degli uni è comunicato agli altri... Allo stesso modo bisogna credere che esista una comunione di beni nella Chiesa".

Nella preghiera del credo diciamo :"Credo nella comunione dei Santi", e Papa Giovanni ci credeva veramente : "Iddio, la Vergine santissima mi aiutino, mi rendano degno di ascoltare quelle divine lezioni, di rendermele giovevoli; gli antichi allievi, i miei modelli, sono i santi; i miei condiscepoli sono quelle anime giuste, che non vivono se non per procurare l'onore di Dio, per dilatare i confini del regno di Gesù Cristo".

Questo rapporto dei cristiani col Santo Papa Giovanni va ben capito e ben vissuto. Ormai costatiamo che la devozione e la comunione coi Santi sono quasi scomparse nella vita di molti cristiani. Impegniamoci tutti a far sì che Papa Giovanni ritorni nelle nostre case e nei nostri cuori.

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Tutto il mondo è la mia famiglia

12 giugno 2017


Scrive Papa Giovanni XXIII: «Da quando il Signore mi ha voluto, miserabile qual sono, a questo grande servizio, non mi sento più come appartenente a qualcosa di particolare nella vita: famiglia, patria terrena, nazione, orientazioni particolari in materia di studi, di progetti, anche se buoni. Ora più che mai non mi riconosco che indegno ed umile servus Dei et servus servorum Dei ». Tutto il mondo è la mia famiglia. Questo senso di appartenenza universale deve dare tono e vivacità alla mia mente, al mio cuore, alle mie azioni».

Sentimento di universalità

«Questa visione, questo sentimento di universalità vivificherà innanzi tutto la mia costante ed ininterrotta preghiera quotidiana: breviario, santa Messa, rosario completo, visite fedeli a Gesù nel tabernacolo, forme rituali e molteplici di unione con Gesù, familiare e confidente. Un anno di esperienza (il primo anno di Pontificato ) mi dà luce e conforto a ravviare, a correggere, a dare tocco delicato e non impaziente di perfezione, in tutto».

Cittadino del mondo

«È questo ormai un principio entrato nello spirito di ogni fedele appartenente alla Chiesa romana: di essere cioè e di ritenersi veramente, in quanto cattolico, cittadino del mondo intero, cosi come Cristo del mondo intero è l’adorato salvatore. Buon esercizio di vera cattolicità è questo, di cui tutti i cattolici devono rendersi conto e farsi come un precetto a luce della propria mentalità e a direzione della propria condotta nei rapporti religiosi e sociali». (DMC 11, p. 394).

Il dolore e le parole di una mamma musulmana

15 giugno 2017


L'italiana Valeria Khadija Collina, convertita all'Islam e madre del terrorista Yussef, ucciso a Londra alcuni giorni fa, esprime i suoi sentimenti al giornalista Giorgio Paolucci del giornale Avvenire.

"Non so darmi pace. Forse anche il mio Yussef è una vittima di qualcosa più grande di lui. La sua radicalizzazione è figlia della propaganda wahhabita e salafita. Una posizione letteralista, rigida, chiusa della fede islamica, che viene ridotta a una serie di formule. Lui aveva osservato la tradizione islamica, mentre io gli facevo capire che l'Islam deve aprire le menti, non chiuderle. C'è molto lavoro da fare. Dobbiamo gridare insieme, musulmani e cristiani che le religioni non sono la causa delle violenze, ma il migliore antidoto. E che l'uomo autenticamente religioso riconosce la verità come qualcosa di più grande di sé, non la piega ai suoi schemi, non considera nemico chi è diverso da lui. Il dialogo non solo è possibile, è necessario, la conferma viene dalle tante persone che in questi giorni sono venute a trovarmi, a manifestare il loro affetto. C'è molto da fare, specie tra le giovani generazioni e io voglio essere tra coloro che costruiscono occasioni di dialogo. Perché dal mio dolore di madre nasca qualcosa di utile a tutti".

Le espressioni di questa madre musulmana, mi ricordano le mamme aperte al dialogo che ho conosciuto nei miei dieci anni nel Sud dell'Algeria. E il pensiero e la preghiera vanno anche all'algerina Santa Monica, madre del Santo Agostino, 'figlio di tante lacrime'. Santa Monica aiuta le mamme musulmane!

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La pietà popolare e missionaria a Sotto il Monte

2 giugno 2017


La visita alla casa natale di Papa Giovanni che volle affidata all'Istituto missionario del PIME è un pellegrinaggio, una delle tappe del pellegrinaggio della nostra vita verso il Cielo. Papa Giovanni ci accoglie. Ci unisce alla sua pace gioiosa e serena e parla al cuore con parole di bontà e di fede. Sembra di vedere e di sentire vicino il Papa. E' sorprendente il clima bonario e popolare che si respira ed è sorprendente trovarsi in un ambiente aperto all'universalità della Chiesa e del Papato. Il pellegrinaggio diventa allora anche impegnativo per lasciarci prendere dall'universalità della nostra fede e della nostra preghiera e poi accettare di trasmettere attorno a noi la forza, la gioia e l'amore che vi si trova. Questa è la "grazia della missionarietà" che Papa Francesco descrive nel Documento di Aparecida e in Evangelii Gaudium. In questo vediamo l'unità di pensiero dei due Papi.

Papa Francesco dice : "Tanti cristiani esprimono la loro fede attraverso la pietà popolare, i Vescovi la chiamano anche « spiritualità popolare » o « mistica popolare ». Si tratta di una vera spiritualità incarnata nella cultura dei semplici. È un modo legittimo di vivere la fede, un modo di sentirsi parte della Chiesa, e di essere missionari. Porta con sé la grazia della missionarietà, dell’uscire da sé stessi e dell’essere pellegrini. Il camminare insieme verso i santuari e il partecipare ad altre manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli o invitando altre persone, è in sé stesso un atto di evangelizzazione. Nella pietà popolare, poiché è frutto del Vangelo inculturato, è sottesa una forza attivamente evangelizzatrice che non possiamo sottovalutare: sarebbe come disconoscere l’opera dello Spirito Santo. Piuttosto, siamo chiamati ad incoraggiarla e a rafforzarla per approfondire il processo di inculturazione che è una realtà mai terminata. Le espressioni della pietà popolare hanno molto da insegnarci e per chi è in grado di leggerle, sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione. Non coartiamo né pretendiamo di controllare questa forza missionaria!"

A Sotto il Monte, nell'incontro con altri pellegrini, sentiamo la gioia del ravvivarsi della fede. In realtà ci fa bene il contagio e il coraggio di vivere e di comunicare la nostra fede, di vederci a pregare insieme e di sentirci in cammino insieme. Abbiamo bisogno di Comunione e di Missione. La Chiesa allora vive e testimonia il volto della comunione dei cristiani uniti tra loro e con Dio nel pellegrinaggio verso il Regno.

Cardinale Gualtiero Bassetti e novità nella Chiesa italiana

5 giugno 2017

Molto interessante l'intervista al card Bassetti, nuovo presidente della Cei, pubblicata domenica 5 giugno in Avvenire con le firme di Giacomo Gambassi e Mimmo Muolo.

Alcuni punti sottolineati: "Priorità del lavoro", "Dalla logica del servizio, alla cultura dell'incontro, dalla sana laicità, alla bellezza di essere prete", "Chi vive in organizzazioni criminali è fuori dalla Chiesa. Nessuna connivenza con le mafie, alcun contatto o 'inchino' ". "Mai come oggi va annunciata la straordinaria bellezza della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna e aperta ai figli". "L'Europa, per essere casa comune deve ripartire dall'accoglienza, che significa anche rispetto delle regole e delle tradizioni di chi accoglie".

Gli hanno chiesto: "Ha raccontato che in una scuola un bambino musulmano le ha tirato la talare per chiederle di portare il suo saluto al Papa. Come favorire nel nostro Paese il dialogo fra le fedi? E rispose:

"Ho ancora bene presente gli occhi di quel piccolo. Mi voleva parlare a ogni costo e quando mi ha raggiunto, mi ha detto che in televisione vedeva sempre il Papa e che i suoi genitori glielo descrivevano come un saggio da ascoltare. Parte da gesti come questi il dialogo fra le fedi. Durante il suo recente viaggio in Egitto, papa Francesco ha ribadito che le religioni sono chiamate a camminare insieme nella convinzione che l'avvenire dipende anche dall'incontro tra i credi e le culture. Evitiamo i preconcetti, ma nello stesso tempo diciamo 'no' a qualsiasi deviazione che eleva la religione a spada o ne fa strumento di vessazione. L'incontro tra cattolici e islamici, ad esempio, è già realtà nelle scuole italiane, nelle fabbriche, perfino nelle nostre case. Favoriamo la conoscenza reciproca e l'educazione alla cultura dell'incontro. Accanto al dialogo interreligioso va incentivato il dialogo ecumenico. Sono sempre di più le chiese che come diocesi abbiamo messo a disposizione degli ortodossi; e si allargano i momenti di scambio con le comunità protestanti che quest'anno celebrano i 500 anni della Riforma di Lutero".

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Contrapposizioni, aperture e chiusure in alcuni settori dell'Islam

30 maggio 2017


Dopo l'uccisione dei Copti in Egitto del 19 maggio scorso, le dichiarazioni del mondo islamico aumentano. Ahmed al-Tayyed, grande imam di Al Ahzar, celebre università sunnita del Cairo, ha detto : "L'attentato contro i cristiani è inaccettabile. Ogni musulmano e ogni cristiano lo condannano. Tale atto mira a danneggiare la stabilità dell'Egitto". Anche il gran mufti d'Egitto Shawgi Allam ha detto: "Vile operazione terrorista contro un gruppo di fratelli e sorelle cristiani" E' interessante notare che le dichiarazioni provenienti dal mondo islamico stanno aumentando, oltre che di coraggio, anche di qualità. Non tutti i musulmani usano il termine 'fratelli', 'sorelle', nei confronti dei cristiani, come ha dichiarato Allam Shawgi.

Ma nello stesso tempo notiamo che sta crescendo in vari paesi anche l'influenza di musulmani radicali. In Indonesia, per esempio, paese con lunga eredità storica di tolleranza, sempre più spesso gli studenti cristiani vengono definiti kafiri, infedeli, e sta diffondendosi l'uso del hijab (velo).

Papa Francesco in Egitto è stato forte e deciso a invitare tutti, e precisamente i credenti, a non restare nella paura di parlare, gridare, denunciare la violenza e a prendere anche iniziative per la pace :" C'è bisogni di costruttori di Pace... La violenza è la negazione di ogni autentica religiosità. In quanto responsabili religiosi, siamo chiamati a smascherare la violenza che si traveste di presunta sacralità... Siamo tenuti a denunciare le violazioni contro la dignità umana e contro i diritti umani... Insieme ripetiamo un "no" forte e chiaro contro ogni forma di violenza... La religione non solo è chiamata a smascherare il male; ha in se la vocazione a promuovere la pace".

Il comboniano Padre Scattolin che opera al Cairo, dopo la visita della recente visita del papa in Egitto, commenta : "Il Papa e il grande imam di Al Azhar Ahmed al Tayyed, con i loro discorsi hanno demolito ogni tentativo di manipolare la religione per giustificare la violenza. Le parole però, devono tradursi in un progetto capillare di riforma educativa. Il fondamentalismo si combatte sul fronte del pensiero".

