Nel Vangelo di oggi Gesù presenta quattro testimoni della sua divinità: il Battista, le proprie opere, il Padre, le Scritture. Nel testo il concetto di “testimonianza” viene citato 11 volte: per l’uomo questa è una azione fondamentale, perché tutto ciò che sappiamo ce l’ha mostrato qualcun altro e, quando si testimonia il vero e il bene, da questo derivano salvezza e libertà. In fondo, tutta la nostra fede si basa proprio su testimonianze, storiche, ma anche di vita, come nel caso dei santi e dei martiri. Basti pensare all’educazione dei bambini e dei giovani: sappiamo bene che l’esempio conta più delle parole, di fronte alle tante domande spiazzanti della loro coerente ingenuità. Anche noi siamo talvolta immaturi nella fede e abbiamo bisogno di esempi. L’oggetto della testimonianza di questo brano è l’amore di Dio verso il Figlio e, attraverso di lui, verso tutti i figli. L’uomo, infatti, esiste come persona in quanto amato, come figlio dell’unico Padre. Gesù è testimone vivente di quell’amore. Questa certezza, dimostrata dai fatti e dalle scritture, porta alla pienezza dell’uomo, perché stimola la sua intelligenza di fede e, allo stesso tempo, fa vincere il pregiudizio e la diffidenza nei confronti della divinità di Cristo. “Non sapere” significa “non amare” e viceversa. Ecco perché Gesù accusa i giudei di non credere nella sua persona divina, perché non cercano la gloria di Dio, ma la propria (Gv 5,44). La condotta dei giudei è quella che, spesso, adottiamo anche noi, quando ci serviamo della religione per il nostro tornaconto o per metterci in mostra: ci serviamo di Dio invece di servire Dio.