In: La Civiltà Cattolica n. 3852
Romina Amicolo, La giustizia in nome della politica e la politica in nome della giustizia:
morti parallele di Socrate e Giulio Cesare,
Trento, Tangram, 2010
Dottore di ricerca in Filosofia del Diritto presso l'Università di Napoli «Federico II», l’A. svolge attività di ricerca nel campo della tutela dei diritti e della Filosofia del diritto e della politica.
In questo saggio intende considerare, affiancandoli, i casi esemplari di un filosofo, Socrate, e di un politico, Giulio Cesare, al fine di tracciare i movimenti paralleli e le convergenze tra giustizia e politica. Ecco il cuore dell’analisi: «Come la politica e la giustizia si muovono parallelamente, senza toccarsi mai, dando all’osservatore l’impressione di convergenze che, in molti casi, sono più di semplici illusioni ottiche, così le morti di Socrate e Giulio Cesare non si sottraggono ad un gioco di identità e differenze, coinvolgenti non solo le personalità illustri e carismatiche di un filosofo e di un politico (e i loro mondi, il Greco ed il Romano), ma soprattutto le dinamiche di una giustizia che non esita a mettere i suoi strumenti, il processo e la pena della condanna a morte, al servizio della politica, e di una politica che, nel nome della difesa della libertà e della realizzazione della giustizia, non ammette la tirannia ma arriva ad uccidere» (p. 12).
Il confronto con Socrate avviene attraverso le fonti principali, Platone e Senofonte, e facendo ampio ricorso a due figure più recenti: la filosofa H. Arendt (1906-75), per la quale Socrate ha rivestito una grande importanza, e il filologo e storico delle religioni W. F. Otto (1874-1958). L’analisi dell’A. dimostra come la filosofia socratica alla fine si traduca in una concreta minaccia per la politica e la polis. Socrate, infatti, sveglia la polis dal suo torpore, con una filosofia fondamentalmente intesa come invito alla riflessione e alla conoscenza di se stessi, fondandosi sull’identità tra pensiero e azione per cui, conosciuto il bene, non si può non farlo. E questo non è compatibile con la relativizzazione del concetto di giustizia ad opera della politica. Di qui la condanna a morte di Socrate che, in accordo con H. Arendt, segna anche la fine della vita politica così come la intendevano i greci, cioè quale spazio della parola escludente la violenza e la forza.
La riflessione su Cesare si fonda soprattutto su Svetonio e Plutarco, ma anche sull’interpretazione di W. Shakespeare. La ricostruzione degli eventi conduce alla conclusione che l’aristocrazia repubblicana giunge a uccidere Giulio Cesare per impedire la istituzionalizzazione del suo potere carismatico. Per i cesaricidi è necessario salvare l’auctoritas repubblicana contro il regnum tirannico e, quindi, la fine violenta di Cesare è non solo giustificata, ma anche giusta, vale a dire «secondo diritto».
Secondo l’A., di fronte alla crescente complessità politica la concezione tradizionale della giustizia si rivela inadeguata e questo, se in Grecia innesca il conflitto tra il filosofo e la polis, a Roma blocca, anche se soltanto temporaneamente, il progetto politico di pacificazione e giustizia sociale, in un intrecciarsi di filosofia, politica e diritto che, unendo passato e presente, potrebbe risultare essere di aiuto nella preparazione del nostro futuro.
Nella sua scrittura l’A. utilizza un periodare probabilmente più idoneo al discorso orale, dove meglio si situano frasi anche piuttosto lunghe, con incisi, parentetiche e subordinate. La lettura, di conseguenza, risulta a volte un po’ faticosa. Il lettore, comunque, riesce a cogliere la tesi di fondo e la sua dimostrazione e, come negli intenti dell’A., può rimanere persuaso che i dati della storia, come esemplificato dalle morti di Socrate e Giulio Cesare, debbano richiamare l’attenzione di tutti sul reciproco condizionamento tra giustizia e politica.