Tutto è pronto. Alla tv stanno trasmettendo gli ultimi spot pubblicitari prima della partita della nazionale: tra poco Bobo Vieri scenderà in campo e io, in quello stesso preciso istante, mi stravaccherò sul divano. Ho predisposto tutto: una lattina di birra fresca, un pacchetto di pistacchi, i giornali buttati giù dal tavolino in modo da poter piazzare comodamente i piedi e il posacenere.
Mentre il telecronista inizia a leggere la formazione prendo l’ultimo bicchiere pulito rimasto. Sono a metà strada tra il lavello e il divano quando squilla il cellulare: le note della Marcia trionfale dell’Aida risuonano imperiose per tutto il monolocale. E’ impossibile non sentire, così mi do da fare per recuperarlo. Al decimo squillo lo trovo sotto i cuscini del divano.
“Pronto?” dico con tono scocciato.
Un sussurro in risposta: “Sono la contessa Ambrosia. Si prepari! Ho appena saputo che mio marito tra mezz’ora uscirà di casa: lo segua. Domani mattina mi farà rapporto.” Poi un click e nulla più.
“Ma certo, donna Ambrosia: ai suoi ordini!” rispondo mentre scaravento il cellulare a tre metri di distanza, imitando la parlata della contessa con tanto di erre moscia e di cadenza milanese.
“Fanculo”, penso, “proprio stasera il maritino deve uscire! Quella, poi, ha voluto sposarsi un bel ragazzo di trent’anni più giovane e ora muore di gelosia.” Però al momento è la mia unica cliente e le mie finanze non mi permettono di fare storie.
Così mentre Bobo trotterella nel cerchio di centrocampo, io mi precipito giù per le scale, salgo sulla mia Polo blu madonna e vado ad appostarmi in via Barozzi, a poche decine di metri dalla villa in puro stile Liberty della contessa. Faccio appena in tempo ad arrivare quando dall’elegante portoncino in ferro battuto esce il giovane marito.
L’uomo sale sulla sua Mercedes, ultimo modello, grigio canna di fucile -regalo di nozze della contessa- e si immette nel traffico. Lo seguo ad una distanza di sicurezza: corso Venezia, piazza Oberdan, poi si infila in corso Buenos Aires per svoltare, successivamente, a sinistra, in via Vetruvio. Ad un certo punto rallenta, prende una traversa e inizia a girare come uno che non conosce bene la strada. Rischio più volte di perderlo e ricevo una cospicua dose di insulti per una serie di precedenze non date. Mi arrabbio anch’io: un povero cristo non può lavorare in santa pace? Un’occhiata all’orologio sul cruscotto e mi rendo conto che il primo tempo è agli sgoccioli: Bobo deve aver segnato, me lo sento! Da come corricchiava a centrocampo si vedeva che era carico e in gran forma.
Ad un certo punto la Mercedes si ferma davanti ad un ristorante, il China Town. Specialità cinesi, Menù completo a docici euro, c’è scritto all’ingresso.
“Ma che fa? Entra in questo buco?” mi chiedo, mentre cerco disperatamente un posteggio per la mia Polo. Rinuncio a trovare un posto decente e la metto in prossimità di un incrocio, con le ruote sul marciapiede: se prendo una multa la giro a donna Ambrosia.
Mi viene la nausea solo ad avvicinarmi al locale per l’odore di fritto che mi assale a distanza. Non mi piacciono la cucine etniche di qualunque nazionalità esse siano. L’uomo entra, dopo aver dato una veloce occhiata intorno; attendo qualche minuto, seminascosto in un portone, poi faccio il mio ingresso.
Il locale è deserto, ad eccezione di una coppia di ragazzi. Il marito della contessa è seduto ad un tavolo ad angolo ed io, ignorando il cameriere che mi indica, con un gran sorriso e una sorta d’inchino, un tavolo vicino a quello occupato dai due giovani mi dirigo verso il fondo della sala da dove posso tener d’occhio sia l’uomo sia la porta d’ingresso. Guardo con desiderio il grande televisore sopra al frigo dei gelati, spento. Forse riesco a vedere almeno il secondo tempo della partita. Chiedo all’ossequioso cameriere che mi ha seguito con passi brevi e veloci se è possibile accenderlo e sintonizzarlo su rai uno.
“Mi spiace, signole, ma il televisole si è lotto ploplio ieli” e giù inchini e sorrisi. “Mi sembra giusto...” penso e intanto sorrido anch’io per nascondere l’incazzatura.
La gente pensa che la vita dell’investigatore privato sia avventurosa, piena di belle donne, ricca di imprevisti che ti fanno salire l’adrenalina a mille. Ma non è così: l’evento più sconvolgente è scoprire tradimenti e, per far questo, bisogna non avere orari, trascorrere giornate intere seduti su di un’auto in prossimità di alberghetti ad una stella. Altro che botte di adrenalina! In agguato, solo micidiali colpi di sonno.
Il mio uomo, intanto, si è fatto servire una tazza di tè: deve essere un amico del proprietario perché si parlano a lungo, sottovoce e con fare ammiccante. Poi il cinese si ritira e scompare dietro ad una piccola tenda rossa, su cui è appeso un cartello con scritto “Privato”. Dopo una decina di minuti ricompare e, nuovamente, torna a parlare con il marito della mia cliente. Sorrisi ed inchini. Il mio uomo ora mi sembra persino un po’ agitato, dopo il breve colloquio.
Nel frattempo mi portano una tazza contenente della salsa di soia e una ciotola di riso cotto al vapore. Dopo aver gentilmente rifiutato i bastoncini offerti dal cameriere, trangugio una forchettata di riso, in attesa del piatto forte: gli involtini primavera. Chiudo gli occhi e provo con l’autosuggestione. Mentalmente mi ripeto – come una sorta di mantra – : “L’è cum el risott a la milanes… l’è cum el risott a la milanes…”. Tutto inutile! Il midollo di bue, lo zafferano, il parmigiano, il burro sono insostituibili.
Quando riapro gli occhi ho un sussulto: un uomo barbuto si è materializzato e si è seduto al tavolo del marito della contessa. Il tizio deve essere sbucato da dietro la tenda rossa: di certo non è entrato dalla porta principale perché me ne sarei accorto. I due parlano a voce bassa guardandosi negli occhi, incuranti di quanto li circonda. Ma che fa, ora? La mano del mio uomo si è posata sul ginocchio del compagno e non è certo una pacca amichevole: vedo le dita muoversi in una sorta di carezza circolare, lieve e, allo stesso tempo, urgente e sensuale. Quello con la barba lo lascia fare, anzi sorride soddisfatto.
Mi alzo, lascio sul tavolo i dodici euro e mi avvio verso l’uscita, seguito, quasi di corsa, dal cameriere che mi dice: “Ma, signole, non aspetta gli involtini plimavela?” No, non aspetto.
Donna Ambrosia mi ha detto testualmente: “Cerchi di scoprire con quale donna mi tradisce” e non vedo per quale motivo dovrei dirle di più di quanto mi ha chiesto.
Raggiungo il bar dall’altra parte della strada: se sono fortunato, riesco a vedere pure un goal di Bobo in diretta.
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Pubblicazione del racconto nell’antologia Giallo Milanese 2005 (ExCogita)