Gianluigi, detto il Grillo, scendeva giù piano per i gradini coperti dal tappeto, appoggiandosi con una mano contro la parete per ridere meglio e per reggersi in equilibrio. Ancora non poteva capacitarsi di quanto aveva visto e aveva fatto uno sforzo notevole per non tradire la sua presenza, obbligandosi a non fare il benché minimo rumore e a lasciarsi sfuggire fosse anche solo un’esclamazione o una bestemmia.
Nell’atrio trovò Mary tutta presa a guardare un vecchio film, avvolta da una nuvola di fumo azzurrognolo e con in mano un bicchiere contenente del liquido ambrato dal forte odore di alcol. Non appena la donna si accorse della sua presenza, staccò gli occhi dal televisore, si alzò e gli andò incontro dicendo sottovoce:
-Allora, Grillo, non avevo ragione? Non meritava d’essere visto?
La voce roca non era sgradevole, anzi aveva un che di sensuale e di invitante. D’altra parte la donna aveva sempre fatto il mestiere con classe e, come amava specificare, con ottimi risultati. Da lei ci finivano solo i veri signori, quelli esigenti e difficili da accontentare, e, soprattutto, tornavano, segno inconfutabile che ci sapeva fare. E se non c’era la Rossa (quello era il suo nome d’arte) aspettavano fino a quando non era libera e disponibile.
Si era ritirata per via dell’età e con i soldi messi da parte aveva rilevato quel vecchio alberghetto pretenzioso con tanto di passatoia rossa sulle scale e una coppia di amorini di gessoo ai lati dell’ingresso. La donna, per aumentare le entrate, non si faceva problemi ad affittare le stanze anche per poche ore, senza fare troppe domande o chiedere i documenti. Così come non aveva avuto scrupoli a mettere un finto specchio in modo da guardare, anzi “in modo da controllare” per usare parole sue, cosa succedeva in una delle stanze del primo piano.
-E’ stato uno spettacolo! Per poco mi pisciavo addosso dal ridere… Eh, sì! Ora sono in debito con te…- rispose l’uomo soddisfatto, mentre infilava alcune banconote nella generosa scollatura della donna.
Alla Rossa quel gesto le risvegliò vecchi e bei ricordi e d’istinto disse:
-Beh, guarda, se vuoi sdebitarti un sistema c’è… Poi lo sai che sono ancora brava e che ho un debole per te.
-Lo so che sei brava, ma ora non mi posso fermare. La prossima volta, però, mi rifaccio con gli interessi!
La donna scoppiò in una risata di gola, rovesciando il capo all’indietro e scuotendo la lunga chioma fulva.
Gianluigi se ne andò con quella sua camminata saltellante che una gamba, un po’ più corta dell’altra sin dalla nascita, gli imponeva. Aveva fatto un investimento, quella sera: ora non gli restava che aspettare il momento giusto per farlo fruttare al meglio.
L’occasione capitò qualche mese dopo: una sfida a carte che il Grillo aveva preparato meticolosamente, stuzzicando l’avversario nell’orgoglio e colpendolo nei suoi punti deboli, fino a farlo capitolare. Di quella partita a poker si era subito sparsa la voce per via dell’alta posta in gioco, una sfida ben diversa dalle solite che avrebbe potuto cambiare la vita al Grillo.
Era normale che si giocasse a poker nella stanza privata del bar dello sport dove una clientela fissa si ritrovava da anni. Un caffè, un ammazza-caffè, un’occhiata al quiz che la televisione trasmetteva, poi, uno alla volta e senza dare nell’occhio, i vecchi clienti si defilavano attraverso una porta seminascosta con su scritto “Privato” e si ritrovavano in una stanza disadorna, arredata solamente con qualche tavolo ricoperto da tappeti di panno verde e da alcune sedie spaiate. Le serate, in quella stanza, diventavano adrenaliniche anche se si giocavano pochi soldi e gli sfottò, le sfide, le rivincite si susseguivano senza fine. Quelli che non erano impegnati nel gioco, di tanto in tanto, rientravano nel bar, facevano rifornimento di bottiglie e bicchieri, e ritornavano nella stanza accolti con esclamazioni soddisfatte dai presenti.