La fede tra le braccia della mamma

1 giugno 2017


Marco Roncalli nel suo volume Giovanni XXIII descrive l'ambiente della religiosità vissuta dalla famiglia Roncalli : "In un rapporto di una inchiesta agraria riguardante la zona più vicina a sotto il Monte troviamo : - Nel contadino il sentimento più profondo, dopo quello della famiglia, è il sentimento religioso (...). La religione nel contadino è necessaria come quella che guida sul retto sentiero del buono e del giusto una casta intera di popolazione che poco o nulla istruita, da essa attinge i principi del retto e del giusto -. E continua : "Una vita durissima, affidata alla provvidenza, dove una grandinata o la morte di un vitello potevano costituire una rovina quasi irrimediabile. Tuttavia, proprio in questo mondo di disagi e ristrettezze, i valori cristiani trovavano il terreno più naturale. La pratica religiosa era intensa, i riti vissuti con partecipazione. E così la pietas popolare, l'osservanza del culto, la frequenza ai sacramenti, al catechismo, le devozioni, gli appuntamenti del calendario liturgico disseminati lungo l'anno. Ma anche lo spirito di solidarietà era un punto fermo, e quando qualcuno aveva bisogno poteva contare sull'aiuto del consanguineo e del vicino".

Papa Giovanni accenna spesso che ricevette anzitutto in famiglia i primi sentimenti di fede. Ecco come racconta la sua prima visita al santuario delle Caneve : "Quando giunsi davanti alla chiesetta, non riuscendo ad entrarvi perché ricolma di fedeli, avevo una sola possibilità di scorgere la venerata effigie della Madonna, attraverso una delle due finestre laterali della porta d'ingresso, piuttosto alte e con inferriata. Fu allora che la mamma mi sollevò tra le braccia dicendomi : "Guarda, Angelino, guarda la Madonna come è bella! Io ti ho consacrato a lei". E viveva i suoi primi anni in famiglia : "Nella mia casa paterna, la mattina quando aprivo la finestra, la prima chiesa che vedevo era la vostra ( Frati Francescani ), "un piccolo cielo dove si respira aria di eternità", a Baccanello, e ricordando che, quando le campane del conventino chiamavano i frati al coro per l'ufficiatura di sesta e nona... sua madre metteva sul fuoco il paiolo". "Vengo dall'umiltà. Fui educato a una povertà contenta e benedetta che ha poche esigenze e protegge il fiore delle virtù più nobili e alte e prepara alle elevate ascensioni della vita".

Quando il piccolo Angelo cessò di aver bisogno della mamma, fu il prozio Zaverio a prenderselo tutto per sé e gli infuse con la parola e con l'esempio le attrattive della sua anima religiosa. Una vita ritmata dal suono delle campane, dalla preghiera dei frati e dal profumo della polenta quotidiana. Il tutto dentro un ambiente campagnolo animato continuamente dall'avvicendarsi, dalla bellezza e dalla voce della natura che esprime e ricorda l'azione del Creatore. Persona umana, natura, Creatore uniti in alleanza, collaborazione, rispetto e armonia.

Sembra di riudire il Vangelo della Provvidenza: "Mi ha tolto dalla campagna sin da piccino, con affetto di madre amorosa mi ha provveduto di tutto il necessario. Non avevo pane e me l'ha procurato, non avevo di che vestirmi e mi vestì, non avevo libri per studiare e pensò anche a quelli. Talora mi dimenticavo di lui ed egli mi richiamò sempre con dolcezza; mi raffreddavo nel suo affetto ed egli mi scaldò al suo seno, alla fiamma onde arde perennemente il suo cuore".

Le braccia della mamma sono le braccia del creatore che prolunga la sua azione e il suo amore nella famiglia, nella natura, nella storia e nella tradizione.

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La nuova pagina evangelica di Papa Giovanni

21 maggio 2017

"In ogni tempo i santi hanno sfogliato una pagina del Vangelo e l'hanno resa evidente ai loro contemporanei. Da San Benedetto e san Francesco fino a madre Teresa e padre Pio essi erano come la scia ininterrotta di una cometa alla cui origine vi è la luce incandescente portata da Gesù. Essi sono i veri saggi, coloro che, alla luce del Vangelo, trasformano la realtà di questo mondo, i veri rivoluzionari che mettono in atto la rivoluzione che viene da Dio, la rivoluzione dell'amore". Conclude papa Benedetto a Marienfeld: "In Gesù Cristo è comparso il vero volto di Dio".

Loris Capovilla, segretario di Papa Giovanni, nella prefazione al libro di Padre Francesco Valsasnini, pime, su Giovanni XXIII, e dal quale prendo alcune note, scrive: "Anche per merito suo, i padiglioni della Chiesa Cattolica si sono ingranditi, non tanto, né primieramente nel significato statistico delle conversioni, quanto piuttosto della conversione nostra ad una più radicale fedeltà al Vangelo, d' un interessamento più vivo alle necessità dei popoli sottosviluppati; della conversione delle nazioni tentate di accontentarsi del solo progresso economico e tecnico, ad un'ansia più cocente di incontro, di interscambio, di amicizia con tutte le genti". Aveva fondato tutto il suo apostolato sul centro del Vangelo, l'amare tutti come Dio li ama. Il suo metodo diplomatico era quello della carità evangelica. Delegato in Bulgaria e Visitatore Apostolico in Turchia e Grecia, visse i tempi in cui si consideravano scismatiche le chiese ortodosse, ma lui le amò. Andò subito a salutare gli ortodossi e assistette alle loro liturgie. Fu richiamato da un addetto del Vaticano per troppa confidenza con scismatici. Reagì così: "Gesù mi dice di amare anche i nemici, questi non sono nemmeno nemici e quindi continuo ad amarli".

Il genio di Papa Giovanni fu di aver capito i segni dei tempi e di avere un sguardo positivo sulle realtà umane. Martin Buber direbbe : " Prima di distruggere gli idoli che gli uomini si sono costruiti, cercare quell'aspetto della divinità che volevano rappresentare, offrirla loro, e gli idoli cadranno da sé".

Volle un Concilio Pastorale cioè di rinnovamento della Chiesa e non di condanna di errori. Distinguere il buono dal falso. Più passano gli anni e più si vede l'ampiezza dei benefici che il suo atteggiamento ha avuto nella Chiesa e nell'ecumenismo. L'azione più decisiva in questa direzione avvenne quando stava preparando il Concilio. Nel marzo 1960 incarica il cardinale Bea alla creazione di un organismo tutto nuovo, destinato a stabilire relazioni con le Chiese non cattoliche. Sottraeva al sant'Uffizio la competenza sui rapporti tra i cattolici e gli altri cristiani, sia per il superamento dell'attitudine di diffidenza, quando non di ostilità, che dal XVI secolo caratterizzava l'atteggiamento romano verso eretici e scismatici. Si riconosceva così l'esistenza di elementi di autenticità evangelica anche fuori dalla Chiesa cattolica.

"Perché tanti uomini di ogni Paese hanno condiviso il dolore della Chiesa cattolica piangendo alla sua morte?" Il card R. Etchegarai ha risposto : "Il motivo è che essi si sono sentiti non solo toccati, ma coinvolti; é che avevano colto che egli, alle loro domande, aveva offerto la limpida luce di una risposta semplice e vera. Il suo segreto, nato dalla sua natura e dalla sua fede, fu di dimostrare che la tradizione non è nemica, ma il trampolino di audacia apostolica. Nella sua enciclica Pacem in terris, vedeva la morale dei diritti umani come il riflesso dell'acqua calma delle sorgenti originarie, e non attraverso lo specchio spesso deformante del ribollire della storia".


Anch'io ho il cuore spezzato

25 maggio 2017

Così ha gridato la cantante Ariana Grande.

Non piacerà a tutti quanto scrivo, ma spero mi si capisca.

Alla televisione e nei giornali ho seguito l'attentato di Manchester. Ho letto il messaggio del Papa che si è dichiarato "Addolorato in modo particolare per bambini e giovani che hanno perso la vita, e per le famiglie in lutto... per un atto di violenza insensata".

E ho colto quanto scrive un giornalista : "Macabra crudeltà del terrorismo islamista. Che attacca senza strategia e anche senza tattica animato dall'odio per la vita con il solo fine di uccidere più bambini che può".

Mentre seguivo e leggevo, ho pensato ad alcuni amici musulmani coi quali ho vissuto 10 anni in Algeria. Anch'essi seguono gli avvenimenti mondiali nei media. A volte in caso di scandali, subito qualcuno mi portava i giornali e mi diceva: "Guarda che cosa fanno i tuoi amici cristiani". Fossi lì, questa volta, qualcuno mi direbbe :"Anch'io ho il cuore spezzato. Non è giusto uccidere. Non è l'Islam questo! Alcuni giornalisti non capiscono che anche molti di noi musulmani soffriamo per quanto sta avvenendo nel mondo e ci fa soffrire il giudizio che alcuni si fanno di noi".

Trattando su situazioni e problemi di vasta scala, ormai preferisco fare delle distinzioni e quindi dire : "Alcuni", "Altri". E leggendo alcune analisi sul mondo islamico, riconosco che anch'io ho vissuto momenti difficili quando trovavo qualche integralista chiuso e bloccato, che rifiutava ogni apertura di ordine culturale, artistico, storico e perfino sociale nel voler distinguersi e giudicare qualsiasi diverso/a e qualsiasi diversità. Altro momento difficile, quando camminavo con chi si credeva libero di non credere, di non praticare e di non rispettare la sua religione e tradizione islamica.

Certe generalizzazioni non mostrano serietà e onestà di giudizi e non favoriscono il cammino di conoscenza, collaborazione e rispetto reciproco. "Feriti, ma non abbattuti!". Certo, ma ci resta di primaria importanza il dover continuare a prendere sul serio e di mettere regole valide e sufficienti dentro il fenomeno mondiale dell'accoglienza, della convivenza civile e dell'integrazione dove è valutato e rispettato chi è accolto e chi accoglie. Un cammino necessario di rinnovamento per una crescita comune. Altrimenti continueremo a restare in situazione di guerra.

Anche tanti miei amici e fratelli musulmani hanno il cuore spezzato, perché stanno cercando di leggere il Corano in un modo e cuore nuovo e cercano relazioni più profonde e più vere.

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I viaggi di Papa Francesco scuotono un po'

11 maggio 2017


Papa Francesco e Papa Tawadros al termine dell’incontro del 28 aprile scorso al Cairo, hanno firmato una dichiarazione congiunta in 12 punti, dalla quale traspare il grande cammino di avvicinamento fatto negli ultimi anni e che ha portato ad eliminare quasi tutte le differenze teologiche. Il paragrafo più significativo è il penultimo, nel quale si affronta il tema dei battesimi. Per prassi ecclesiale infatti la Chiesa copta talvolta rinnova il battesimo quando cristiani prima appartenenti ad altre Chiese chiedono di entrarvi. «In obbedienza all’opera dello Spirito Santo, che santifica la Chiesa, la conserva per tutte le età e la conduce alla piena unità», hanno siglato il Papa di Roma e il Papa copto, «per piacere al cuore del Signore Gesù, così come a quello dei nostri figli e figlie nella fede, dichiarano reciprocamente che noi, con una sola mente e cuore, cercheremo sinceramente di non ripetere il battesimo che è stato somministrato in una delle nostre Chiese per qualsiasi persona che desidera unirsi all’altra» Chiesa. Questo, continua la dichiarazione, «confessiamo nell’obbedienza alle Sacre Scritture e alla fede dei tre Concili Ecumenici riuniti a Nicea, Costantinopoli e Efeso».

