Amerio R.

In: La Civiltà Cattolica n. 3838


Romano Amerio, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX

Torino, Lindau, 2009

ID., Stat Veritas. Seguito a «Iota unum»

a cura di Enrico Maria Radaelli, ivi, 2009

 

L'A. (1905-97) è stato filosofo, filologo, storico e anche teologo. Da ricordare, in particolare, i suoi contributi su Cartesio, G. Leopardi, A. Manzoni e T. Campanella. Iota unum, apparso nel 1985, pur tradotto in diverse lingue, in Italia non fu accolto bene, e il suo autore fu tacciato di tradizionalismo e preconciliarismo. Stat Veritas, pubblicato postumo nel 1997, prosegue e completa Iota unum. Questa riedizione dei due testi ameriani si deve all’impegno del curatore e postfatore E. M. Radaelli, dei cui sforzi a favore del suo maestro ci siamo già occupati in precedenza (cfr Civ. Catt. 2007 I 622 s). 

Con riferimento a Iota unum, preventivamente occorre precisare che il testo, pur centrato sul Concilio Vaticano II e sul postconcilio, si estende anche a tematiche più generali, frutto di riflessioni avviate già 30 anni prima. Dopo un’analisi storica sulle crisi della Chiesa, sul Concilio e sul postconcilio, l’A. individua alcuni passaggi chiave esplicativi, veri e propri fattori rischio per la Chiesa che si confronta con il dominante pensiero debole e relativista. C’è innanzitutto il «pirronismo», cioè lo scetticismo che nega la ragione ed elimina ogni certezza e verità. E c’è il «mobilismo», soprattutto nella sua sistematizzazione hegeliana, che esalta soltanto il divenire e la mutazione continua, contro ogni stabilità, colpevole soprattutto di veicolare l’idea che «la diveniente realtà del finito non sia destinata a un Infinito indivenibile e appagante» (p. 337).

Per Amerio la radice vera della crisi è da ricercare in quella «metafisica dislocazione di essenze» che pone l’amore prima della verità alterando, in tal modo, la giusta concezione della Trinità, dove l’essere è seguito prima dall’intelligere e poi dall’amare. Tale errata mutazione dell’ordine delle essenze comporta innanzitutto la «dislocazione» verso l’immanenza, il naturalismo e l’antropocentrismo, nonché una visione dell’uomo mosso più dal sentimento che dal pensiero. 

Non meno importanti sono le conseguenze più dirette per la Chiesa, tra cui: la secolarizzazione del cristianesimo; la dispersione dell’identità cristiana; la rinuncia alla Verità e all’affermazione dell’unica vera religione per rispetto delle altre verità e religioni; la messa in discussione dei preambula fidei e della legge naturale; l’affievolirsi della pietà eucaristica; l’avvio di una liturgia più antropologica che teologica e di una morale relativistica; il ridimensionamento della visione escatologica; l’alterazione dell’ecclesiologia e la crisi dell’autorità nella Chiesa. Di qui l’obiettivo che orienta la riflessione ameriana sulla Chiesa e motiva la sua vasta arringa: rispettare l’ordine delle essenze, ribadendo il primato della verità sull’amore e di Dio sull’uomo, ridando valore assoluto al Logos, al Verbo di Dio. 

L’A. si muove nell’ambito della metafisica cristiana, in particolare del tomismo che difende a spada tratta, e appare motivato da un sincero attaccamento alla Chiesa e alla continuità della tradizione. La sua analisi, molto severa e caratterizzata da grande rigore analitico e da una vis logica e da una vis polemica senza pause, non sempre è esente da una certa dispersione espositiva. In generale, poi, l’indagine sul Magistero conciliare e postconciliare risulta prevalentemente a senso unico, in direzione del rifiuto del cambiamento. Nello sforzo di cercare conferme alla sua tesi di fondo, l’A. riserva estrema attenzione alle formule staccate dai loro princìpi e quindi indebolite ed equivoche. 

Ma proprio nel far questo, a volte Amerio corre il rischio di cercare lì dove non deve e di trovare soltanto quello che cerca. Ci riferiamo ad un certo livellamento di valore tra i documenti del Magistero e tra questi e alcune loro parziali e indebite interpretazioni, nello specifico tra il Concilio e quello che è stato definito il «paraconcilio». Il lettore può essere indotto a dare il medesimo valore teologico a differenti documenti del Magistero, o ad equiparare ad essi le interpretazioni di certe scuole, di teologi o singole personalità della Chiesa. 

Tale metodo rischia di far passare l’idea di una possibile discontinuità dottrinale e sostanziale della Chiesa, quindi a livello non solo dell’ortoprassi ma anche dell’ortodossia. Nello sforzo di rigettare il paraconcilio si rischia di gettar via anche il Concilio. 

La lettura dei due testi ameriani è impresa impegnativa per la mole, per un linguaggio spesso troppo ricercato, aulico e con eccessivi neologismi, e perché alcune sezioni risultano a tratti dispersive rispetto ai temi di fondo. Fortemente condizionati dal fermento postconciliare, i due libri appaiono negativamente segnati da un generalizzato rifiuto del cambiamento e da un frequente esagerato letteralismo quando analizzano documenti e testi addotti a conferma dell’analisi. 

Ma è da rimarcare soprattutto un’eccessiva tensione a distinguere la veritas dalla caritas, distinzione che tende a sfociare in una sorta di diminuzione di quest’ultima, una diminutio che da metafisica diventa anche di valore. Simili accentuazioni hanno il merito di salvaguardare il teocentrismo, l’essenza del credo e il meglio della Tradizione, e di frenare naturalismo e antropocentrismo, ma non riescono a evitare rischi importanti. Si pensi soprattutto alle tendenze fondamentaliste, legaliste, tradizionaliste, in generale al voler fondare tutto soltanto sulle norme già esistenti, senza preoccuparsi dell’uomo reale e chiudendosi a ogni richiesta di trasformazione derivante dalla storia.

La provocazione ameriana costituisce un’occasione per riflettere sui pericoli per la fede, a partire dalle tematiche conciliari ma senza fermarsi ad esse e, soprattutto, senza rifiutare il cammino ecclesiale più recente, come se la «vera» Chiesa fosse soltanto quella ferma al preconcilio, dopodiché ... il buio.