LA TORRE DI BABELE
LA TORRE DI BABELE
Le letture di oggi, cara sorella, ci presentano uno dei racconti più celebri del libro della Genesi: la torre di Babele (Gen 11, 1-9).
Si racconta che “Emigrando dall'oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta.”
Il passo descrive la costruzione del regno babilonese nella regione di Sinar, in Mesopotamia, da parte del re Nimrod, che “cominciò ad essere potente sulla terra” (Gen 10, 8).
La scrittura ci parla di uomini che inizialmente sono mossi dalla comprensibile necessità di “stabilirsi” in un luogo e condurre qui la loro esistenza, ma in breve tempo questo non basta e, in un crescendo di febbrile attività, essi non usano pietre e malta, materiali essenziali già a loro disposizione, ma perfezionano la tecnica, fabbricano mattoni e usano bitume, diventano creativi, non più per “stabilirsi”, ma per consolidare ed estendere il regno ed infine affermare il proprio potere sugli uomini e su Dio.
Ed infatti “Poi dissero: costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”.
La città che costruiranno è Babele (etimologicamente nella lingua accadica dei fondatori “porta del Dio”, anche se con il termine “babel” gli ebrei indicavano tanto il a “confusione” quanto la città di Babilonia) e la torre che innalzeranno è probabilmente la ziggurat, l’edificio sacro formato da piattaforme sovrapposte, costruita ad immagine dell’universo: il mondo sotterraneo, la terra e il firmamento. In cima veniva infatti edificato un tempio dedicato ad una delle numerose divinità pagane e l’insieme simboleggiava la montagna cosmica, che è più vicina al cielo ed è, in quanto tale, dimora degli dèi.
Quindi gli uomini, dopo essersi posti come obiettivo la costruzione della città, la fortificazione e l’estensione del regno, non si fermano e sfidano Dio, si antepongono a lui e addirittura pretendono di costruire “una torre la cui cima tocchi il cielo”, tocchi Dio. Intendono così raggiungere il Mistero, equiparandosi al Creatore, per sostituirsi a lui. Essi dissero: “facciamoci un nome per non disperderci sulla terra”, cioè si spinsero fino ad affermare il proprio io, precedendo Dio, per rendersi indipendenti da lui fino a contraddire il suo comando di popolare la terra e moltiplicarsi in luoghi diversi.
“Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo”. “Ma il Signore”.“Ma”. Dio ferma gli uomini che agiscono, operano, costruiscono senza di lui perché sa che questo li porterà all’autodistruzione. E interviene per amore, disperdendo tutte le opere che proviamo a realizzare febbrilmente su questa terra senza la sua guida.
Quante volte, cara sorella, abbiamo costruito senza di lui o contro di lui? Quanto volte abbiamo pensato di farcela senza di lui?
Quante volte abbiamo agito anteponendoci a lui, reclamando un’indipendenza autodistruttiva?
Quante volte abbiamo costruito un nostro regno imponendoci agli altri o escludendoli?
Ecco, in tutte queste occasioni di esclusione del Signore dalla nostra vita, Lui interviene, confonde le lingue e ci disperde, così distruggendo quell’opera da noi iniziata senza di lui o contro di lui, e perciò destinata al fallimento o alla nostra distruzione.
“Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra".
Ecco che Babele, oltre le Scritture, diventa nell’immaginario collettivo sinonimo di confusione, incomunicabilità, dispersione, egoismo, prevaricazione del potere che si vuole imporre attraverso una lingua unica, un regno unico, un pensiero unico.
Febbraio 17, 2023 - Benedicta es tu