Dopo la diffusione della Dichiarazione, sui blog e sui social media sono partiti attacchi contro Papa Tawadros, accusato da alcuni esponenti copti di voler sottomettere la Chiesa copta ortodossa alla Chiesa cattolica. Ma la Dichiarazione sottoscritta da Papa Francesco e da Papa Tawadros non contiene un accordo formale sulla questione dei ri-battesimi, e va interpretata in continuità con il cammino di dialogo teologico iniziato tra la Chiesa copta ortodossa e la Chiesa cattolica con la visita che il Patriarca Shenuda III realizzò a Roma nel 1973 per incontrare Papa Paolo VI.

Anba Boutros Fahim Awad Hanna, Vescovo copto cattolico di Minya afferma: "La Dichiarazione è chiara e rappresenta un passo importante che guarda al futuro. Papa Tawadros l'ha sottoscritta con il consenso del Santo Sinodo della sua Chiesa. Le critiche di certi ambienti erano prevedibili. Ora si tratta di andare avanti insieme, nel cammino indicato da Papa Francesco e da Papa Tawadros”. (GV) (Agenzia Fides 2/5/2017).

Anche al Cairo, dopo la visita apostolica del Papa in Egitto, Islam al Behairi ha qualificato di commedia la Conferenza per la pace organizzata dall'università al Azhar e ha rinnovato le critiche rivolte in passato all'università sunnita, considerata roccaforte di pensiero religioso retrogrado e oscurantista. All'origine di questo , oltre a causa di personalismi dopo alcune nomine, ci sarebbe anche la pressione del presidente dell'Egitto, Abdel fattah al Sisi, in favore di una presa di posizione più ferma dell'università circa le letture djihadiste del corano.

I viaggi di Papa Francesco scuotono un po' dappertutto, fanno riflettere e mettono in cammino. Benvenuti i confronti anche se non facili, purché si cammini verso la verità e l'unità.


Il senso della vita a Sotto il Monte

14 maggio 2017


Lasciato l'asfalto e il traffico, metti i piedi sui sassi del ciottolato e entri nel cortile di un caseggiato di cento anni fa con scale esterne in legno e con gerani pendenti dalle finestre. Vedi il carretto con attrezzi dei contadini. Sulle pareti dei muri esterni, strumenti da falegname e dal fienile in alto, esposte al sole, pannocchie di granoturco. Sui muri, trovi ricordi del passato, delle guerre e della vita non ancora moderna: camere a gas, lampade al carburo e ferri da stiro e fornelli a carbone o ad alcol.

Poi entri a vedere foto della famiglia Roncalli nelle stanze dove nacque e visse i primi anni il piccolo Angelo. Dal pian terreno scendi verso la cantina con i colori delle botti e i profumi vivi del vino.

E' forte il senso di vita che ti riporta indietro in un mondo passato e che ti è ancora simpatico, ancora tuo, ancora te stesso e immette nell'animo pace e semplicità. E' come ritornare bambini.

Lasciata la parte vecchia della casa natale, cammini e scendi tra vetrate con grandi foto che ti mostrano il piccolo Angelo in famiglia, il giovane prete, il militare, il nunzio in Bulgaria, Turchia e Grecia. Poi te lo trovi di fronte al grande de Gaulle a Parigi e in gondola, Patriarca di Venezia, e finalmente Papa, portato in sede gestatoria. Avverti allora che si tratta di una persona elevata dalla vita di campagna ai livelli più alti della società e della Chiesa. Ed eccolo finalmente che ti accoglie in piedi sorridente perché si sente accarezzato, baciato, e lavato dalle lacrime di gioia e di dolore di tanti pellegrini.

Si, sono pellegrini quelli che arrivano a Sotto i Monte, perchè rispondono a un bisogno profondo, a un invito, a una chiamata a dire quello che c'è di profondo nel cuore. Quando si chiede loro perchè sono venuti, ti dicono : "Ogni anno devo venire per rivederlo, per dirgli grazie, per risentirlo vicino. Qui sento pace. Qui mi sento libero da tanti pesi, da tanti fastidi".

Il pellegrino si mette in viaggio in cerca di qualcosa. Prima, lascia tutto, si libera e poi trova. Alcuni già nell'ambiente, trovano un senso di vita, di pace e di semplicità, altri, nel volto di Papa Giovanni, trovano la dolcezza di Dio e quindi la fede e la preghiera nel cuore. Tutti guariscono di qualcosa, o tanto o poco, perché qui a Sotto il Monte si trova uno che ha vissuto ed è rimasto fedele al senso della vita. Qui non si dubita... Magari si potesse avere i suoi sentimenti, la sua verità.

Seguendo il percorso della sua vita in un tempo di guerre, di scontri e sofferenze di ogni genere ti domandi come potè Papa Giovanni, mantenere un animo paziente, obbediente, aperto. La risposta è perché seppe mantenere i valori ricevuti dalla famiglia nella semplicità e nell'umiltà, nel vivo senso di povertà di spirito che continuava a coltivare. Papa Giovanni amò molto la sua terra, il suo mondo, la sua Chiesa.

Subito alla sua morte, il card. Montini, prima di succedergli nel pontificato, diceva : "Perché ha così commosso il mondo? Da ogni parte della terra si è levata l'espressione del rimpianto, dell'elogio, della pietà e della memoria. I nostri cuori sono assorti e sorpresi dalla visione della grandezza e della bontà finalmente insieme congiunte. Perché da ogni parte si piange la sua morte? Ognuno di noi ha sentito l'attrattiva di quest'Uomo, e ha capito che la simpatia che Lo ha circondato non era un inganno, non era un entusiasmo di moda, non era un futile motivo; era un segreto che ci si svelava, un mistero che ci assorbiva. Ci ha fatto vedere che la verità, quella religiosa per prima, così delicata, così difficile... non è fatta per sé, per dividere gli uomini e per accendere fra loro polemiche e contrasti, ma per attrarli ad unità di pensiero, per servirli con premura pastorale, per infondere negli animi la gioia della conquista della fratellanza e della vita divina. E oggi che cosa lascia Giovanni XXIII alla Chiesa e al mondo, che non potrà morire con Lui? Lasciatemi citare di Lui almeno una pagina: - ...nell'epoca moderna, di un mondo dalla fisionomia profondamente mutata, e e che si sorregge a fatica fra i fascini ed i pericoli della ricerca quasi esclusiva dei beni materiali, nell’oblio e nell'illanguidire dei principi di ordine naturale e soprannaturale... convenga richiamare alle sorgenti pure della rivelazione e della tradizione. Trattasi di rimettere in valore ed in splendore la sostanza del pensiero e del vivere umano e cristiano, di cui la Chiesa è depositaria e maestra nei secoli -.

Potremo mai lasciare strade così magistralmente tracciate, anche per l'avvenire, da Papa Giovanni? È da credere che no! E sarà questa fedeltà ai grandi canoni del Suo Pontificato ciò che ne perpetuerà la memoria e la gloria, e ciò che ce Lo farà sentire ancora a noi paterno e vicino".

Papa Giovanni, citato dal futuro Papa Montini, richiama alle sorgenti pure, lontano dalle quali la vita non ha più un senso.

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Vangelo del barcone

27 aprile 2017

Leggiamo in Avvenire:

“Abbiamo consegnato un dono al Papa proveniente da Lampedusa. Si tratta di un Vangelo con i salmi in lingua inglese trovato sul fondo di un barcone”. È quanto racconta don Carmelo La Magra, parroco a Lampedusa e assistente dell’Azione Cattolica agrigentina, dopo aver incontrato Papa Francesco questa mattina durante il Congresso del Forum internazionale di Azione Cattolica (Fiac) nell’Aula del Sinodo, in Vaticano. “Il Papa era visibilmente commosso – aggiunge don La Magra – e con le lacrime agli occhi ha baciato il libro dei Vangeli”.

Sono commosso anch'io perché rivedo i migranti che suonavano alla mia porta di Touggourt (Algeria) e mi chiedevano un aiuto col Vangelo in mano. Chiedevo come erano arrivati e mi indicavano la piccola croce sulla cupola della mia chiesa dicendo :" La gente ci ha mostrato la piccola croce e ci ha detto di venire qui, perché qui potevamo avere qualche aiuto". E quando chiedevo un documento, raccontavano che giungendo in Algeria, dopo aver attraversato il deserto su camion, erano stati gettati sulla sabbia e spogliati di tutto. Davanti a me tenevano in mano il Vangelo, ormai a fogli, l'unico documento da poter mostrare come segno di identità. In che modo fossero riusciti a tenerlo, solo loro lo sanno.. Vangelo in inglese, in francese, in spagnolo... Cattolici, Evangelici, Protestanti..., forse anche qualche animista. La prima parola presentandosi era questa: "Sono un cristiano".

Tutto ridotto a segni. La piccola croce su una chiesa chiusa al pubblico e affidata a una associazione musulmana, ma con la speranza di ritornare a essere casa di preghiera. Un insieme di fogli, il Vangelo, col quale pregare nel difficile viaggio, unico segno di presenza viva del compagno segreto e inseparabile, l'unico rifornimento per il lungo viaggio della vita, l'unica arma di difesa. Uomini ridotti all'estrema povertà. E un missionario che tiene sul cuore una piccola croce e che resta segno della Chiesa presente. Segni di una umanità sofferente. Segni di Cristo ancora in Croce.


La fede tra le braccia della mamma

7 maggio 2017

Marco Roncalli nel suo volume Giovanni XXIII descrive l'ambiente della religiosità vissuta dalla famiglia Roncalli : "In un rapporto di una inchiesta agraria riguardante la zona più vicina a sotto il Monte troviamo : - Nel contadino il sentimento più profondo, dopo quello della famiglia, è il sentimento religioso (...). La religione nel contadino è necessaria come quella che guida sul retto sentiero del buono e del giusto una casta intera di popolazione che poco o nulla istruita, da essa attinge i principi del retto e del giusto -. E continua : "Una vita durissima, affidata alla provvidenza, dove una grandinata o la morte di un vitello potevano costituire una rovina quasi irrimediabile. Tuttavia, proprio in questo mondo di disagi e ristrettezze, i valori cristiani trovavano il terreno più naturale. La pratica religiosa era intensa, i riti vissuti con partecipazione. E così la pietas popolare, l'osservanza del culto, la frequenza ai sacramenti, al catechismo, le devozioni, gli appuntamenti del calendario liturgico disseminati lungo l'anno. Ma anche lo spirito di solidarietà era un punto fermo, e quando qualcuno aveva bisogno poteva contare sull'aiuto del consanguineo e del vicino".

