In: La Civiltà Cattolica n. 3830
Premesse razionali della fede. Teologi e filosofi a confronto sui “praeambula fidei”, a cura di Antonio Livi,
Città del Vaticano, Lateran University Press, 2008
Il Curatore ha chiamato a discutere autorevoli teologi e studiosi di filosofia su una questione di fondo: se l’atto di fede nella rivelazione divina implichi premesse razionali e se queste possano rientrare nei praeambula fidei di Tommaso d’Aquino. Allora la domanda è: si può parlare ancora oggi dei praeambula fidei? Il tema particolare, in fondo, è riconducibile a quello più generale della razionalità della fede cristiana, del rapporto tra fede e ragione, fra teologia e filosofia. O, detto diversamente, è quello della conoscibilità razionale dell’esistenza di Dio e della natura razionale dell’atto di fede nella rivelazione divina.
Anticipiamo che la posizione di Livi, già nota attraverso varie pubblicazioni precedenti e qui ribadita con decisione, è che non solo si può ma «si deve» parlare di praeambula fidei, verità naturali comuni a tutti gli uomini, certezze legate al «senso comune». L’argomento generale del dibattito viene affrontato da tre diversi punti di vista: teologico, filosofico, epistemologico.
Il punto di vista della teologia fondamentale viene esposto da R. Fisichella, che parla di praeambula fidei e teologia postconciliare, e da G. Tanzella-Nitti che considera il loro ruolo in un itinerario teologico-fondamentale. Le prospettive storiografiche sono analizzate da studiosi di filosofia quali: H. Sidl; M. Pangallo; G. D’Onofrio; A. Apollonio; U. Galeazzi; D. Sacchi; A. Ales Bello; L. Messinese; R. Di Ceglie; G. Giorgio; V. Pelliccia. Questa parte del testo offre al lettore uno sguardo molto esteso. Si inizia con Giustino martire e Clemente Alessandrino, per passare a Tommaso d’Aquino, G. Duns Scoto, F. Nietzsche, E. Stein, M. Heidegger, É. Gilson; fino ai contemporanei G. Vattimo ed E. Severino.
Il punto di vista epistemologico è affidato a G. Cottier, che si occupa di epistemologia teologica e praeambula fidei; a F. Di Blasi che tratta la conoscenza della legge naturale come elemento dei praeambula fidei; L. F. Tininetti che presenta il dibattito sulla logica dell’atto di fede nella filosofia analitica; a R. McIntery che analizza i praeambula fidei e la filosofia cristiana del Novecento. In apertura e chiusura del volume, infine, due lunghi interventi del Curatore.
A fine lettura si ha certamente un quadro generale di tale problematica, ma contemporaneamente si rimane anche convinti che i problemi non siano stati risolti. In effetti lo stesso Curatore, nel suo lungo e un po’ polemico intervento conclusivo, riconosce con malcelata amarezza che, sulle premesse razionali della fede, l’intesa tra teologi e filosofi ma anche tra gli stessi filosofi è oggi molto difficile. Non ci sarebbe chiarezza in merito al modo con cui teologi e filosofi dialogano sull’argomento ma, soprattutto, in campo cattolico serpeggerebbe un certo qual relativismo ermeneutico, cioè l’applicazione di categorie filosofiche – quali l’immanentismo, il soggettivismo e il fallibilismo – alla proposta di verità insita nella dottrina cristiana.
Il Curatore ritiene comunque che il dibattito non sia affatto inutile e ribadisce con forza la sua posizione e le sue critiche, soprattutto nei confronti di qualche intervento della sezione storiografica, troppo acquiescente verso quella parte del pensiero contemporaneo che di certo non favorisce la fede. Seppure oggi non dominante, come chiarisce anche questo dibattito, la posizione di coloro che ripropongono il tema delle premesse razionali della fede provoca riflessioni da non sottovalutare. Tra queste ricordiamo soprattutto il tema della verità; la critica serrata alla filosofia post-metafisica, in particolare al pensiero debole; i rischi del razionalismo e del fideismo; la filosofia come ancilla theologiae, soprattutto nello specifico della logica epistemica.
Anche grazie a confronti e libri come questo, che fanno il punto della situazione sull’argomento, il dibattito rimane aperto. È importante comunque, come ricorda mons. Fisichella, non radicalizzare le rispettive posizioni: «Sarebbe sbagliato partire da una estremizzazione delle posizioni secondo le quali i praeambula fidei sono ormai deceduti e sepolti o, dall’altra, li si esalta in maniera eccessiva come fossero la panacea di ogni conflitto nella relazionalità del rapporto tra fede e ragione» (p. 48).