In: La Civiltà Cattolica n. 3848
Marcello Paradiso, Fenomenologia della sequela,
Roma, Città Nuova, 2010
L’A. pone al centro della sua riflessione il tema del presbiterato, in una prospettiva strettamente teologico-fenomenologica che rilegge la vocazione del presbitero alla sequela a partire dalla dimensione ecclesiale.
Il presbiterato nel contesto culturale contemporaneo è considerato con realismo, con particolare riferimento ai rischi di crisi identitaria del sacerdote. Si pongono interrogativi rilevanti: non tanto «cosa deve fare il prete», quanto piuttosto «chi è il prete» e «come ci si prepara» al sacerdozio.
Diventano centrali i temi dell’identità sacerdotale e della formazione iniziale nell’attuale contesto storico-culturale. Particolare importanza viene riservata alla dimensione comunitaria del sacerdozio, da viversi all’interno del presbiterio.
Lo studio prende le mosse da una riflessione sul mistero della vocazione sacerdotale. La logica della chiamata è vista nei suoi principali momenti: quello «enigmatico», il «carismatico» e quello «pneumatico». Le tre dimensioni vengono lette strettamente collegate alla ecclesialità.
Si passa quindi all’evento della chiamata vera e propria e alla sua gratuità, e poi al mistero dell’elezione. Dal momento della chiamata il soggetto è libero di dare la sua risposta. La chiamata e la risposta, in fondo, possono essere considerate «una questione di amore». Con la risposta comincia la sequela, chiaramente rappresentata dai racconti evangelici di vocazione. La sua concreta attuazione passa soprattutto attraverso l’atteggiamento di obbedienza, di libero adeguamento alla volontà del chiamante, sul modello del Figlio con il Padre.
La sequela, inoltre, passa anche attraverso la povertà, intesa nel senso più ampio possibile, come spoliazione interiore, rinuncia a quello che uno è e che ha. Occorre prendere coscienza che la povertà è il cuore di tutta la realtà del consacrato e che anche l’obbedienza, la castità, la carità, lo spirito di comunione e di servizio sono declinazioni della povertà.
Il chiamato che avvia la seguela deve realizzare un compito, in cui consiste e sfocia la sequela stessa: il ministero. In tal senso, allora, «seguire è servire», all’interno della comunità ecclesiale. Si è chiamati per seguire, per assolvere a un compito, un ben preciso ministero che non appartiene al chiamato ma a Colui che chiama. Il ministero non deve essere vissuto come impresa solitaria: esso appartiene a tutta la Chiesa e va vissuto nella piena relazione con il vescovo ed il presbiterio.
Chiudono il testo le riflessioni sulla situazione attuale relativa alla sequela. L’A. ricorda innanzitutto l’importanza delle scienze psicologiche nella selezione, nella formazione e nella cura dei sacerdoti e consacrati. Insieme ad una ricca vita spirituale, infatti, il sacerdote deve avere maturità psicologica e affettiva.
Non manca, infine, un accenno alle difficoltà della sequela nella postmodernità, nella società liquida, così in contrasto con scelte consistenti e durevoli come quella del presbiterato. Ma proprio in quest’ottica la sequela può svolgere una funzione critica.
Il testo, con la sua ottica fortemente cristologico-trinitara ed ecclesiale, e ben fondato sui documenti del Magistero, può risultare utile ai presbiteri, soprattutto per risvegliare la propria coscienza e rinforzare la propria identità sacerdotale.