Difficile stabilire con precisione la data in cui ebbe inizio la storia. I primi che se ne accorsero erano concordi nell’affermare che doveva essere l’ultima settimana di maggio o, al massimo, la prima di giugno. Un caldo precoce e insolito aveva fatto sì che di notte, per cercare un po’ di frescura, si dormisse con le finestre aperte.
Il piccolo paese -non più di cento anime- era situato a mezza costa di una montagna, lontano dalla strada statale che si trovava a fondovalle. Non era un posto di passaggio in quanto si accedeva grazie ad un’unica strada che, appunto, partiva dalla statale per terminare nella piazza del paese. Vi erano alcuni negozi: uno di generi alimentari, un bar tabaccheria e un altro di difficile definizione visto che all’interno si poteva trovare di tutto, dal filo da cucire alla pentola, dal lucido da scarpe alla camicia da notte. Il tutto disordinatamente ammassato in un locale non più grande di una normalissima stanza. Oltre alla chiesa, al municipio e alla bottega del barbiere che, all’occorrenza, faceva pure il parrucchiere per signora, vi erano solo case private abitate da persone adulte, la maggior parte anziane. Le poche giovani coppie con figli, da tempo ormai, si erano trasferite in posti meno isolati.
I primi a parlarne furono due clienti abituali del bar, due pensionati che trascorrevano gran parte della loro giornata seduti al tavolino a guardar la gente, a commentare del tempo e a dire poche altre parole, solo quelle strettamente necessarie. Quel mattino, però, fecero un’eccezione. Per tutta la notte avevano udito un rumore incessante: una specie di battito sordo, come di tamburo lontano. Ora si stavano chiedendo l’un l’altro se quel rumore l’avessero sognato o se era realmente esistito.
Il barista, appoggiato al bancone, smise le sue faccende per ascoltare interessato. Anche a lui era parso di sentire quello strano rumore. Aveva pensato che fosse a causa di quel vecchio problema all’orecchio che, di tanto in tanto, lo tormentava. Stava per intervenire quando i due vecchi, con un sospiro rassegnato, conclusero che l’età giocava loro brutti scherzi. E, così, rimase zitto.
Il giorno successivo l’argomento fu ripreso. Un uomo nel comprare il solito pacchetto di sigarette disse:
“Sei sicuro che le sigarette che mi vendi non contengono qualche sostanza allucinogena? Sono più notti che sento un tamburo suonare!”.
Un po’ alla volta il discorso divenne di dominio generale. Chi ancora non ne aveva parlato per paura di essere preso per pazzo uscì allo scoperto e confessò che ormai erano da diverse notti perseguitati da quel suono. Nessuno sapeva dare delle spiegazioni razionali. Si fecero molte ipotesi. C’era chi propendeva per uno scherzo di pessimo gusto di un buontempone, chi pensava a qualche giovanotto maleducato che ascoltava quella strana musica moderna a tutto volume. Ma nessuna di queste spiegazioni era completamente soddisfacente.
Il sindaco e il consiglio comunale indissero una riunione straordinaria, aperta al pubblico, per discutere la questione. L’intero paese si presentò: quel rumore impediva di riposare e la situazione si stava facendo insostenibile. Neppure in quell’occasione maggioranza e opposizione giunsero ad un comune accordo. I primi sostenevano la necessità di risolvere il problema all’interno della comunità senza far trapelare nulla all’esterno, i secondi insistevano per rivolgersi a qualche agenzia investigativa privata che, in ogni caso, avrebbe garantito riservatezza. La discussione fu accesa, volarono parole grosse e furono riprese vecchie questioni che nulla c’entravano con quanto stavano dibattendo. Alla fine si votò e fu approvata la proposta della maggioranza.
Si decise, pertanto, di costituire un gruppo di volontari, una specie di ronda, che sarebbe uscito di notte per scoprire la misteriosa fonte del suono. Il gruppo fu presto organizzato. Gli uomini, capeggiati dal sindaco, decisero di entrare in azione la notte successiva e si diedero l’appuntamento in piazza per le ventidue.