Quella sera il gioco ai tavoli stentava a decollare, tanto che dopo qualche giro svogliato tutti i presenti, come per un tacito accordo, si radunarono attorno al tavolo dove il Grillo e Gino, noto come il Riace, si stavano sfidando. Era una coppia strana: mingherlino e ridanciano l’uno, massiccio e serioso l’altro. Non avevano nulla in comune, se non la passione per il poker.
I commenti nei giorni precedenti alla partita non erano mancati.
Che il Riace non avesse problemi di soldi, erano d’accordo tutti. Il ragazzo viveva alle spalle dei suoi genitori, lavoratori instancabili, che erano riusciti a costruirsi una fortuna partendo dal nulla, e trascorreva le giornate in palestra a modellare i suoi muscoli. L’unico impegno –se così poteva essere definito- che i suoi gli avevano affidato era la riscossione degli affitti dei vari immobili che possedevano, lavoro che l’occupava poche ore al mese.
Le chiacchiere maggiori, però, vertevano sul Grillo: tutti concordavano che quell’uomo fosse stato matto a lanciare una sfida del genere. Se avesse perso si sarebbe trovato sul lastrico in un batter d’occhio, sempre ammesso che fosse riuscito a pagare il debito, cosa di cui molti dubitavano. Lavorava saltuariamente per arrotondare la piccolissima pensione di invalidità che percepiva e quelle poche volte che aveva il portafoglio pieno era grazie a qualche traffico non proprio legale. Però non era mai stato pizzicato e, pertanto, le voci della gente rimanevano tali.
Il Grillo, quella sera, era in forma. Nonostante l’importanza della posta non aveva smesso di fare battute divertenti e di chiacchierare come se nulla fosse con quelli che stavano attorno al tavolo.
All’ultimo giro, quello decisivo, si ritrovò con una coppia vestita in mano. Decise di cambiare due carte, tenendosi l’asso di cuori. La fortuna non gli arrise e rimase con la coppia di partenza.
Mentre il Riace cambiava una sola carta, il Grillo se ne uscì con una delle sue:
-Non vi ho mai raccontato di quel mio amico che per scopare una donna si mette prima un perizoma leopardato con tanto di coda e poi cammina a carponi per la stanza con il culone per aria ruggendo ferocemente, mentre la donna deve far finta d’avere paura di finire sotto i suoi temibili artigli?
Ci fu un coro di risate.
-Ma, dai… questa l’hai inventata di sana pianta! Non si può essere così coglioni!- disse uno degli spettatori, interpretando il pensiero di tutti.
-Guarda che posso fare nome, cognome e pure il soprannome, ma lo dico solo se perdo…- rispose il Grillo ridendo, poi rivolgendosi all’avversario:
-Allora, che fai? Vieni a vedere?
Il Riace non aveva riso alla storiella, anzi si era fatto pallido in volto per la tensione. Rimase a fissare a lungo le carte, mentre tutto intorno scendeva un silenzio pesante e le ultime risate e battute sull’uomo-leopardo piano piano si spegnevano. Alla fine, con un gesto stizzito, buttò le carte sul tavolo, si alzò rovesciando la sedia e se ne andò, spintonando chiunque gli capitasse tra i piedi, senza dire una parola.
Dopo un attimo di sorpresa, tutti si complimentarono con il vincitore dandogli vigorose pacche sulle spalle e chiedendo a gran voce che ordinasse spumante per festeggiare la vittoria.
Gianluigi, nella confusione, raccolse velocemente le carte dal tavolo e guardò il full gettato via dall’avversario, poi ordinò spumante per tutti. Una bottiglia, pensò, l’avrebbe portata alla Rossa.