Una mania innocua, quella del signor Libero. Cronometrava ogni evento della sua vita e su quelli regolava il suo futuro; talvolta tentava di abbattere dei record, altre volte si arrabbiava se le previsioni non erano rispettate, fosse pure per una sola manciata di secondi, ma, soprattutto, godeva delle conferme.
Viveva perennemente con un libricino dalla copertina nera in tasca. Ormai era in più punti sciupato e l’elastico che lo chiudeva era diventato molle e inutile alla funzione a cui era preposto. In quella sorta di moleskine il signor Libero registrava la durata di tutti gli eventi, come il tempo impiegato per radersi o per scendere le scale o per bere un caffè. Utilizzava a questo scopo un preciso cronometro che portava sempre con sé: quando ripetendo le azioni quotidiane ritrovava gli stessi tempi provava un senso di appagamento e di sicurezza che, diversamente, non aveva.
Nella sua qualità di direttore applicava anche per i dipendenti le stesse regole. Con orgoglio pensava all’ultima riunione da lui presieduta. Poco gli era importato se per l’incontro, fissato per le 17, erano tutti presenti e pronti già cinque minuti prima dell’inizio: aveva tenuto d’occhio l’orologio e non aveva permesso che si fosse cominciato in anticipo. Non solo: aveva inoltre calcolato che, essendo quindici il numero dei partecipanti ed avendo stabilito un’ora per la discussione dei punti all’ordine del giorno, ogni partecipante poteva usufruire al massimo di quattro minuti complessivi (consecutivi o a più riprese): su questo principio democratico si era mostrato rigidissimo e non aveva esitato a togliere la parola in caso di sforamento. Il calcolo, poi, si era complicato perché aveva dovuto ulteriormente frazionare i quattro minuti tenendo conto del numero dei punti all’ordine del giorno. Dato che erano otto ogni partecipante era potuto intervenire al massimo per cinquanta secondi per ogni punto. Durante la riunione il signor Libero aveva segnato sul suo libricino la durata dei singoli interventi pronto a sollecitare la conclusione o, nei casi recidivi, a togliere la parola. Tutto aveva funzionato a meraviglia: la riunione si era felicemente conclusa alle 18, come previsto.
I collaboratori, ormai, lo conoscevano e lo lasciavano fare: le discussioni, quelle importanti, avevano imparato a farle in altri momenti, davanti alla macchinetta del caffè o quando si incrociavano nei corridoi.
Anche la moglie del signor Libero si era rassegnata da tempo ed aveva, per il quieto vivere, imparato a seguire le varie tabelle che il marito le aveva imposto.
“Non è bello, cara, sapere che alle 14.25 esatte puoi iniziare a sparecchiare? In questo modo sai in anticipo quanto tempo libero potrai disporre nel pomeriggio e ti potrai organizzare al meglio!” le ripeteva, quasi quotidianamente, per convincerla.
Quel mattino il signor Libero aveva avuto, per via di piccole contrarietà, la premonizione che non sarebbe stata una bella giornata. Una serie di incidenti non previsti avevano provocato dei ritardi nel rituale mattutino. Ad esempio aveva dovuto sostituire il tubetto del dentifricio e, per quanto avesse cercato di accelerare il lavaggio dei denti, alla fine dell’operazione il cronometro aveva segnato un ritardo di otto secondi: una cosa enorme se si teneva conto che il tempo complessivo previsto era di mezzo minuto. Per cercare di recuperare il tempo perso aveva bevuto il caffè di un sol fiato scottandosi la lingua e il palato.
Quasi per tranquillizzarsi, mentre si recava al lavoro, aveva continuamente accarezzato il cronometro che teneva nella tasca dei pantaloni. Liscio al tatto, tondeggiante nella forma, con quei due pulsanti-uno verde e uno rosso- che gli permettevano di misurare perfettamente ogni evento quotidiano e, pure, di prevedere la durata di tutti quegli episodi ripetitivi di cui era costellata la vita, quel cronometro rappresentava la sua sicurezza. Misurare gli eventi era un modo per tenerli sotto controllo e per esserne superiori. Proprio non riusciva a capacitarsi di chi viveva senza fare nessuna previsione, lasciando che gli avvenimenti fossero dominati dalla casualità più assoluta.
Start e stop: inizio e fine, nascita e morte. Ogni volta che ci pensava era percorso da un brivido, dovuto ad un senso di onnipotenza che cercava di nascondere soprattutto a se stesso.
Nel salire sull’ascensore premette contemporaneamente il pulsante verde del cronometro: non che ne avesse bisogno perché sapeva perfettamente che allo scoccare del dodicesimo secondo avrebbe raggiunto il piano, ma il verificarlo ogni volta gli procurava un’intima soddisfazione.
La giornata era poi trascorsa con una serie di regolarità che quasi gli fecero dimenticare l’increscioso episodio mattutino. La macchinetta erogatrice del caffè aveva miscelato la bevanda nel tempo previsto, la riunione delle undici si era conclusa in perfetto orario, la segretaria nel rispondere alla sua chiamata aveva impiegato i soliti dieci secondi. Allo scoccare delle dodici e trenta aveva lasciato l’ufficio felice e riconciliato con il mondo. Con in mano il cronometro aveva per l’ennesima volta verificato i dodici secondi necessari per scendere a pian terreno con l’ascensore e fischiettando si era incamminato verso casa.
All’incrocio con corso Dante il semaforo scattò sul rosso. Il signor Libero nello stesso istante premette il pulsante dello start del suo cronometro: tra trenta secondi il semaforo sarebbe diventato verde. Allo scoccare del trentesimo secondo attraversò la strada.
Uno stridio di freni, un colpo sordo furono gli unici rumori che indicarono l’avvenuto incidente. Il signor Libero fu scagliato a notevole distanza dal punto in cui fu investito; vicino al suo corpo senza vita fu ritrovato, miracolosamente intatto, il cronometro integro e funzionante.
I vigili arrivarono subito sul posto: erano già in zona perché stavano controllando la nuova viabilità del corso. Quel mattino, infatti, per un’ordinanza comunale, tutti i semafori posti in corso Dante erano stati tarati di modo che la durata del rosso fosse non più di trenta, ma di quaranta secondi. La delibera era stata presa dopo interminabili discussioni che, più volte, si erano concluse ben oltre l’orario previsto.