Dopo un momento di silenzio, impegnato a osservare il disordine organizzato –così orgogliosamente lo definiva- il dottor Alfonso Antineo, segaligno e impettito, varcò la porta ed entrò nell’ufficio, bofonchiando un saluto alla segretaria che a sua volta ricambiò con lo stesso slancio, senza peraltro sollevare il capo dalle carte che stava consultando.
L’uomo si diresse verso la sua scrivania e si lasciò cadere sulla sedia. Si guardò attorno ancora una volta per sincerarsi che nessuno avesse spostato, neppure di un millimetro, quanto giaceva sul ripiano. Fu soddisfatto nel constatare che il mucchio di cartelle si ergeva alto e perfettamente impilato nel bel mezzo della scrivania, esattamente dove l’aveva messo il pomeriggio precedente, dopo aver passato l’intera giornata a disporre i documenti in ordine alfabetico, separandoli con dei vecchi cartoncini colorati su cui aveva scritto in stampatello maiuscolo le lettere dell’alfabeto.
Il primo martedì del mese l’ufficio era aperto al pubblico per le consegne dei moduli e il dottor Antineo ci teneva che tutto funzionasse alla perfezione, che non si formasse coda, che si sfatasse il luogo comune della lentezza e della inefficienza della burocrazia.
Solo quando finì di controllare che tutto fosse a posto, piegandosi un po’ verso destra in modo da spuntare da dietro la pila delle cartelle che lo nascondeva completamente, si rivolse alla segretaria:
-E’ tutto a posto? E’ pronta?
La donna, passandosi un fazzoletto per detergere l’abbondante sudore che le imperlava il viso paffuto, annuì stancamente con la testa.
L’ufficio si trovava al settimo piano di un anonimo e vecchio palazzo e godeva di un’ottima esposizione a mezzogiorno. Così, in quell’afosa giornata estiva, il pigro movimento del ventilatore a pale appeso al soffitto aveva come unico effetto quello di surriscaldare ancor di più l’aria.
Per di più la stanza era piccola e piena all’inverosimile: al centro le due scrivanie attaccate si fronteggiavano, intorno scaffali, armadi metallici, fotocopiatrici accese, dappertutto fogli di carta, fascicoli, cartelline ammucchiate che contribuivano a rendere l’ambiente ancora più soffocante.
Il dottor Alfonso Antineo, perfettamente a suo agio, si concesse il lusso di allentare di un paio di centimetri il nodo della cravatta e di sbottonare –solo il primo bottone, però- il colletto della camicia.
Controllò l’orologio.
-Bene, tra dieci minuti iniziamo a far entrare la gente. Allora tra le dieci e le dieci trenta quelli i cui cognomi iniziano con la A e la B, tra le dieci trenta e le undici sarà il turno della C, della D e della E…
Si interruppe, si piegò di nuovo vero destra e guardò la segretaria seduta di fronte:
-Ha il prospetto, vero?
La donna annuì nuovamente. Che altro poteva fare? Era l’ennesima volta che il dottore le ripeteva la procedura che, poi, era la solita procedura che adottava ogni qual volta doveva distribuire i moduli agli utenti convocati.
Quando, per una questione di riorganizzazione interna, il capo del personale le aveva comunicato che sarebbe stata la segretaria del dottor Antineo aveva sentito sospiri di sollievo e risolini divertiti da parte delle colleghe presenti alla riunione. Non ci aveva fatto troppo caso e, poi, non poteva certo accampare pretese essendo una delle ultime assunte.
“Ti è capitato il dottor Purga, ma, tranquilla, ci siamo passate tutte da lì…” le aveva detto una biondina dagli occhiali rosa seduta vicino a lei.
Allora non aveva osato chiedere maggiori particolari, però, nel giro di pochissimi giorni, aveva perfettamente inteso il significato del soprannome e dei risolini delle colleghe.
-Poi dicono la burocrazia, ma se tutti facessero come me il problema non sussisterebbe. Vero? Si tratta solo di sapersi organizzare, di dare delle regole. Non ho ragione, signorina?
Il dottor Antineo parlava sempre: dava voce ad ogni suo pensiero e ragionamento. Per di più aveva il vezzo di terminare ogni frase con una domanda. Gianna aveva ormai capito che le domande poste erano retoriche e che, comunque, lui non si aspettava nessuna risposta. Anzi, proprio non le voleva.
-Mi danno del fascista per via delle regole. Ma cosa me ne importa? Io lo faccio per venire incontro all’utenza, per agevolarla! Vero? Ordine, precisione, rigore. Non crede sia cosa ragionevole?