Papa Giovanni accenna spesso che ricevette anzitutto in famiglia i primi sentimenti di fede. Ecco come racconta la sua prima visita al santuario delle Caneve : "Quando giunsi davanti alla chiesetta, non riuscendo ad entrarvi perché ricolma di fedeli, avevo una sola possibilità di scorgere la venerata effigie della Madonna, attraverso una delle due finestre laterali della porta d'ingresso, piuttosto alte e con inferriata. Fu allora che la mamma mi sollevò tra le braccia dicendomi : "Guarda, Angelino, guarda la Madonna come è bella! Io ti ho consacrato a lei". E viveva i suoi primi anni in famiglia : "Nella mia casa paterna, la mattina quando aprivo la finestra, la prima chiesa che vedevo era la vostra ( Frati Francescani ), "un piccolo cielo dove si respira aria di eternità", a Baccanello, e ricordando che, quando le campane del conventino chiamavano i frati al coro per l'ufficiatura di sesta e nona... sua madre metteva sul fuoco il paiolo". "Vengo dall'umiltà. Fui educato a una povertà contenta e benedetta che ha poche esigenze e protegge il fiore delle virtù più nobili e alte e prepara alle elevate ascensioni della vita".

Quando il piccolo Angelo cessò di aver bisogno della mamma, fu il prozio Zaverio a prenderselo tutto per sé e gli infuse con la parola e con l'esempio le attrattive della sua anima religiosa. Una vita ritmata dal suono delle campane, dalla preghiera dei frati e dal profumo della polenta quotidiana. Il tutto dentro un ambiente campagnolo animato continuamente dall'avvicendarsi, dalla bellezza e dalla voce della natura che esprime e ricorda l'azione del Creatore. Persona umana, natura, Creatore uniti in alleanza, collaborazione, rispetto e armonia.

Sembra di riudire il Vangelo della Provvidenza: "Mi ha tolto dalla campagna sin da piccino, con affetto di madre amorosa mi ha provveduto di tutto il necessario. Non avevo pane e me l'ha procurato, non avevo di che vestirmi e mi vestì, non avevo libri per studiare e pensò anche a quelli. Talora mi dimenticavo di lui ed egli mi richiamò sempre con dolcezza; mi raffreddavo nel suo affetto ed egli mi scaldò al suo seno, alla fiamma onde arde perennemente il suo cuore".

Le braccia della mamma sono le braccia del creatore che prolunga la sua azione e il suo amore nella famiglia, nella natura, nella storia e nella tradizione.

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Pellegrinaggio a Sotto il Monte

18 aprile 2017


Papa Francesco dice : "Il camminare insieme verso i santuari e il partecipare ad altre manifestazioni della pietà popolare, portando con sé anche i figli o invitando altre persone, è in sé stesso un atto di evangelizzazione. Nella pietà popolare, poiché è frutto del Vangelo inculturato, è sottesa una forza attivamente evangelizzatrice che non possiamo sottovalutare: sarebbe come disconoscere l’opera dello Spirito Santo. Piuttosto, siamo chiamati ad incoraggiarla e a rafforzarla per approfondire il processo di inculturazione che è una realtà mai terminata"

A Sotto il Monte, paese natale del Santo Papa Giovanni XXIII, i pellegrini sono numerosi. Per alcuni è semplicemente un luogo di turismo, una bella passeggiata fuori casa. L'ambiente, i luoghi del papa, le chiese, i monumenti e le numerose foto certamente richiamano e invitano a capire lo spirito del papa, ma molti non vivono un momento di spiritualità. Invece accostando alcuni pellegrini, soprattutto al momento delle loro confidenze, della loro preghiera, e nella celebrazione della riconciliazione, resto impressionato per la profondità di una visita, meglio di un pellegrinaggio.

Forse esagero, ma mi piace accostare e esprimere quello che alcuni vivono a Sotto il Monte con quanto Alberto Mello scrive nel suo libro sui Salmi per quanti vivono il pellegrinaggio a Gerusalemme.

"Il cammino del pellegrinaggio non è soltanto nelle loro gambe, ma è nel loro cuore. E' ciò che li anima, ciò che li sostiene, che infonde il loro vigore necessario al "santo viaggio". Il pellegrino che ha visitato la città santa poi ne parla come di un luogo in cui si conosce Dio, si sperimenta la sua misericordia più che da altre parti del mondo. Parla di Gerusalemme come fosse esperienza di Dio. Il pellegrinaggio diventa evangelizzazione, diventa trasmissione della fede. Raccontando il pellegrinaggio uno racconta chi è Dio. E' perché Dio si è legato a questo luogo. Chi fa l'esperienza di Dio a Gerusalemme, il suo ricordo è come se in quel luogo associasse le radici della sua fede e si sentisse cittadino. Nel salmo 87, 4-6 si legge: E di Sion si dirà: questo e quello vi sono nati...Il Signore scriverà sul registro dei popoli : questo è nato là".

Sotto il Monte non è Gerusalemme, ma ogni pellegrinaggio, quando è vissuto con una buona preparazione e poi bene accompagnato, può veramente diventare una esperienza di Dio.

Oltre alle testimonianze di chi viene per ringraziare o per domandare una 'grazia', molto belle sono quelle di chi esprime il cammino della sua fede: "Ogni anno vengo a rifarmi". "Mi sento una serenità profonda". "Dico tutte le mie sofferenze, mi sento incoraggiato". "Papa Giovanni mi insegna e mi aiuta ad accettare la mia situazione". "Quando prego, me lo sento vicino". "Mi fa sentire Dio vicino".

Insieme con Papa Francesco al Cairo

20 aprile 2017

Il 28 aprile prossimo, i leader della Chiesa d'Oriente e d'Occidente e il Papa dei copti ortodossi di Egitto, Tawandros, si riuniranno insieme con Ahmad al Tayyib, il Gran Mufti della moschea dell'autorevole centro di riferimento teologico sunnita. L'incontro ha un grande significato di ecumenismo e di dialogo interreligioso a fronte del terrorismo fondamentalista e un significato di forte invito ai leader politici mondiali a prendere coscienza della serietà della situazione delicata e carica di pericoli della polveriera mediorientale. Questo incontro merita di essere accompagnato non solo dai cristiani, ma anche da tutti i credenti. Ogni incontro è provvidenziale.

Papa Francesco ama incontrare fratelli di ogni lingua, cultura e religione e ha chiamato i musulmani Fratelli. Foad Aodi, presidente di Amsi (Associazione medici stranieri in Italia) e Comai (Comunità del mondo arabo in Italia) disse: «Speriamo di poter trovare una personalità araba di alto spessore e alto profilo che possa fare quanto fa Papa Francesco in Occidente», che sappia «unire e far ragionare il mondo arabo in modo che ritrovi serenità e identità. Ora Papa Francesco sta dando tutte le risposte che aspettavamo da anni, che vanno dritte al cuore».

Anche Papa Giovanni Paolo II, al termine della storica preghiera per la pace in Assisi, aveva sottolineato l'importanza dell'incontro e dell'accompagnamento tra credenti : "Cerchiamo di vedere nell'incontro un'anticipazione di ciò che Dio vorrebbe che fosse lo sviluppo storico dell'umanità: un viaggio fraterno nel quale ci accompagniamo gli uni gli altri verso la meta trascendente che egli stabilisce per noi".

Piccola Sorella Maddalena, la fondatrice delle Piccole Sorelle di Gesù, quando incontrò il Patriarca Athenagora, sentì da lui questa domanda: “Come sta mio fratello Paolo VI?". Poi Athenagora continuò: “Siamo caduti (sic)le braccia dell’uno, nelle braccia dell’altro, l’anima dell’uno, nell’anima dell’altro. Ci hanno chiesto . “Quante volte?” Risposi: “Quando due fratelli si incontrano dopo nove secoli, gli abbracci non si contano!” – E in che lingua parlavate? - chiese Maddalena. Athenagora rispose: “Dopo nove secoli, è il cuore che parla… ed è inesprimibile!”

Nella Redemptor Hominis, Papa Giovanni Paolo II scrive che Cristo non solo incontra l'uomo, ma ogni uomo. C'è un rapporto tra Cristo e ciascun uomo. Quando il cristiano incontra una persona, deve incontrarla come Cristo vuole incontrarla. E il carmelitano A. Sicari commenta: "Se i cristiani hanno un compito nel mondo è di mostrare che cosa accade quando l'incontro avviene, lo stupore dell'incontro avvenuto, in modo che esso diventi desiderabile per tutti".

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Gesù è venuto per abbattere le barriere

14 aprile 2017


Carissimi, a Sotto il Monte nella casa di Papa Giovanni, ho la gioia di esercitare il sacramento della Riconciliazione e vedo che tanti si accostano e si accostano con fede. E ho il tempo di penetrare nel pensiero di Papa Giovanni. Con lui in questo clima pasquale, vi auguro la gioia di essere persone di pace e di bontà.

Per capire Papa Giovanni è necessario entrare nella spiritualità assorbita durante l'adolescenza e poi rigenerata nella quotidianità di ogni esperienza, primariamente come fiducia in Dio e nell'uomo sua immagine. Chi insegue questo filo scopre che tale spiritualità si teneva "sempre con Dio e con le cose di Dio" nella consapevolezza di una fraternità universale che preferisce innalzare ponti piuttosto che barriere. Papa Giovanni si lasciò condurre verso una grande apertura e a guardare lontano. Nel messaggio lasciatoci dal pontefice sul letto di morte troviamo il sigillo del suo percorso esistenziale : "Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l'uomo in quanto tale e non solo i cattolici, a difendere anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non soltanto quelli della Chiesa Cattolica. Non è il vangelo che cambia : siamo noi che incominciamo a comprenderlo meglio (...) E' giunto il momento di riconoscere i segni dei tempi, di coglierne l'opportunità e di guardare lontano".

Durante il tempo passato in Bulgaria, Turchia e Grecia, vedeva i passi di un lento cammino verso l'unità: "Tutto serve al bene, alla carità. Il Signore farà a suo tempo l'unione e la farà trionfare nella Chiesa sua. Le traiettorie dei popoli son lette dentro un piano divino di salvezza del mondo. Le barriere che devono cadere nell'utopia di una fraternità universale si spingono agli steccati che separano gli ebrei e i musulmani. Le sagome dei minareti, le facciate delle madrase (scuole), le voci dei muezzin, i ricordi del ramadan, la conoscenza di pratiche islamiche ormai in decadenza restano di fatto il mistero irrisolto o la realtà di questi anni".

Di fronte alle resistenze al dialogo, Angelo Roncalli, vivendo nei paesi islamici, esortava a vivere la logica del Vangelo: "Comprendo bene che diversità di razza, di lingua, di educazione, contrasti dolorosi di un passato cosparso di tristezze, ci trattengono ancora in una distanza che è scambievole, non è simpatica, spesso è sconcertante. Pare logico che ciascuno si occupi di se, della sua tradizione familiare o nazionale, tenendosi serrato entro il cerchio limitato della propria consorteria come è detto degli abitanti di molte città dell'epoca di ferro, dove ogni casa era una fortezza impenetrabile, e si viveva sui bastioni o nei propugnacoli. Miei cari fratelli e figlioli: io debbo dirvi che nella luce del Vangelo e del principio cattolico, questa è una logica falsa. Gesù è venuto per abbattere queste barriere, egli è morto per proclamare la fraternità universale; il punto centrale del suo insegnamento è la carità, cioè l'amore che lega tutti gli uomini a lui come primo dei fratelli e che lega lui con noi al Padre".

