Cosentino F.

In: La Civiltà Cattolica n. 3835


Francesco Cosentino, Un Dio possibile. Cristianesimo immaginazione e “morte di Dio”

Assisi, Cittadella, 2009

 

L’A. è assistente di Teologia Fondamentale all'Università Gregoriana. In questo lavoro cerca di rispondere a tre domande chiave: quale sia il Dio in cui non crede l’ateo postmoderno; se il suo ateismo possa avere origine da un’immagine di Dio negativa e distorta, che non nutre la sua immaginazione e le sue speranze più nascoste; se, dinanzi a un simile ateismo, sia ancora adeguata l’apologetica classica con la sua forte impronta razionale e il ricorso alle prove argomentative sull’esistenza di Dio.

Le tre domande e il titolo del libro lasciano intuire come una chiave di lettura fondamentale del lavoro sia la «immaginazione», intesa come «spazio che ingloba le dimensioni più profonde e più sensibili dello spirito umano e che è rappresentato dall’intreccio di desideri, speranze, aspirazioni e valori radicati che danno una certa direzione e tonalità al vivere umano» (p. 31). Per l’A. si tratta di quello «spazio umano», vera e propria sfera pre-religiosa, in cui prende forma l’immagine di sé e di Dio, a cui prestare particolare attenzione nel parlare di Dio nella postmodernità. 

Il primo capitolo – «Dire Dio nell’era della postmodernità: la ''morte di Dio'' come cifra del presente e come domanda» – introduce in modo adeguato tutta l’analisi. La premessa è che non siamo di fronte al tramonto del cristianesimo ma di un certo tipo di cristianesimo, pertanto siamo di fronte a nuove possibilità. In questa parte ci si confronta con diversi autori, tra cui il filosofo C. Taylor. Due i passaggi messi in evidenza: quello dalla secolarizzazione al secolarismo e quello dalla modernità alla postmodernità. Siamo nell’epoca della «secolarizzazione della coscienza», della silenziosa «morte di Dio», dell’indifferenza religiosa e di un certo e spesso equivoco ritorno del sacro. 

L’indifferenza religiosa postmoderna non deriverebbe da argomentazioni intellettuali contro la fede, ma da una distorta immagine di Dio: un Dio severo, rigido, distante dall’uomo, dal mondo, dalla storia. Di qui la necessità di una sorta di «pre-evangelizzazione», che purifichi questa immagine. La «morte di Dio», quindi, diventa provocazione per la teologia in vista della decostruzione e guarigione di una certa immagine negativa di Dio. Nel postmoderno, disilluso nei confronti della ragione e critico verso ogni sistema di pensiero organizzato, anche l’ateismo ideologico è entrato in crisi: dall’ateismo si passa al post-ateismo, all’indifferenza religiosa. L’ateismo oggi non si situa più a livello del pensiero ma degli affetti. E allora la teologia dell’ateismo non dovrebbe rivolgersi all’intelletto ma all’universo interiore dell’uomo postmoderno, alla sua immaginazione.

Nel secondo capitolo – «Alle origini della postmodernità: Nietzsche e la «morte di Dio» – Nietzsche viene scelto come figura chiave simbolica. L’A. attinge al suo pensiero della «morte di Dio» per farne una metafora e un simbolo del nostro tempo, una provocazione alla purificazione della fede. Del filosofo analizza innanzitutto la biografia, base imprescindibile per comprendere il suo pensiero. Poi, seguendo le sue opere, trae dalle critiche di Nietzsche suggerimenti ritenuti validi per il cristianesimo nella postmodernità. Di qui la necessità di predicare non il Dio della metafisica e della morale o giudice severo e causa di paura e risentimento, ma il Dio amante dell’uomo e del mondo nella loro interezza, desideroso che la sua creatura viva appieno la propria storia nel mondo.

Nel terzo capitolo – «Il cristianesimo e Nietzsche: il pensiero cristiano dinanzi alla «morte di Dio» e le istanze di rinnovamento» – ci si confronta con una serie di teologi che, in modi diversi, hanno fatto tesoro della provocazione nietzschiana. Fra quelli protestanti l’A. sceglie D. Bonhoeffer; H. Cox; J. Robinson; W. Hamilton; T. Altizer; E Jüngel. Fra quelli cattolici analizza H. De Lubac; P. Valadier; J. Moingt. Dall’analisi si ricava una lettura dell’ateismo come rifiuto di una immagine distorta di Dio, rifiuto che dovrebbe diventare voce critica per la teologia e il cristianesimo. Nel quarto capitolo – «Cristianesimo, immaginazione e immagini di Dio. Oltre la ''morte di Dio''» – in risposta all’ateismo contemporaneo l’A. propone cinque vie creative  verso Dio per la nostra epoca: dell’immaginazione; della mistagogia; del pensiero non metafisico; del linguaggio «nuovo»; della croce. Se ne ricava il quadro per una «nuova apologetica», non razionalista, ma attenta all’uomo reale cui proporre la «relazione» con un Dio non deformato.

Lungo gran parte del testo il concetto base di «immaginazione» non risulta sufficientemente definito e bisogna attendere quasi la fine per una sua descrizione più analitica. Si registra anche una certa tendenza a ripetere troppo spesso i concetti base, tra l’altro riportati con troppi refusi. Inoltre, ferma restando la validità di fondo della provocazione dell’A. e degli altri teologi che riflettono nella stessa direzione, rimane comunque un dubbio: in quale reale misura l’indifferenza nei confronti di Dio, il suo oblio nella postmodernità, sia da addebitare a una immagine distorta di Dio generata da una certa teologia. In ogni caso, data la stretta correlazione esistente tra immaginazione umana e religiosa e assenso di fede, il problema sollevato esiste realmente. Pertanto va raccolto l’invito dell’A. ad avviare un processo critico «per permettere che un certo Dio possa «morire» perché risorga il Suo volto più autentico e più vicino alle istanze e alle esigenze di questo tempo» (p. 91). 

L’analisi, ricca di riferimenti bibliografici, risulta interessante e coraggiosa, soprattutto come salutare autocritica del cristianesimo. In un’ottica particolarmente attenta al cristianesimo come religione dell’Incarnazione e all’uomo nella sua realtà esistenziale, la fede e i dubbi che inevitabilmente l’accompagnano vengono considerati con umiltà e realismo, e l’ateismo viene considerato come una sfida lanciata alla fede. 

L’A., infine, non si limita a prendere atto della situazione ma, con una visione aperta ad una realistica speranza, propone possibili soluzioni approdando ad una teologia fondamentale-pastorale. Il testo risulta stimolante ed è raccomandabile, soprattutto a quanti si propongono di comprendere come «dire Dio» nel «torpore spirituale» e nell’indifferenza religiosa dell’epoca postmoderna.