Articoli e lettere agli amici - 2022

p. Franco Cagnasso

2022

Frastornato

Monza, Natale 2022


Questa volta la “scheggia” che vi mando è la consueta lettera natalizia agli amici. Gli anni scorsi avevo preferito spedire personalmente a tutti queste lettere, e solo in seguito metterle “in pasto” ai lettori di internet… ma quest’anno penso proprio di non farcela a spedire una lettera per ciascuno a tutti o quasi, e quindi… mi arrendo e ricorro alla diffusione collettiva, confidando nella comprensione dei lettori.

Il titolo della scheggia esprime al meglio un aspetto della mia personale situazione in questo momento: “frastornato”.

Ma “Un aspetto” non significa “tutto”: se avete voglia, leggete, e fatevi un’opinione personale. Ho un grande “magone” per la lontananza di tanti che sono diventati lontani perché si trovano in Bangladesh, e allo stesso tempo mi sento gioiosamente sorpreso di trovarmi in questo mondo di giovani che mi entusiasmano, mi incuriosiscono, mi stimolano, mi commuovono… non solo, ma mi sopportano e mi preparano anche la minestra in brodo alla sera, perché sanno che per me è meglio…

Un capitolo inatteso, entusiasmante, eppure pieno di nostalgia. E il bello è che ringrazio Dio di questa sovrabbondanza di interessi, sentimenti, desideri, timori, facce e storie lontane cui penso spesso, e facce nuove che imparo ad amare. Curioso, vero?

Ed ecco la lettera.


Natale 2022

Carissimi Amici,

a tutti un cordiale saluto dal Seminario Teologico Internazionale del PIME, a Monza!

Qualche sera fa abbiamo concluso la giornata con un’ora di adorazione, che includeva un canto in italiano, uno in latino, uno in telegu (lingua dell’Andhra Pradesh, in India) e un altro in un idioma che non avevo mai sentito… la varietà parla da sé a proposito della comunità in cui ora risiedo, che conta 61 seminaristi africani, latino americani, asiatici; fra questi ultimi, dieci provenienti dal Bangladesh.

Anche il gruppo “direttivo” è nutrito e vario; siamo sei Padri e un Fratello: camerunesi, indiani, italiani, con esperienze di servizio missionario in Hong Kong, Bangladesh, Brasile, Cambogia.

Una Babele? No, piuttosto un ambiente decisamente stimolante per me, invitato qui per sostituire uno dei due missionari incaricati dell’accompagnamento spirituale, che si era ammalato. Sono approdato in un mondo pieno di vita, progetti, speranze, che – dopo il faticoso periodo di reclusione a causa del Covid – ha ripreso a pieno ritmo: studio, preghiera, vita comune e tante esperienze impegnative. Tutti, ogni settimana, escono per servizi di appoggio in parrocchie, oratori, centri di assistenza caritativa; frequentano le carceri, giovani con disabilità, anziani, e nel prossimo futuro – forse - un “Hospice”.

I nostri seminaristi si sono inseriti bene sul territorio di Monza e Milano, si fanno conoscere e stimare. Recentemente abbiamo invitato per una giornata fra noi i preti con i quali sono coinvolti. Erano una cinquantina, contenti di aiutare nella formazione, e grati per l’aiuto efficace che ricevono.

Certamente per me non tutto è facile, a partire dal problema di ricordare i nomi; mi incoraggiano la simpatia e la pazienza di chi mi sta attorno, e la soddisfazione di vedere che il fascino del Vangelo e l’appello ad annunciarlo – con precedenza ai poveri e ai sofferenti – rendono questi giovani i protagonisti della missione, mentre fino a pochi anni fa sembravano esserne soltanto “obiettivo”.

Dunque, il Bangladesh è ormai alle spalle? No: spero di ritornarvi, allo scadere del biennio di servizio che mi è stato chiesto; né io, né le persone che conosco in Bangladesh intendiamo “tagliare i ponti”.