A chi consigliava "al buon cattolico" di non esagerare "nella libera espansione dell'anima nella comunicazione della verità e della grazia ai propri fratelli", Papa Giovanni diceva : "C'è tutta una infinità di rapporti e di contatti che sono in piena conformità alle leggi del paese e che permettono in un orizzonte di riconosciuta libertà individuale, molteplici possibilità di trasmettere il messaggio divino".

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I musulmani e i copti contenti della visita del Papa a Milano

26 marzo 2017


Il Papa ha detto:

"Lo Spirito Santo è il Maestro della diversità. […] L’uniformità e il pluralismo non sono dello spirito buono: non vengono dallo Spirito Santo. La pluralità e l’unità invece vengono dallo Spirito Santo. Ci fa bene ricordare che siamo membri del Popolo di Dio! Milanesi, sì, Ambrosiani, certo, ma parte del grande Popolo di Dio. [...] un popolo che non ha paura di abbracciare i confini, le frontiere; è un popolo che non ha paura di dare accoglienza a chi ne ha bisogno perché sa che lì è presente il suo Signore [...]".

Le sfide ci aiutano a far sì che la nostra fede non diventi ideologica. […] Le sfide ci salvano da un pensiero chiuso e definito e ci aprono a una comprensione più ampia del dato rivelato [...]".

Hanno detto

Asfa Mahmoud, Casa della Cultura Islamica di Milano:

"È la prima volta che ho potuto salutare personalmente il Papa ed è stato commovente. Il suo discorso, saggio ed equilibrato, per noi musulmani è importante. Il suo “no” al pluralismo e il “sì” alla pluralità rappresentano un’apertura al dialogo e anche alla collaborazione tra cristiani e musulmani".

Ahmed Abdel Aziz, Membro dei Giovani Musulmani d’Italia, responsabile politico del Caim:

"L’incontro con una famiglia di musulmani residenti nel quartiere delle Case Bianche ha simboleggiato il riconoscimento di una parte della società: la comunità musulmana".

Yahya Sergio Yahe Pallavicini, vice-presidente e imam della Co.Re.Is.:

"Mi è piaciuto che tra i consacrati non ci fossero solo i cattolici ma anche i rappresentanti di altre religioni tra cui i buddisti, i musulmani e gli ortodossi".

Padre Shenuda Gerges, sacerdote copto, chiesa della Santa Vergine e Sant’Antonio Abate di Cinisello Balsamo:

"Nella profondità semplice del linguaggio evangelico che sentiamo nelle parole di Papa Francesco troviamo un terreno comune in cui riconoscere e condividere i Frutti dello Spirito Santo, che come Sua Santità ha detto è il “grande Maestro dell’unità nelle differenze”.


Concilio Panortodosso

1 aprile 2017


Il 17 giugno 2017 si è costituito a Creta il Concilio Panortodosso. Vladimir Zelinskij scrive un articolo interessante. Il titolo: Il peso del passato, il pericolo del futuro, il "successo" dello Spirito, sintetizza bene le caratteristiche della situazione della Chiesa Ortodossa. Leggiamo alcuni passaggi.

Quando un Concilio Panortodosso, non più convocato per oltre dodici secoli, si riunisce di nuovo, tutti i contemporanei, gli ortodossi in primo luogo, diventano testimoni di un avvenimento storico. “Oggi si è levato un giorno gioioso, durante il quale celebriamo la storica manifestazione dell’istituzione della Chiesa, che è stata costituita dallo Spirito Santo…” – proclama a Creta il Patriarca Bartolomeo il 19 giugno, durante l’omelia, nel giorno di Pentecoste (secondo il calendario ortodosso) e giorno di apertura del Concilio. Si può dimenticare un concilio locale perché le sue decisioni riguardano la vita interna di una sola Chiesa, mentre un Concilio di tutte Chiese ortodosse non può essere né dimenticato né emarginato. Il Concilio è come l’icona, circondata dalla venerazione; esso riceve la grazia di esprimere il mistero di Cristo in formule razionali, rivela la fede retta, vera e giusta, e come esso entri nel “Santo dei Santi” della Rivelazione. Di più: le decisioni del Concilio panortodosso per principio sono vincolanti per tutte le Chiese, anche per quelle che non hanno partecipato. E non di rado, anche dall’interno di queste Chiese, si producono proteste clamorose che giungono alla rottura, con gesti, anche simbolici, contro i loro capi. L’incontro del Patriarca Kirill con il Papa Francesco, anch’esso avvenimento piuttosto simbolico, ha provocato una cascata di critiche nell’Ortodossia russa. C’è anche un monastero sul monte Athos, canonicamente sottomesso al Patriarca Ecumenico, la cui l’identità stessa si fonda proprio sulla resistenza al Patriarca, gravemente colpevole di ecumenismo. E questa identità si esprime attraverso l’esposizione di una bandiera nera recante lo slogan “Ortodossia o morte!”. Si potrebbero moltiplicare gli esempi... Tutte le quattordici Chiese ortodosse canoniche hanno preso parte alla preparazione dei documenti preconciliari, ma improvvisamente quattro di esse (tra cui la più grande, la Chiesa Russa) hanno rinunciato alla partecipazione al Concilio e non sono andate a Creta. Il lavoro preparatorio ha superato i 50 anni.

La struttura canonica della Chiesa Ortodossa chiede un solo vescovo per un territorio. Soltanto in Italia, però, paese prevalentemente cattolico, sono presenti almeno sette diaspore, sottomesse ai loro rispettivi Patriarcati (Romeno, Russo – che include la massiccia emigrazione ucraina e moldava –, Ecumenico – che include russi e greci –, Serbo, Georgiano, Bulgaro, Polacco, Albanese). Si tratta solo delle Chiese canoniche, ma sono presenti anche le comunità ortodosse che non riconosciute dalla pienezza dell’Ortodossia. Quella che a mio avviso è la più importante di tutte le decisioni è il progetto di convocare Concili simili ogni 7-10 anni. Così il Concilio sarà uno spazio di riflessione comune e di discussione permanente.

Per concludere. Ho chiamato il mio arcivescovo Jean de Charioupolis, partecipante al Concilio, per chiedere le sue impressioni. «Il Concilio si è svolto in modo meraviglioso – mi dice – ispirato dallo Spirito Santo, nella libertà di parola e nell’unanimità, in un clima di amore reciproco. Amareggiato, certo, dall’assenza delle altre Chiese sorelle. Ma nonostante tutto è stato un gran successo! Anche inaspettato».

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Padre John Mac William nuovo vescovo di Gardaia (Algeria)

17 marzo 2017

Claude Rault, ormai vescovo emerito, ben conosciuto anche in Italia, comunica : "Da parecchi mesi eravamo in attesa e ora la notizia è giunta. Papa Francesco ha nominato padre John, il provinciale dei Padri Bianchi dell'Algeria e della Tunisia. Quando fui nominato vescovo nel dicembre 2004, padre John era a Gardaia e mi accolse. Ora potrà dedicarsi presto al nuovo incarico. Che il Signore lo aiuti come ha aiutato me durante questi anni di servizio! Sarà fedele a questa "Grazia" e alla fiducia che gli è stata fatta. Conosce il Sahara, ama la sua popolazione, ama la nostra Chiesa diocesana. Ma vi confido pure che sono preso da un sentimento di tristezza per dovervi lasciare dopo un servizio di dodici anni che mi appassionava totalmente. Sento che il passaggio non sarà senza pena. I tre mesi passati a Parigi durante la mia malattia mi hanno già fatto vivere 'l'abbandono' che ora posso vedere come benefico. In seguito... Dio vedrà! Ma vi assicuro che la gioia e la riconoscenza prevalgono. Posso pregare come il vecchio Simeone mentre accoglieva il Bambino Gesù nelle sue braccia: Ora, Signore, puoi lasciare andare in pace "il tuo servo". Ringrazio (...) quanti mi sono stati vicini in questa attesa, soprattutto quanti hanno collaborato con me (...) e hanno continuato a lavorare durante la mia lontananza e non potevo visitare la diocesi come volevo. Mi resterete vicini col cuore e con la preghiera come già molti me l'hanno testimoniato. Vorrei ricordare anche gli amici musulmani, uomini e donne, che si sono sempre stretti vicini a me e coi quali abbiamo lavorato umanamente ad immagine di ciò che Dio vuole per la nostra terra. Ovunque nella diocesi la vita continua. Restiamo fissi nell'impegno della preghiera, dell'inculturazione e della manifestazione della carità di Dio. Continuiamo il cammino, seguendo Gesù che ci precede sempre presso l'altro, specialmente il più debole, il più piccolo, il più sprovveduto, il più lontano, il più ignorato. Che cosa mi resta? Solo il "grazie" a Dio per il dono del servizio con voi. Sono cosciente di non essere stato all'altezza di ciò che si attendeva da me. Chiedo perdono a chi ho ferito e offeso, forse senza saperlo, e vorrei partire a cuore leggero. Una nuova tappa per me, per voi e per padre John. Gesù è il cammino, seguiamo i suoi passi.

Claude Rault, vescovo.

A Sotto il Monte la preghiera per tutta l'umanità

24 marzo 2017


A Sotto il Monte si viene per pregare accanto a Papa Giovanni. Non solo per chiedere i doni di Dio per se stessi, non solo per dire 'Grazie' per i beni ottenuti, ma anche per unirsi alla preghiera di Papa Giovanni, il grande intercessore che continua a volere il bene per tutta l'umanità. Nel cuore buono di Papa Giovanni c'era sempre posto per le invocazioni, per la preghiera. E continua ancora. Ora vediamolo e ascoltiamolo a Lourdes durante la grande guerra mondiale: "A Lourdes. La Madonna è sempre là nel suo atteggiamento : occhi in alto, mani giunte, labbra in preghiera. Ed in preghiera invita la Bernadetta : "Prega per i poveri peccatori, e per il mondo tanto agitato". Oh la preghiera : la gran cosa che essa è. Non conviene mai dimenticare come Dio l'abbia voluto costituire il vincolo tra cielo e terra e come tutto abbia promesso alla preghiera (...). E seguiamo a pregare per i giovani nostri, perché il Signore li mantenga valorosi, buoni, vincitori di se, delle loro passioni, dei loro nemici; per coloro che sono rimasti qui nell'aspettazione affannosa, spesso nella incertezza della sorte dei loro cari, spesso nel lutto e nel pianto per le notizie infauste qui giunte e che non rivedranno mai più i loro figli, fratelli, mariti. Preghiamo per tutti nostri fratelli, per tutti noi, affinché attraverso le cure e i dolori della nostra patria terrena possiamo non perdere, ma acquistarci con merito maggiore, la patria celeste".

Eletto papa, si fece ancora più vicino a Gesù risorto, l'intercessore presso il Padre per tutta l'umanità. "Tutto il mondo è la mia famiglia. Questo senso di appartenenza universale deve dare tono alla mia mente, al mio cuore, alle mie azioni. Esso vivificherà la mia costante ed interrotta preghiera quotidiana di unione con Gesù, familiare e confidente".

