La signorina Eugenia entrò nella pensione Miramare con quel suo passo corto e veloce che la faceva apparire sempre di corsa e impegnata. Appoggiò la borsa di paglia sul tavolino e si sedette su un’ampia poltrona sistemando con attenzione la gonna plissettata color rosa cipria. Solo allora si concesse un sospiro di soddisfazione. Mancava ancora un’ora prima che venisse servita la cena, ma l’anziana donna voleva essere sempre la prima ad entrare nella sala e a prendere posto al tavolino all’angolo, sempre lo stesso da vent’anni a questa parte. Era il posto migliore perché da quella posizione, allungando appena appena il collo, era possibile vedere in lontananza una striscia di mare al fondo di un budello ingombro di cassonetti dell’immondizia.
Tirò fuori dalla borsa un ventaglio e iniziò a muoverlo energicamente avanti e indietro; ciò nonostante neppure un capello si sollevò dagli stretti riccioli dai riflessi azzurrini, così fissi e precisi da sembrare scolpiti.
-Buonasera, signorina. Oggi è rientrata prima del solito.
-E sì, signor Pietro, ma domani parto e devo ancora preparare alcune cose.
-Già, il tempo vola proprio! Mi sembra che sia arrivata solo ieri, invece è già ora di ripartire… Ha trascorso una bella giornata?
-Sì, sì! grazie. Per fortuna non ha piovuto. Avevo con me l’ombrello, però sarebbe stata ugualmente una bella seccatura e un gran brutto modo per terminare le vacanze.
Pietro, il proprietario della pensione, annuì, poi tornò a sfogliare il registro degli ospiti, fingendosi indaffarato e cercando di nascondere il sorriso che gli era salito alle labbra nel ripensare a quanto era successo nel pomeriggio.
Un paio di ore prima, infatti, aveva visto la signorina Eugenia uscire dalla pensione dopo il consueto riposino pomeridiano e, tempo un minuto, rientrare precipitosamente come se fosse inseguita da qualche malintenzionato.
-E’ successo qualcosa?- le aveva chiesto preoccupato.
-No, no! Temo però che pioverà ed è meglio che prenda l’ombrello- aveva risposto, quasi senza fermarsi, la donna dal fisico minuto mentre si dirigeva con insospettata rapidità verso l’ascensore.
L’aveva vista riapparire dopo poco brandendo soddisfatta un piccolo ombrello da borsetta e uscire definitivamente dall’albergo. L’uomo, allora, si era affacciato sulla porta e aveva guardato perplesso il cielo terso, fino a trovare una piccola, lontanissima nuvola color polvere.
Aveva scosso la testa sorridendo: conosceva bene quella vecchia cliente e le era affezionato, tanto che la considerava persona di casa. Poteva ad esempio scommettere su cosa gli avrebbe detto l’indomani, un attimo prima di partire. Ogni anno, infatti, terminata la vacanza, prenotava immancabilmente per l’anno successivo: “Mi raccomando, signor Pietro, mi tenga una stanza per il prossimo giugno. Se ci saranno impedimenti glielo farò sapere per tempo, ma mi sento più tranquilla se lei prendesse nota sin da ora della mia prenotazione”. Poi sarebbe rimasta ferma davanti al bancone per verificare con i propri occhi che appuntasse per iscritto la sua richiesta.
Nell’attesa di spostarsi nella sala da pranzo, la signorina Eugenia, posato il ventaglio e riacquistata la calma, passò in rassegna il contenuto della borsa, rovesciandone gran parte sul tavolino. Pietro rimase ad osservarla mentre rimetteva a posto ogni cosa, affascinato dalla serietà con cui la donna annuiva compunta di fronte ogni pezzo che prendeva in mano prima di riporlo con delicatezza in fondo alla borsa come fosse un oggetto prezioso. Una delle prime volte in cui Pietro aveva assistito a tale operazione, vedendo diverse scatole di medicinali, aveva espresso il suo dispiacere nel saperla non in ottima salute.
“Ma io sto bene, ringraziando il cielo!” aveva protestato vivacemente la signorina. Poi aveva continuato: “Però se mi venisse all’improvviso un po’ di acidità di stomaco o un mal di testa o un calo di pressione almeno ho da curarmi. Sa, mica si può sapere quando si sta male. E se fosse di domenica o di sera? o se mi trovassi in un posto sperduto?”
A quel punto Pietro aveva annuito, senza avere il coraggio di ribattere davanti a quella considerazione.
Con il tempo era venuto a conoscenza della storia dell’anziana signorina che, avendolo preso in simpatia, a più riprese si era confidata con lui.
Eugenia aveva sempre vissuto con la madre vedova e l’aveva accudita giorno e notte quando la donna aveva trascorso i suoi ultimi anni immobilizzata a letto.
“E’ stato giusto così. Sa, dovevo tanto a mia madre. Quella santa donna mi ha allevata da sola perché è rimasta vedova subito dopo la mia nascita e per tirarmi su ha dovuto fare mille sacrifici. Non sa quante volte mi ha raccontato d’aver fatto per anni due lavori contemporaneamente, dormendo sì e no un paio di ore per notte, pur di non farmi mancare niente. Mi ha fatto studiare e appena mi sono diplomata ha lasciato il suo impiego nella ditta in cui lavorava per fare posto a me. Pensi che il giorno dopo dell’esame già lavoravo! Ma la mamma ha continuato a darsi da fare per me: tornavo a casa e trovavo la cena pronta e le camicette stirate. Io le dicevo di non farlo, di riposarsi, ma lei non mi stava a sentire: se decideva qualcosa non c’era verso di farle cambiare idea. Grazie a lei, non ho mai fatto colpi di testa”.
E quella volta a Pietro era sembrato di cogliere un breve sospiro prima che Eugenia riprendesse a raccontare:
“Anche quando un collega mi ha fatto delle proposte, mia madre mi ha fatto ragionare. Pensaci bene, mi diceva. E se si vuole solo divertire e poi ti lascia? Tutte le sere quando tornavo a casa dal lavoro mi chiedeva come si era comportato, se parlava di matrimonio, se guardava le altre ragazze. E a forza di rifletterci e di rimandare dopo un po’ di tempo quel collega si è limitato a salutarmi e alla fine si è messo a frequentare una certa Elisa, una dell’ufficio contabilità. Come vede aveva avuto ragione mia madre nel mettermi in guardia”.
Alle sette in punto la signorina Eugenia terminò di sistemare tutta la mercanzia nella capace borsa lasciando, per ultime le preziose scatole dei medicinali, si alzò dalla poltrona e si spostò nella sala da pranzo.
La cena non fu lunga. Molti tavoli erano vuoti perché la stagione estiva era appena all’inizio. Con la consueta efficienza la moglie di Pietro, aiutata da una ragazza, servì il menu previsto per quella sera e, alla fine, lasciò su ogni tavolo il cestino della frutta.
La donna poi andò verso il bancone del bar, in fondo alla piccola sala, dove suo marito stava preparando i caffè.
Stava dando un’occhiata in giro per vedere che tutti fossero serviti, quando sottovoce sibilò:
-Ma guarda la signorina Eugenia! Guardala come è lesta ad infilare la frutta nella borsa. Ecco, queste cose proprio non le concepisco!
-Ma tu che ne sai? E se stanotte le venisse improvvisamente fame?
Di fronte allo sguardo sconcertato di sua moglie proseguì:
-Lasciamo perdere, non importa … Porta invece questi caffè prima che diventino freddi.
Un giorno le avrebbe parlato della vita della signorina Eugenia.