Articoli e lettere agli amici - 2010

p. Franco Cagnasso


2010


Il rifugio di Hilarius

settembre 2010

"Avevo saputo di un insolito raduno di mendicanti, nel cortile di una stazione di polizia. Volevano parlare dei loro problemi: cacciati o picchiati, derubati, senza un rifugio... Decisi di andarci, con R Pope.

Troviamo un centinaio di persone sedute nella polvere, donne a destra, uomini a sinistra, molti mutilati o deformi, con innumerevoli mocciosi che scorrazzano fra loro. Uno senza gambe ha una pezza di cuoio sotto il sedere e si sposta a braccia, una ragazza va gattonando, un anziano ha le orbite vuote e il naso roso dalla lebbra...

Mi sento paralizzato, smarrito nel caos di grida, insulti, richieste. Seduti, aspettiamo che si calmino, ma vogliono soldi e non c'è verso. Un ragazzo sui 12 anni, ritardato mentale, spastico, si rotola nella polvere sbavando. Si ferma un attimo, mi guarda, riprende a rotolarsi. Sto male e mi alzo per andarmene. Invece, spinto da un impulso fortissimo, mi siedo per terra, afferro il ragazzo, lo tiro a me, appoggio la sua testa sul mio petto, lo accarezzo e piango.

Si fa un silenzio assoluto. Poi la donna più vicina allunga la mano e mi tocca, poi un uomo, poi altri. Senza fiatare, saltando, rotolando, zoppicando si affollano intorno a me per toccarmi e tenere la mano sulle spalle, le gambe, la testa. Dopo un tempo infinito riusciamo a parlare: "Non siamo qui a dare soldi, ma ad offrirvi un servizio. Non lasciate infettare le vostre ferite, non morite di polmonite o di appendicite. Possiamo accogliervi al nostro centro, volentieri". Parliamo per tre ore, poi tutti ce ne andiamo, in ordine."

Questo è il racconto che tempo fa mi ha "conquistato". A parlare era Hilarius Simon Marandi, un giovane solido, della popolazione Santal. Da ragazzino scorrazzava nel villaggio, andava a caccia di topi, s'infilava fra i malati dell'ospedaletto dove la mamma lavorava, sguazzava negli stagni con i compagni. Se non aveva altro da fare, andava a scuola.

Entra in seminario, ma a vent'anni lascia per aiutare la famiglia in difficoltà. Trova lavoro a Dhaka, in un piccolo Centro che accoglie ammalati poveri, li guida nella babele della sanità locale accompagnandoli dal medico, o all'ospedale, dando le medicine prescritte, offrendo un letto quando devono fermarsi in città per convalescenza, o fra un esame clinico e l'altro... Sotto la guida del missionario americano P. Pope, Hilarius s'appassiona, impara a trattare con i malati e con i medici, spesso sprezzanti o esosi, dimostra buon senso e pazienza.

Quindici anni di questa esperienza l'hanno reso sempre più attento a chi soffre, capace di aiutare non dall'alto, ma stando accanto. Sa calmare un malato che ha paura, farsi spiegare da un medico frettoloso, o non attento a un poveraccio senza soldi, scovare i pochi servizi gratuiti di organizzazioni private o dello stato.

Ultimamente, ritiratosi l'anziano P. Pope, il Centro ha ridotto drasticamente le sue attività, assiste soltanto alcuni casi, e non ospita più per la notte. Hilarius si trova con parecchio tempo libero, e spontaneamente ha iniziato ad usarlo per stare vicino ai molti cui deve dire: "Spiacente, il Centro non accoglie più". Ci mette del suo, ed ora ha fatto spazio nella sua casa per chi proprio non può cavarsela altrimenti. Ha iniziato con un ammalato di tumore, dimesso perché senza speranza, che non ce la faceva a tornare al villaggio. "Lo so che non c'è niente da fare, ma voglio che muoia sentendo che qualcuno non lo ha rifiutato." L'appartamento - che ora tutti chiamano ashram, rifugio - è piccolo, ma qui sanno arrangiarsi in pochissimo spazio.

Sono sicuro che sceglie proprio gli ultimi.

Franco Cagnasso

I mezzi della missione

Franco Cagnasso

Missionari del Pime - novembre 2010


Per scoprire Dio nell’uomo e l’uomo in Dio. Superando paure e pregiudizi, da sempre e con tutti mezzi, i missionari del Pime sono andati al di là dei confini per cercare uomini e donne che aspettano di conoscere la gioia del Vangelo.

