1.
Io vedo sempre gli stessi film. Nel senso che spesso rivedo quelli che ho già visto. Ormai il tempo del cinema è stato sostituito da quello della televisione, e questo dal tempo del satellite. E sui canali satellitari le stesse pellicole passano fino allo sfinimento. Oggi per la cinquantesima volta c’era "Saturno contro". Avete mai notato che quando vi capita di rivedere un film che programmano con indefessa regolarità lo beccate sempre esattamente nello stesso punto? Io e "Saturno contro" abbiamo un appuntamento preciso: la scena finale, quella ambientata nella villa di Favino, quella con la piscina verde pisello, per intenderci. Absit iniuria verbis, ça va sans dire. Per essere precisi io cambio canale con assoluta regolarità nel momento in cui la Ferrari apre la porta della camera d'albergo e si trova davanti Margherita Buy, moglie del suo amante Stefano Accorsi. La Buy è andata a prendere Accorsi per portarlo alla villa. Inciso numero uno: la Ferrari le tette ce le aveva già allora, e quindi non è vero che se le è fatte nuove per il nudo di Caos calmo. Inciso numero due: ma quanto è cane Accorsi? Inciso numero tre: ma quanto è brava Margherita Buy? Ecco, basta perché potrei andare avanti per ore, da quanto è brutto Timi in giù. Comunque sia, tutti gli amici vanno a trovare Favino, solo e disperato per la morte del suo compagno Lorenzo. Lo costringono letteralmente a cenare con loro, perché lui starebbe volentieri da solo. Poi durante la notte, come temevano, pensa di suicidarsi buttandosi giù da un dirupo a picco sul mare. E qui c’è la musica. Una versione solo orchestrale di Passione. Molto più drammatica di quella cantata da Neffa. Quante volte avete pensato di farla finita? Se qualcuno risponde nessuna, sappia che non ci credo. Se qualcuno dice meno di dieci, sono disposto ad accettarlo. Meno di dieci anche io. Intendo le volte che ci avete pensato sul serio. Immaginando come, quando, e le reazioni di parenti e amici. Meno di dieci non è tantissimo. Favino non ha il coraggio. O forse ha il coraggio di continuare a vivere, e a sopportare il dolore dell’assenza. Tranquilli, io non mi suiciderei mai, ho troppa paura di farmi male.
E comunque anche Favino torna sui suoi passi, mentre tutti si svegliano dopo una notte di pensieri. Si siede sulla sponda di un tavolo da ping pong, e Accorsi gli lancia contro la pallina, facendola prima rimbalzare nel suo campo. Una volta, due volte, più volte. Fino a farlo sorridere all’alba di un nuovo giorno, dopo una lunghissima notte senza luce e senza riposo. Io mi sono alzato e ho provato a suonare al pianoforte Passione. Qualche nota era al posto giusto, poche. Altre invece no. Non so se riuscirò mai a rimetterle in ordine, ma penso che continuerò a provarci. Perché meno di dieci mi sembra un numero accettabile.
2.
Lo so che non ci crederete, ma ieri sera facendo zapping ho ritrovato il mio vecchio amico Favino davanti alla piscina con l’acqua verde pisello di “Saturno contro”, Praticamente sempre lo stesso film più o meno esattamente nello stesso momento. Perché quella è la piscina dove lui e Lorenzo si sono dati il primo bacio, e la scena successiva è quella in cui la Ferrari e la Buy si incontrano. Poi tutti vanno a trovare Favino nella villa. E ancora una volta, perché i film sono destinati a replicare sempre la stessa vita, mangeranno insieme, e poi nella notte Favino penserà al suicidio. Sempre la stessa musica, Passione, e anche questa volta non si butta giù dalla rupe, ma torna indietro e si mette a giocare a ping pong con Accorsi. Che è l’unica cosa che gli riesce decentemente, ad Accorsi, Castà a parte. Tutti sorridono, e la vita riprende. Già, ma intanto Lorenzo è morto. Ecco, in quel preciso momento ho pensato: e se morissi io, si metterebbero a giocare a ping pong? Perché poi non è che abbiamo sempre modo di saperlo prima, anzi, spesso la morte arriva all’improvviso. Lorenzo si stava preparando a cenare. Era giovane, Lorenzo. Anche io sono giovane. Non quanto Lorenzo, certo, ma non ho l’età giusta per morire. Ammesso che esista un’età giusta. Eppure potrei morire anche in questo istante, lasciando a metà quello che sto scrivendo. Se è per questo non mi sento nemmeno tanto bene. Ho un persistente formicolio all'emisfero destro del mio cervello. I casi sono due: o la mia intelligenza si sta sviluppando in modo abnorme, oppure mi sta per venire un ictus. In quest'ultimo nefasto caso potrei morire. E poi magari una mano pietosa, dopo avermi chiuso gli occhi rimasti spalancati per il dolore e per la sorpresa, e la bocca rimasta aperta nell'ultima imprecazione, schiaccerebbe distrattamente il tasto invio. E allora queste sarebbero le ultime parole scritte da ………..
