Respinti M.

In: La Civiltà Cattolica n. 3795-3796


Marco Respinti, Processo a Darwin

Casale Monferrato (Al), Piemme, 2007


In questo libro, dal titolo emblematico, l’A., propone una visione critica dell’evoluzionismo, sottoponendolo ad un vero e proprio «processo» cui segue il «verdetto» finale. L’obiettivo è sintetizzato già in copertina: «Un’inchiesta a tutto campo sul darwinismo, per smascherare incongruenze, falsità e luoghi comuni». Respinti scrive nella lucida consapevolezza che oggi, a voler mettere in discussione la validità delle teorie dell’evoluzionismo darwiniano e neodarwinista, si corre il rischio di apparire antiscientifici o di finire relegati nel discusso campo del creazionismo.

Nel primo capitolo l’A. imposta diverse problemi: che cosa è la scienza; la neutralità della scienza; il metodo scientifico; il confronto tra metodo induttivo-galileiano e metodo deduttivo. Accenna anche alle teorie di G. Galilei (1564-1642), K. Popper (1902-94), I. Lakatos (1922-74), P. Feyerabend (1924-94), T. Kuhn (1922-96). L’A. passa quindi al tema del libro: l’evoluzionismo. Innanzitutto distingue tra evoluzione ed evoluzionismo (teoria che cerca di spiegare l’evoluzione), e tra microevoluzione (piccoli cambiamenti all’interno di una specie) e macroevoluzione (passaggio da una specie all’altra). Si chiede, quindi, se l’evoluzionismo sia una teoria scientifica, quindi verificata, o sia soltanto una mera ipotesi. 

Il secondo capitolo narra la storia dell’evoluzionismo come criterio per spiegare l’evoluzione. Tutto comincia nel 1859, con la pubblicazione di L’origine delle specie di C. R. Darwin (1809-82). Su di lui ha esercitato molta influenza la teoria di J.-B. Lamarck (1744-1829): gli organismi sono il risultato di un processo di trasformazione che avviene per adattarsi all’ambiente naturale e così evitare l’estinzione, con la trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti. Secondo Darwin, invece, il meccanismo primario che determina la trasformazione non è l’ambiente naturale, ma le mutazioni genetiche puramente casuali. Quelle che garantiscono un miglior adattamento all’ambiente sopravvivono e si trasmettono. In definitiva, attraverso il caso e la selezione naturale, nonché la gradualità delle mutazioni in tempi lunghissimi, alla fine nella «lotta per la vita» sopravvive soltanto il più adatto. I primi problemi per il darwinismo giungono dalla scoperta delle leggi sull’ereditarietà da parte di G. J. Mendel (1822-84) e la loro successiva riscoperta che avvia la genetica moderna con la scoperta del DNA. A quel punto risulta chiaro che la trasmissione ereditaria dei caratteri avviene indipendentemente dall’ambiente e dal corpo dell’individuo, e si svolge in base a leggi precise, non casuali. A questo punto il darwinismo si trova costretto a quella riformulazione che va sotto il nome di «neodarwinismo», con al centro la “teoria sintetica”: la selezione naturale avverrebbe a livello genetico.

L’A. quindi analizza il fondamentale tema dell’origine della vita, narrando la lunga disputa tra i sostenitori della biogenesi (la vita deriva dalla vita) e dell’abiogenesi (generazione spontanea della vita). Tratta quindi della paleontologia e dei fossili, elencando i vani tentativi di apportare prove di sostegno all’evoluzionismo, in particolare al trasformismo gradualista. In proposito è interessante anche l’elenco degli errori e dei veri e propri «falsi» compiuti da insigni studiosi in materia. E così, a tutt’oggi, continua a mancare il tanto atteso «anello di congiunzione» che confermi il gradualismo. Per quanto riguarda gli esseri umani, ad esempio, manca ancora l’anello di congiunzione tra la scimmia e l’essere umano attuale. 

Si tratta di un testo divulgativo, chiaro e alla portata di chiunque si ritenga anche soltanto neofita sull’argomento. I vari passaggi, soprattutto quelli storici particolarmente ricchi di informazioni, rendono più interessante e agile il confronto con argomenti di una certa complessità. Inoltre, grazie alla ricca bibliografia e sitografia finale, il lettore interessato può ulteriormente approfondire lo studio del tema. 

Si apprezza anche il continuo sforzo di inserire il darwinismo e i suoi successivi sviluppi nella retrostante cornice culturale, individuando e richiamando ripetutamente soprattutto le radici filosofiche. In particolare Respinti si chiede come mai l’evoluzionismo, nonostante la sua infondatezza scientifica, conservi una posizione di primo piano nella cultura dominante secolarizzata. Una risposta andrebbe cercata proprio nelle implicazioni filosofiche dell’ipotesi evoluzionistica: se questa ha ragione non ci sarebbe più bisogno di Dio, e questo fa il gioco dello scientismo ateo, sempre proteso a difendere il «caso» contro la «causalità» e ogni possibile «finalismo». 

Certamente con il suo lavoro l’A. mette a disposizione dei lettori non solo una visione antagonista al darwinismo, ma anche una considerevole mole di informazioni davvero poco conciliabili con l’evoluzionismo. Così alla fine del «processo», in base alle «prove» riportate, ecco il «verdetto» dell’A.: «Il darwinismo resta allora semplicemente un’ipotesi, destituita di ogni fondamento empirico e indimostrabile, oltre che indimostrata» (p. 159). Sembra una sentenza senz’appello. Nella sua arringa, ovviamente, l’A. pone in risalto soltanto i punti deboli della teoria che sta criticando e più volte, in eccessi di fervore retorico, fa affermazioni quanto meno problematiche e spesso unilaterali (cfr p. 111). 

In ogni caso, ricordiamo che la materia è più variegata e complessa di come viene proposta dall’A. Dal punto di vista del credente, se non è condivisibile il materialismo ateo e l’evidente anticlericalismo di alcune versioni neodarwiniste, comunque non ci si deve chiudere in un netto e cieco rifiuto dell’idea di «evoluzione» e degli studi che la riguardano. Occorre ancora una riflessione lunga e non pregiudiziale, che non aumenti lo steccato tra ragione e fede. In proposito ci pare illuminante una recente affermazione di Benedetto XVI: «Non si tratta di decidersi né per un creazionismo, che si chiude sostanzialmente alla scienza, né per una teoria dell’evoluzione che dissimula i propri vuoti o lacune e non vuole vedere le questioni che travalicano le possibilità del metodo delle scienze naturali» (2 settembre 2007). Così il «fatto» dell’evoluzione rimane, mentre ne va approfondita la formulazione della teoria.