Bonanate-Bevilacqua

In: La Civiltà Cattolica n. 3953


Mariapia Bonanate - Francesco Bevilacqua, 

I bambini della notte. Lacor. Una storia vera di guerra e di speranza nell’Africa equatoriale, 

il Saggiatore, Milano, 2014


Il libro è fondamentalmente il racconto di un’esperienza personale dirompente, quella di Bevilacqua, e della realtà in cui questa si svolge. Siamo nel 2004 e F. Bevilacqua, manager aziendale, stanco di una vita di successi professionali ma in fondo priva di senso, rimane colpito dalla storia di due medici che hanno speso la loro vita in un ospedale in Africa. A quel punto decide di andare a conoscere direttamente quella realtà e tale esperienza gli cambia la vita. Successivamente, nel 2007, la racconta a M. Bonanate, giornalista, autrice di numerosi libri. A distanza di dieci anni dall’esperienza dell’amico coautore, M. Bonanate ripercorre l’esperienza da lui vissuta e narrata: ne nasce questo libro i cui proventi vengono in parte devoluti a favore dell’ospedale.

La storia di questa leggendaria realtà comincia con i Missionari Comboniani che, nel 1959, fondano un piccolo ospedale nella savana del Nord Uganda: il St. Mary’s Hospital Lacor, costituito inizialmente soltanto da un ambulatorio, una maternità e circa cinquanta letti. Qui, nel 1961, giungono due medici: l’italiano Piero Corti (1925-2003) e la canadese Lucille Teasdale (1929-96). Comincia così l’impegno di tutta la loro vita: una vita che diventa anche di coppia perché i due medici si sposano, proprio nella cappella dell’Ospedale. L’anno dopo nasce la figlia Dominique: è lei a raccontare la storia dei suoi genitori all’A., il quale la riporta nel libro. In una realtà molto difficile, e attraversando periodi storici molto pericolosi, i due medici trasformano il piccolo ospedale originario in una struttura ospedaliera di tutto rispetto.

Nel tempo avviano una scuola per infermieri professionali e aprono tre Centri sanitari periferici. Il Lacor diventa anche sede di tirocinio dei medici ugandesi neolaureati. Progressivamente vengono ampliate le strutture dell’Ospedale. Un cammino straordinario, fino al punto che oggi non si può parlare del Nord Uganda senza parlare del Lacor, tanto le loro storie sono legate. Quando Bevilacqua giunge in Uganda scopre un Paese dilaniato da una guerra civile in atto oramai da nove anni, causa di migliaia di morti e feriti. Ma, soprattutto, scopre il Lacor Hospital, e le tante persone che lì spendono la propria vita a servizio degli ultimi, in una situazione di rischio continuo.

Fra gli ultimi ci sono i night commuters, «i bambini della notte». Ogni sera, dopo aver percorso a piedi anche decine di chilometri, raggiungono l’ospedale per salvarsi dalle incursioni notturne dei guerriglieri di J. Kony, che assaltano e bruciano i villaggi del popolo acoli. In questa sua esperienza Bevilacqua è affiancato da Elio Croce, fratello laico comboniano, figura chiave dell’ospedale, oramai un vera e propria leggenda. È lui che lo accompagna passo passo, che gli fa leggere il suo diario scritto durante gli anni peggiori della guerra civile, ed è lui che gli parla dei principali protagonisti di questa incredibile storia. Non ci sono soltanto i fondatori: c’è il medico ugandese M. Lukwiya, scelto come successore proprio dai coniugi Corti; c’è la loro figlia Dominique, che ha continuato il lavoro dei genitori e continua a spendersi per la realizzazione dei loro sogni; c’è il medico Bruno Corrado e ci sono tanti altri «eroi sconosciuti». 

Tutti impegnati nel mantenere sempre alta la qualità dell’assistenza sanitaria e migliorare concretamente la vita della popolazione locale. Un’impresa mai facile, vissuta in condizioni estreme. Non c’è stata soltanto una sanguinosa guerra civile, ma anche la lotta contro la diffusione inarrestabile dell’Aids e contro un’epidemia di ebola, contro la povertà e la perenne mancanza di mezzi, soprattutto degli inizi. Accanto a tutti coloro che si sono impegnati direttamente sul campo e continuano a farlo, non bisogna dimenticare i tanti che si impegnano, anche da lontano, per garantire all’ospedale i mezzi per svolgere la sua attività. Pensiamo, in particolare, alla «Fondazione Corti» di Milano.

Anche se descrive realtà a tratti incredibili, questo non è un romanzo. Fin dalle prime pagine ci si ritrova immersi nella cruda realtà, in un’esperienza diffusa di impotenza totale, di disperazione, di grande sofferenza, vissuta con altrettanta dignità. In tal senso il libro riesce a dare voce a chi non ce l’ha, a «far conoscere il dramma di vite spezzate, di innocenti condannati a scomparire, o già scomparsi, nel nulla» (p. 37). Contemporaneamente, è anche una storia piena di speranza, di persone che concretamente aiutano chi è nel bisogno. Un libro essenziale, mai retorico, davvero coinvolgente, a tratti commovente, capace di scuotere le coscienze intorpidite, di risvegliare la speranza.