Per sottolineare il valore della preghiera di intercessione, il Cardinal Carlo Maria Martini il 3 gennaio 2008, ormai libero dal servizio pastorale e residente a Gerusalemme, ha detto: "La preghiera di intercessione appare come un non senso per le persone che guardano solo a questo mondo e che misurano ogni cosa col metro dell’efficienza materiale e del frutto visibile. La preghiera di intercessione è un dono dello Spirito di Dio che lavora per l’unità del piano divino per l’umanità. Questa preghiera è pregna di significato e potente nella sua dinamica, specialmente nel campo della riconciliazione tra gli uomini e tra l’uomo e il suo Dio. La preghiera di intercessione è una conseguenza della legge della mutua appartenenza e della mutua responsabilità. Guarda all’unità del genere umano proponendo a ciascuno l’invito a partecipare alle difficoltà e ai drammi di ogni essere umano e a cooperare al piano di Dio per questo universo. La preghiera di intercessione non consiste soltanto nel raccomandare a Dio le intenzioni di molta gente, ma anche nel domandare il perdono dei peccati dell’umanità e di ogni singola persona. La preghiera di intercessione è una espressione della struttura dell’essere. In essa il primato non è quello della persona che è preoccupata della propria identità e benessere, ma quello della persona-in relazione, che è ha a cuore il bene-essere degli altri. In questo modo nasce un sistema di relazioni attraverso il quale alcune persone possono portare i pesi degli altri e soffrire per essi. Questa legge è molto misteriosa e perciò non sempre considerata, ma è uno dei pilastri del piano di Dio. Da questa struttura dell’essere deriva anche la possibilità e il valore di un vero dialogo interreligioso, dove ciascuno accetta di riconoscere non soltanto il valore dell’altro, ma anche di soppesare con pace le critiche che vengono fatte alla propria tradizione. Da tutto questo deriva la necessità e l’urgenza della preghiera di intercessione. Essa è necessaria perché corrisponde all’intimo dell’Essere divino e porta in questo mondo l’immagine del mondo a venire e del grande mistero che sarà rivelato alla fine dei tempi. È urgente, perché la necessità dell’umanità di superare oggi la violenza è terribilmente pressante e chiama all’azione tutta la gente di buona volontà".

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Anglicani e cattolici

5 marzo 2017


Roma 26 febbraio 2017. Papa Francesco visita la chiesa anglicana "All Saints" di Roma. Sempre di più Papa Francesco avvicina persone di ogni categoria, paese, lingua, cultura e religione. La parola 'fratelli' è per tutti, compresi i musulmani, gli omosessuali, ecc. E per i 'fratelli cristiani', papa Francesco ricorda e sottolinea la fraternità in Cristo mediante il comune battesimo. La visita accolta bene dagli Anglicani e voluta da Papa Francesco è una grazia e anche una responsabilità : rafforzare le nostre relazioni.

Papa Francesco dice : "Prima visita di un Papa in una chiesa anglicana della sua diocesi. Nel corso di questi due secoli molto è cambiato anche tra Anglicani e Cattolici, che nel passato si guardavano con sospetto e ostilità; oggi, grazie a Dio, ci riconosciamo come veramente siamo: fratelli e sorelle in Cristo, mediante il nostro comune battesimo. Come amici e pellegrini desideriamo camminare insieme, seguire insieme il nostro Signore Gesù Cristo", ha detto Bergoglio nell'omelia tenuta nella chiesa anglicana All Saints di Roma. "Cattolici e anglicani - ha continuato Bergoglio - siamo umilmente grati perché, dopo secoli di reciproca diffidenza, siamo ora in grado di riconoscere che la feconda grazia di Cristo è all'opera anche negli altri. Ringraziamo il Signore perché tra i cristiani è cresciuto il desiderio di una maggiore vicinanza, che si manifesta nel pregare insieme e nella comune testimonianza al Vangelo, soprattutto attraverso varie forme di servizio. A volte, il progresso nel cammino verso la piena comunione può apparire lento e incerto, ma oggi possiamo trarre incoraggiamento dal nostro incontro. Per la prima volta un vescovo di Roma visita la vostra comunità E' una grazia e anche una responsabilità: la responsabilità di rafforzare le nostre relazioni a lode di Cristo, a servizio del Vangelo e di questa città".


Il 'Grazie' a Sotto il Monte

7 marzo 2017


Papa Francesco dice: “Grazie”. Sembra facile pronunciare questa parola, ma sappiamo che non è così… Però è importante! La insegniamo ai bambini, ma poi la dimentichiamo! La gratitudine è un sentimento importante! Un’anziana, una volta, mi diceva a Buenos Aires: “la gratitudine è un fiore che cresce in terra nobile”. E’ necessaria la nobiltà dell’anima perché cresca questo fiore. Ricordate il Vangelo di Luca? Gesù guarisce dieci malati di lebbra e poi solo uno torna indietro a dire grazie a Gesù. E il Signore dice: e gli altri nove dove sono? Questo vale anche per noi: sappiamo ringraziare? Quante volte diciamo grazie a chi ci aiuta, a chi ci è vicino, a chi ci accompagna nella vita? Spesso diamo tutto per scontato! E questo avviene anche con Dio. È facile andare dal Signore a chiedere qualcosa, ma tornare a ringraziarlo è un dovere. Per questo nel brano di Luca notiamo il riferimento ai nove che non sono tornati.

Molti pellegrini alla Casa Natale di Papa Giovanni ringraziano e rinnovano la loro fede

Salendo le scale verso la Chiesa del seminario, prendendo la rampa a destra (o l'ascensore che è vicino alla portineria) si arriva di fronte alle porte della sala delle grazie. Tante foto documentano guarigioni e pericoli scampati attribuiti all'intercessione di Papa Giovanni.

Gli ex – voto sono numerosi ma particolarmente quelli nella stanza dove centinaia di fiocchi rosa e azzurri testimoniano la predilezione di Papa Giovanni per i bambini che continua accresciuta in cielo. Sposi che non potevano avere figli, ne hanno avuti in seguito a preghiere e voti al Papa della Bontà, parti difficili che si svolgono senza problemi ecc.

Osservando tutti quegli ex-voto, molte persone si domandano profondamente: "Chi sono? da dove vengo? dove vado?, la vita sulla terra, la vita dopo la morte, l'aldilà, la vita nell'aldilà". I messaggi e le testimonianze di guarigioni e di doni ricevuti, dicono che il Cielo ci prende dolcemente per mano e ci conduce alla riscoperta dell’Amore grande del Padre per noi. Messaggi d'Amore e riflessione. Le preghiere dettate dal Cielo, la preghiera al Padre, la preghiera alla Vergine Maria, la preghiera a Gesù, a Papa Giovanni, la preghiera all'Angelo Custode, ogni preghiera è preghiera di un Anima impegnata nel suo percorso di vita sulla terra. Camminare nella Casa Natale di Papa Giovanni è un percorso di crescita spirituale sulla strada dell’Amore.

La fede col ringraziamento è vera fede.

Riflettiamo sulla nostra fede. La fede non è semplicemente un atto di buona volontà che si dimostra con atti religiosi esteriori magari vissuti controvoglia e magari motivati dalla paura del castigo o dall’aspettativa del premio finale. La fede è riconoscersi guariti da Dio, raggiunti dal suo amore, anche se non ci siamo meritati nulla… La fede è rispondere a Dio con la ricerca di una relazione sempre più stretta con Gesù, sentendo il desiderio di conoscerlo in quel che fa e dice… La fede è far prevalere in noi un sentimento di gratitudine che scaccia via paure e risentimenti, calcoli e giudizi… La fede è sentire che abbiamo sempre da dire grazie a Gesù, perché non ci meritiamo nulla, ma da lui abbiamo tutto gratuitamente… Ecco qui il senso della nostra preghiera : rendere grazie a Gesù di quello che siamo e di quello che abbiamo. E il grazie vero non è tale se non accompagnato dal sorriso e dalla pace del cuore. Fede è rendere grazie… e rendendo grazie ci impegniamo nell’amore.

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Proteggere il terreno spirituale delle religioni

16 febbraio 2017


Nel giornale Avvenire del 14.2.2017, troviamo l'articolo Daesh il fascino della violenza, scritto da Stefano Pasta, che ci aiuta a capire il fenomeno dei terroristi provenienti dal mondo islamico. La loro appartenenza a gruppi estremisti e radicali e le loro azioni terroristiche sono oggi segno di un vuoto completo di valori, non tanto di comportamento e di espressione di religione islamica.

Stefano Pasta scrive: "Per Olivier Roy, il grande orientalista e politologo francese, occorre deculturalizzare la lettura del jihadismo europeo. Nelle biografie dei giovani radicalizzati – sostiene – si riconosce la rivolta generazionale come chiave interpretativa: non è una radicalizzazione dell’islam, ma un’islamizzazione del radicalismo». In Francia i terroristi sono al 90% seconde generazioni o convertiti: «Hanno rotto i ponti con i genitori e con tutto ciò che rappresentano in termini di cultura e religione. I giovani scelgono la causa jihadista perché oggi, sul mercato, è l’unica al tempo stesso globale e radicale. Con un linguaggio moderno, Daesh è riuscito a costruire una grande narrazione basata su un’estetica della violenza che affascina molti giovani; infatti nel terrorismo degli ultimi anni il suicidio è sempre più centrale. Oggi essi islamizzano il proprio disastro personale, la propria rivolta contro la società. Per combattere il terrorismo, occorre proteggere il terreno spirituale, riconoscendo la pratica religiosa nello spazio pubblico. Occorre che si possano costruire le moschee, che siano riconosciute e rientrino nello spazio pubblico, facendo parte della vita della città. Un buon accordo è quello firmato nel 2016 tra la moschea e il Comune di Firenze. Va nella giusta direzione anche l’accordo d’inizio febbraio tra il Ministero dell’interno e gli esponenti musulmani: non entra nel piano teologico, rispettando i principi dello Stato laico, ma pone il problema della lingua".

Allora oggi non dobbiamo vedere il terrorismo come espressione religiosa dell'Islam, ma come un impoverimento del religioso che porta alla radicalizzazione. Se accogliamo in Italia i musulmani, possiamo e dobbiamo aiutarli a mantenere e a continuare a vivere dentro i loro valori. Non diventeranno terroristi, ma "Fratelli", come li chiama Papa Francesco. E' un'occasione difficile, ma provvidenziale. Rileggiamo Olivier Roy: "Occorre proteggere il terreno spirituale, riconoscendo la pratica religiosa nello spazio pubblico".


La pienezza dell'insieme dell'umanità

25 febbraio 2017


Con gioia ho trovato questo scritto del card Martini nel suo libro Colti da stupore, Incontri con Gesù : "La grande rivelazione che ci attende nell'eternità sarà quella di un unico corpo dei salvati di tutte le genti che faranno unità con Cristo in Dio così come prega Gesù nel Vangelo di Giovanni : siano come noi una cosa sola, io in loro e tu in me. (...) Siamo in attesa di questo traguardo finale e puntiamo tutto su esso. Non sarà semplicemente una glorificazione dei singoli e delle loro virtù, ma la pienezza dell'insieme di tutta l'umanità : una cosa sola con Dio Padre piena di meravigliosa trasparenza reciproca".