Al di là. Di quelle colline, del fiume, delle ultime periferie della città, del deserto, del mare... Ci sono altri popoli, sofferenze e oppressioni, realtà sconosciute, lingue, religioni, idee.

“Al di là”, è un richiamo interiore che risuona nel missionario e non lo lascia tranquillo là dove è arrivato, pienamente soddisfatto di ciò che sta facendo. Appena può, va oltre - con qualunque mezzo.

Così i missionari del Pime hanno proseguito oltre Toungoo, in Birmania, per arrivare alle montagne dei Cariani, dei Lahu, di altri popoli sconosciuti. Un mese di viaggio a cavallo e infezioni intestinali croniche sono state il “biglietto” pagato per arrivarci.

Per questo in Bengala hanno attraversato il Gange addentrandosi nelle foreste per conoscere i Santal, gli Oraon, i Munda, parlare le loro lingue, studiare le loro culture, presentare il Vangelo, insegnare ai loro figli. Il carro da buoi, la schiena sconquassata e varie malattie sono state il biglietto...

Per questo pochi anni fa sono andati nel cuore dell’inquieta Algeria, che sembra chiudersi a riccio di fronte a ciò che viene da fuori. Con l’aereo - con lo stesso spirito che avevano, tanti anni prima, in Birmania, Bengala, Cina. La Cina... dopo mesi di viaggio in nave, una, due settimane su barconi che risalivano i fiumi trascinati dalla riva con lunghe corde...

Qualunque mezzo va bene, pur di arrivare. E ripartire: uomini e donne che soffrono, e che non vivono la gioia del Vangelo, sono come una calamita irresistibile.

E poi? C’è da compiere il grande viaggio interiore da se stessi verso l’altro, la sua diversità, superando il confine delle nostre paure, pregiudizi, ignoranze. Per scoprire Dio nell’uomo e l’uomo in Dio - insieme verso l’Amore infinito.

La missione dello stupore

Franco Cagnasso

Missionari del Pime - dicembre 2010

La missione è anche stupirsi! La grazia del Signore sgorga improvvisa, inonda di gioia. Sta a noi saperla scoprire nelle pieghe della vita di ogni giorno.

«Tornando a casa, una sera vedo un anziano che cammina svelto, chiacchierando con alcuni bimbi cenciosi. Ha una sacca in spalla, vestiti logori, sembra europeo e la faccenda m’incuriosisce. Li seguo... così conosco Fratel Lucio che raduna, fa giocare, istruisce, cura i bambini delle strade di Dhaka. Chiedo di slancio: “Posso dare una mano?” Mi risponde che sta cercando volontari, e la mia nuova vita incomincia...” Simpatica, semplice, Lota spiega come s’è innamorata di questi bambini, diventando la più dedicata e appassionata volontaria nell’organizzazione di Fr. Lucio.

I 60 ragazzi e ragazze del “Corso Samuele” l’ascoltano affascinati, fanno domande, si entusiasmano. “Di quale parrocchia sei?” “Beh – sorride - appartengo a tutte le parrocchie: sono musulmana”».

Sorpresa, silenzio, gioia...


Si chiama Dominic, commerciante di sessant’anni circa, massiccio, sembra un oratore improbabile per un corso vocazionale. «Ho un figlio gravemente menomato: non comunica, non si muove, non capisce.

Con mia moglie l’ho curato per 12 anni, pieno di rabbia con Dio: perché? Pensavo a quanto avrei potuto fare se non avessi dovuto star dietro a quel figlio! Poi durante un ritiro, ascoltando Jean Vanier ho intuito che c’era un altro modo di vedere la mia realtà. Forse il bene che potrei fare lo sto già facendo, è qui con me. Quante occasioni! Pian piano il cielo si è rasserenato. Sono passati 30 anni, mio figlio non ha mai sorriso a me, a mia moglie, a nessuno. Ma in lui incontro Dio, e con me tanti altri che mi aiutano, o che cercano aiuto. Sono un uomo felice...»

Si ascolta rapiti, molte domande vengono in mente e si trasformano in preghiera.