Sono sempre io. Ho atteso una decina di secondi, e non sono morto. Non questa volta almeno. Ma domani, chissà, chi può dirlo. Intanto per accertarmi di essere ancora vivo, nel silenzio della solitudine che mi circonda, ascolto della musica. Cerco un pezzo che mi riporti indietro nel tempo e che mi ha sempre messo tanta allegria, fin dalla rullata della batteria che lo annuncia gioiosamente. E’ Peaches en regalia di Frank Zappa, il più grande di tutti. Che di una cosa sono assolutamente sicuro, purtroppo. Quando morirò per me la musica sarà davvero finita. Per sempre. Oggi posso ancora dire, parafrasando Bogart: “Suonala ancora, Frank!”
3.
Il patto non scritto fra chi scrive e chi legge è costruito sul principio di verosimiglianza. Quello che io scrivo, perché sia accettato dai miei lettori, deve essere perciò non soltanto vero, ma anche verosimile. Ecco perché quando oggi nel primo pomeriggio ho acceso il televisore e mi sono trovato davanti, a tradimento, ancora una volta la faccia sfatta di Favino la prima cosa che ho pensato è che non ci avreste creduto. Perché poi la scena era sempre la stessa. Erano già tutti nella sua villa, questa volta, e lui, già reduce dal mancato suicidio, giocava a ping pong con quella faccia di culo di Accorsi. Quando si vede la stessa scena tante volte si finiscono col cogliere cose che erano sfuggite. E io ormai, come potete immaginare, l’ho vista davvero tante volte. A un certo punto di questa scena, quando gli spettatori, convinti che il film sia finito, cominciano già a raccogliere i cappotti, a riaccendere i telefonini, a prendere le sigarette, c’è al voce di Lorenzo che ripete lo stesso pensiero avuto un attimo prima di morire. Ma su questo ci ritorniamo. Intanto parliamo di filosofia. Il paradosso di Zenone dice, più o meno, che una freccia scagliata da un arco verso un bersaglio si muove attraverso una serie infinita di punti. E che per definizione in ogni singolo punto la freccia è ferma. Perciò il suo movimento è solo apparente. Una sagoma Zenone, non vi sembra? Eppure, applicato alla visione di un film, questo significa una cosa che siamo tutti disposti ad accettare. Perché tutti sappiamo che la pellicola riproduce un’immagine in movimento attraverso l’unione continua di una serie di immagini ferme: i singoli fotogrammi. Diavolo di un Zenone, aveva ragione dunque! Era solo in anticipo sui tempi. Quando io rivedo tante volte la stessa scena, allora, è come se, accrescendone continuamente la conoscenza di ogni dettaglio, ne rallentassi l’azione, cosa che mi permette di percepire l’idea che aveva chi l’ha girata in maniera assai più definita. E allora vi racconto il finale di Saturno contro, come forse voi non l’avete mai visto. Favino gioca con Accorsi, poi a loro si aggiungono Margherita Buy e Ambra. Gli altri guardano. Improvvisamente, mentre tutti ritornano alla vita attraverso il gioco e il sorriso, attraverso la quotidianità del gesto, irrompe la voce di Lorenzo. Il morto, per intenderci, il compagno di Favino. E ripete le stesse parole che aveva pensato una attimo prima di morire: “Quando siamo tutti insieme e lo vedo ( Favino, il suo uomo ) con tutti gli amici, felice, mi sembra che tutto questo possa essere per sempre. Anche se poi so bene che niente è per sempre”. Esattamente in quell’attimo la scena cambia, spariscono tutti i protagonisti intorno al tavolo, che è lo stesso, ma sembra abbandonato da chissà quanto tempo. La camera gira intorno a quel tavolo più volte, come a farci immaginare gli anni che passano. Un giro un anno. E anche la villa e il verde ci sembrano feriti dal trascorrere del tempo. Intanto Neffa intona per l’ennesima volta la sua “Passione”. E se anche è vero che niente è per sempre, è proprio per questo che quella partita a ping pong io la voglio giocare fino in fondo. Fino a quando il tavolo si sarà consumato, fino a quando le foglie del mio giardino ingialliranno, fino a quando l'intonaco si scrosterà dai muri, fino a quando non mi accorgerò di essere rimasto davvero solo. E allora, soltanto allora, mi guarderò attorno, stanco ma felice, e con un sorriso poserò la racchetta e la pallina sul tavolo.
