In: La Civiltà Cattolica n. 3878
Armando Matteo, Nel nome del Dio sconosciuto.
La provocazione di Gesù a credenti e non credenti,
Padova, Messaggero, 2011
Docente di teologia presso l’università Urbaniana di Roma e assistente ecclesiastico nazionale della Fuci, l’A. ha pubblicato diversi testi sul destino del cristianesimo oggi. Anche questo piccolo libro vuole essere un agile contributo al tema.
Le veloci riflessioni dell’A. si inseriscono a pieno titolo in quel tentativo di rilanciare il dialogo fra credenti e non credenti, reso ancora più attuale dall’invito di Benedetto XVI sul «cortile dei gentili». E giustamente, per entrare in dialogo con i non credenti, è legittimo partire dalla figura di Gesù, perché: «Il cristianesimo è la religione che parte da e torna sempre daccapo a Gesù».
Dai tempi dell’Illuminismo fino a oggi, il cristianesimo viene accusato di non intercettare il reale, di essere una pia leggenda, una fantasia consolatoria nel momento del bisogno. Oggi più che mai, il Dio di Gesù sembra ridotto a «un affare di Chiesa». Contro questo riduzionismo si erge la voce dell’A.: proprio a questo «oblio di Dio» la comunità dei credenti non deve assuefarsi. È il momento di ripartire, di riorientarsi decisamente verso i non credenti, stabilendo con loro un dialogo sincero. È il momento di aprire per loro quel «cortile dei gentili», significativamente proposto dal pontefice.
Assumendo la prospettiva di chi non crede o è soltanto un semplice cercatore di Dio, l’A. si pone in ascolto di Gesù, di colui che è un possibile contatto con l’Assoluto. È un Gesù visto innanzitutto nella sua piena umanità, uomo radicato nel suo tempo, uomo di profonda libertà, che parla con passione e convinzione, uomo dotato di grande sensibilità. Nell’intento di rivitalizzare il discorso su Gesù, inoltre, l’A. sceglie di presentarlo come uomo «infinitamente contento di stare al mondo». Risaltano, quindi, i temi positivi della vita buona, della gioia, della pienezza.
Ma una simile lettura di Gesù non è ingenua, non intende idealizzare la vita umana di Gesù e ancor meno la vita umana del credente che pure si sforza di seguire Gesù, di modellarsi su di lui. Realisticamente, quindi, l’A. non evita il confronto con la realtà dell’essere umano che prima o poi può sperimentare la contingenza, il fallimento, il male morale e fisico, la sofferenza ingiusta, il dolore, il non senso, il vuoto.
In Gesù si realizza lo spettacolo di un’umanità compiuta. Quale il suo segreto? La risposta è in una sola parola, quella che sintetizza tutto il suo messaggio e la sua stessa vita: l’amore. La sua vita è tutta e soltanto amore, e si chiude con un atto di amore estremo: la croce.
Non è la croce a rendere grande Gesù, ma è Gesù che riscatta la croce, la sofferenza, che apre al futuro, alla vita. Già da ora e non soltanto nel futuro, quella del credente è vita con il Padre.
Questa è la novità: Gesù ci rivela che il nostro Dio è Padre, un Dio che ci ama come ama un padre, e che noi possiamo amare come fa un figlio con il proprio padre.
Quindi, pur immersi nella precarietà dell’esistere, fidandosi delle parole di Gesù, al fondo della vita da credenti c’è la certezza di sapersi amati dal Padre. E allora non bisogna temere di amare e di aprirsi agli altri, a cominciare dai non credenti.
Nel cortile dei gentili, però, occorrerà evitare le reciproche accuse di relativismo e fanatismo. Occorrerà una profonda rivisitazione della categoria di verità, un suo nuovo paradigma, capace di facilitare il dialogo fra credenti e non credenti.
L’A. padroneggia bene la scrittura e questo, se anche a volte lo porta a eccedere con i giochi di parole, facilita il lettore anche di fronte ad argomenti complessi. L’A. offre non soltanto un’analisi disincantata dell’essere credenti oggi, analisi appassionata e piena di speranza, ma anche un contributo concreto al dialogo fra credenti e non credenti, proprio a partire da una rilettura di Gesù.