Il paese era disposto lungo la via principale come una specie di serpentone che si snodava lungo la striscia d’asfalto. Adagiato in una piana del sud, non aveva una storia particolare: nato in tempi recenti era considerato un paese dormitorio. Ciò non evitava, anzi amplificava, il pettegolezzo degli abitanti. Forse perché non c’era nulla d’interessante o di nuovo, l’attenzione era concentrata su alcune persone il cui comportamento era fuori di quelle regole che la società, la morale o anche solo la consuetudine imponevano.
Così, esaurito l’argomento del tempo, delle malattie e dell’inflazione, subito i discorsi volgevano verso fatti veri o presunti accaduti ad alcuni personaggi. E nel fare e rifare quei discorsi sovente capitava che essi fossero ingigantiti oltremodo.
In particolare una tale Cecilia, una non del posto, era l’argomento di chiacchiere preferito. Si trattava di una giovane donna che da poco era venuta a risiedere in quel paese, originaria, così si diceva, di Roma. Appena giunta aveva affittato una camera ammobiliata ed aveva costantemente rifiutato gli inviti fatti dai vicini.
La stessa moglie del proprietario della camera, che, per inciso, era il sindaco di quel paese, andava assicurando che donna Cecilia aveva accampato scuse per evitare di andare a casa sua a bere un semplice caffè. In realtà la moglie del primo cittadino aveva mal digerito quel “No, grazie” detto in modo educato, ma fermo tanto da raccontare l’episodio ad ogni piè sospinto e con l’aggiunta di qualche inevitabile variante.
“Manco l’avessi invitata a cena! Io volevo essere solo cortese, ma la “signora”, evidentemente, non vuole abbassarsi a frequentare gente di paese…” era la sua ferma opinione.
Il fatto poi che fosse molto bella era come benzina sul fuoco per la fantasia degli abitanti del paese. Il corpo era formoso, ma non grasso, ed era molto femminile per via di dolci curve messe ai posti giusti. Due occhi di un azzurro incredibile risaltavano nel pallido viso incorniciato da riccioli naturali di un caldo rosso ramato. I lineamenti erano delicati, il modo di muoversi aggraziato, il tono di voce dolce e gentile. Proprio perché era bella sembrava loro impossibile che non avesse un marito o un fidanzato o una qualsiasi relazione.
Cecilia conduceva una vita assai regolare: usciva tutte le mattine alla stessa ora per recarsi all’edicola e, presi i giornali, andava a sedersi su di una panchina nel giardino pubblico antistante e si metteva a leggere fino quasi l’ora di pranzo. Per il resto se ne stava chiusa nel suo appartamento o usciva per brevi passeggiate. Tutte le domeniche prendeva il treno di mattino presto e non rientrava che a sera tarda. I vicini avevano più volte provato ad indagare, ma avendo ricevuto risposte fredde ed evasive, avevano smesso di rivolgerle ulteriori domande.
Una domenica, al bar del paese, all’ora dell’aperitivo Luigi stava discutendo con i suoi amici sulla bella e misteriosa Cecilia.
“Voi non ci crederete, ma a me sembra che quella donna cerchi marito. E penso pure che mi abbia adocchiato: tutte le mattine viene all’edicola e si ferma più del necessario con la scusa di scegliere delle riviste e mi rivolge certi sguardi… Però con me casca male!”, concluse con un sorriso tronfio.
Luigi era un quarantenne, scapolo incallito, famoso in tutto il paese per le sue avventure galanti che, grazie al suo fascino, riusciva ad avere con sorprendente facilità. Aveva, però, un suo codice morale che gli impediva d’avere relazioni con le donne dei suoi amici o, in generale, del suo paese.
Si vantava, poi, con gli amici delle sue conquiste e raccontava di un numero incredibile di donne che aveva sedotto nelle vicine città, suscitando invidia tra i compaesani quasi tutti sposati o fidanzati da vecchia data.
Luigi era il proprietario dell’edicola di fronte alla stazione ed aveva sempre pronto un complimento per ogni donna che si avvicinava al suo banco; grazie al suo contatto quotidiano con la gente era colui che per primo veniva a sapere tutte le novità del paese.
“Volete scommettere che me la porto a letto e mi faccio raccontare tutta la sua vita?”.