Ero arrivato a Touggourt (Algeria) e avevo fatto dipingere su un quadro una copia del mio LOGO disegnatomi a colori da Bruno Maggi, grafico del Pime.

La colomba è la scritta Salam che vuol dire Pace e le scritte in arabo hanno la traduzione: Con te sulla terra - Con te in Cielo. Gli amici di Touggourt, vedendo il quadro, dondolavano la testa e per parecchi mesi alcuni avevano il coraggio di dirmi : "Con te sulla terra è bello, ci capiamo. Ma con te in Cielo..., non siamo tanto d'accordo". Qualcuno mi disse anche : "No..., perché tu non preghi come noi". Rimasi a Touggourt 10 anni e ormai ci volevamo bene. Quando partii, parecchi mi salutarono dicendo : "Arrivederci in Cielo".

E' bello per me pensare di rivedere un giorno nello stesso Paradiso tante persone incontrate nei miei anni vissuti in Africa, Algeria compresa, e che, sento, saranno contente di rivedermi.

Il card Martini ha ragione di dire : " Nell'eternità ci sarà un unico corpo di salvati di tutte le genti e che faranno unità con Cristo".


Africa vicina

27 febbraio 2017

Anni 1960. A Treviso non vedevo per strada nessun 'moro'. Così definivamo allora un africano. Vedevo l' Africa nei giornalini missionari : bambini con pancioni come palloni o con costole in evidenza all'ombra di un albero, qualche capra attorno, e sotto una palma il missionario con barba lunga e casco coloniale che battezzava un negretto. In alcuni negozi trovavi accanto al cassiere un salvadanaio col negretto che al cadere del soldino si inchinava per dirti grazie. Mi si scusi il tono scherzoso di raccontare un rapporto con l'Africa che invece contiene realtà più serie e importanti.

L'annuncio nel 1964 dell'arrivo a Treviso di un aereo carico di vescovi africani che venivano dal Concilio (Roma) per visitare le parrocchie della diocesi aveva messo in moto tutti, da chi si preparava ad accoglierne uno a chi cercava a tutti costi di poterli vedere e toccare. Si, toccare, come qualcuno diceva, io credo per scherzo, perché qualche domestica era preoccupata che non lasciassero nere le lenzuola. A parte l'aspetto esotico del momento, quell'avvenimento segnò una svolta della sensibilità missionaria della Chiesa trevigiana. I giovani di Lega Missionaria Studenti erano pieni di entusiasmo e di voglia di interessare la popolazione sulle situazioni e i problemi di cui erano carichi quei vescovi africani. Nacquero le mostre sulla lebbra e sulla fame nel mondo in piazza della borsa e nacque il gemellaggio di Treviso-Ambam-Pime. Cioè assunzione di una missione in Camerun in stretta collaborazione di una diocesi con un istituto esclusivamente missionario. Iniziativa di cui il Concilio aveva riaffermato la piena attualità e validità nella Chiesa.

Anni 1971-2006. Vita missionaria nella foresta di Ambam del Sud Cameroun e nella savana di Yagoua e Maroua del Nord.

Anni 2006-2016. Vita di presenza e di dialogo coi Musulmani del deserto di Touggourt dell'Algeria e incontri di preghiera coi tecnici del petrolio e del gas a Hassi Messaud. Non solo visione dell'Africa dai giornali ma vita di fraternità con gli africani cristiani, animisti e musulmani.

Anni 2017-... Dopo la vita dentro la foresta, in savana e nel deserto, ora sono a Sotto il Monte presso la casa natale del santo papa Giovanni ad accogliere i pellegrini di ogni lingua cultura religione, meravigliati che un tale uomo sia uscito da un piccolo e ignorato paese e sia diventato un esempio di fede e di bontà e così sensibile alle situazioni di tutta l'umanità.

L'ex seminario che papa Giovanni aveva voluto accanto alla sua casa natale, un tempo casa di formazione di missionari, ora ospita una settantina di migranti di vari paesi dell'Africa centrale. Appena arrivai dopo il mio rientro in Italia dall'Algeria, ho cercato di interessarmi dei migranti. La prima volta che sono entrato nella sala dove passano gran parte del loro tempo, ne vidi parecchi incollati, orecchi, dita, occhi, bocca, a telefonini di ogni genere. Sentivo nella grande confusione le loro conversazioni, ognuno nella propria lingua o dialetto. Altri seguivano, sempre coi loro smartphone, la visione di ogni genere di film accompagnati da musiche africane. Pochi erano usciti nel paese a cercare qualche bevanda o qualche cibo in ristoranti vicini.

15 giorni fa, la prima volta che mi hanno visto arrivare restavano indifferenti. Forse mi vedevano come un controllore o un intruso fuori dell'ordinario. Chiesi ad alcuni che capivano il mio francese o inglese se desideravano essere aiutati a leggere o a scrivere o a parlare. Dopo un po' arrivò uno col suo libro. Il ghiaccio era sciolto. Ora quando vado, due o tre o sei di loro si avvicinano coi libri. Non è solo incontro di scuola, ma inizio di dialogo. Prendono il coraggio di parlare, raccontare, domandare e mi vedono come un 'nonno' che si avvicina con semplicità e gioia. Meraviglioso il sorriso quando incominciano a dire le lettere dell'alfabeto italiano o a pronunciare la parola che indica un disegno. Ormai mi aspettano ogni giorno e stiamo diventando amici. Dopo quanto hanno patito, lasciando il loro paese e prima di essere accolti in un centro, ora gioiscono nel sentirsi capiti e di trovare un pò di calore umano. Ma restano preoccupati perché non hanno ancora i documenti per restare e non trovano un lavoro.

Vario e meraviglioso il cammino che sto facendo nella mia vita. Cercavo l'Africa. Ora gli africani li ritrovo a casa e vedo l'occasione di far con loro quanto facevo quando ero nel loro ambiente africano. Questo cammino dove ci porterà? Nessuno lo sa, ma sono convinto che c'è qualcuno che pensa a noi. L'Africa non ci è più lontana e l'Italia avrà volti nuovi. L'importante è che si viva rispettandoci e che si resti aperti a un futuro migliore.

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Missionario a Sotto il Monte

28 gennaio 2017

Sono arrivato venerdì scorso, 27 gennaio, nella casa dove una comunità di missionari del Pime prestano servizio di accoglienza ai pellegrini che giungono a Sotto il Monte per visitare Papa Giovanni nella sua casa natale. I missionari che vi abitano accanto, rispondono anche alle chiamate dei parroci e delle comunità religiose della zona per celebrazione di SS. Messe, Confessioni, e predicazione di vario genere. Sono stato accolto con squisita fraternità dai confratelli che già mi conoscevano. Anch'essi sono stati missionari in varie parti del mondo e ora continuano a condividere e a testimoniare la loro fede e la passione di annunciare il Regno di Dio a quanti arrivano a Sotto il Monte. La prima pellegrina che ho ascoltato mi disse : "Ho sognato papa Giovanni nel suo abito bianco e mi ha parlato per consolarmi. Mi diceva : - So che soffri perché i tuoi tre figli non ti seguono più nella tua fede e li vorresti ancora uniti a te. Coraggio... continua ad amarli e a pregare - . Allora sono venuta subito per rivederlo e risentirlo. Mi aiuta tanto". Il responsabile della comunità mi dice che continuano ad arrivare, anche per telefono, richieste di preghiere per persone in situazione di difficoltà e di sofferenza.

In poche ore negli incontri di ogni genere, anche nel confessionale, sto scoprendo una realtà che non immaginavo. Il card. Loris F. Capovilla, segretario del Papa che ha vissuto gli ultimi anni qui a Sotto il Monte, nella prefazione al libro su Papa Giovanni di Francesco Valsasnini del pime, dice: "A chiunque scruta con meditata attenzione l'avventura di Giovanni XXIII, a chi si interroga circa l'umano e cristiano successo delle sue parole e dei suoi atti, a chi rimane stupito dinanzi al prodigio della sua sopravvivenza potrebbe giovare una ulteriore riflessione. Figlio di un coltivatore dei campi, entrato settantasettenne nella successione di Pietro, pescatore di Galilea, col nome prestigioso di Giovanni, chiese al Signore ed ottenne una stella e un cuore puro, e gli uomini, persino i più svagati, convinti che camminano alla luce della fede, la sua stella, col cuore di fanciullo, gli fecero credito".

E' troppo presto per dirvi quello che potrò vivere qui a Sotto il Monte come missionario. Per ora, mi piace il motto di Papa Giovanni Oboedientia et Pax che lo ha guidato in tutta la vita e sto chiedendogli di aiutarmi a viverlo anch'io. E mi è piaciuto anche che Loris Capovilla dica che si resta stupiti del prodigio della sua sopravvivenza. Sì, questa è anche la mia sorpresa, non immaginavo di sentirlo ancora vivo, soprattutto quando ascolto i pellegrini e quando vedo dentro la sua casa innumerevoli ex voto per grazie ricevute con foto e scritte come questa: "Uscito per miracolo", e pareti intere di fiocchi rosa e azzurri con foto e nomi di bimbi che i loro genitori presentano a Papa Giovanni per dirgli GRAZIE. Non cammini in questi ambienti senza sentire qualcosa. Papa Giovanni, accanto a Gesù, ci vede e sente quello che c'è nel nostro cuore.

Ora, più da vicino, potrò pregare Papa Giovanni per voi e per i miei amici del Cameroun e dell'Algeria.

Migranti e studenti in Algeria

5 febbraio 2017


Mons. Claude Rault, vescovo di Laghouat-Gardaia, diocesi nel deserto dell'Algeria, vasta più di due mila km2, nell'ultima riunione della Cerna, conferenza episcopale della regione Nord-africana, tenutasi in Senegal nel gennaio scorso, è ritornato sulla importanza della presenza di studenti e di migranti subsahariani per la vita della Chiesa nell'Africa del Nord e particolarmente dell'Algeria. "Essi sono una preoccupazione della Chiesa. Cerchiamo di conoscere le loro identità e di visitarli con giornate di condivisione. Ad Algeri, Costantine e Orano, gli studenti subsahariani sono numerosi e cerchiamo di integrarli con sessioni di formazione perché conoscano la società algerina. Sono una bombola di ossigeno per la nostra Chiesa e con la loro vitalità portano un aspetto di novità e di giovinezza oltre a renderla universale. Annualmente ci sono delle grandi riunioni simili a quelle di Taizé, e animate da focolarini a Tlemcem e poi un'altra a Skigda e la settimana di "Università d'Estate" nella casa diocesana di Algeri.

La Chiesa non si occupa solo degli studenti. I Migranti in transito sono una parte importante della Chiesa del nord dell'Africa e di alcune parrocchie. A Tamanrasset, dai 20 ai 50 fedeli che frequentano i momenti di preghiera, sono migranti. La migrazione diventa una sfida e un'occasione stimolante per la Chiesa che estende i suoi confini e vive la sua missione di evangelizzazione e di carità. Purtroppo alcuni migranti sono illegali e soggetti ad essere sfruttati, arrestati, imprigionati e rispediti ai paesi di origine. La Chiesa di Algeri collabora col ministero della giustizia e ha organizzato una equipe pastorale di trenta persone, laici, preti e religiosi/e che visitano i carcerati e li aiutano a tenere contatti con le loro famiglie lontane".