4.
“Che palle, ancora “Saturno contro”, ma che ci posso fare se sabato sera sfortunatamente ho cambiato canale per vedere che film facessero sui canali Sky e c’era ancora una volta “Saturno contro”? Questa volta, lo giuro, ho anche parlato con gli attori. Non ci crederete, lo so, e invece è tutto vero. Mi sembra inutile dire a che punto del film ho cambiato canale. C’erano Margherita e Isabella insieme a Stefano nella stanza d’albergo. Ormai li chiamo per nome, tanto ci vediamo ogni giorno. Li ho anche salutati. Margherita, che è la più educata dei tre, ha risposto imbarazzata con un lieve cenno della testa. Stefano invece mi ha fatto segno di tacere. Isabella ha sorriso. Forse sapeva che il giorno dopo sarei andato a vedere “Caos calmo” e ha pensato di guadagnarsi la mia indulgenza. Mi sono messo comodo in poltrona, per rivedere pazientemente la scena finale. La musica è quella di “A un passo dal mare” e segue il cammino di Favino fino al dirupo da cui non si butterà. Riuscirà soltanto a stendersi per terra, insieme impaurito e disperato dal vuoto che ha davanti e dentro. Vederlo così, indifeso e disperato mi ha emozionato. Lo so, la scena è sempre la stessa e l’avevo vista già molte volte, ma anche nella vita di tutti i giorni può succedere di commuoversi per qualcosa che in altre circostanze ci aveva lasciato indifferente. In realtà devo confessare la mia debolezza, io mi emoziono spesso. Soprattutto per la musica. Spesso piango anche quando suono il pianoforte. Ma questo, forse, soltanto perché lo suono davvero male, come ho già confessato più volte. Quando improvviso, quando suono tre note in successione e cerco la musica che a quelle tre note dia un senso. Perché poi cerco io nella mia vita qualcosa che dia un senso a quelle note. E non sempre trovo qualcosa di piacevole, specie se quelle tre note richiedono un accordo minore. Gli accordi minori sono quelli della malinconia, della nostalgia, dell’assenza e della morte. Ora, voi capirete certamente che vedere “Saturno contro” o ascoltarne la musica, che naturalmente è in tonalità minore, come sto facendo ora, con il cuore stretto in una morsa e il corpo gelato dall’emozione non è affatto facile. Perché quando si soffre fa male il cuore. E questa non è, come invece si crede, una metafora. Il cuore diventa dolente, si respira a fatica, il petto sembra scoppiare. Le mani vanno istintivamente a cercare di alleviare quel dolore con un massaggio, ma il sollievo è solo temporaneo, e allora c’è un solo modo per liberare la tensione che ci sta uccidendo: urlare il proprio dolore, la propria sofferenza. L’unica via per liberarsene, almeno per un secondo, forse due, finché il cuore non si gonfia ancora, incapace di pompare via il sangue avvelenato, e bisogna gridare, ancora e ancora, fino ad esserne esausti. E’ esattamente quello che fa Favino in quella famosa scena. Stavo scrivendo famigerata, per quante volte l’ho condivisa con lui. E allora quando ha cominciato a urlare il dolore per la perdita del suo amato Lorenzo, io ho sussurrato istintivamente complice: “Pierfrancesco … che nome lungo che hai. Pierfrancé, anche io ho male al cuore, tu che dici passa?” Sulle prime non ha capito da dove venisse la voce, poi improvvisamente mi ha guardato. Sì, e in fondo questa volta sono stato io a salvarlo, e non Stefano, perché quando poi c’è stata la partita di ping pong, Pierfrancesco era già rasserenato dal nostro incontro. Mi ha guardato, dunque, e avevo gli occhi inondati di lacrime, tanto da non riuscire più a distinguere la realtà dalla fantasia, da non riuscire più a capire se quella era la mia vita, o piuttosto una proiezione di quello che avrei voluto che fosse, e non è stato. Sono andato incontro allo schermo, e lui mi ha teso la mano, mi ha abbracciato, e mi ha guidato dolcemente verso il tavolo da ping pong. Mi ha accarezzato, perfino, e mi ha fatto segno, per chiedermi se volessi giocare anche io. Gli ho risposto che per questa volta facevo volentieri passo, tanto Stefano era già lì pronto con la racchetta in mano. Pierfrancesco mi ha sorriso ancora una volta, Stefano naturalmente mi ha guardato di traverso, e mentre tutti si univano a loro nel gioco, io sono rimasto solo, seduto in un angolo, invidiando la loro amicizia, la loro solidarietà. E così mentre ascolto ancora la struggente fisarmonica che ripete all’infinito la breve melodia che accompagna l’ultima scena, la casa si svuota. Margherita e Ambra, Filippo e Stefano, Isabella e anche Pierfrancesco, e Serra e Ennio non ci sono più.