Un coro di risate si alzò dal gruppo.
“Dai, Luigi, chi credi di essere? Quella donna è fredda come il marmo!”.
“Con voi forse, ma non con me. Conosco bene le donne e il suo modo di guardarmi e di sorridere la dicono lunga. Non ci credete? Avanti, allora scommettiamo: mille euro che entro sette giorni me la sarò fatta. Ci state?”.
Altre risate e frizzi si sollevarono dagli uomini presenti, ma nessuno accettò la scommessa.
Seduto ad un tavolino d’angolo un uomo stava sorseggiando un campari. Si alzò, si avvicinò lentamente al gruppo e tirando fuori di tasca il portafoglio disse: “Io accetto: lascio un milione in custodia al proprietario del bar. Mi rifarò vivo la prossima domenica, esattamente a quest’ora”.
Luigi rimase sorpreso perché non conosceva quell’uomo e, preso in contropiede, farfugliò:
“Io non la conosco”.
“Che c’entra? Non deve mica portare a letto me…” rispose seccamente quell’uomo.
“Ma perché vuole scommettere? chiese ancora .
“Perché io non sopporto gli sbruffoni come lei. Faccio il rappresentante e giro l’Italia, ma una persona così ... così...” e mentre pronunciava quelle parole la voce diventava sempre più indignata e il viso si faceva paonazzo. Prese fiato, poi proseguì:
“Ecco" Non mi viene neppure il termine adatto per definirla. Maschilista? Presuntuoso? Sì, lei è un maschilista presuntuoso! O meglio uno stupido galletto capace solo di vantarsi alle spese di povere e inconsapevoli donne”.
Gli amici del bar nel vedere Luigi tentennante iniziarono a chiedergli ironicamente se aveva improvvisamente cambiato idea o se gli era venuta paura o, ancor peggio, se quell’uomo aveva visto giusto.
A Luigi, seppure a malincuore, non rimase altro che accettare, se non voleva perdere la faccia.
In realtà aveva proposto quella scommessa sapendo che i suoi amici non avrebbero accettato, un po’ perché lo conoscevano e un po’ perché non erano tipi da grosse scommesse. Poi si era intromesso quel tipo, uno sconosciuto.
“Accidenti a lui e accidenti a me!”, pensò mentre si recava al bancomat per ritirare la cifra da depositare presso il proprietario del bar, “non posso nemmeno ritirarmi: farei la figura del bugiardo. Penseranno che mi sono inventato anche le altre donne...”.
Quel lunedì mattino Luigi si vestì con particolare cura, si pettinò con attenzione e si mise una buona dose del suo profumo preferito. Passò al bar per la solita colazione e alcuni avventori nel vederlo così azzimato non si trattennero dal dirgli: “Che eleganza, Luigi! Devi andare ad un matrimonio? O a un funerale?” mettendosi a ridere e dandosi gomitate d’intesa.
Non si prese neppure la pena di rispondere: bevve velocemente il suo caffè, borbottò un saluto e si recò all’edicola. Solitamente Cecilia arrivava alle nove, ma quel mattino alle dieci ancora non si era vista e Luigi iniziava a stare sulle spine. Più volte era uscito dall’edicola per guardare se la vedeva spuntare al fondo della via. Si era preparato un piano, ma se lei non veniva cosa avrebbe fatto? Finalmente la vide arrivare con la sua camminata lenta e il suo incedere aggraziato. Finse di sistemare delle riviste e si accorse che le mani tremavano. Schiarì la voce e sfoderò un gran sorriso:
“Buongiorno, donna Cecilia. Gran bella giornata oggi, vero?”
La donna si limitò ad annuire e iniziò a rovistare tra le riviste femminili.
“Sa ho trovato delle nuove riviste specializzate, adatte solo a donne di gran classe, proprio come voi. Quelle del paese non le apprezzerebbero neppure: sono riviste francesi, non facili da recuperare. Se volete, se non si offendete ve le potrei portare a casa, diciamo stasera…”
Cecilia alzò lo sguardo, gli puntò addosso i due bellissimi occhi e disse:
“Lei è proprio gentile, ma non mi sembra il caso che si disturbi tanto. Le prenderò domani se le porta in edicola”. Accompagnò la frase con un sorriso gentile e se ne andò non dandogli il tempo di replicare.