I contatti sono tantissimi (troppi?) e le attività a cui mi dedicavo continuano bene, grazie a chi ha cordialmente accettato di sostituirmi: p. Francesco Rapacioli, per l’Ostello dei Marma a Bandarban e per il Centro Assistenza Ammalati di Rajshahi; p. Gian Paolo Gualzetti a Snehonir, nella “Casa della tenerezza” di Rajshahi; p. Brice Tambo per le borse di studio assegnate ad alcuni studenti, e nei rapporti diretti con persone che vivono in difficoltà a causa di malattie, vedovanza, disoccupazione… Ho promesso di appoggiarli in tutti i modi possibili, a partire dalla preghiera, e di mantenere i contatti con chi aiuta dall’Italia.

Penso vi faccia piacere ricevere anche qualche notizia sulle singole attività che conoscete. A Bandarban, MongYeo e il suo Consiglio hanno prolungato dalla classe ottava fino alla decima gli anni d’insegnamento nella scuola, così gli alunni possono rimanere alla “Hill Child Home” fino al livello del College senza dover andare in città, dove è difficile per le ragazze trovare un posto adeguato. E la piantagione di gomma? Oltre metà ha iniziato a produrre, e presto il raccolto aumenterà ancora.

A Snehonir sono entrati parecchi bambini e bambine nuovi, in parte conosciuti grazie al progetto realizzato con la Caritas e ora concluso. Sono per lo più non udenti, o non vedenti; con loro, l’età media degli oltre 40 membri della comunità si è abbassata, mentre la vivacità è aumentata! Amily, una delle ragazze grandi, ha iniziato un corso speciale per divenire insegnante alle scuole per infermiere, mentre Robi ha avviato una piccola attività commerciale per mantenersi.

Il Centro Assistenza Ammalati, con la sezione generale e quella per i pazienti di tubercolosi, da gennaio a giugno ha aiutato 782 ammalati – meno di alcuni anni fa, ma in crescita rispetto al periodo del Covid. È affiancato, a distanza, dal Centro Assistenza Ammalati collocato nella casa del PIME a Dhaka: piccolo, ma prezioso specialmente per i pazienti in situazioni più complesse.

E JoyJoy, l’iniziativa più recente? Ha preso il via a Dinajpur mentre stavo per trasferirmi in Italia, e procede molto bene. Segue oltre 30 bambini e bambine fra i cinque e gli undici anni con grave disabilità mentale, portando serenità e sollievo anche alle loro mamme, attivamente coinvolte. Perno di tutto è la missionaria laica giapponese Naomi Iwamoto, competente, entusiasta, instancabile, affiancata dal missionario laico dell’ALP Alberto Malinverno e da alcuni missionari del PIME.

Non nego che ho vissuto con fatica l’imprevisto “salto” dal Bangladesh all’Italia, e che mi sento ancora frastornato. Ma sono convinto di aver fatto la scelta che dovevo fare. La missione non ci appartiene, e il Maestro, che ci ha chiamati a collaborare con Lui, ha percorso prima di noi la strada del dono di sé senza troppi calcoli.

Lo ricordiamo specialmente nella festa del Natale che si avvicina e ci annuncia che la potenza di Dio si esprime e si manifesta nell’amore che fa spazio agli altri, con gioia e fiducia.

A tutti i miei auguri più sinceri 

p. Franco Cagnasso

Il mondo in seminario

di p. Franco Cagnasso

Mondo e Missione, 2 luglio 2022

Per la prima volta nella storia del Pime, quest’anno fra i giovani che intendono entrare in seminario non c’è neppure un italiano. I seminaristi provengono dai quattro angoli del mondo. Rappresentano quelle Chiese che dai missionari molto hanno ricevuto e ora stanno ricambiando

 

Riproponiamo qui l’ultima “Scheggia di Bengala” pubblicata da padre Franco Cagnasso, missionario del Pime, rientrato dal Bangladesh per un servizio nel Seminario internazionale dell’Istituto, dove tutti i giovani informazione sono stranieri. Una sfida, ma anche un “sogno”, che il missionario affronta «con la fiducia che sia l’inizio di qualche cosa di nuovo e bello».