E’ notte.
5.
Di notte non si dovrebbe mangiare. E non si dovrebbe neanche vedere “Saturno contro”, lo so, ma questa volta non è stata colpa mia. Mentre armeggiavo alla ricerca di qualche Marzullo che mi conciliasse il sonno, mi sono trovato davanti una tavolata con tanta bella gente: c’erano, come sempre, Pierfrancesco con Luca, non ancora morto, Margherita da sola, Serra e Filippo, Ambra ed Ennio Fantaschini, la prima “moglie” di Favino. Mi hanno guardato tutti insieme, come se mi stessero aspettando. In effetti erano in silenzio, in attesa del pubblico per iniziare la recita. Ho avuto proprio l’impressione che stessero aspettando me. In particolare Pierfrancesco e Margherita mi hanno sorriso teneramente, quasi fossi un vecchio amico, uno di loro. Un lampo improvviso mi ha attraversato, e proprio mentre Pierfrancesco stava per andarsi a cambiare in camera, per preparare la scena che precede la morte di Luca, ho pensato di provare a cambiare l’ordine degli eventi. Ho guardato Margherita dritto negli occhi. Lei ancora non sapeva del tradimento di Stefano, e sembrava così indifesa, così sola. Poi ho cercato la felicità nello sguardo di Pierfrancesco e il presentimento in quello di Luca. “Quando siamo tutti insieme con gli amici, penso che siamo felici e mi sembra che tutto questo debba essere per sempre, anche se poi lo so. Niente è per sempre”. Più o meno questo il suo pensiero che scorre dall’inizio alla fine della storia, a testimoniare la forza della sua assenza. No, non può morire, perché lui è l’innocenza, è la giovinezza, è la bellezza che ci salverà dall’abisso dell'inevitabile usura dei sentimenti e dell’abbandono. Luca e il suo sorriso sono la parte migliore di tutti noi, quella che abbiamo dimenticato, o forse perso per sempre, e che in lui rivive ricordandoci come eravamo. Sedetevi, ragazzi, sedetevi tutti. Tu, Pierfrancesco, ti prego, non andare di là a cambiarti, resta come sei. Resta vicino a Luca, col tuo calore e il tuo amore, e tu Margherita, telefona a Stefano, e digli che lo ami infinitamente, come credevi non fosse possibile, e vuoi che venga subito qui, al tuo fianco. E che non ti lasci più sola, mai più, tanto Isabella la sistemiamo con Nanni Moretti. Filippo, lascia perdere quella musica etnica del cazzo che ascolti a volume alto e ci distrae. Mettiamo Mozart a basso volume, come una preghiera. E state vicino a Luca che non si sente bene, fategli capire che lo amate, che non può morire così presto, senza averci prima salvato tutti. La cena la preparo io, voi godetevi in pace questi momenti. E se anche è destino che Luca davvero stanotte ci debba lasciare, se davvero lo perderemo per sempre, perché poi cambiare il corso delle cose è impossibile, almeno avremo avuto tutti la consapevolezza dei suoi ultimi istanti e, in cambio della sua purezza, gli avremo donato fino alla fine il nostro amore.
Fulvio Frezza