Marocco, mai più condanna a morte per chi vuole abbandonare l’islam

10 febbraio 2017


In Marocco, chi vuole uscire dall’Islam, non rischia più la condanna a morte. Il Consiglio superiore degli Ulema, massima autorità religiosa del paese, apre alla possibilità di conversione ad altre religioni. Ne dà notizia il sito Morocco world News. Secondo le regole in vigore in tutti i paesi musulmani, l’apostata è condannato a morte. È vietato anche fare proseliti tra i fedeli di Maometto, se si è di altre confessioni. Ma la fatwa degli Ulema marocchini intitolata «La via degli Eruditi» supera uno dei nodi cruciali dell’Islam, in linea con un paese che rispetta da sempre il pluralismo religioso e che, per volere del re Mohammed VI ha deciso di muovere guerra all’estremismo.

Così alcuni giornali mercoledì scorso, 8 febbraio 2017. Il giorno dopo, solo qualche giornale continuava a commentare la notizia. Nel Corriere della sera, Renzo Notoli ha scritto: "La questione della pena per chi abbandona volontariamente l'islam è tutt'altro che chiara ed esplicita nel Corano e nella tradizione islamica". Gli altri giornali non ne parlano più: notizia 'usa e getta'.

Sarà interessante seguire la situazione del Marocco e di altri paesi per capire bene il cammino di tante persone nella globalizzazione attuale di convivenze, incontri, scambi di ogni genere. Non si tratta solo di 'conversioni', ma soprattutto di ritorni profondi a riscoprire le radici e le ispirazioni profonde delle religioni. Papa Francesco nella capitale della Bosnia Erzegovina ha detto: "Il dialogo interreligioso, prima di essere discussione sui grandi temi della fede, è una conversazione sulla vita umana".

In questo momento, il fenomeno è vasto e profondo. Nella rivista Mondo e Missione (marzo 2015) nell'articolo Il Corano rivisto dalle donne, leggiamo : "Di fronte alle sfide, spesso drammatiche, dell’attualità, molte teologhe musulmane portano avanti un’opera di interpretazione e attualizzazione dei Testi sacri. Perché «il vero problema è l’ignoranza», come spiega l’iraniana Shahrzad Houshmand. Stiamo attraversando un momento buio, affrontiamo eventi che ci spiazzano, eppure il Corano ci ricorda che – sempre – laddove c’è una difficoltà, proprio lì si annida una “facilità”, ossia la possibilità di un’evoluzione positiva".

Ines Peta, martedì 7 febbraio 2017, nella rivista Oasis scrive: "Il Corano non prescrive alcun castigo terreno per chi abbandona l’Islam, rimandando all’aldilà la punizione di Dio". Nel suo articolo interessante riporta il pensiero dell'egiziano Ahmad Subhî Mansûr (n. 1949) che nel suo testo Hadd al-ridda analizza il concetto di «apostasia». Tale diritto – avverte Mansûr – spetta però soltanto a Dio: né il Profeta né tantomeno i credenti possono giudicare la fede altrui, come mostrano chiaramente i versetti coranici riguardanti l’atteggiamento da adottare nei confronti dei diversi gruppi umani: ahl al-Kitâb (“gente del Libro”, ossia sabei, ebrei, cristiani), mushrikûn (“politeisti”) e munâfiqûn (“ipocriti”).

Una buona conoscenza delle diverse religioni, ci permetterà di capire, dialogare, riuscire a condividere il cammino della nostra esistenza ormai comune.

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Scegliere a ogni alba di restare

8 gennaio 2017

Chiara Pellegrino ha pubblicato nella rivista Oasis una intervista a Padre Jihad Youssef del monastero di Mar Moussa in Siria dal quale fu rapito il gesuita padre Paolo Dall’Oglio.

"Ormai non ci sono più visitatori, noi monaci dormiamo in città e andiamo a trovare gli sfollati nelle città vicine di Nebek e Homs. Nel dicembre 2013 i militanti di Jabhat al-Nusra hanno assediato per 25 giorni la città di Nebek, a pochi chilometri da Mar Musa. Ci siamo sentiti soffocare, per tutto il periodo in cui la città era bombardata siamo stati chiusi nel monastero. Poco prima di Natale la battaglia è finita, noi allora siamo scesi in città e abbiamo scoperto che il quartiere cristiano era praticamente distrutto. Con l’aiuto di tre organizzazioni cattoliche europee abbiamo lavorato a un progetto di restauro e ricostruzione e in pochi mesi abbiamo restaurato 63 case di cristiani e cinque case di famiglie musulmane povere.

Ci siamo sempre chiesti se rimanere o partire. Ci siamo chiesti perché accadeva tutto questo. Perché Dio rimane silenzioso davanti a un popolo che si uccide? Non è stato facile, a ogni alba abbiamo dovuto decidere se credere oppure no. Abbiamo scelto di credere, ogni giorno. Abbiamo scelto di andare al di là del silenzio di Dio.

Noi stiamo lavorando per aiutare chi vuole partire ad andarsene e chi vuole restare a rimanere. I ricchi o i privilegiati, come noi monaci, sono già scappati o possono andar via quando vogliono, ma la povera gente è condannata a rimanere. In Siria restano solo i cristiani convinti, che sanno di avere una missione, anzi che sono una missione, perché ogni battezzato lo è.

L’Isis distrugge i nostri monasteri ma anche le moschee e le tombe dei santi musulmani. I loro militanti rapiscono e uccidono i nostri confratelli, ma hanno anche sgozzato migliaia di musulmani sunniti come loro. Certo noi cristiani siamo molto più fragili perché siamo un piccolo gregge.

Dobbiamo pregare molto per l’unità dei musulmani, che sono più divisi di noi cristiani. Nella loro unità c’è il bene per loro e per noi.

I profughi arrivano, e voi non potete impedirlo né costruire muri. Se li accogliete con dignità, forse un giorno saranno buoni cittadini; altrimenti saranno cattivi cittadini, saranno un cancro. Penso che anche voi dovreste impegnarvi nel dialogo. I musulmani ce li avete sotto casa, i vostri figli vanno a scuola con bambini musulmani, abbiate il coraggio di bussare alla porta del vostro vicino musulmano, portare lì Cristo con la vostra semplice presenza.

Quando finirà la guerra si potrà ricostruire il tessuto sociale e restaurare la fiducia tra cristiani e musulmani se ciascuno si impegna nella sua fede. Io, da cristiano, mi impegno a vivere il Vangelo. Il Vangelo ricostruisce, e se ricostruisco in me forse riuscirò a ricostruire nell’altro. Ma per fortuna anche il buon esempio rimane. Durante l’assedio a Nebek, i cristiani temevano che le loro donne sarebbero state prese in bottino e gli uomini fatti schiavi. I vicini musulmani si sono offerti di accogliere le ragazze cristiane nelle loro case spacciandole per loro figlie, sottraendole così ai militanti di Jabhat al-Nusra.

Quanto a noi monaci, viviamo tra la Siria e l’Europa per coltivare lo studio. Quando finirà la guerra la Siria avrà bisogno di persone ben formate che possano predicare il Vangelo dell’amicizia, dell’armonia e del dialogo, per superare divisioni e odio".

Islam e libertà di culto

16 gennaio 2017


L'Agenzia Fides comunica che Dar al Ifta al Misryah, l'organismo presieduto dal gran Mufti d'Egitto, ha stabilito che secondo i precetti coranici è legittimo per i cristiani costruire chiese nei paesi di tradizione islamica. Aggiunge che l'Islam sostiene le leggi civili basate sul principio di eguaglianza tra i cittadini e che lo stesso profeta Maometto si era mostrato favorevole al principio di "reciprocità" tra stati di diversa identità religiosa. Altra novità è che un musulmano non deve avere nessuna esitazione a porgere le proprie felicitazioni in occasione delle loro feste religiose. Ciò contribuirà ad alimentare la convivenza reciproca tra le diverse componenti della società. Questo è il contrario del comportament0 di alcuni predicatori salafiti e sceicchi, in alcune parti del mondo, che continuano a ingiungere proibizioni e sentimenti di disprezzo. Dar al Ifta al Misryah punta da tempo a confermare le iniziative delle istituzioni ufficiali dell'Islam sunnita egiziano, in primo luogo l'Università di al Azhar, che contrastano la diffusione di dottrine estremiste e di strumentalizzazioni del Corano in chiave jihahista. Il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi durante la sua partecipazione alla messa di Natale nella cattedrale copta ortodossa ha annunciato di voler inaugurare entro il 2018 la chiesa copta più grande d'Egitto.

Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani

21 gennaio 2017

Forse avete anche voi il libretto (costa solo 1 Euro) preparato dalle Chiese cristiane tedesche che porta in testa della copertina il tema della settimana : L'amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione. Oltre ai testi proposti per la preghiera e per la riflessione, il libretto contiene note storiche interessanti. Quest'anno la "Settimana" ha un significato speciale, in quanto ricorre nel V centenario della Riforma protestante - convenzionalmente datata al 31 ottobre 1517 -, evento storico che ha causato la rottura dell'unità della cristianità occidentale ed ha pregiudicato per molti secoli i rapporti tra le chiese. Questa speciale circostanza ha determinato il tema di riferimento, il quale è stato elaborato in modo da poter commemorare ecumenicamente l'evento, facendo emergere e celebrando la centralità di Cristo. Perciò, da una parte si è cercato di accentuare il ruolo salvifico dell'amore e della grazia di Dio, dall'altra si è evidenziato il dolore per la divisione e l'impegno a compiere passi concreti per la riconciliazione. Il testo biblico proposto è il passo paolino di 2Cor 5, 14-20, in cui si celebra l'irrevocabile riconciliazione che abbiamo ricevuto mediante la fede in Gesù Cristo. L'amore di Cristo è la forza trainante che ci muove oltre le nostre divisioni verso atti di riconciliazione. Il passo si contestualizza nell'apologia che Paolo fa dell'apostolato e della carità come anima di esso.

Quello che Paolo dice ai cristiani di Corinto vale anche per noi, oggi, in un contesto dove il senso e i fondamenti della fede cristiana non sono più dati acquisiti e scontati, ma costituiscono obiettivi da conquistare. Il cambiamento della scena religiosa nel nostro paese, ci pone dinanzi al complesso problema del pluralismo delle fedi e della loro convivenza. Urge il dialogo tra le religioni contro il terrorismo e l'impegno per un'eco-teologia in cui i temi "ambientali" s'intrecciano con la condivisione dei beni e l'equità per l'accesso alle risorse naturali. Merita di essere ricordato P. Paolo Manna, missionario del Pime, che fu la più grande anima ecumenica del secolo XX. Scriveva nel 1927: “L’unione dei cristiani è il più grave bisogno del mondo d’oggi, di una importanza superiore alla propagazione della fede, perché questa non si avrà piena e totale senza l’unione dei cristiani”. Nel 1941 pubblica il libro “I Fratelli separati e noi”. In esso per la prima volta troviamo il termine ‘Fratelli separati’. La soluzione al problema della disunità P. Manna la indica con queste parole: “L’unione si farà quando, dimenticando noi stessi, noi e i fratelli separati non avremo altro desiderio che di far trionfare Gesù Cristo in noi e sul mondo”.