La similitudine è una trasformazione geometrica che risulta dalla composizione di un’isometria e di un’omotetia. Condizione necessaria e sufficiente affinché una trasformazione, che conservi l’allineamento fra punti, sia una similitudine è che essa lasci inalterata l’ampiezza degli angoli. Intuitivamente si può affermare che due figure che si corrispondono in una similitudine hanno la stessa forma.
La donna, guardandosi allo specchio, non poté che riconoscersi bella. L’abito di seta rossa, comprato appositamente per l’occasione, evidenziava le curve sinuose del corpo, lasciando le spalle e gran parte della schiena scoperte.
Lucrezia era una modella affermata grazie al suo fisico slanciato e al suo portamento che le conferivano un’eleganza naturale. I capelli neri e lisci mettevano in risalto l’ovale perfetto del viso; aveva il naso dritto e sottile, gli occhi azzurri e luminosi e le labbra, appena pronunciate, di un bel rosso vivo. L’unico difetto, se così poteva essere chiamato, era una minuscola escrescenza di carne sopra al labbro superiore, spostata leggermente verso destra. Sfilando sulle passerelle quel piccolissimo difetto non era evidente: normalmente gli occhi del pubblico erano puntati sull’abito indossato e sul corpo, al massimo sulle elaborate acconciature che accompagnavano il modello. Agli inizi della carriera si era rivolta ad un famoso chirurgo estetico il quale, però, le aveva sconsigliato un’operazione sostenendo che la cicatrice sarebbe risultata più vistosa dell’escrescenza in sé. Un’abile estetista, poi, le aveva insegnato come truccarsi in modo che tra sfumature ed ombre anche il viso appariva perfetto così come il resto del corpo.
Nel darsi un’ultima occhiata allo specchio si accese nervosamente una delle poche sigarette che si concedeva: quella sera non sarebbe stata una sera come tutte le altre. Nessuna sfilata o ritrovo mondano, ma un vernissage di un famoso pittore straniero che presentava la sua ultima opera: un quadro per il quale lei aveva posato come modella. Forse, pensò, quella era la volta buona per sfondare e per uscire dall’anonimato di una truppa di ragazze tutte simili nell’aspetto, tutte con le stesse ambizioni, tutte a fare una vita grama, fatta di trasferte faticose, d’ore passate al trucco, di diete micidiali, di freddo patito per abiti sempre inadeguati alla stagione.
Scese nell’atrio in attesa del taxi che l’avrebbe portata alla mostra. Era impaziente e curiosa perché il pittore non le aveva mai permesso di vedere il quadro: vista, però, la fama dell’artista l’opera non sarebbe passata inosservata alla critica e per lei sarebbe stata un’ottima pubblicità.
Si specchiò –ancora una volta- nei vetri dell’ingresso ed osservò compiaciuta la figura riflessa ripensando alla fortuna che le era capitata. Aveva incontrato il pittore in occasione di uno dei tanti cocktail a cui, essenzialmente per dovere, partecipava. Subito non aveva notato l’uomo e neppure l’aveva riconosciuto: lei, come da copione, dispensava i suoi sorrisi mascherando la noia, sorseggiava l’immancabile bellini mantenendo la schiena dritta e assumendo –in modo che sembrassero naturali- quelle pose plastiche che le avevano insegnato a scuola di portamento. Stava giusto cercando una scusa per allontanarsi senza apparire scortese quando le si era avvicinato il pittore che, fino a quel momento, era rimasto in disparte, appoggiato al davanzale di una finestra e guardando i partecipanti alla festa come se fosse uno spettatore e non un invitato. Senza parlare si era piazzato davanti a lei, aveva inclinato la testa per squadrarla meglio, poi aveva esclamato: “Ti stavo cercando!”
Di fronte allo sguardo perplesso della ragazza l’uomo chiese scusa per la sua irruenza, si presentò e spiegò che da qualche tempo stava cercando una donna come modella per un quadro particolare, ma che, fino a quel momento, non l’aveva trovata. Poi aggiunse: “Tu sei perfetta per quel quadro!”
