Trovava un che di metafisico nei sacchetti salvaspazio.
Abelardus ascoltava ipnotico il rumore dell’aspirapolvere che sottraeva vuoto e riduceva quel pezzo di stoffa ad un acquiescente riposo nel trolley.
Poi compose il numero e dovette aspettare tre squilli.
“Pronto” voce ansiosa dall’altro capo
“Thomas, sono io”
“Non dirmi che ce l’hai” con sempre maggiore concitazione
“Sì, è qui con me” il rumore dell’aspirapolvere, sempre in sottofondo, a sfumare la serietà del momento
“Ma cosa stai facendo?”
“In Chiesa erano scettici: dicevano che volevano vedere come l’avrei portata via” un sorriso come di sfida accompagnava queste parole “Ma ora la sto tranquillamente costringendo nel mio pratico hand baggage trolley e, tra due ore, ho il volo per New York”
“Abelardus, sei un genio” disse Thomas, sbirciando dalla finestra di casa il count-down di Times Square
“No, siamo due geni, Thomas” lo corresse Abelardus e riattaccò, cercando d’istinto uno specchio, perché si cerca sempre una conferma di sé quando l’ego va in metastasi vanitosa.
E l’ego di Abelardus sconfinava, debordava tanto quanto quel pezzo di stoffa si restringeva ad occupare un minuscolo spazio in metà valigia.
Giusto accanto allo spazzolino e alle mutande sporche.
Spense l’aspirapolvere e chiuse il sacchetto con l’apposito tappino di plastica. Poi, trionfante, indossò la sua tunica da sera e chiamo l’aero-taxi, destinazione aeroporto di Caselle.
“Ultima chiamata per il volo CR2012 con destinazione New York” il tabellone rotolava elenchi di voli appassiti ed Abelardus sorseggiava un pastis, mentre il grande pendolo continuava il conto alla rovescia:
“Mancano 10 per e alla 2457i per 10 alla nona ore alla fine del mondo”
Abelardus accarezzò la sua valigia, quasi fosse una reliquia, per sorprendersi con un sorriso in una conclusione logica e sorprendentemente fredda: quella valigia era una reliquia.
La Thomas&Abelardus Ltd. si era infatti assicurata in usufrutto ventennale la Sacra Sindone, grazie a un’asta aggressiva e rapace.
Ora il ceo della piccola azienda se ne tornava trionfante a New York, pronto all’ennesima impresa di quella coppia che sconvolgeva il mercato a colpi di miracoli.
Con rispetto parlando, sempre.
Abelardus cominciava a fare il callo all’eresia: la calzava quasi come un mocassino di quelli belli.
Quelli che ci vai alla Messa, di domenica.
Eccoci, per l’appunto. Terreno viscido e minato: se ogni passo finisce con l’essere blasfemo, si diceva Abelardus, tanto vale passeggiarci un po’ incoscienti, aspettando che la prima neve ti ricopra.
Tanto c’è il global warming.
E il global warning della fine del mondo, che ticchettava ignara appena sotto la velocità dell’aereo.
Del resto, come dicevamo prima, c’era un che di metafisico nei sacchetti salvaspazio: ben piegato, protetto da una coltre geometrica e silenziosa di policloroprene, ignifugo e capace di resistere alle avances pressanti di 2000 hPa, riposava per l’appunto l’ipotetico sudario del Messia.
Per la prima volta in viaggio oltre i mari, su su fino alle siderali altezze dei cieli, sopra le nuvole. Col silenzio delle stelle fisse e l’anima sottovuoto.
L’hostess indicava le uscite di sicurezza, coi piedi in terra e piantati in aria.
Abelardus sorrideva tronfio, aiutato anche dal decollo del velivolo che ne spingeva i pensieri verso orgogliose cime di superbia: rideva, in cuor suo, delle diatribe perse nei secoli passati.
Chi si nasconde dietro la sagoma sgualcita dell’uomo barbuto, sopravvissuta a millenni di saccheggi e incendi?
Inutile il carbonio 14 sui tessuti, nonostante tre università avessero condotto esperimenti in piena autonomia per retrodatare il pezzo all’alto medioevo europeo, con probabile origine fiamminga.
A nulla erano valsi gli eruditi deliri di un numismatico tedesco, che aveva indovinato al microscopio la figura di una moneta, negli occhi del morto, risalente ai tempi di Tiberio.
Vani, infine, i tentativi di scovarci il genio perverso di Leonardo Da Vinci, prezzemolo salva-caos quando di qualcosa non sai cosa dire e ti serve un prezzemolo epistemologico.
La Sindone rimaneva ignara e tetragona ad ogni certezza, forte di una fama che s’anabolizzava proprio d’un vago sentore di presa per il culo, imporporato di rosso cardinale, con una punta sottile di vergogna.
Ora, però, la Thomas & Abelardus Ltd., nella persona del suo amministratore delegato, era pronta a sciogliere il mistero: l’ardito ordito della fede cristiana.
“Signore e signori” sognava Abelardus e ricalcava i pensieri, sussurrando a bassa voce le parole “è con immenso piacere che comunico alla stampa e alle autorità presenti” immaginava l’atmosfera gremita di una sala stampa, lui su un piedistallo pronto a dichiarare guerra, già che si trovava lì “che la Thomas& Abelardus svelerà domani il mistero della Sindone…” pausa a immaginare l’oooooooooooooohhh tumefatto degli astanti, per poi proseguire con nuovo slancio “completando, signore e signori, l’esperimento di bio-printing sul dna ricavato dal tessuto. Basta carbonio14 o analisi spettrometriche al nanomicroscopio. NOI” e ingigantiva il pronome gonfiando l’io che gli riempiva il petto “Noi” indicando in tutta la sua lunghezza il celebre lenzuolo “cloneremo direttamente all’interno del sudario il corpo che ne era avvolto, pronto alla risurrezione o alla sepoltura postuma” una strizzatina d’occhio all’inviata CNN “E ovviamente alla prima intervista”.
Abelardus gongolava nei suoi pensieri, mentre il volo sospeso nei cieli ne addormentava gli ardori, sorprendendolo con l’incauto vuoto d’aria dei sogni.
Lode a te.
“Oh Cristo!” uno scossone dell’aereo lo riebbe, mentre il passeggero accanto gli versava il pane e spezzava il vino della cena sulla tunica.
Luciano Canova