Un grande amore, una volta, mandò a gambe all’aria il mio sudatissimo alfabeto e mi annebbiò l’analisi logica. I cuori innamorati sbagliano spesso i congiuntivi e conoscono solo tempi al futuro.
Parlammo allora solo al presente indicativo, però le nostre anime conobbero il moto a luogo e poi lo stato in luogo: due cuori e una capanna, andare, venire e stare.
A quel tempo circolavano ancora aria e vento a trasportare le parole su un quaderno a righe di terza.
Aria, sole, vento, luna, cielo, stelle, amore e cuore furono allora il nostro unico abbecedario per un bel po’. E dopo anche pelle, labbra, corpo e i loro più segreti corollari, con tutti i loro liquidi e i loro profumi.
Qualche avverbio dopo ci accompagnammo l’un l’altro, sempre in bella grafia, per le salite e le discese dell’amore.
Quando però scoprimmo il condizionale e andammo a sbattere contro certi imperativi eravamo già sulla strada di un dolore.
Passammo così alla desolata trascrizione su quaderno a quadretti, mettemmo a posto tutte le virgole e i punti esclamativi e venne qualche punto interrogativo a sfogliare di nuovo le nostre margherite. Ma era troppo tardi.
Tutti quei sempre allora si ammalarono, divennero dei forse e dei poi, finchè annegarono un giorno nel mare dei mai. E furono guai.
Colpa forse dei verbi ausiliari? Essere, avere... comunque non si riusciva più a coniugare.
Quando infine mettemmo tutti i puntini su tutte le i, ci lanciammo in faccia alcuni aggettivi e senza più nulla aggiungere, senza altri se e all’alba dei troppi ma, ci scaraventammo l’un l’altro nel passato remoto.
Un punto e a capo venne a chiudere a chiave le parentesi tonde, come una pietra sopra. Rimase il verbo essere, solo soletto e all’infinito.
Quando voltai pagina c’era solo un foglio bianco, niente più righe e niente più grammatica.
Ma quanto si dimostra analfabeta, Dio mio, la vita...
Tommy Calabrese