IL DOLCE GIOGO
IL DOLCE GIOGO
«Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». (Mt 11, 25-30).
In quegli attimi, mentre è sulla sedia a rotelle e da innamorata guarda Gesù presente nel tabernacolo, Enrico trova il coraggio di porle una domanda che ha dentro da un po’. Pensa alla frase di Gesù che dice “il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero”. «Chiara» le chiede, «ma è veramente dolce questo giogo, questa croce, come dice Gesù?». E Chiara sorridendo, con un filo di voce, volgendo il suo sguardo dal tabernacolo al marito, gli risponde: «Sì, Enrico, è molto dolce»1.
Le ultime parole di una moribonda. Le prima parole di una Sposa che sta andando incontro allo Sposo. Parole che dicono di una vita vissuta nella piena adesione al progetto di Dio. Parole che illuminano e trasfigurano un corpo provato nel dolore ma che si prepara all’incontro tanto atteso, quello con il suo Signore. Sì, perché Chiara ci dimostra che vivere pienamente da risorti è possibile, e lo è ancora di più quando il giogo che si è chiamati a portare è umanamente inconcepibile.
Non potevo quindi non partire dall’esempio di questa santa della porta accanto, una ragazza che non ha scritto grandi trattati teologici, ma è riuscita nella sua umiltà a riconoscere come quel peso le era divenuto dolce per il fatto stesso che ad accompagnarla e a portarne il carico maggiore era Gesù. È sempre Lui che porta il peso più grande, soprattutto nel momento in cui, umilmente, accettiamo che con le sole nostre forze ci trasciniamo e i pesi ci ancorano sul fondo. Quei pesi se li è già caricati sulla croce pagando per noi il riscatto dalla morte. Imparare da Lui, stare alla sua sequela, vuol dire proprio questo, lasciare che lui condivida con noi le gioie e soprattutto le sofferenze che il peccato ci porta a compiere. La Misericordia di Dio non risponde al ricatto dei sensi di colpa, ossia “faccio quello che voglio e qualsiasi cosa mi sento di fare, e se Dio è buono come dice mi deve perdonare o, peggio ancora, deve approvare qualsiasi mia azione”. Questa superbia è quanto di più ci tiene incatenati agli inferi. La Misericordia che addolcisce il giogo è data dalla scelta personale di adesione pienamente libera a Lui in una relazione di amore e figliolanza autentica, perciò ognuno ha la responsabilità di scegliere. Chiara ha scelto di non entrare nel buio della disperazione, di non lasciarsi trascinare sempre più in basso, ma di volgere lo sguardo al solo che poteva comprendere il suo dolore perché per primo lo ha portato sulla sua pelle, sulla croce. Solo chi è povero riesce a comprenderLo perché ha il cuore libero e predisposto ad accogliere nella propria storia quella Parola di bene che è Cristo stesso e, imitandone la tenerezza e l’umiltà di cuore (beninteso non è sottomissione come spesso si travisa), raggiunge il ristoro per la vita, la vera Santità.
Chagall, il Cantico dei cantici IV (1958)
Gesù loda il Padre perché sa che solo chi è piccolo e umile di cuore, chi ha il coraggio di seguirlo veramente e senza compromessi, avrà il giogo addolcito dall’Amore dello Sposo verso la sua Sposa. È nell’esperienza d’amore tra i due, tra Dio e l’uomo, il centro della storia della salvezza, in quel riposo ristoratore nella quale si realizza pienamente l’identità dell’uomo. È la stessa esperienza che la Sposa compie nel dipinto che Chagall propone nel ciclo del Cantico dei Cantici, in particolare nella IV tela. Qui l’angoscia della Sposa per lo Sposo perduto è svanita, i due amanti si guardano negli occhi per la prima volta e ogni affanno rimane a terra. Essi sono sollevati e lo sposo accoglie a sé la Sposa in una danza d’Amore che evoca l’avvento dello Shalom escatologico e la compenetrazione del mondo di Dio con quello degli uomini, evocato dalla raffigurazione di Gerusalemme. La separazione di questi due mondi non è altro che il frutto del peccato e nell’esperienza dell’amore, in particolare in quello sponsale dell’uomo e della donna, la loro ricomposizione si realizza ed è il centro dell’opera di redenzione dell’umanità2.
Ecco che «Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» assume una dimensione redentiva non solo per il singolo, bensì per la Chiesa Sposa. Attratta dietro Lui (cfr Ct 1, 2-4), correndogli incontro in questa danza d’Amore, la dolcezza diviene simultaneità, perfetta corrispondenza delle parole eppure una costitutiva differenza. Condividendo con Lui il giogo la Sposa, guardando lo Sposo si riconoscerà riflessa in quanto accolta nella pupilla dell’amato. Riconoscendosi parte di quella relazione non potrà che imparare da Lui ed esclamare come Chiara, sprofondando nel Suo abbraccio, «Sì, è molto dolce».
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(1) S. Troisi - C. Paccini, Siamo nati e non moriremo mai più. Storia di Chiara Corbella Petrillo, Edizioni Porziuncola, Santa Maria degli Angeli-Assisi (PG) 2013, 147-148.