Quel maledetto suono, infatti, iniziava verso quell’ora (qualche volta poco prima, altre poco dopo) per poi terminare verso le sei del mattino. Si ripeteva monotono, variando solo di tanto in tanto il ritmo. Talvolta rallentava e sembrava dovesse cessare definitivamente, ma subito dopo riprendeva come prima. Era proprio questa variazione di ritmo che rendeva, se possibile, ancora più snervante la situazione. In quei momenti ognuno in cuor suo sperava che l’incubo fosse finito per sempre. Il fatto che invariabilmente il suono riprendesse aumentava a dismisura il nervosismo e il senso di impotenza.
Alla sera stabilita la popolazione si radunò in piazza per assistere alla partenza di quel gruppo di volontari. Tutti avevano una torcia, molti dei bastoni e uno, cacciatore per passione, esibiva spavaldamente il fucile da caccia. Sembrava stessero partendo per una guerra visti i saluti e gli applausi che accompagnarono la loro uscita dalla piazza del paese. Avevano deciso di appostarsi appena fuori dell’abitato, di ascoltare attentamente il suono in modo da localizzarlo e, poi, di passare all’azione.
Quella sera, nel silenzio della notte, il suono si sentiva più chiaramente del solito. Tutti furono d’accordo nell’individuarlo a nord del paese e s’inerpicarono in quella direzione. Camminarono per mezz’ora prima di fermarsi in una radura. Si misero nuovamente all’ascolto e, incredibilmente, il suono giunse alle loro orecchie come se provenisse dalla parte da cui erano partiti. Si guardarono disorientati e increduli, ma decisero di ritornare sui loro passi. Fu così per tutta la notte: appena giungevano nella zona da cui sembrava provenire il suono questo riappariva misteriosamente da tutt’altra parte.
Verso le cinque del mattino gli uomini si arresero. Stanchi per la fatica e, soprattutto, demoralizzati tornarono alle loro case. Non dovettero dire nulla sull’esito della loro missione: il continuo suono del tamburo era una risposta più che evidente alle domande dei compaesani.
Provarono ancora la notte successiva, cambiando strategia. Si divisero in più gruppi e si posizionarono attorno al paese. Il risultato fu che più volte durante la notte i gruppi si scontrarono mentre correvano in direzioni opposte, ognuno fermamente convinto di andare in quella giusta. Alla fine rinunciarono.
Dopo il fallimento della pubblica missione gli abitanti provarono soluzioni personali. Nonostante il caldo sempre più opprimente di notte tennero le tapparelle abbassate e chiusero ermeticamente le finestre. Alcuni si misero i tappi alle orecchie: morbide palline di cera rosa che promettevano un silenzio perfetto, assoluto. Quei tentativi, però, furono controproducenti: il suono del tamburo si avvertiva lo stesso e in modo ancor più devastante. Si sentiva di “ventre”, come se nascesse e rimbombasse dentro al proprio corpo, trasformato in una gran cassa di risonanza.
Il vecchio prete durante le omelie delle messe mattutine ormai non faceva altro che parlare di punizione divina, del diavolo venuto di persona per portare in Terra i tormenti dell’inferno, dell’imminente fine del mondo annunciata dal suono del tamburo.
A sposare la tesi del prete fu, per primo, il proprietario del bar che, da quel momento, andò ripetendola a tutti coloro che entravano nel suo locale. Quest’uomo era molto rispettato nella comunità per via del fatto che aveva vissuto diversi anni in città, possedeva un diploma, uno scaffale pieno di libri ed era sempre informato su quanto succedeva nel mondo. Aveva, infatti, l’abitudine di leggere tutti i giorni il quotidiano dalla prima all’ultima riga. Inoltre era un uomo di poche parole e non aveva mai parlato a vanvera.
