Antonietta ha il viso precocemente invecchiato dal sole e i capelli raccolti in grosse trecce nere che le arrivano fino a vita. Ogni volta che la gente parla di lei ne parla con compassione definendola ’na povira fimmina. Antonietta pensa che loro non possono capire.
Lavora alacremente nel cortile di casa: le abili mani intrecciano a memoria i vimini che lei stessa ha raccolto nella campagna, mondati e lasciati essiccare all’aria. Talvolta si interrompe, solleva gli occhi per osservare il mare che intravede in lontananza o per sbirciare i rari passanti. Poi, sospirando, torna a dedicare la propria attenzione al lavoro. Solamente all’arrivo del postino posa a terra il cesto per andargli incontro con passo lesto. Il vecchio Nicola, come sempre, scrolla la testa ancor prima che Antonietta si avvicini e -come se fosse colpevole per lo sconforto provocato- riparte pedalando rabbiosamente e borbottando tra sé e sé: “Mischina…”.
La donna, allora, a capo chino, torna verso la panca, si siede e riprende meccanicamente ad intrecciare gli steli ignorando le lacrime che le solcano il viso. Al tramonto raccoglie il fascio dei vimini rimasti, i canestri fatti, le cesoie, il filo e rientra in casa.
Antonietta detesta la sera: vorrebbe stare sempre nel cortile per non perdere d’occhio la strada che arriva dal porto e per essere pronta ad accogliere Salvatore, di ritorno dalle Americhe.
Prende in mano la foto del marito scattata pochi giorni prima del loro matrimonio. Il ragazzo nel ritratto sorride, ha i capelli neri e mossi e la camicia bianca sbottonata che scopre il forte petto. La donna serra gli occhi e pensa a come potrebbe essere ora: sono passati diciassette anni dal giorno che è partito e, da allora, non ha notizie. Nonostante ci provi ogni sera, proprio non le riesce ad immaginare Salvatore invecchiato: è come se il tempo si fosse fermato.
Salvatore, al momento della partenza, le aveva detto: “Tornerò ricco, Nina mia, aspettami”, poi l’aveva baciata e si era imbarcato, senza voltarsi.
Antonietta accarezza la foto, poi la posa con delicatezza sopra al comodino.
Prima di coricarsi scioglie le trecce e mentre si spazzola i capelli pensa che l’indomani –chissà-, a Dio piacendo, potrebbe essere il giorno del ritorno…
Ormai è stanca d’essere per la gente la vedova bianca.