       

       

Siamo tutti in giardino, a gustare cibi e canti camerunesi (e non solo), in una serata dal clima perfetto. Al seminario internazionale del Pime a Monza, celebriamo la giornata dell’unità del Camerun che – mi dicono – non sottolinea tanto l’indipendenza, quanto il giorno in cui la nazione decise di rimanere unita, e di non separare le zone di lingua francese e di lingua inglese. Decisione ora rimessa in discussione da movimenti anglofoni separatisti che preoccupano…

 

Siamo cinque missionari del Pime (un indiano, un camerunese, tre italiani) e sessanta seminaristi in cammino per entrarvi. Provengono dai quattro angoli del mondo quanto ad origine e anche per servizi ed esperienze fatte: Camerun, appunto, ma anche Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Zambia, India, Bangladesh, Myanmar, Filippine, Brasile…

 

Per la prima volta nella nostra storia, quest’anno fra i giovani che intendono entrare al Pime non c’è neppure un italiano.

 

Non è una bella notizia questa, certamente, ma mi fa ritornare alla memoria un pensiero scritto dal piccolo gruppo di giovani missionari che 170 anni fa, nel 1852, presero parte alla prima “spedizione” organizzata dal nuovissimo Seminario Lombardo per le Missioni Estere, che più tardi, unendosi al quasi gemello Seminario Romano, formò il Pime. Dopo aver espresso la loro volontà precisa di lavorare fra coloro che non conoscono il Vangelo, dove non c’è presenza della chiesa, dove ci sono povertà, sofferenza, disagi e nessuno se la sente di andare, questi giovani – preti e laici missionari – si augurano di offrire ai più lontani la ricchezza dell’incontro con Gesù. E azzardano, timidamente, come fosse una speranza troppo ardita, un quadro “da sogno”: un giorno questi popoli ora lontani e privi di tutto, ai quali ci rivolgiamo perché sono ultimi e trascurati, saranno a loro volta non solo membri della chiesa, ma missionari, e condivideranno il nostro desiderio di andare sempre più lontano, diventando a loro volta missionari.

 

Eccola qua, la profezia “da sogno”, la speranza “ardita” e quasi incredibile è davanti ai nostri occhi. Quando, tanto tempo fa (il prossimo 7 ottobre si compiranno esattamente 60 anni), entrai al Pime come seminarista proprio qui a Monza, c’era una bella varietà di giovanotti di liceo: milanesi, bergamaschi, trevigiani, lodigiani, vicentini, e anche qualcuno un po’ più esotico, toscano o piemontese come il sottoscritto… tutti comunque provenienti da paesi “cristiani”. Ora ciò che mi impressiona non è tanto la varietà di provenienze, ma l’entrata in campo di coloro che pensavamo dovessero ricevere – e ora stanno ricambiando.

 

Questo non ci esime dal chiederci perché non abbiamo vocazioni italiane. Bisogna riflettere e cercare di capire; però ritengo che il cammino della Chiesa debba essere orientato da valutazioni attente, revisioni, riforme, ecc. ma soprattutto da una grande apertura e docilità allo Spirito, che non si lascia chiudere nelle nostre valutazioni, statistiche, programmazioni. Un vescovo indiano che ha lavorato moltissimo fra i tribali del Nord India – Thomas Menamparampil – ha fatto notare che la chiesa in vari paesi asiatici (e il Bangladesh è fra questi) non è formata da persone che appartengono alla maggioranza, ma per lo più da minoranze tribali: e questo in un certo senso ci riporta agli inizi, quando il messaggio di Gesù incominciò a circolare per il mondo affidato agli Ebrei, un popolo allora minoritario e oppresso. Tuttavia il vangelo di strada ne ha fatta, anche se era stato affidato a gente che agli occhi del mondo contava poco. Secondo mons. Thomas, saranno proprio queste realtà umane piccole, ignorate e di poca importanza dal punto di vista politico, economico, culturale, ecc. a far conoscere il vangelo in Asia.

 

Allora, che cosa concludo prima di andare a dormire al termine della festa del Camerun? Niente, nessuna conclusione; tutto è aperto, non ci sono bacchette magiche né ricette sicure. E non ci sono realtà senza problemi, limiti, errori. C’è però, senza negare gli aspetti preoccupanti e di rammarico, il desiderio di accettare con gioia questo panorama inatteso, con la fiducia che sia l’inizio di qualche cosa di nuovo e bello.