Alla fine la gente si convinse che avevano ragione. Tutti si confessarono, sperando che il pentimento dell’ultimo minuto fosse ugualmente efficace, e tutti si misero a pregare come mai avevano fatto in vita loro. Non c’era momento della giornata in cui la chiesa fosse vuota.
E quando tutti erano ormai rassegnati ad attendere la fine del mondo successe che, una notte, non sentirono il tamburo, ma i soliti rassicuranti suoni della montagna.
Attesero con trepidazione la notte successiva per aver la certezza di non essersi sbagliati e illusi. Ma le notti tornarono ad essere silenziose, quiete, rassicuranti. E gli abitanti del paese, passata la grande paura, furono felici di non aver detto in giro quanto stava loro succedendo. Non volevano certo passare per dei pazzi visionari ed avere il paese invaso da curiosi.
Di fronte allo scampato pericolo nessuno volle indagare sulle cause di quel fatto straordinario e facilmente accettarono quanto il prete sosteneva: Dio li aveva voluti mettere alla prova e la loro fede li aveva salvati.
L’unico a rimanere perplesso di fronte a quella spiegazione fu il barista. Non credeva ad un ravvedimento di Dio né, d’altra parte, concepiva come lui avesse potuto sbagliarsi in modo così grossolano.
Un mattino, esattamente due giorni dopo la fine dell’incubo, nel leggere il quotidiano trovò un articolo che riguardava una avvenimento accaduto in una località posta ad una decina di chilometri dal paese, nell’adiacente vallata.
L'OPPOSIZIONE ALL'ATTACCO: <CHI HA AUTORIZZATO LA MANIFESTAZIONE?>
Belfè devastata dopo il rave party
Vandalismi e sporcizia: è polemica sul maxi-raduno
E' subito polemica sul mega-raduno di località Belfè. Almeno quattromila giovani, in arrivo da tutto il Nord Europa, si sono dati appuntamento sulle pendici del monte Soreta, per il più lungo rave party della storia. La festa s'è conclusa domenica scorsa, ma i primi partecipanti sono giunti tre settimane fa, impiantando due enormi tende da circo. Da allora è stato un viavai continuo di gente, e tutte le notti la valle è stata inondata dalla musica techno, diffusa da casse da mille e più watt. Moltissimi i danni all'ambiente: sul posto sono rimasti quintali di rifiuti, e molti <raver> hanno commesso atti vandalici. Sono stati segnalati tentativi di furto ai danni del bancomat della Banca Popolare del capoluogo e di alcuni supermarket della zona. L'Ipercoop ha addirittura chiesto aiuto ai carabinieri, che poco hanno potuto fare di fronte ad un così elevato numero di persone. I militari si sono limitati a gironzolare tra gli scaffali, tenendo d'occhio giovani mezzi nudi, tatuati e pieni di piercing che stavano facendo la spesa. Sul <caso>, ora, ha presentato un'interpellanza il consigliere di opposizione Giuseppe Bosio, che vuole fare chiarezza su due punti: perché sia stata autorizzata una manifestazione così imponente, e a chi ci si debba rivolgere per il rimborso dei danni.
[c. b.]
Ora tutto era chiaro: la musica techno, gli amplificatori da mille watt, l’eco e il rimbombo favorito dalla montagna…
Se i suoi compaesani avessero letto l’articolo sarebbe diventato lo zimbello di tutti e avrebbe perso la sua credibilità. Prese le venti copie del quotidiano, andò nel cortile e le bruciò. Poi preparò un cartello con su scritto:
“IL GIORNALE NON E’ IN EDICOLA CAUSA SCIOPERO SELVAGGIO”
e si mise ad attendere i primi clienti.
Commentò con loro che nessuno aveva più seriamente voglia di lavorare e che questi scioperi erano una vera e propria calamità.
“Così viene leso il diritto all’informazione”, concluse. Poi, chiuso in un silenzio sdegnato, si mise ad asciugare le tazzine.