Fluctuatio
Su un modo diverso, orientale, d’essere nichilista
Fluctuabundus
Che esita, ondeggiante, senza appoggio, certezza, fondamento…
C’è un modo diverso, orientale, d’essere nichilista.
Nessuna angoscia, nessun tormento interiore. Semplicemente un occhio che, quieto, si spalanca sul nulla. Ossia su un mondo che solo apparentemente si mostra concreto e che, in realtà, è “transeunte, impuro, effimero, simile a corrente d’acqua o a lampada che arda, inconsistente come l’interno di un albero di banano insipido e paragonabile a schiuma, illusione, miraggio, immagine onirica” (ad Brhadāranyakopanişad 1, 5, 2).
Per un indù come per un buddista non avere radici nella realtà, non essere più concreto di un soffio di fumo, non vedere nel tempo e nello spazio alcunché di stabilmente reale, non è affatto tragico, al contrario: è dolce come miele. Abbandonarsi a questo infinito gioco di ombre, con lo spirito di un bambino che nulla teme, significa aprirsi ad una possibilità metafisica che nessuna parola, cosa o persona potrà mai rappresentare pienamente.
Inutile disperare, quando si comprende d’essere un’illusione tra le illusioni, inutile tremare, piangere, urlare. E’ sufficiente un sorriso distaccato.
Come quando, in balia di un mare in tempesta, è inutile cercare di opporre una forza maggiore a quella delle onde ed è alquanto più saggio abbandonarsi e divenire parte della stessa energia che ci sovrasta, così il sapiente orientale lascia che sia, che la tempesta chiamata vita termini su un litorale di quiete in cui nulla sarà più come prima.
Le navi, non i tappi di sughero, temono gli uragani.
Fluctuatio
Fluttuare, ondeggiare, nell’indecisione, nell’instabilità, nell’incertezza…
“In Estremo Oriente la fluctuatio non dà luogo ad alcuna angoscia, la barca, il ponte, la folla di Edo non provano alcun malessere per il proprio fluttuare nell’indeterminato. Essere fumo, per lo spirito dell’Oriente, non è più sconcertante che per la martora essere coperta di pelliccia.” (Da Guido Ceronetti, L’occhiale malinconico, p. 48.)
Al discepolo che affermava “Questo corpo è l’albero della comprensione trascendente, questo cuore è paragonabile ad un lucido specchio: senza posa lo spolveriamo e lustriamo, affinché la polvere non aderisca”, Hui-nêng († 713 d.C.), patriarca della scuola Ch’an del Buddismo cinese, rispose: “Non vi è albero della comprensione trascendente né lucida superficie di specchio: essendo tutto in realtà vuoto, dove potrebbe mai la polvere aderire?”
Ma riconoscere l’illusione dell’io e del mondo non significa negare l’essere, anzi: non credere a nulla non significa non credere in Dio.
Dio appare dove l’uomo scompare.
L’Assoluto, nel momento in cui si manifesta, cancella il relativo, come il giorno annienta la notte.
Il nichilismo orientale aiuta a comprendere che il distacco dalle cose, l’indifferenza verso le vicende umane, la più cruda delle disillusioni nei confronti della realtà contingente e del sapere che da essa deriva, non presuppongono ma rifiutano l’ateismo. Dio, infatti, è l’essere esattamente come noi, con tutte le nostre povere meschinità, siamo il non essere.
E non occorre viaggiare molto verso Est per trovare un’immagine limpida di questo atteggiamento disincantato nei confronti dell’esistenza. Si può trovare, accantonata nell’ombra in ogni sinagoga, in ogni chiesa.
Nell’Antico Testamento, nel Qohélet (I, 2) si legge:
Vanità immensa
Ha detto Qohélet
O vanità immensa
Tutto è vanità
E, poco più in là (III, 18-19):
E dei figli dell’uomo dico
Gli mostri Dio quel che sono
Vedranno solo un branco di bestie
Perché dei figli d’uomo la sorte
E delle bestie la sorte
Sono un’identica sorte
Per gli uni morte
Per gli altri morte
E in tutti l’unico soffio
E che sia un uomo
Più di una bestia
Niente
Perché svapora tutto
A una fossa vanno tutti
La polvere li ributta
La polvere li raccoglie
Fluctuatio
La polvere ci ributta, la polvere ci raccoglie…
Ivo Magliola