Una cravatta ben annodata è il primo passo serio nella vita.
Oscar Wilde
Passare la prima gamba davanti, dietro e ancora davanti all’altra gambetta. Infilare quindi la prima gamba dietro il doppino formatosi attorno al collo e, successivamente, nell'anello formato dalla stessa gamba. Infine stringere, tirare e far scorrere verso il colletto della camicia.
IL NODO SHRINKER
Cora, seduta sul divano, si stava mangiando le unghie: un gesto consueto quando era nervosa e, quel giorno, lo era davvero. Guardò la porta dalla quale, un’ora prima, era uscito suo marito, e risentì le ultime parole pronunciate prima di andarsene: “Cora, non fare i capricci come fossi una bambina. E, bada bene, che ritengo il discorso chiuso: al mare non si va. Chiaro?”
Cora si tolse il dito medio dalla bocca, lo osservò a lungo, controllò quanti millimetri d’unghia avrebbe potuto ancora rosicchiare, poi lo alzò ben disteso in direzione della porta. Dopo quel gesto si sentì un po’ meglio; rimise il dito in bocca e riprese a rosicchiare e a rimuginare.
Aveva conosciuto Alfonso tre anni prima ed era stato un vero colpo di fulmine. Lei si trovava nei guai a causa di una dimostrazione studentesca non autorizzata a cui aveva partecipato solo perché trascinata dal suo ultimo ragazzo. Molti di loro erano così finiti in guardina, poi processati per direttissima e, a difenderli, era stato nominato un avvocato d’ufficio distinto, elegante, di mezza età. L’avvocato in questione era, appunto, Alfonso. Sin dal primo incontro Cora era rimasta affascinata da quell’uomo sicuro e Alfonso turbato da quella ragazzina dal fisico snello e dallo sguardo sbarazzino. Avevano così preso a frequentarsi. Lei si era sentita intimidita al suo fianco ma, ciononostante, era orgogliosa di partecipare a feste esclusive in locali eleganti e rinomati in compagnia di Alfonso, sempre perfetto in tutte le occasioni con i suoi innumerevoli abiti e quelle cravatte raffinatissime che indossava. Già da un po’ si era stancata dei ragazzi che le ronzavano intorno e che, come massimo dell’eleganza, sfoggiavano pantaloni rossi e magliette verde militare con su stampata la faccia del Che.
Nel mettersi in bocca l’anulare della mano sinistra guardò con disgusto la pesante fede d’oro che lo cingeva e pensò a quella che era la sua vita prima del matrimonio quando, pur avendo pochi soldi, era libera. Le vennero in mente le gite al mare in treno con gli amici, lo zainetto sulle spalle con dentro un asciugamano, la radio e il pacchetto di sigarette; allora, sotto i jeans sdruciti e la maglietta di due taglie più grandi, indossava l’unico costume che possedeva, un bikini giallo, fatto all’uncinetto da sua madre. Le venne in mente che doveva averlo ancora, da qualche parte. Si alzò con urgenza dal divano e andò in camera, spalancò gli armadi, rovistò freneticamente in tutti i cassetti e, alla fine, lo trovò seminascosto da camicette di seta e magliette firmate. Se lo portò al viso, in una sorta di carezza, poi se lo tenne stretto al petto, cullandolo come fosse un bambino.
Cora sapeva perfettamente perché suo marito non voleva andare al mare: era per via delle cravatte. Perché suo marito senza cravatta non ci stava, neppure per una mezza giornata, neppure per un’ora, neppure a letto. All’inizio, quella sua mania, l’aveva persino divertita.
Nei primi tempi del matrimonio capitava – quando Alfonso si svegliava di buon umore - che le facesse scegliere la cravatta da indossare quel giorno: si trattava di una rara concessione, una sorta di gran privilegio. Con la stessa dignità di un sacerdote che si appresta a compiere un rito sacro, Alfonso apriva l’armadio in cui erano riposte le sue cravatte, ordinate meticolosamente a seconda della stoffa, del colore, della fantasia, e le passava in rassegna una ad una, sfiorandole con la mano in una lunga e continua carezza, e facendole dolcemente oscillare. Con il tatto riconosceva le varie stoffe: batista, piqué, gros-grain, taffetà, seta, cachemire, broccato, mussola… Erano sistemate in modo che i colori sfumassero gradatamente dalle tinte scure a quelle chiare, e i disegni, le strisce, le fantasie, da quelle più grandi a quelle più piccole.
Cora, per non indispettirlo, si avvicinava a quell’armadio – a cui, altrimenti, non le era permesso accedere – e guardava quelle mille e più cravatte e, poi, ne indicava una. Di solito per Alfonso la scelta era sbagliata.
“Una cravatta a disegni grandi per andare in ufficio? Possibile che tu non abbia un po’ di gusto estetico?”
Oppure: “In piena estate io dovrei mettermi una cravatta di mussola, pazzesco! Ecco mi hai già rovinato la giornata”.