Così Luigi, già di malumore per via di quella ghiotta occasione fallita, dovette pure saltare il pranzo per recarsi nella cittadina vicina a cercare le riviste francesi che aveva promesso a donna Cecilia.
Il giorno successivo, quando la donna si presentò per acquistare il solito quotidiano, Luigi le fece cenno se poteva attendere un attimo. Servì in fretta i clienti che in quel momento erano al banco, poi si precipitò fuori dall’edicola con le riviste in mano.
“Donna Cecilia, se permette, vorrei farvi vedere alcune cose veramente interessanti che ho trovato su queste riviste” e mentre pronunciava queste parole espose sul banco un cartello con su scritto “TORNO SUBITO” non dandole così modo di rifiutare. Si affiancò a lei e adattò il suo passo alla lenta camminata della compagna. In realtà aveva molto fretta: non poteva tenere l’edicola chiusa per molto tempo, ma fece finta di nulla. Finalmente arrivarono al giardino pubblico e Cecilia scelse una panchina posta al fondo dei giardini. Luigi si chiese se lo stava facendo apposta. Una volta seduti, nel passare le riviste, le sfiorò le mani con le dita e, con la scusa di mostrarle un interessante articolo, si avvicinò in modo che le sue gambe toccassero le cosce della donna. Cecilia non si ritrasse e Luigi fu intimamente soddisfatto di quel risultato. Decise che per il momento non era il caso di esagerare (già era stato impulsivo il giorno precedente nel chiederle di andare a casa sua) e la lasciò dicendole: “Voi, donna Cecilia, mi turbate… sarà bene che torni al mio lavoro”. Si allontanò con il cuore leggero e si congratulò con se stesso per non aver ceduto alla tentazione di andare oltre.
“Certo che è strana: le altre a questo punto avrebbero già dimostrato una maggior disponibilità”, rifletté mentre, quasi correndo, faceva ritorno all’edicola.
Trascorse il pomeriggio studiando quale mossa gli conveniva intraprendere e, alla fine, decise di farle trovare una lettera in mezzo al quotidiano che solitamente comprava. Il tempo scorreva inesorabilmente e non poteva concedersi il lusso di perderne altro. Alla sera, prima di chiudere l’edicola, prese alcune riviste del genere “rosa”. Non aveva mai scritto lettere d’amore e, onestamente, sperava di poter copiare qualche cosa. Mangiò in fretta e si mise a leggere avidamente i vari articoli. Fu fortunato perché nella sezione “Posta del cuore” trovò la lettera di un uomo innamorato che mandava versi all’amata. Con piccoli ritocchi sarebbe andata benissimo al suo caso, pensò. Iniziò così a trascrivere quei versi: di tanto in tanto si fermava, rileggeva mordicchiando nervosamente la penna, faceva piccoli cambiamenti, rileggeva di nuovo. Dopo due ore, soddisfatto del lavoro fatto, si accinse a scrivere in bella copia la poesia.
La rilesse ancora una volta a voce alta e quasi si commosse da solo. “Nessuna donna può rimanere insensibile di fronte ad una lettera come questa”, ragionò tra sé e sé, e, fiducioso, andò a coricarsi.
Il mercoledì si recò al lavoro, portando con sé la lettera. Canticchiava felice pensando che il suo era stato un vero colpo di genio: quel mattino, infatti, mentre si radeva si era improvvisamente ricordato d’aver letto da qualche parte che si usava versare una goccia di profumo sulle lettere d’amore. E così aveva fatto pure lui, stando attento a non bagnare le parole. Forse aveva esagerato, ma d’altra parte temeva che evaporasse prima che donna Cecilia la ricevesse. “Melius abundare quam deficere o una cosa del genere”, pensò soddisfatto.
All’arrivo di donna Cecilia le porse il giornale con dentro il biglietto e si accorse, nuovamente, che la mano tremava un po’ nel fare quel gesto a lui così familiare. Ora non gli restava che attendere.
