Illustrazione di Viola Bairo.
Segnalo con piacere la BrudasArt, che è citata nell'illustrazione dell'artista.
La BrudasArt, etichetta indipendente gestita da Riccardo C. Ferdenzi e Michele A. Vartuli, nasce a Torino nel 2010. Dopo l'autoproduzione a fumetti "Novembre" e "Monstro" in uscita questo mese, il team sfornerà "Gran Finale", un'opera che parla di storie malvagie e malinconiche, di armi e sangue, di amore e fantasia. Link: https://brudasart.wordpress.com/
Le poche persone che avevano accompagnato la salma al cimitero si stavano allontanando in fretta. "Ecco, ora sono proprio solo", pensò Antonio alzando il bavero del cappotto per difendersi dal freddo pungente di quella gelida giornata dicembrina. Calzò con forza il cappello sulla testa quasi completamente calva e si diresse lentamente verso casa. Aveva vissuto e accudito sua madre fino alla fine dell'anziana donna senza coltivare amicizie, amori o anche solo rapporti di buon vicinato. Sua madre, anzi, l'aveva sempre messo in guardia contro la falsità e la cattiveria della gente.
"Bastiamo io e te" continuava a ripetergli quasi quotidianamente.
Era da capire: sedotta e abbandonata appena diciottenne aveva tenuto il figlio, frutto di un amore clandestino con un uomo che era poi scomparso appena venuto a conoscenza del fatto, ma, da quel momento, non aveva più avuto fiducia nel genere umano.
Antonio aprì la porta di casa e guardò l'appartamento in cui aveva da sempre vissuto come se lo vedesse per la prima volta: non un quadro alle pareti, non un soprammobile, non un cuscino sul divano. La tappezzeria scolorita, i mobili scuri, severi rispecchiavano perfettamente il carattere di sua madre. Si lasciò cadere vestito di tutto punto sul divano e chiuse gli occhi. Gli parve persino di sentire la voce acuta di sua madre: "Quante volte devo dirti di metterti le ciabatte quando entri in casa e di toglierti il cappello? E, poi, preferirei che non usassi il divano, altrimenti si rovina". Si alzò di scatto per posare il cappello e togliersi le scarpe. Poi andò a sedersi su una sedia in cucina.
Meccanicamente apparecchiò tavola, si tagliò un pezzo di formaggio e si versò mezzo bicchiere di vino.
("Su, bevi mezzo bicchiere di vino ... tu sei un uomo e gli uomini possono")
Al mattino si alzò di soprassalto al suono della sveglia. La spense immediatamente per non disturbare sua madre e, solo dopo qualche istante, si rese conto che sua madre era morta, ma l’udì ugualmente: "Sei sveglio, Antonio? Mi raccomando vai piano e guida con prudenza".
Quella frase l'aveva sentita migliaia di volte: era da trent'anni che si alzava alle 6.30 per recarsi all'Ufficio Imposte e Registri dove lavorava allo sportello, prima a quello delle riscossioni, poi a quello dei codici fiscali. Quello spostamento, avuto senza preavviso alcuni anni prima, sapeva un po' di punizione, però Antonio non era mai stato interessato alle promozioni come, invece, tutti i suoi colleghi. Effettivamente quelli che erano entrati con lui già da una decina d’anni erano passati dallo sportello agli uffici del primo piano, alcuni, addirittura, a quelli del secondo o del terzo piano, dove si trovavano gli uffici dei dirigenti.
Prese l'utilitaria e s’immesse nel traffico cittadino. A quell'ora vi erano un gran numero d’automobili in circolazione, ma la cosa non lo preoccupava per niente. Sapeva che sarebbe riuscito lo stesso ad arrivare in anticipo e che avrebbe avuto tempo di disporre meticolosamente, com'era sua abitudine, gli oggetti sulla scrivania. Alla destra del sottomano dovevano esserci, rigorosamente in quest’ordine, la biro nera, la biro rossa e la matita. Sulla sinistra il contenitore delle clip e la gomma, al centro del sottomano un bloc-notes per appuntare le varie richieste.
Giunto in ufficio prese posto dietro allo sportello n° 12 e si accinse a compiere il solito rituale sotto lo sguardo ironico dei colleghi. Antonio sapeva che per questa sua mania era oggetto di scherno e sapeva pure che si divertivano a giocargli degli scherzi cretini. Più volte gli era successo che, quando per qualche motivo si doveva allontanare dal suo sportello, al ritorno non trovava gli oggetti disposti nell’ordine in cui li aveva lasciati. Ma non era mai riuscito a scoprire il colpevole o i colpevoli (sospettava che fossero più di uno). Così si limitava a rimettere tutto in ordine mentre i colleghi facevano finta d’essere impegnatissimi nel loro lavoro.
La prima persona a presentarsi allo sportello fu una signora di mezz'età, bassa e grassottella che richiedeva il duplicato del tesserino plastificato. Mentre l’ascoltava Antonio notò una vaga rassomiglianza con l'unica donna che aveva avuto modo di frequentare per un po' di tempo.
("Mamma, ti ricordi di Maria? Quella che secondo te mirava al nostro appartamento e le faceva gola il mio stipendio fisso? Quella con cui sono uscito due sere? Oggi ho visto una donna che le rassomigliava tantissimo. No, non era lei, non ti agitare, mamma! Non l’ho più vista, te lo giuro”)
La signora, intanto, stava dicendo: “Quanto tempo ci andrà per ottenere il duplicato? Ma mi sta a sentire?”.
Antonio si riscosse e porgendole il modulo 720 b da compilare rispose: "Scusi signora, può ripetere?".
