Indeterminato: un’operazione, un’equazione o un problema si dicono indeterminati se ammettono infinite soluzioni.
Le parole, gli stili, la scrittura in generale non presentavano segreti per Ernesto. Sin da piccolo aveva evidenziato questa sua singolare abilità e naturale attitudine. Gli anni scolastici erano così trascorsi contrassegnati da giudizi sempre molto positivi, accompagnati da non poche lodi: per i suoi pensierini, prima, per i suoi temi, poi, per i suoi saggi, alla fine.
Una laurea in lettere, un lavoro presso un quotidiano nazionale e una vita trascorsa a scrivere, a mettere in fila parole, a costruire frasi sintatticamente corrette e rigorosamente logiche.
Ernesto aveva anche scritto una serie di libri di gran successo: libri sull’arte dello scrivere e sul mestiere del giornalista.
Passava con disinvoltura da un tema all’altro, non disdiceva neppure di verbalizzare le noiosissime riunioni di condominio. Anzi, lo divertiva cimentarsi in quel linguaggio tecnico-burocratico.
Per un certo tempo aveva pure sostituito la collega che si occupava della rubrica La posta del cuore e ne aveva così ben imitato lo stile che nessuno si era accorto del cambiamento.
Ma tutto questo scrivere non era appagante per Ernesto. La sua vera aspirazione era scrivere un romanzo, un romanzo con la “R” maiuscola, uno di quelli che restano nella storia e nel tempo. Insomma voleva scrivere un capolavoro, anzi il capolavoro. E, a questo scopo, aveva dedicato tutto il suo tempo libero.
Il suo perfezionismo lo aveva portato a procedere molto lentamente: non di rado trascorreva intere serate su di una stessa frase, modificandola, leggendola ad alta voce, cercando termini che rendessero meglio quanto voleva esprimere.
Talvolta –nei periodi più bui- l’insoddisfazione lo portava a riscrivere capitoli interi, e a dare tutt’altra piega alla vicenda narrata. Questo, ovviamente, comportava una serie di ripensamenti e di rimeditazioni che facevano trascorrere ulteriore tempo.
Così procedeva a rilento, ma Ernesto sapeva che quella era l’occasione della sua vita e non voleva certo sprecarla per fretta o per approssimazione. Erano dieci anni, ormai, che lavorava attorno al suo romanzo quando non poté procrastinare ulteriormente il momento tanto temuto: il capitolo finale.
Ernesto non aveva mai voluto pensare seriamente su come far finire la storia: un po’ perché la fine gli sembrava lontana, un po’ perché l’idea di concludere gli metteva addosso ansia e, pure, un filo sottile di tristezza.
Come concludere?
Ernesto iniziò a vagliare una serie di possibilità. Ben presto si accorse che le soluzioni erano infinite. Iniziò, così, a scrivere un finale, poi un altro, poi un altro ancora… Man mano che li scriveva li metteva da parte. “Sceglierò il migliore”, si disse.
E, intanto, scriveva, scriveva, scriveva…
Racconto tratto da “Attrazioni e distrazioni” di Cesarina Bo pubblicato da ExCogita, 2004