Gianna continuò a sfogliare il registro del protocollo, mentre si asciugava i sudori con il grande fazzoletto che, di tanto in tanto, posava nel bel mezzo della scrivania o se lo infilava in mezzo ai seni prosperosi, lasciati scoperti dalla maglietta scollata. Non erano ancora le dieci, ma il caldo era già soffocante: il sole entrava impietoso attraverso la finestra chiusa. Di aprirla non se ne parlava nemmeno in quanto il dottore, a sua detta, pativa la corrente d’aria.
Nel frattempo alcuni utenti erano già arrivati e sostavano nell’anticamera dell’ufficio.
-Lei, come si chiama?- chiese il dottore ad una donna che si era affacciata sulla soglia della porta aperta.
-Carrera. Maria Luisa Carrera.
Il viso di Antineo si fece paonazzo.
-No! Non ci siamo! La “C” è convocata alle dieci e trenta. Ha ricevuto, vero, la lettera di convocazione? Si faccia indietro, per favore. Veda di non intralciare il lavoro.
La donna, di fronte a quell’attacco, rimase in silenzio.
Poi, il dottore continuò:
-Non ha nessun senso. Nessuno. Se non metto ordine, qui, tra poco, sarà il caos più completo. Ha presente, vero, il caos?
Gianna non rispose, abituata al modo di fare del suo superiore. Prese il fazzolettone e si asciugò nuovamente il sudore, guardò preoccupata il ventilatore che stava emettendo strani cigolii e, di tanto in tanto, sembrava rallentare il suo già lento movimento. Pregò che non si rompesse proprio quel giorno. Aveva già i nervi a fior di pelle per colpa del dottor Purga, delle sue inutili domande, del suo ossessivo intercalare ogni frase con “vero?”. Quell’uomo le stava rovinando la vita, pensò. Per colpa sua, la sera prima aveva persino litigato con il fidanzato. Lui se ne era uscito con un “mi ami, vero?” sussurrato mentre sullo schermo del cinema scorrevano le ultime pubblicità e lei gli aveva detto, in risposta, di smettere di fare domande cretine. E non l’aveva detto neppure troppo sottovoce tanto che alcuni si erano voltati a guardarli. Da quel momento il fidanzato non le aveva più rivolto la parola e neppure aveva risposto all’sms di riappacificazione che Gianna gli aveva inviato quel mattino. Per sicurezza controllò il display del cellulare: nessun nuovo messaggio.
Nel frattempo Antineo apostrofò un uomo che in quel momento si stava affacciando alla porta:
-Il suo nome!
-Calligaris. Senta, dottore, non può darmi il mio modulo? Sa, ho lasciato la macchina in divieto…
-Non è possibile! Un altro con la “C”! Mi sembra d’essere finito in una commedia di infimo ordine…- esclamò il dottore, senza rispondere alla richiesta dell’uomo.
Poi rivolto alla segretaria disse con voce strozzata:
-Signorina, mi faccia il favore di controllare a che ora ha convocato la “C”. Si sbrighi! E lasci stare il cellulare se non vuole avere un’ammonizione scritta sul suo stato di servizio.
La donna aprì un cassetto della scrivania ed estrasse una grossa cartella. Stava sfogliando le lettere protocollate quando il dottor Alfonso Antineo, fremente per l’impazienza, si alzò di scatto e con rapidi passi si portò alle sue spalle.
Il viso si fece livido.
-Lei è una inetta, ecco che cos’è!- urlò strappandole i fogli dalle mani –Guardi che pasticcio ha combinato! Le “C” alle dieci, le “B” alle undici, le “A”… le “A” alle dodici! Ma non ha senso. Non ha sen-so. Mi capisce? Non-ha-sen-so. Ah, ma la pagherà, giuro che me la pagherà!
Attorno si fece il silenzio assoluto.
Gianna, allora, si alzò. Con calma recuperò la borsetta, mise dentro il fazzoletto e si diresse verso la scrivania del capo, muovendosi con grazia e leggerezza, nonostante le sue forme abbondanti.
Con determinazione e senza fretta prese le prime cartelle poste in alto nella pila e le fece cadere. Man mano che trovava il cartoncino colorato usato da separatore leggeva con voce ferma la lettera:
-“A” come Asino… “B” come Balengo… “C” come Cretino…
Poi faceva cadere le cartelle.
Arrivata alla “Z” (come Zoticone), davanti ad un impietrito dottor Alfonso Antineo che fissava quasi ipnotizzato lo scempio perpetrato, disse:
-Ecco, questo è quanto penso di lei, dottore. Ovviamente in rigoroso ordine alfabetico.
Poi si diresse verso la porta passando tra gli utenti che, divertiti, avevano assistito alla scena. Mentre scendeva le scale le giunse alle orecchie un applauso gratificante.