Nel giorno che fa memoria di San Giuseppe Lavoratore, le Letture ci danno la possibilità di riflettere ad ampio raggio su diversi temi: la sapienza, l’insegnamento, il lavoro manuale, il riposo, la preghiera.
Oggi Matteo (Mt 13,54-58) ci presenta Gesù che “insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita”, poiché si meravigliava che dal “figlio del falegname” potessero venire “questa sapienza e i prodigi”.
Ora, sebbene la sapienza di Gesù sia divina, e quindi per noi che ci dovremmo sforzare di imitarlo, appare irraggiungibile, è pur vero che nei commenti di quelle persone possiamo ritrovare un atteggiamento molto diffuso: il pregiudizio verso chi svolge un lavoro manuale, come se questo allontani l’uomo dalla sapienza e conoscenza di Dio, riservati ai colti, capaci di riflessioni profonde, comprensione delle Scritture, conoscenza.
Sappiamo invece, essendo i Vangeli chiarissimi sul punto, che il discrimine non riguarda la contrapposizione tra lavoro manuale e intellettuale, ma l’intenzione che muove il nostro cuore verso quel tipo di opera: “E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre (Colossesi 3:17).
Il Signore Gesù invita a servire il prossimo secondo le proprie capacità con animo sincero, umile e disponibile, per essere uniti a Lui, che era figlio del carpentiere e portava la Sapienza di Dio agli ultimi.
Non esiste dunque una categoria di sapienti ai quali è “riservata” una particolare conoscenza delle cose di Dio, perché Gesù Cristo si è rivelato a tutti e si manifesta a coloro che lasciano uno spiraglio aperto, una fessura attraverso la quale Lui può operare.
Le Letture di oggi ci inducono a riflettere non solo sulla operosità fatta nel nome e a gloria di Dio, ma anche sulla necessità del riposo e della preghiera.
In Genesi (Gn 1,26-2,3), dopo la Creazione del cielo e della terra, degli animali e infine dell’uomo, è scritto che “Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando”.
Siano questi versi un monito per noi, affinché nelle nostre abitudini quotidiane, dopo tante (pre)occupazioni, impegni e svariati lavori, entri quella di fermarsi al settimo giorno, perché è tempo benedetto da Dio e consacrato. Nelle nostre domeniche non manchi la Santa Messa, meglio se vissuta in famiglia, abituando i figli sin da piccoli, anche se la loro presenza ci impedisce una perfetta e silenziosa partecipazione. E questo non solo per rispettare il precetto contenuto nel Comandamento (che già solo basterebbe) ma per attribuire la giusta importanza al momento più alto della vita cristiana. La Santa Messa non è un ritrovo conviviale né la condivisione di una mensa comune. Si sia consapevoli di ciò che si va a vivere: durante la Consacrazione del pane e del vino, l’altare diventa un vero Calvario, dove il Cristo è vivo e presente, cioè si compie realmente, sebbene in modo misterioso e incruento, lo stesso sacrificio che Gesù compì sulla croce. Allora, se la conoscenza di ciò che si compie davanti a noi è piena (conoscenza che diventa Sapienza) non ce ne vorremo privare, perché nessun impegno, nessuna occupazione, nessun lavoro potranno essere più urgenti e importanti della partecipazione vera al Sacrificio che il Signore ha compiuto sulla Croce per amore e per la nostra Salvezza.