L’ho vista più volte attraversare il giardino, pensavo venisse per un corso di preparazione al matrimonio, finché ieri un seminarista me l’ha presentata. È una donna giovane, asciutta, il viso a tratti marcati dà un senso di forza. Ha tre figli. «Ci stiamo preparando al battesimo». Le brillano gli occhi. «Come ti è venuto in mente?». «Sono cresciuta sulla strada. Insieme a noi bimbe musulmane, giocavano alcune cristiane. Mi piacevano, mi sembravano buone e mi sono detta che volevo essere come loro. Poi mi sono sposata, e ora anche mio marito vuole il battesimo. Però deve pedalare tutto il giorno sul riksciò per mantenerci, e non può venire. Io ascolto, la sera gli spiego quello che ho imparato, e la domenica veniamo a Messa con i bambini. Altre due famiglie dello slum vogliono unirsi a noi». Ride: «Difficoltà principale? Il prete. Non si fidava, chiedeva perché mai volevo farmi cristiana, mi diceva: sii una buona musulmana... Ma ho vinto io, e ora ci incoraggia».

Il Vangelo è pieno di sorprese. Gesù si sorprende di noi: «Non avevo mai trovato tanta fede in Israele...» oppure: «Ma ancora non capite?». Più spesso è lui che sorprende e sconcerta: «Il figlio del falegname? Dove ha imparato tutte queste cose?». «Quest’uomo non parla come gli altri, c’è autorità nelle sue parole!». «Un guru che mangia e beve con esattori delle tasse e prostitute?». «Ma che profeta è se non sa che razza di donna lo tocca?». La sorpresa porta gioia a chi ha il cuore pronto, la gioia di vedere la bontà di Dio che ci viene vicino: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Fino alla gioia indicibile e alla sorpresa assoluta: «È risorto, è tornato fra noi!».

La missione ci fa scoprire nelle pieghe della vita di ogni giorno come il Signore opera fra i piccoli, i semplici, dentro i cuori, nella sofferenza. La sua grazia sgorga improvvisa, inonda di gioia. Se non sappiamo accorgercene, ci preoccupiamo, restiamo freddi e impermeabili come gli scribi e i farisei. La missione è anche stupirsi!

Lettera agli amici

Dhaka, Natale 2010

Cari Amici,

Per quattro anni consecutivi il Bangladesh ha avuto il titolo (ora perso, fortunatamente) di “Paese più corrotto del mondo.” Sapendolo, ho sempre cercato di avere la necessaria fiducia, ma anche di controllare che gli aiuti che ricevo e distribuisco venissero usati in modo corretto. Non ci sono riuscito, e di conseguenza da mesi l’ostello di Lebubari, dove vivevano e studiavano oltre trenta ragazzi poverissimi, è chiuso. Nella lettera del Natale scorso avevo accennato a difficoltà che speravo di superare con l’aiuto della Parrocchia di quell’area; ma non c’è stato nulla da fare. Questi i fatti: ritornato dalle vacanze nel 2008, notai che qualcosa era cambiato, iniziai a sospettare che il denaro venisse usato per scopi diversi da quelli per cui era donato, e che i ragazzi venissero trascurati; gradualmente ne ho avuto la certezza, e ho saputo che il fondatore e responsabile dell’ostello aveva anche contratto debiti consistenti, sicuro di ripagarli con i soldi che gli avrei procurato io. Il tentativo di entrare in politica, insieme con l’idea diffusa, che i denari ricevuti per i poveri servono prima di tutto per se stessi, sono le cause probabili di questa deviazione che mi ha costretto a fermare gli aiuti. Per fortuna avevamo intestato alla parrocchia due terzi della terra, che per ora saranno affittati: l’allevamento del pesce darà un buon profitto per sostenere l’ostello parrocchiale, nel frattempo ampliato per far posto ad altri studenti.

Sono molto dispiaciuto per i ragazzi mandati a casa, per i donatori che hanno avuto fiducia e condiviso il progetto aiutandolo, e anche per la persona che avrebbe potuto continuare bene come aveva iniziato, e invece è andata fuori strada.

Sto cercando di capire dove ho sbagliato, per ridurre i rischi in altri progetti.

A questa notizia decisamente triste, per fortuna fanno seguito altre più serene.

La più simpatica è che Maria Loreta, studentessa che dirige il piccolo ostello per ragazze santal, s’è sposata con Maximillian, altro universitario che aiuto e che collabora. Ora dirigono insieme l’ostello, e anche il progetto “12 Villaggi”, che consiste nell’aiutare dodici studenti della scuola intermedia, i quali a loro volta s’impegnano a fare doposcuola ai bambini più piccoli. Raggiungiamo così 191 bambini e 12 giovani con una spesa di 150 Euro al mese. Il progetto, proposto da Maria Loreta, ha raccolto consensi e funziona anche grazie allo stretto controllo dei capi villaggio. Maximillian, dal canto suo, ha convinto un gruppo di giovani a costruire una baracca in bambù e lamiera, dove custodire una piccola biblioteca; il prestito di ogni libro costa ben 2 taka (0,02 Euro). Hanno pure acquistato un “van” (triciclo a pedali con pianale) su cui caricano i libri per raggiungere settimanalmente villaggi lontani. Biblioteca ambulante a tre ruote!