Il pittore iniziò a parlarle con entusiasmo della futura opera che si sarebbe intitolata “Eruzione”: “Immagina sullo sfondo un vulcano in eruzione con colate lungo i pendii e fontane di lava che si innalzano dal cratere verso il cielo scuro, circondate da miriadi di lapilli e, in primo piano, una donna drappeggiata di seta rossa come la lava…”
A Lucrezia quell’idea non era sembrata particolarmente originale, ma se ne era ben guardata dal dirlo. Erano così iniziate interminabili sedute nel freddissimo attico del pittore. Il fatto, poi, d’essere vestita solamente con della seta che, a malapena, le copriva il sedere, di certo, non l’aiutava a stare calda. Durante le pose il pittore raramente parlava e interveniva soltanto per modificare la posizione. “Ecco, cara, solleva un po’ il capo. Brava, proprio così… Ancora un po’… Sì…verso sinistra, così... Bravissima! Ora, ferma!”
Una volta Lucrezia gli aveva chiesto perché aveva scelto proprio lei e la risposta era stata alquanto evasiva: “Tu sei particolare, mia cara, e per questo ti ho scelto”.
Il taxi giunse puntuale e nel giro di pochi minuti la portò davanti alla sala in cui si teneva il vernissage. Come sempre, quando era agitata, portò istintivamente la mano alla bocca coprendo in quel modo quella piccolissima escrescenza di carne: un vezzo che risaliva sin da quando era ragazzina e che, nei momenti di tensione, faticava a tenere sotto controllo.
Nel locale erano già presenti numerosi ospiti e alcuni giornalisti. Appena Lucrezia fece il suo ingresso fu accolta dal pittore che teatralmente si inchinò ed esclamò: “Ecco la mia musa!”
La prese poi per mano e l’accompagnò verso il centro della sala accanto ad un treppiede su cui, con tutta evidenza, era appoggiato il quadro, nascosto da un drappo di seta rossa. Lucrezia si ritrovò così di fianco al quadro e l’artista la pregò di assumere la stessa posa che aveva durante le sedute e di rimanere immobile in modo che il pubblico potesse cogliere il significato profondo dell’opera. Furono abbassate le luci centrali e rimasero accesi solamente due faretti, uno puntato sul volto di Lucrezia e uno sul quadro. Quando tutto fu pronto l’artista si avvicinò al treppiede e con un movimento deciso tolse il drappo: ci fu un attimo di silenzio e, subito dopo, un mormorio di stupore, seguito da uno scrosciante e convinto applauso. Lucrezia, ancora immobile nella posizione assunta, avvertiva su di sé gli sguardi dei presenti e alle sue orecchie giungevano stralci di commenti -“veramente geniale!”, “è identico…”, “mostruosamente realistico!”- che acuivano a dismisura la sua curiosità.
Quando finalmente poté muoversi, Lucrezia si spostò in modo da vedere il quadro. Fu questione di un attimo: non riuscì a trattenere un urlo raccapricciante prima di correre verso l’esterno con una mano sulla bocca, tra lo stupore della gente.
Sulla grande tela vi era dipinto in lontananza un vulcano durante un’eruzione fortemente esplosiva con una fontana di lava infuocata al centro che si stagliava nel cielo scuro come un fuoco d’artificio e in primo piano la figura di una bellissima donna. Il drappo di seta che la ricopriva era di color rosso cangiante come la lava del vulcano e la sua morbidezza lasciava intuire le forme sinuose del corpo. I capelli neri e lisci quasi non si distinguevano dallo sfondo scuro, la pelle era chiara e luminosa, il naso dritto e sottile. A colpire, però, non era la bellezza perfetta di quel volto, ma la raffigurazione sopra al labbro superiore, leggermente spostato verso destra, di un vulcano in miniatura identico in ogni particolare a quello che si intravedeva nello sfondo.