Ballabio E.

In: La Civiltà Cattolica n. 3800


Eugenio Ballabio, Briciole di religione e politica,

Roma, Sovera, 2007


«La religione è sostanzialmente una forma di narcisismo»: ecco la tesi che l’A. intende sostenere in questo lavoro. Non si tratta di uno studio teologico e quindi non si occupa di stabilire se esista Dio e di definirne natura ed essenza. Si tratta piuttosto di un’indagine soltanto fenomenologica o descrittiva, che si propone innanzitutto di mostrare come il bisogno di assoluto, radicato nell’uomo, generi una religione, e poi di criticare ogni forma superficiale di ateismo. 

Se l’idea di uomo e quella di Dio presentano una grande analogia – gli attributi sono uguali: unità, verità, bontà e bellezza, ma sono finiti e imperfetti nell’uomo e infiniti e perfetti in Dio – allora «ne deriva che l’idea di Dio è la generazione spirituale inconscia dell’uomo, che a livello cosciente considera Dio, come essere autonomo, modello esemplare da imitare e guida nelle sue azioni» (p. 13). Così intesa la religione viene considerata come un prodotto dell’uomo, senza con questo poter né escludere né affermare l’esistenza di Dio. 

L’A. comincia le sue riflessioni considerando il legame tra religione e nazionalità, fenomeno che mostrerebbe lo stretto rapporto tra religione, popolo, lingua e territorio. In ogni uomo c’è una brama profonda di abbracciare l’Assoluto ma, poiché la religione è prodotta da popolazioni diverse, ogni definizione di Assoluto, cioè ogni credo, è differente dagli altri. La religione è uno degli elementi identitari, dei singoli e dei popoli, ed è forza di coesione fra i praticanti dello stesso credo, nonché di avversione contro i sostenitori di un credo diverso. Per questo chi condivide un credo ritiene di essere nella verità ed è certo che chi condivide un credo diverso sia nell’errore. La lotta fra religioni o all’interno delle religioni, allora, è guerra fra narcisismi, simile alla lotta per la «sopravvivenza spirituale», quella che fonda la propria identità. 

L’A. tratta quindi del dinamismo della religione, soprattutto in rapporto all’economia. In tale ambito accenna alle interpretazioni di C. Marx, M. Weber, A. Gerschenkron, analizzando in particolare il fenomeno del Grande Scisma Russo. Analizza poi il dinamismo del principio di nazionalità, strettamente legato al dinamismo religioso. A tal fine propone, come esempi significativi, lo scisma anglicano e la lotta di Lutero e dei Principi Tedeschi contro la Chiesa di Roma ed il Sacro Romano Imperatore. Secondo l’A., proprio in tale prospettiva si potrebbe comprendere meglio il difficile dinamismo nazionale tedesco ed italiano, in quanto originariamente rappresentativi di istanze sovranazionali e universali. 

Il testo continua con alcune riflessioni sulla democrazia. In questa sezione l’A. esamina diverse esperienze di democrazia, dalla Roma repubblicana ai difficili tentativi democratici messi in atto nell’Italia del medioevo. In definitiva secondo l’A. il vero spartiacque fra democrazia e tirannide è il consenso, anche se questo non è un elemento sufficiente della democrazia, come ricordano tirannidi famose quali il nazismo e lo stalinismo, pure partite da una base di consenso popolare. Il testo si chiude con una conclusione generale ed una specifica sul rapporto tra Cristianesimo e civiltà occidentale, in cui tra l’altro si pone in evidenza il rapporto tra arte e religione.

Nell’insieme si tratta di una lettura umanistica della storia passata e contemporanea, che vuole valorizzare la dimensione religiosa dell’individuo e dei popoli, ponendo in particolare risalto l’importanza del cristianesimo, e che intende dimostrare la forza dinamica e trasformatrice della religione. Probabilmente per esigenze di sintesi, a volte i passaggi non sono tra loro logicamente consecutivi, e in alcuni punti il discorso non scorre in modo sufficientemente fluido. In ogni caso il lettore riesce sempre ad individuare le tesi sostenute dall’A. e a seguire la loro dimostrazione. Si apprezzano la serenità espositiva e la capacità di affiancare teorie ed esperienze storiche tra loro contrapposte. Un risultato è quello di mettere in crisi ogni tentativo di separazione manichea del bene e del male, dove ovviamente il bene viene attribuito a se stessi e il male agli altri. È una critica serena contro ogni fondamentalismo.

Alcuni pensieri chiave, però, meriterebbero ulteriori approfondimenti. Ci riferiamo in particolare ad una visione diremmo «funzionalistica» della religione, considerata quasi esclusivamente alla luce della sua utilità individuale e sociale, e quindi troppo connotata in senso psicologico e storico. Si spiegano, così, affermazioni come questa: «L’ipotesi dell’esistenza di Dio è nel cuore di ciascuno, che soffre dei propri limiti e si consola pensando a un Essere che lo rapirà in un’estasi infinita in cui si realizzerà perfettamente: l’unità, la verità, la bontà e la bellezza. Non togliamo ai nostri simili questa immaginazione, che li rende migliori, questa poesia che li conforta e li fa vivere in un mondo diverso, esteticamente e moralmente compiuto» (p. 17). E ben altri approfondimenti meriterebbe anche l’ipotesi «gioachimita» contemplata dall’A. che, in un non meglio precisato futuro, si possa verificare il superamento, anche se non proprio la vanificazione, del cristianesimo.