L’ostello di Tong Khyang Para, nel lontano Bandarban, mantiene e fa studiare 73 ragazzi e ragazze Marma, tutti buddisti, e 5 Tripura, cristiani. Quest’anno i primi ragazzi hanno sostenuto l’esame di maturità (tre promossi, uno no), l’anno prossimo sarà il turno della prima ragazza e di altri tre ragazzi. Per avere qualche risorsa locale abbiamo aperto, nella cittadina, una piccola cartoleria con servizio fotocopie, una scuola di computer, e un autonoleggio con una vecchia Toyota che arranca sulle stradine ripide e sterrate della zona. Lo stagno offre pesci, gli alberi piantati danno frutti, c’è un’arnia per il miele, e speriamo di metterne altre per venderlo.

Ogni visita all’ostello è una gioia, ma speciale fra tutte è stata la visita del luglio scorso con il gruppo delle ragazze santal di Dhaka (vedi sopra), che finalmente hanno visto le montagne, e che ha dato a Marma, Tripura e Santal l’occasione di incontrarsi per la prima volta, mostrare le loro danze, conoscere aspetti delle rispettive culture, pregare insieme, buddisti e cristiani.

Qui a Dhaka, nella baraccopoli di Notun Bazar, il Centro di Dino e Rotna insegna a cucire abiti e a ricamare. Molti di voi, comprando o rivendendo i loro prodotti attraverso Paola Bensoussan, permettono a tante donne povere, giovanissime divorziate, abbandonate, o ragazze madri di guadagnarsi da vivere. Per quelle fra loro che non sanno leggere e scrivere, il Centro offre ogni giorno corsi di alfabetizzazione, e per le bambine più piccole, che ancora non lavorano, scuola vera e propria. Alle bambine che frequentano con regolarità regalavamo 10 chili di riso ogni mese, perché non dovessero andare a mendicare, rubare, raccogliere rifiuti. Quando ci siamo accorti che in molti casi i papà se lo prendevano per venderlo e procurarsi alcool, abbiamo cercato una scorciatoia: nei giorni feriali offriamo un pranzo completo a quasi 80 bimbe (più qualche fratellino che s’intrufola...), così che il riso se lo portano via già ben sistemato e al sicuro... nella pancia.

A Uttora, il Centro di incontro per i Cristiani della città ha dovuto traslocare dopo un anno. Abbiamo trovato un’altra e migliore sistemazione, e il numero di chi ci avvicina aumenta. Spesso si tratta di persone che da anni non trovavano una chiesa. Ci sono bengalesi e aborigeni urbanizzati, adulti e bambini, ricchi e poveri o poverissimi. Con l’aiuto che ricevo dall’Italia pago l’affitto mensile; le altre spese si coprono con il contributo dei fedeli locali, compresi alcuni nuovi che si stanno preparando al battesimo.


E ora parlo di me... Devo ammettere che i miei tentativi di rimettere in sesto Lebubari sono stati logoranti, e lo stesso devo dire del contatto continuo con situazioni di sofferenza che non trovano rimedio per incapacità delle persone, ignoranza, ingiustizie crudeli che a volte lacerano il cuore. So di non fare praticamente niente, eppure sono contento di rimanere accanto a queste persone.


Sono in procinto di fare i bagagli, perché a dicembre scade il mio incarico di insegnante e accompagnatore spirituale in seminario, dove sono rimasto quasi nove anni. Cambierò sede e incarico, forse rimanendo in città; in ogni caso, finché salute ed età me lo permettono non lascio gli impegni presi, quelli descritti qui sopra e altri con malati, studenti, persone in difficoltà. Rimarrà pure il contatto con tanti seminaristi, ai quali sono molto affezionato!

Per il Natale in arrivo auguro a tutti voi, nella fede o nel dubbio, di sentire più intensamente la gioia di vivere, e insieme il bisogno di qualcosa che sia “oltre” la quotidianità spesso banale in cui siamo immersi; auguro di stupirsi del mistero di un Amore silenzioso che ci avvolge e che si fa piccolo per lasciarsi amare, liberandoci dallo squallore arido dell’egoismo.

Con molta riconoscenza, e con una preghiera per chi quest’anno ci ha lasciati, per chi soffre, per chi è nella solitudine, per tutti.

Franco Cagnasso