Cora aveva provato a sottrarsi a quello che lui chiamava ‘gioco’, ma il risultato aveva avuto esiti ancora peggiori di quelli provocati dalla scelta sbagliata. Così si era rassegnata. Come, pure, si era rassegnata a vederlo sempre con la cravatta. Le prime volte, a letto, le era persino piaciuto: quell’ondeggiare della cravatta accompagnava e sottolineava i movimenti di Alfonso ed erano piacevoli carezze sulla pelle nuda. Le cravatte che utilizzava per la notte erano sempre di raso e in tinta unita; le allacciava con un nodo morbido e lasciava che si frapponessero tra i loro corpi, quasi fossero una sorta di terza voluttuosa mano pronta a sfiorarle la pelle.
La prima volta Cora aveva riso, pensando ad uno scherzo: l’immagine di lui nudo, ad eccezione della cravatta, le era sembrata buffa, ma lo sguardo gelido che ricevette in risposta le aveva fatto capire che suo marito non trovava assolutamente nulla di divertente in quella situazione. Anzi: si era indispettito. Aveva smesso di amoreggiare e le aveva detto con tono stizzito: “Quando smetterai di ridere ne riparleremo.” E per numerosi giorni non l’aveva più cercata.
Alfonso rientrò quella sera reggendo in mano, con molta attenzione, un pacchetto stretto e lungo.
“Vieni a vedere che meraviglia, Cora! Dato che abbiamo stabilito di non andare al mare ho deciso di regalarmi una cravatta. È un ultimo arrivo, una vera sciccheria. Costa, ma questa cravatta lo merita.”
Nel dire questo si era seduto al tavolo e aveva iniziato a scartare il pacchetto.
“Si tratta di crêpe de Chine e mi hanno assicurato che è il materiale perfetto per fare il nodo Shrinker. Cora, ma mi stai a sentire?” Poi aggiunse: “Vediamo se ti ricordi di quel nodo”. Cora scosse la testa.
“No? E pensare che te l’ho spiegato almeno cento volte! Già, ma tu pensi al mare, a te stessa e basta… Eppure lo sai che ci tengo che tu conosca almeno le cose fondamentali!”
Alfonso sospirò, guardò Cora con un’aria tra il rassegnato e l’arrabbiato, poi, come se stesse rivolgendosi ad una bambina, senza smettere di far scorrere le dita sulla cravatta, riprese a parlare: “Lo chiamano così per via di uno psicanalista americano, Brain Shrinker. Si tratta di un nodo molto stretto che sta a simboleggiare, appunto, uno strizza-cervelli. Io credo che questo tipo di nodo mi doni proprio, insomma che sia adatto a me. Che ne dici Cora?”
“Cora non mi far arrabbiare, Cristo! Smetti di fare il muso, togliti quelle dita dalla bocca: guarda in che stato ti sei conciata. Scommetto che hai passato il giorno intero a mangiarti le unghie…”
Di fronte al silenzio prolungato di Cora, Alfonso sbottò irato: “Ti avrei dovuto lasciare in guardina: quello era il tuo posto, assieme a quei lerci dei tuoi amici. Ti ho tirato fuori dai pasticci, dato una casa che non avevi e una posizione che manco ti sognavi e tu non ricambi, non mostri il minimo entusiasmo, non condividi il mio interesse. Sono proprio stato uno stupido!”
Uscì dalla stanza sbattendo la porta. Cora rimase immobile fino a quando non lo sentì scendere per le scale. Si rimise a rosicchiare quello che restava delle sue unghie, incurante del dolore che si stava procurando: “Lo odio. Odio lui e le sue fottutissime cravatte!”
Fu svegliata nel cuore della notte da Alfonso che entrò in casa accendendo tutte le luci e chiamandola a voce alta. Aveva bevuto: Cora se ne accorse subito, oltre che per la cravatta storta, dalla voce impastata e dalla camminata incerta.
“Preparati: ho voglia di farlo... Adesso, subito!”
Con mano incerta, dopo essersi spogliato, si mise al collo, come una sciarpa, una delle cravatte da notte, e ne appoggiò una di seta rossa sul comodino; poi si sdraiò sul letto.
“Che aspetti? Vieni sopra Cora e sbrigati!”
Senza dire una parola Cora si mise a cavalcioni sopra di lui e iniziò ad accarezzarlo facendo scorrere le sue dita lungo il torace in una sorta di lieve e rilassante massaggio. Dopo un po’ Alfonso portò le braccia in alto ed afferrò con entrambe le mani la spalliera del letto.
“Legami i polsi, come piace a me”, disse con voce rauca ed eccitata. Cora si allungò per prendere la cravatta di seta rossa, seguendo un rituale che conosceva perfettamente.
Poi lui farfugliò: “Ora annodami la cravatta... Un nodo semplice, per questa sera.”
Cora prese i due lembi della cravatta, li regolò in modo da poter avvolgere con un solo giro la parte più larga attorno a quella più stretta e la infilò nel doppino che si era venuto a formare. Prese a tirare il lembo rimasto sotto e fece scorrere lentamente il nodo verso il collo di Alfonso. Poi continuò a tirare e a stringere, sempre con più forza.
Per la prima volta in vita sua era riuscita a fare un nodo perfetto.
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Racconto inserito nell’antologia "Amantidi Le vittime" (Magnum Edizioni)