Przywara E.

In: La Civiltà Cattolica n. 3789


Erich Przywara, Agostino informa l'Occidente,

Milano, Jaka Bok, 2007


«Se è vero che due forze, Antichità e Cristianità, nella loro unione nuziale hanno segnato i tratti decisivi dello spirito europeo, il genio dell’Europa è senz’altro Agostino. È proprio in lui che queste nozze hanno luogo» (p. 11). Così comincia l’ottimo studio di E. Przywara (1889-1972) sul «debito» del pensiero occidentale nei confronti di Agostino, e le sue parole da subito chiariscono bene il senso del lavoro e anche la vera e propria passione dell’A. per il grande maestro. 

Dall’utile e dotta Postfazione del Curatore sulla vita e le opere di Przywara, apprendiamo che il «teologo, filosofo e mistico», nasce in Alta Slesia da padre cattolico e madre protestante. Entrato a far parte della Compagnia di Gesù, si fa apprezzare come conferenziere e scrittore profondo molto prolifico. In tale veste si confronta con il mondo culturale del suo tempo, soprattutto quello filosofico. Lo fa con coraggio e competenza, ottenendo la stima dei pensatori più affermati, come dimostrano i continui contatti con Edmund Husserl, Max Scheler, Martin Heidegger, Edith Stein. Ed è anche un maestro e formatore molto stimato: tra i suoi allievi si annovera Hans Urs Von Balthasar. 

Nel presente testo Przywara dimostra innanzitutto un’invidiabile conoscenza di Agostino, comprovata anche dal gran numero di sue citazioni che pongono il lettore in contatto diretto e continuo con il protagonista. L’A. pone in evidenza innanzitutto le profonde tensioni che più hanno interessato la vita e il pensiero di Agostino, e che lo stesso vescovo di Ippona ha condensato in formule che hanno avuto grande fortuna. Poi Przywara, dimostrando una vasta competenza filosofica, rintraccia le tensioni agostiniane nella successiva tradizione filosofica occidentale. Ed ecco scorrere davanti agli occhi del lettore gli «effetti» del pensiero agostiniano, i vari «agostinismi»: quello di Descartes, Pascal, Hegel, Kierkegaard, Husserl, Scheler, Heidegger… Ogni autore finisce con assolutizzare singoli aspetti del grande Agostino, valorizzando solanto uno degli elementi delle antitesi agostiniane: corpo-anima, storia-eternità, verità di Dio-menzogna dell’uomo ripiegato su stesso.

Puntualmente Przywara riporta ogni volta tutto in equilibrio, setacciando nell’immensa opera agostiniana tutti quei passaggi che forniscono una visione più equilibrata delle antitesi. Non si tratta di una forzatura apologetica: Przywara non si preoccupa tanto di «salvare» Agostino quanto di fargli dire ciò che effettivamente ha detto. E così, insieme a una opportuna ricostruzione teorica, si ottiene anche la ricostruzione di un complesso divenire, di una mente straordinaria incarnata in una esistenza straordinaria. Valga per tutte l’analisi con cui Przywara evidenzia il superamento dell’aut-aut tra il Dio hegheliano ridotto a concetto – e per questo non più Dio – ed il Dio kierkegaardiano irraggiungibile, che lascia l’uomo nella sua disperazione. Tale superamento è garantito dalla sintesi di Agostino, dalla profonda correlazione da lui proposta tra l’unità di timore e amore e Dio, che è esteriore e interiore a tutto.

La lettura ci pone continuamente di fronte a quelli che risultano essere i due argomenti agostiniani di fondo: Dio e l’uomo. La relazione Dio-uomo è al centro non solo del pensiero ma anche della vita di Agostino, sempre proteso alla ricerca di un non facile equilibrio concettuale e vitale tra creatore e creatura. E, se il nucleo di tutte le antitesi agostiniane è nel doppio polo Dio-uomo, alla fine la tensione fra le antitesi raggiunge comunque un equilibrio. 

Se i pensatori successivi ad Agostino ne hanno enfatizzato solo alcuni aspetti, secondo Przywara il vero agostinismo non è morto e si ripropone in un autore che lo stesso gesuita è stato tra i primi ad apprezzare: «L’unico momento della modernità in cui l’agostinianesimo autentico è risorto nella sua completezza: la sua resurrezione è John Henry Newman» (p. 73). Con rapidi accenni ai testi di Newman (1801-90), noto teologo e filosofo inglese convertitosi dall’anglicanesimo al cattolicesimo, l’A. dà ragione della propria affermazione.

Inevitabile, infine, il confronto tra sant'Agostino e san Tommaso d’Aquino. Secondo Przywara quest’ultimo è l’unico che, dopo Agostino, si sia innalzato al suo livello. Nel suo serrato confronto il gesuita si occupa più dei punti di contatto che non delle differenze tra i due grandi pensatori. Argomento chiave è la natura del conoscere, con i problemi che ne derivano: se il conoscere origini nell’intuizione a priori o nell’esperienza della realtà; se consista primariamente nella conoscenza di sé o nella conoscenza del mondo; se il conoscere sia originariamente teologico – proveniente dall’al di là e irradiantesi sul mondo – o filosofico, a partire dall’esperienza si prolunga al mondo ultraterreno.

Questo tratto dell’analisi di Przywara non si limita a ridurre le distanza tra Tommaso e Agostino ma chiarisce ulteriormente la complessità e ricchezza di quest’ultimo, nonché i rischi che derivano da un approccio non equilibrato al suo pensiero. 

Alla fine della lettura non si possono non condividere le ultime parole di Przywara: «Agostino è allora diventato il punto in cui tutta la teologia neotestamentaria e patristica raggiunge la propria vetta e la propria sintesi, e da cui promana tutta la teologia scolastica; e però nel contempo […] anche la fonte dalla quale sono sgorgate tutte le grandi eresie dei secoli seguenti, le quali ci danno l’impressione che le condanne della Chiesa siano state promulgate contro di lui» (p. 127).