In: La Civiltà Cattolica n. 3973
Giuseppe Magno, Il giardino di Ebe,
Datanews, Roma, 2014
Il romanzo inizia a Strasburgo, dicembre 1974: un noto professore di teologia invita alcuni specialisti in filosofia, criminologia, psicologia, psichiatria, per sottoporre loro l’argomento scientifico che attrae totalmente la sua attenzione negli ultimi anni. Il problema che il professore sta cercando di risolvere è quello antico del katéchon, l’essere ambiguo che trattiene il male, cosa o chi allontana da noi, nello stesso tempo, la catastrofe e la salvezza. E la memoria corre, inevitabilmente, alle parole di Paolo nella sua Seconda lettera ai Tessalonicesi.
Per aiutare gli altri a comprendere ed essere meglio aiutato a trattare il problema, il professore porta un caso concreto: una esistenza in cui la questione è visibile in tutti i suoi aspetti. E proprio a questo fine alla riunione partecipa anche una signora quarantenne, Ebe, che subito diventa il vero centro di questa strana riunione di esperti, nonché di tutto il racconto.
Ebe, brillante ingegnere mineraria presso una multinazionale, ha viaggiato molto e ora lavora a Rotterdam. L’evento decisivo della sua vita accade all’età di vent’anni quando lei, all’Università di Friburgo, incontra Immanuel Friedrich. Per tutti e due è un vero colpo di fulmine, che cambia le loro esistenze. Ebe, poco dopo, si scopre incinta e già prima del matrimonio nasce Rose.
D’altra parte, per la prima volta nella vita a Immanuel sembra di aver trovato la persona giusta cui confidare sofferenze e segreti, finalmente senza più limitarsi al suo meticoloso diario. Così confida a Ebe che da sempre lui si riconosce e si pensa come Imma, diminutivo di Immanuel, ma che nella sua famiglia lo hanno sempre chiamato Fritz.
Fritz non è propriamente lui stesso, cioè non è Immanuel, la mente superiore, l’Io spirituale, il principio formale e vitale del corpo: è, invece, una sua forma diversa, una forma inferiore di sé, la sua parte materiale, capace nella realtà, ma anche subdolo, istigatore, ricattatore, bugiardo, vigliacco, invidioso, geloso. Imma vede Fritz come una sorta di nemico intimo, la parte da contrastare per mantenere il controllo su di sé. E, così come Imma, anche Ebe comincia ad aver paura di Fritz. Ecco allora il quesito del professore teologo: perché nel giardino di Ebe, come in quello di Eden, abita il serpente?
Intanto la narrazione di Ebe procede. I coniugi si laureano e cominciano a lavorare. Ebe diventa subito una donna in carriera e ha più successo professionale ed economico del marito, e per lei la famiglia, soprattutto la relazione con Imma, non è più al primo posto. Inevitabilmente Imma ne risente, e la relazione con Ebe comincia a complicarsi. Questo purtroppo dà vigore a Fritz, già contrario alla relazione con Ebe. Di lì al divorzio il passo è breve, e Rose deve lasciare il padre per andare a vivere con la madre. La situazione personale di Imma precipita. Una volta, quando padre e figlia partono per una breve vacanza insieme, accade qualcosa di inaspettato: i due diventano irreperibili. Si attiva un’affannosa ricerca che si estende anche ad altri Stati e si rivela piena di colpi di scena, che ovviamente non anticipiamo al lettore.
Questo romanzo, ben scritto, avvincente, con una carrellata di tipi umani analizzati e descritti con finezza e ricchezza di particolari e con note, è proprio un bel giallo. Ma non soltanto questo: è anche la realistica e dettagliata analisi di un problema delicato e in rapida diffusione che l’A. conosce bene. Giuseppe Magno, magistrato con esperienze internazionali soprattutto nel campo dei minori, è stato per anni ai vertici della Giustizia minorile nel nostro Paese, nonché collaboratore di «Telefono Azzurro». Pertanto, quella dei minori che pagano in prima persona i problemi irrisolti dei loro genitori è una realtà su cui l’A. scrive con competenza diretta. È un problema che egli cerca di far conoscere anche al di fuori della ristretta cerchia degli specialisti, ad esempio proprio attraverso romanzi come questo.