Ebbe vita breve, e neppure felice.
Probabilmente il destino era già segnato dal nome che i suoi gli diedero il giorno in cui nacque: Ezechiele, nome ingombrante e imbarazzante. I compagni di scuola, sin dalle elementari, presero a salutarlo con una sorta d’ululato e, da allora, fu chiamato Lupo.
Come tutte le storie di paese diventa difficile ora, a posteriori, stabilire con precisione quando e come prese piede la convinzione che Ezechiele portasse sfiga.
Sta di fatto che per tutti portava scalogna. L’essere figlio del becchino, poi, non l’aveva aiutato. Il padre, in realtà, era un operaio del Comune, ma in qualità di unico dipendente faceva un po’ di tutto: dallo spazzino all’attacchino e, all’occorrenza, appunto, il becchino: per la gente, però, era semplicemente Luigi il becchino. Ezechiele, da piccolo, era orgoglioso del lavoro del padre, soprattutto nel giorno dei morti, quando tutto il paese si recava al cimitero per la funzione. In quell’occasione Luigi se ne stava al cancello, impettito, con tanto di cappello con visiera, il vestito blu della festa e l’aria del padrone di casa: la gente lo salutava, alcuni allungavano una mancia ed Ezechiele, di riflesso, godeva di quella giornata di popolarità. Crescendo ne ebbe vergogna.
Al bar, quando Lupo si avvicinava ai tavoli dove si giocava a carte, il giocatore che l’aveva dietro le spalle, dopo un paio di mani, lo invitava ad andarsene. Si racconta che giocatori incalliti addirittura lo pagassero affinché si posizionasse vicino all’avversario di turno: i soldi della vincita così assicurata coprivano l’investimento iniziale.
L’avventura all’ippodromo, poi, divenne una barzelletta. Erano in quattro, tra cui Lupo, e decisero di puntare piazzati quattro cavalli diversi: uno ruppe, l’altro si azzoppò, gli altri ancora giunsero al traguardo rispettivamente ultimo e penultimo. Fu la conferma finale e definitiva.
Di certo morì in modo particolare, tanto che la notizia fu riportata su diversi giornali: un meteorite cadendo gli fracassò la testa. La probabilità d’essere colpiti, calcolarono gli esperti, è di uno seguito da trenta zeri, in altre parole un caso su mille miliardi di miliardi di miliardi.
Un giornale intitolò: “Una stella cadente fatale”.
Gli amici, invece, parlarono semplicemente di sfiga cosmica.