Si somigliano tutti e per questo mi fanno sentire a casa: stessi arredi ordinari, stesse stampe alle pareti, stesse bruciature di sigarette sui ripiani, stesse tende polverose.
Almeno così succede a me, rappresentante di professione di vini e liquori, che vivo nei motel, di quelli che trovi a pochi chilometri dall’uscita di un qualsiasi casello autostradale.
Dal lunedì al venerdì, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno.
E mi trovo bene, anzi mi trovo meglio che a casa mia, dove ad accogliermi c’è solo un velo uniforme di polvere. Qui faccio quattro chiacchiere con la donna alla reception, qualche battuta allusiva perché, altrimenti, si sente trascurata; poi una capatina al bar per una birra ghiacciata o per un whisky a seconda della stagione e mentre bevo scambio banalità sul tempo, sulla politica, sul carovita con il compiacente barista. Infine, a letto: per compagnia il rumore delle auto che sfrecciano sulla strada, le immagini di un vecchio film che scorrono alla tv, la luce artificiale dell’insegna a filtrare tra le liste delle tapparelle, i tonfi delle porte, i passi nel corridoio e, sovente, l’amore delle coppie clandestine che qui trovano un rifugio discreto.
Stasera, però, è l’ultima volta. Mi guardo attorno per imprimermi nella mente ogni particolare. Da domani sarò ufficialmente in pensione. Restituirò l’auto alla ditta, ritirerò la mia medaglia per gli anni di servizio e il direttore farà il solito discorso sottolineando l’impegno, la dedizione, il senso del dovere, eccetera, eccetera, eccetera. Già, dovrò restituire anche il campionario. Il mio sguardo va alla voluminosa valigia che ho posato sul tavolino, davanti alla specchiera. La porto sempre con me per evitare che me la rubino giù, nel parcheggio. La prendo e la metto sul letto.
Nella stanza accanto intanto è entrata una coppia: li sento ridere, lei parla a voce alta e ogni tanto lancia dei gridolini. Tra non molto scenderà il silenzio o, meglio, saranno gemiti e scricchiolii di letto.
Apro la valigia e prendo la prima bottiglia mignon che mi capita sotto mano: sto infrangendo una regola che ho sempre rispettato, ma me ne frego. La stappo, faccio un solitario brindisi e la bevo tutta di un fiato. Poi ne apro un’altra, poi un’altra ancora, e ancora…
A me. Alla pensione. Alla falsa bionda della reception. Ai due che scopano. Alla fottuta medaglia. Alla faccia che farà il direttore quando gli consegnerò la valigia vuota.
Sdraiato, tracanno l’ultimo sorso. Spengo la luce. Anche di là hanno finito.
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Racconto pubblicato nell’antologia "Motel" di Rosso Venexiano