Per tutto il giorno non la vide più: non sapeva bene come interpretare quel segno e passò una notte assai agitata. Finalmente venne l’alba e, per l’impazienza, si trovò ad aprire l’edicola notevolmente in anticipo rispetto al solito. Il tempo trascorreva lentamente e si trovò a riflettere (cosa per lui insolita) come il suo fluire era recepito diversamente a seconda degli stati d’animo. Finalmente lei giunse all’edicola e pose fine a quelle riflessioni filosofiche che mal si conciliavano con il suo carattere. Si avvicinò senza lasciar trapelare nulla dalla propria espressione. Guardò tra le riviste e al momento di pagare disse a bassa voce: “Sabato sera alle otto a casa mia”.
Luigi avrebbe voluto urlare per la felicità: non solo avrebbe conquistato una gran bella donna, ma avrebbe anche vinto la scommessa. Già immaginava le facce dei suoi amici mentre raccontava come aveva fatto e, soprattutto, cosa aveva fatto. Avrebbe dato anche una salutare lezione a quello sconosciuto che si era permesso di dargli del “galletto” e del “maschilista presuntuoso”! Come aveva mai potuto permettersi?
Nei giorni successivi donna Cecilia si recò, come al solito, all’edicola e Luigi, quando era certo che nessuno lo potesse vedere, le faceva l’occhiolino e atteggiava le labbra come per mandarle un bacio. Lei sorrideva e lentamente annuiva.
Il sabato sera chiuse l’edicola in anticipo, passò dal fioraio e comprò una rosa rossa dal lungo gambo, poi andò a casa per prepararsi. Era eccitato come da tempo non gli capitava. Fece quasi di corsa il tragitto che lo separava dalla casa di Cecilia e suonò il campanello. La donna lo accolse sorridendo e lo invitò ad entrare, tirandosi da parte. Voci festose lo accolsero: la padrona di casa ed alcune sue vicine erano comodamente sedute sul divano e stavano sorseggiando un caffè e, appena lo videro, si profusero in saluti e convenevoli.
“Visto Luigi? Donna Cecilia ha finalmente rotto gli indugi e ha deciso che era ora di conoscerci un po’. Non siete d’accordo con me che ha fatto bene?”.
Senza attendere risposta continuò: “Siete galante come al solito, vedo. Una rosa rossa per donna Cecilia…che pensiero gentile… Ah, Luigi, avessi dieci anni in meno…” E sospirò teatralmente facendo sorridere le signore presenti.
Luigi, troppo sconvolto per parlare, si sedette su di una sedia e con un sorriso stampato sulla faccia si limitò a rispondere a monosillabi quando era coinvolto nel discorso, mentre dentro di sé sentiva crescere una gran rabbia. Certo che era stato ben giocato da quella donna, cosa che non si sarebbe mai aspettato. Aveva indiscutibilmente perso e con tutte quelle testimoni non avrebbe neppure potuto barare con gli amici. Appena poté si congedò con la scusa di un appuntamento preso in precedenza. Finse di non vedere i sorrisetti di quelle donne che lo immaginavano impegnato in chissà quale appuntamento amoroso e fu accompagnato alla porta da una gentilissima donna Cecilia che lo ringraziava per la cortese visita.
Era così esterrefatto da quanto gli era capitato che non riuscì neppure rispondere a dovere. Bofonchiò a denti stretti un “buonanotte” e se ne andò.
Il giorno dopo si presentò puntuale al bar. Lo sconosciuto era seduto allo stesso tavolino occupato la domenica precedente. Quando lo vide entrare si alzò e chiese:
“Allora?”
“Allora ho perso”, rispose con malagrazia Luigi.
“Bene, ne ero certo. Quindi posso ritirare la posta, giusto?”
Luigi non rispose, si girò e se ne andò.
Lo sconosciuto intascò la scommessa vinta, fece un generico cenno di saluto ai presenti e uscì. Salì sull’automobile posteggiata proprio di fronte al bar, partì e, percorsi appena duecento metri, si fermò. Donna Cecilia era ferma sulla strada e aveva con sé due valigie. Prese posto sull’auto e, appena salita, disse:
“Tutto a posto, caro?”
“Sì”, rispose sorridendo l’uomo.
“E adesso dove andiamo?”
“Ho conosciuto un giovanotto di trent’anni che si considera il più grande latin lover del suo paese. Vive a cinquanta chilometri da qua. Che ne dici?”
“Perché no, amore? Lo sai che sola a casa tutto il giorno mi annoio mortalmente”.