I giorni trascorrevano uguali e montoni. Davvero nulla era cambiato nella sua vita, anche se sua madre era morta: lui la sentiva sempre, come se fosse ancora viva. E si ritrovava a parlarle come era solito fare: le raccontava della vita d’ufficio, dei colleghi, di quello che vedeva per strada.
(“Mamma stanno innalzando un enorme cartellone pubblicitario all’incrocio con Via Rossini: grande così non l’ho mai visto. . . Ancora non si capisce di che si tratta, ma da giorni vedo degli uomini al lavoro per fissare i pali che lo dovranno sostenere”)
Quella giornata era stata pesante. Il capoufficio l’aveva convocato per lamentarsi del suo lavoro: gli aveva ricordato che il suo rendimento lasciava alquanto desiderare e che l’addetto allo sportello 10, pur essendo stato assunto da pochissimo, sbrigava il doppio delle pratiche che faceva lui normalmente in una giornata. Lo invitava pertanto a cambiare atteggiamento altrimenti, aggiunse, si sarebbe visto costretto, nonostante l’anzianità, a trasferirlo in portineria. Aveva pur sostenuto che gli sarebbe dispiaciuto prendere un simile provvedimento, ma Antonio sapeva benissimo che non era vero, anzi gli era sembrato di sentir trapelare una certa maligna soddisfazione nel dargli questa comunicazione. Il fatto che lui fosse coscienzioso e preciso non aveva nessuna importanza per il suo capoufficio.
(“Mamma, penso che ci siano guai in vista sul lavoro: sono stato ripreso dal capoufficio e ho visto i colleghi a sogghignare”.
“Antonio, non te la prendere: è solo perché sono invidiosi e ti vogliono male. Tu sei bravo nel tuo lavoro, lasciali dire”.
“Sì, mamma, ma io non voglio fare l’usciere”.
“Adesso non metterti fare i capricci. Farai quello che ti dicono di fare, su fai il bravo”)
Come Dio volle anche quella giornata ebbe termine e Antonio poté con sollievo lasciare l’ufficio per tornare a casa. Fermo all’incrocio di Via Rossini la sua attenzione fu catturata dal nuovo cartellone pubblicitario che faceva bella mostra di sé in mezzo all’aiuola. Raffigurava un mare limpidissimo, un cielo azzurro, terso e una bellissima ragazza in primo piano che invitava a trascorrere le vacanze presso un rinomato club. Antonio ebbe la strana sensazione che quella donna guardasse proprio lui. Rapidamente volse lo sguardo attorno: non notò nulla di particolare negli automobilisti che lo affiancavano. Avevano tutti la stessa aria stanca ed annoiata. Alla sua destra c’era un giovane intento a parlare al cellulare, mentre alla sua sinistra un uomo che sembrava completamente assorto ad osservare le volute di fumo che si innalzavano dalla sigaretta. Nessuno aveva notato la donna, pensò. Il semaforo divenne verde e ripartì, ma gli era rimasta come una strana sensazione dentro.
Entrando in casa fu accolto da un’aria che sapeva di chiuso e di muffa. La polvere si era ormai depositata dappertutto e, nell’accendere la luce, lo spesso strato era ben visibile. Aprì il frigorifero e si ricordò che ormai era da un paio di giorni che quel gesto si rivelava del tutto inutile non essendoci dentro nulla. Si versò allora un bicchiere di vino e senza spogliarsi si lasciò cadere sul letto sfatto. Domani, pensò, avrebbe rivisto quella donna e con quel pensiero gratificante si addormentò.
Trascorsero così diversi giorni: Antonio, ormai, viveva per quei fugaci incontri tanto da trascurare il lavoro (aveva persino smesso di sistemare gli oggetti sulla sua scrivania, lasciando di stucco tutti i suoi colleghi) e guardandosi bene dal parlarne a sua madre che, ne era certo, l’avrebbe obbligato a cambiare percorso.
Non aveva dubbi: quella donna si rivolgeva a lui, solo a lui (ne era certissimo avendo più volte osservato gli altri automobilisti, completamente ignari di quello che stava succedendo) e gli parlava pure solo che, chiuso nell’auto, non riusciva ad afferrare quello che diceva. Dovevano essere, in ogni modo, dolcissime parole, visto il sorriso che le accompagnava e lo sguardo tenero che gli rivolgeva tutte le volte che passava di là. Forse era un invito.
Fu così che un giorno una lunga coda e un pauroso ingorgo si formarono al semaforo di Via Rossini. I clacson suonavano come impazziti e gli automobilisti scesero dall’auto per commentare.
“Guarda ‘sto cretino lascia la macchina in mezzo all’incrocio e se ne va... Deve essere impazzito!”.
Ma Antonio non vedeva altro che il sorriso di quella bellissima donna.
“Non so neppure come ti chiami, ma non ha importanza: avremo tempo per conoscerci. Tu sei l’unica persona che mi ha sorriso da non so quanti anni a questa parte. Sai, anche mia madre non mi sorrideva quasi mai ed io non ho resistito al tuo invito. Così mi sono deciso ed eccomi qua. Ed ora perché non mi parli più? Ti dà fastidio il suono dei clacson? Non ci badare. Sono venuto per stare con te, sei contenta?”
E nel dire quelle parole Antonio iniziò ad arrampicarsi su per i tralicci che sostenevano il cartellone pubblicitario.
“Tra poco staremo insieme per sempre e andremo via da questa orribile città. Andremo al mare: sì, proprio in quel posto che si intravede alle tue spalle... Perché non mi rispondi?”
“Forse il rumore delle sirene sta coprendo le mie parole: per questo non mi parla più”, pensò Antonio.
E rivolto al pompiere che con una scala lo aveva raggiunto disse: “Scusi, signore, non vede che sta spaventando la mia amica?”